mercoledì 3 febbraio 2010

Ci avete fatto caso?


Ci avete fatto caso?


Sta tenendo in una morsa l'intera nazione, al collasso economico, con il ricatto della sua immunità, oltretutto, ogni volta che si deve votare una legge modellata su misura per la sua persona, è fuori, lontano, a concludere affari personali, e a praticare, probabilmente, postriboli.

I suoi viaggi, infatti, da quando è stata resa nota la sua dipendenza da escort sono diventati più frequenti.

Mi domando, ogni momento della mia giornata: ma chi può averlo eletto?
Chi gli ha dato fiducia?

E cerco di capire, seguendo una logica.

Oltre alle casalinghe di Voghera che sono sempre al telefono a ciarlare con le amiche o che stanno davanti alla tv a vedere programmi deficienti tipo il tronista o ballando sotto le stelle o gli sfigati della domenica o i carcerati nella casa degli imbecilli, e non sono tantissime, chi altri lo ha votato?

Senza dubbio gente senza cervello: i leghisti.

Ma non bastano neanche le casalinghe di Voghera e i leghisti, quindi, bisogna cercare altrove.

Chi può avere interesse a votare un simile individuo?

La chiesa non dovrebbe, ha violato tutti i crismi, ma potrebbe averlo votato per interesse.

Ma non bastano le casalinghe, la chiesa ed i leghisti.

Chi ha maggior interesse a mantenere al potere una feccia di questo tipo?

Le organizzazioni malavitose!

E, infatti, le poche leggi fatte, oltre a quelle per la sua persona, sono quelle fatte a favore della delinquenza organizzata!

Ecco da chi prende i voti il premier dei miei stivali: casalinghe di Voghera, leghisti, clero e organizzazioni malavitose!
(in Italia ne abbiamo ben 4!)

E con questo bel pò-pò di voti non ce lo leviamo più di torno!

Lui candida collusi con le organizzazioni mafiose per ottenere la vittoria assoluta!

Lui non è limpido, lui è torbido!



Ciancimino: i soldi della mafia per la Milano2 di Berlusconi - Peter Gomez


D’accordo, Massimo Ciancimino dirà pure “minchiate”così come ha fatto, per lastampa vicina al centrodestra, il pentitoGaspare Spatuzza.
È vero, finora nessuno è riuscito a capire se il figlio di don Vito, quando afferma che suo padre finanziò la costruzione di Milano 2, assieme ai grandi imprenditori mafiosiBuscemi e Bonura, sia in grado di produrre documenti a sostegno delle accuse.
È indiscutibile poi che sulle ragioni per cui Ciancimino junior ha deciso di parlare pesino ancora molti interrogativi: punta a sconti di pena?
Vuole salvare il tesoro di famiglia?
Tutto giusto.
Tutte domande e obiezioni legittime.
Ma se non si vuole ridurre l’intera storia di questo paese a un processo, da cui per mille motivi si può uscire colpevoli o innocenti,una riflessione andrebbe fatta.
E soprattutto una cosa andrebbe ricordata: il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non ha mai voluto spiegar l’origine delle sue fortune.
Non che le occasioni gli siano mancate, intendiamoci.
L’ultima risale al 26 novembre del 2002.
Quel giorno il tribunale, che stava processando Marcello Dell’Utri, si spostò a Palazzo Chigi per ascoltarlo.
Berlusconi però si avvalse della facoltà di non rispondere. Il codice glielo consentiva, certo.
Ma glielo può consentire il decoro istituzionale, la politica e la stampa?
Anche perché,in questo caso, gli interrogativi non seguono le inchieste.
Le precedono.
Nel 1976 Giorgio Bocca, per esempio, scriveva: “Un certo Berlusconi costruisce Milano 2, cioè mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno.
Chi glieli ha dati?
Non si sa.
Chi gli dà i permessi e dirotta gli aerei dal suo quartiere? [...]
Noi saremmo molto curiosi, molto interessati a sapere dal signor Berlusconi la storia della sua vita”.
Di risposte ovviamente nessuna.
O meglio una arriva.
Ma tre anni dopo, nel ‘79 quando l’attuale deputato Pdl, Massimo Maria Berruti, allora capitano della Guardia di finanza, conduce una verifica sull’Edilnord.
I militari vogliono chiedere al Cavaliere cosa ci sia dietro a due fiduciarie svizzere che hanno pompato miliardi nella sua città satellite.
Ma lui ribatte: non so niente, l’Edilnord non è mia, “sono solo un consulente esterno”.
Salvo Berruti, che pochi giorni dopo lascia la divisa per diventare un suo avvocato, tutti pensano alla balla.
Ma oggi, dopo anni di silenzi e aver ascoltato Ciancimino junior, il dubbio viene.
Forse, almeno quella volta, Berlusconi ha detto la verità.

Pdl, flop tessere di Alessandro De Angelis

Dovevano essere un milione, per ora sono 18mila

Il fallimento è tutto in un numero: diciottomila. Tante sono le tessere del Pdl che sono state richieste dall'inizio della campagna di adesione. Quella lanciata in pompa magna proprio dal premier: «Raggiungeremo - promise il Cavaliere - il risultato di un milione di iscritti». Quella proseguita, sempre in grande stile, sul Giornale di famiglia, in occasione degli auguri natalizi: «Regalatevi e regalate ai vostri amici - disse Berlusconi al suo popolo - una tessera del Pdl». Niente da fare: diciottomila. Un flop. Soprattutto perché Berlusconi considerava l'obiettivo scontato. Prima dell'aggressione a Milano affermò: «Chi vota Pdl è di fatto tesserato e l'hanno votato otto milioni di italiani».

