mercoledì 29 gennaio 2020

Referendum 2020 sul taglio dei parlamentari, la data scelta per il ‘salva-poltrone’ è il 29 marzo. Ora manca solo il decreto di Mattarella.

Referendum 2020 sul taglio dei parlamentari, la data scelta per il ‘salva-poltrone’ è il 29 marzo. Ora manca solo il decreto di Mattarella

Il Consiglio dei ministri ha aspettato appena quattro giorni per scegliere il giorno del voto, che tra l'altro è stato fissato nell'immediato inizio dell'arco di tempo utilizzabile per legge. Insomma: velocità record.

Il referendum sul taglio dei parlamentari si terrà il 29 marzo: è questa la data indicata dal Consiglio dei ministri per fissare la consultazione popolare sulla riforma costituzionale. La notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa, secondo cui la decisione del governo è stata già ufficializzata. La convocazione ‘definitiva’ delle urne spetta ora al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che deve emanare un decreto ad hoc dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri. Per scegliere la data del voto, quest’ultimo aveva a disposizione sessanta giorni a partire dal 23 gennaio, data in cui è stata depositata l’ordinanza della Cassazione che ha dato il via libera all’iniziativa sottoscritta da un fronte vario di 71 senatori contrari alla riduzione di 345 ‘poltrone’ parlamentari, compreso un ‘grillino’. Palazzo Chigi, quindi, ha evaso la pratica in tempi record: appena quattro giorni. Non solo: per il giorno in cui tenere il referendum, il governo poteva scegliere una data compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo allo svolgimento del Consiglio dei ministri, quindi tra gli ultimi giorni di marzo e la prima domenica di giugno. Anche in questo caso, il consiglio dei ministri ha deciso di scegliere la prima data utile, quindi alla fine di marzo.
Il primo rappresentante politico a parlare è stato il capo politico ‘reggente’ del Movimento 5 Stelle Vito Crimi: “Oggi cominciamo a parlare delle cose da fare subito. Il primo appuntamento che abbiamo è il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari: la prima cosa di cui dobbiamo parlare è questa”. Il voto referendario di marzo è la diretta conseguenza di quanto accaduto lo scorso 18 dicembre, quando tre senatori (Nannicini del Pd, Cangini e Pagano di Forza Italia) hanno presentato le 64 firme necessarie (poi divenute 71) per chiedere il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, riforma targata 5 Stelle e già approvata a ottobre 2019 dalla Camera all’unanimità. Sessanta giorni dopo, però, la politica ha provato a ribaltare il tavolo, per cercare di evitare la sforbiciata a Montecitorio e Palazzo Madama. Considerando che non si tratta di un voto abrogativo, il referendum del 29 marzo non avrà quorum.


https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/27/taglio-dei-parlamentari-la-data-scelta-per-il-referendum-salva-poltrone-e-il-29-marzo-ora-manca-solo-il-decreto-di-mattarella/5687019/?fbclid=IwAR09-AKShh6ClIf_b0K8oYN01U40gSQZvkw6T6Op1VYyNV5Iq_nMhA2qVqQ

Latina, arrestata l’ex consigliera regionale Cetrone (Pdl): “Usava uomini del clan Di Silvio come esattori per crediti di una sua società.”



Cetrone, ora coordinatrice regionale di Cambiamo! con Giovanni Toti, e gli altri 4 arrestati sono accusati a vario titolo di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata, aggravati dal metodo mafioso. L'inchiesta nata da le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: nel 2016 fece minacciare un imprenditore che le doveva 15mila euro.