È vero: la campagna di adesioni è partita solo da due mesi. Ma fonti di via dell'Umiltà vicine al dossier spiegano a microfoni spenti che questo non giustifica la sproporzione tra l'obiettivo e il momentaneo risultato: «La verità è che il meccanismo non funziona. Uno prende la tessera perché qualcun altro, dall'interno, gliela chiede. Ma la campagna non sta decollando perché il partito non c'è». Cifre alla mano - prosegue la stessa fonte - «quel numero di tesserati copre sì e no il numero degli amministratori e degli eletti sul territorio».

È solo l'ultimo segnale che qualcosa, nel Pdl, non va. E tra i fedelissimi del Cavaliere la rabbia è a livello di guardia. Sotto accusa proprio il funzionamento del partito. Non solo non si capisce chi fa cosa. E come lo fa, tra i mille incarichi che sono stati distribuiti. Esiste un responsabile tesseramento. Uno degli enti locali. Uno per le organizzazioni territoriali. Più i tanti dipartimenti. E uno che li coordina. Ma c'è di più. Proprio a questo caos gli azzurri duri e puri imputano il cedimento sulle candidature e sulle alleanze. Mario Valducci, con il premier sin dal '94, è furioso: «La verità è che tra i candidati del Pdl nelle varie regioni c'è poca agibilità per i berlusconiani. È evidente che nella tolda di comando non c’è nessuno che politicamente sia nato col premier e che quindi interpreti il berlusconismo autentico. Noi, dico noi, abbiamo sempre parlato di stare tra la gente, nei gazebo. Ora i cittadini dove sono? Pare che il Pdl tenda a rimuovere chi vuole superare le logiche dei vecchi partiti».

Ecco la rabbia: a Berlusconi è sfuggito di mano il partito. Non assomiglia per nulla alla creatura immaginata ai tempi del predellino. E Fini non c'entra. Questa volta non è lui il nemico. Il problema è quel corpaccione doroteo che, ad Arezzo, ha saldato gli ex colonnelli di An non finiani con i triumviri pidiellini. Sono loro che stanno gestendo candidature e rapporti con l'Udc. Tutti, trannne Sandro Bondi. Che in nome del Capo ha sferrato più di un attacco alle nomenklature. E non è un caso se tra gli azzurri sono in molti a pensare che «se va avanti così Berlusconi fa saltare tutto». Giorgio Stracquadanio, altro fedelissimo, è impietoso nel giudizio: «I signori delle preferenze e della vecchia politica stanno facendo blocco perché si va verso elezioni con preferenze. Rocco Palese è l'emblema della situazione: per dire che la sua candidatura è vincente ha ricordato che la volta scorsa prese 28mila voti, dimenticando che la volta scorsa perdemmo le elezioni».

Per ora il premier - che ai suoi ha ripetuto più volte che così non va - ha scelto la linea del silenzio («Parlerò solo del governo, non mi occupo di queste cose della politica»). E nelle prossime settimane separerà la sua immagine da quella del Pdl: pochi comizi con i candidati, nessun manifesto con slogan nazionali e una campagna elettore incentrata sulle scelte del governo. Non solo: Berlusconi non si spenderà in prima persona per tutti gli aspiranti governatori. Al momento - anche se l'ufficio stampa del Pdl assicura che andrà ovunque - la sua presenza è confermata solo nel Lazio (il 10 febbraio), in Piemonte, Campania, Lombardia e Veneto. Punto. La Puglia, ad esempio non è in calendario.

Eppure il silenziatore elettorale non significa che il Cavaliere voglia lasciare tutto così com'è, anzi. Il piano non è ancora definito nei dettagli, ma l'idea è quella di bombardare il quartier generale dopo le regionali. Comunque vada. A urne chiuse è pronto a scaricare le sconfitte annunciate su chi ha gestito il Pdl. E a cambiare la tolda di comando, giocando su due tavoli: il rimpasto di governo e l'incompatibilità tra presenza nell'esecutivo e incarichi di partito. Questo lo schema del rimpasto: l'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan andrebbe al ministero della Cultura, Roberto Cota, in caso di sconfitta, all'Agricoltura al posto di Zaia e anche in caso di vittoria il dicastero resterebbe in mano leghista. Con La Russa già ministro e Bondi libero dell'incarico (di governo) resterebbe da individuare una via d'uscita soft per Denis Verdini per realizzare il quadro ideale del Cavaliere: Sandro Bondi al partito con un vice, ovviamente finiano doc.

Sarà questa la leva che il premier userà per scomporre il correntone targato La Russa-Gasparri con la sponda di Verdini e un pezzo di Forza Italia. Del resto - spiegano nella cerchia ristretta - il Cavaliere il suo avviso di sfratto lo ha già mandato annunciando che Bertolaso farà il ministro. Forse la nomina non è nemmeno in programma. Sia come sia è stato il primo segnale per dire che comanda lui. Il primo.