“Ha usato gli uomini del clan Di Silvio come esattori per un suo credito”. Con questa accusa è stata arrestata, su disposizione del giudice per le indagini preliminari di Roma, Gina Cetrone, ex consigliera regionale del Pdl tra il 2010 e il 2013 e attualmente coordinatrice regionale di Cambiamo!, il movimento di Giovanni Toti. Con lei sono finiti in cella tre esponenti dei Di Silvio – ArmandoGianluca e Samuele – e il suo socio e marito Umberto Pagliaroli. Le accuse, a vario titolo, sono di estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata, aggravati dal metodo mafioso.
Le indagini costituiscono l’esito di un ulteriore approfondimento investigativo che la squadra mobile sta conducendo, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Roma, circa le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Stando alla ricostruzione degli investigatori, nel 2016, l’ex consigliera vantava un credito nei confronti di un imprenditore abruzzese per una fornitura da parte della società Vetritalia Srl.
Nello specifico, Cetrone e Pagliaroli – sempre stando all’inchiesta – avevano convocato l’imprenditore presso la loro abitazione per richiedergli il pagamento immediato della somma dovuta, impedendogli di andare via a bordo della sua macchina. E lo avevano costretto ad attendere Agostino Riccardo, Samuele Di Silvio e Gianluca Di Silvio, i quali, una volta giunti, lo minacciavano, prospettando implicitamente conseguenze e ritorsioni violente.
Il giorno dopo l’imprenditore si recò in banca – sotto la stretta sorveglianza di dei tre Di Silvio e di Umberto Pagliaroli, tutti in attesa fuori dall’istituto bancario – per effettuare un bonifico di 15mila euro a favore della società Vetritalia Srl, riconducibile a Cetrone e Pagliaroli, nonché a consegnare a loro “per il disturbo” la somma di 600 euro. Durante l’inchiesta, gli investigatori hanno anche ricostruito come, sempre nel 2016quando Cetrone si candidò come sindaco di Terracina, gli uomini legati al clan Di Silvio “costringevano addetti al servizio di affissione dei manifesti elettorali di altri candidati alle elezioni” ad “omettere la copertura dei manifesti” di Cetrone, “costringendoli ad affiggere i propri manifesti solo in spazi e luoghi determinati, in modo che i manifesti di quest’ultima fossero più visibili degli altri”.
Per il gip ciò avvenne in cambio di un contributo di 25mila euro. Il giudice fa riferimento all’episodio di violenza messo in atto ai danni di due addetti al servizio di affissione dei manifesti degli altri candidati costretti da uomini del clan a mettere in evidenza quelli della Cetrone rispetto agli altri. L’accordo stretto con i Di Silvio prevedeva, infatti, l’affissione “anche abusiva” dei manifesti elettorali della Cetrone a “scapito degli altri candidati”. “Non coprite Gina Cetrone altrimenti succede un casino… fatevi il vostro lavoro e noi ci facciamo il nostro”, la minaccia che Riccardo fece ai due addetti. In particolare Riccardo, diventato collaboratore di giustizia, sentito dagli inquirenti nel luglio del 2018 ha raccontato che “Cetrone si era lamentata perché la sua visualizzazione non era buona, non si vedeva abbastanza bene nei manifesti di Terracina”.
Come aveva raccontato Il Fatto Quotidiano lo scorso 10 gennaio, sempre Pugliese ha raccontato che nel 2013 Cetrone non venne rieletta perché “all’ultimo momento ci fu uno scambio di voti – ha raccontato il pentito – Praticamente i 500 voti che sarebbero andati a Gina Cetrone dalla curva del Latina Calcio… (…) essendo presidente del Latina Calcio, Pasquale Maietta ci mandò a di’ che ‘sti 500 voti li dovevamo gira’ a Nicola Calandrini. Infatti i 500 voti della curva li girammo a Nicola Calandrini”.

La morte apparente del Movimento. - Tommaso Merlo



Questa volta giornalai e politicanti sono certi, il Movimento è morto. E godono come non mai. Vanno capiti. Con l’ascesa del Movimento hanno temuto di scomparire ed invece sono ancora tutti lì ad infestare il dibattito pubblico da giornali e televisioni godendosi stipendi e status. Sono ancora tutti lì convinti di avere ragione e perfino senso. Godono perché pensano di aver vinto la battaglia contro il cambiamento. Poveri illusi. Il cambiamento vero lo puoi ostacolare e ritardare, ma mai fermare. Per il vecchio regime è solo questione di tempo. Checché blaterino lorsignori, il Movimento ha rappresentato istanze di cambiamento sacrosante e profonde. Il Movimento è stato solo la scatola, ma quello che conta sono i contenuti che erano e sono politici ma anche culturali. Milioni di cittadini hanno scoperto di condividere non solo l’esasperazione verso un sistema marcio che li ha umiliati ed impoveriti, ma anche consapevolezze più evolute rispetto alle caste parassitarie e mafiose che li hanno malamente governati. Contenuti e consapevolezze che non scompaiono certo perché qualche giornalaio o politicante farnetica contro il Movimento in qualche talkshow. Possono rovinare la scatola – e in parte ci sono riusciti controllando tutti i media – ma quei contenuti prima o poi riemergeranno con ancora più veemenza. E se non troveranno più rappresentanza pacifica e democratica, potranno esplodere violentemente come in Francia. Il modello neoliberale è fallito, la democrazia tradizionale pure. C’è un sistema da ridisegnare, altro che melina partitocratica da quattro soldi. Arroccandosi nella sua arroganza e nel suo egoismo, il vecchio regime ha solo rimandato il suo tramonto. Errore fatale. Non proponendo nulla di nuovo e non ammettendo i propri errori, le istanze per cui è nato il Movimento sono ancora tutte vive e vegete.  Ma c’è di più. Stando ai vituperati fatti, l’esperienza governativa del Movimento 5 Stelle è stata un successo clamoroso. Rispetto ai vecchi partiti e coalizioni – senza rubare e senza tramare alle spalle dei cittadini – il Movimento ha sfornato una quantità di leggi e provvedimenti da far vergognare i presunti esperti e competenti del vecchio regime. Giornalai e politicanti fanno finta di nulla, ma grazie al Movimento l’Italia è già cambiata e di molto. Certo, le macerie e le sfide sono tali che affinché il cambiamento si percepisca ci vuole tempo e ulteriore lavoro. Ma l’esperienza del Movimento rimane assolutamente storica. Cittadini che si prendono il potere. Senza soldi, senza santi. E che fanno. Una esperienza che resterà nei libri di storia, altro che Craxi e i quaranta ladroni. Il tutto nonostante l’opposizione feroce di un regime che controlla ancora avamposti strategici come l’informazione, ma anche nonostante pecche intestine. Lacune, slealtà, divisioni, lentezze. Vedremo se il virale egoismo italico riuscirà ad inghiottirsi anche questa primavera collettiva. Vedremo se il Movimento riuscirà ad imparare dai propri errori e con gli stati generali trovare un nuovo assetto e rilanciarsi attorno a nuovi portabandiera e nuovi programmi. Vedremo. Giornalai e politicanti sono certi che il Movimento sia già morto e godono come non mai. Poveri illusi. Se anche la scatola del Movimento non dovesse più funzionare, le sue istanze politiche prima o poi risorgeranno più veementi che mai. Il cambiamento vero lo puoi ostacolare e ritardare, ma mai fermare e per il vecchio regime è solo questione di tempo.

https://infosannio.wordpress.com/2020/01/28/la-morte-apparente-del-movimento/?fbclid=IwAR2MWLj7CtD6lRv_F76OJEMcwdsr8PDBogq7p7UiOiveFQC6tTDStz7PIWs

Il salame disseta - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 29 Gennaio

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Si pensava che il Premio Cazzata 2020 l’avesse già vinto in un mese Salvini con l’immortale annuncio “Domenica non vinciamo, ma stravinciamo in Emilia Romagna e lunedì citofoniamo a Conte l’avviso di sfratto”: sia perché domenica ha perso, sia perché i governi nascono e muoiono con le elezioni politiche nazionali. 
Ma ormai è così malmesso che ha perso pure quel premio. I candidati più accreditati ad aggiudicarselo sono i pidini e i giornaloni al seguito che da due giorni martellano il seguente sillogismo. Premessa maggiore: “Bonaccini batte la Borgonzoni”. Premessa minore: “I 5Stelle straperdono”. Conclusione: “Ora nel governo il Pd ordina e il M5S esegue”. Sarebbe comprensibile in bocca a Salvini, convinto non si sa da chi che il governo dipenda dal voto in una regione. Ma è bizzarro che lo dica chi ripeteva il mantra “Se perdiamo in Emilia Romagna, al governo non cambia niente”. Se l’“asse politico del governo”, che Zingaretti e Orlando vorrebbero spostare dal M5S al Pd, dipendesse dai sondaggi (che peraltro danno il M5S terzo a poca distanza dal Pd) o dalle Regionali, il Pd dovrebbe abbattere il Conte 2 e chiedere subito le elezioni con gli stessi argomenti di Salvini, visto che al momento il centrodestra è davanti ai giallorosa. Anzi, cinque mesi fa non avrebbe mai dovuto fare il governo con i 5Stelle, visto che già in agosto la somma di Pd, LeU e M5S era inferiore a quella di Lega, FdI e FI. Ma all’epoca per il Pd valevano le regole della democrazia parlamentare. E già i 5Stelle furono molto generosi, regalando a Pd e LeU metà dei ministri avendo il doppio dei loro parlamentari. È cambiato qualcosa? Zero. Dunque non si capisce di quale riequilibrio, rimpasto, cambio di asse si vada cianciando.
Ma l’abolizione della logica ha questo di bello: che poi vale tutto. Infatti anche Renzi ha il suo sillogismo. Premessa maggiore: “I 5Stelle sono finiti e non hanno futuro”. Premessa minore: “Non ha vinto il Pd, ma Bonaccini che è riformista come me”. Conclusione: “Bisogna stilare un’agenda di governo riformista contro il populismo”. E parla di elezioni dove Italia Viva era così viva da non presentarsi neppure, dunque non poteva perdere perché non giocava proprio. Uno spasso. Ma riecco Orlando, con un’altra conclusione delle sue: “Ora vogliamo una norma diversa da quella di Bonafede sulla prescrizione”. Cioè: siccome Bonaccini ha vinto anche coi voti del M5S e il M5S ha perso perché i suoi elettori han votato quasi tutti Bonaccini, il Pd cancella la legge promessa quattro anni fa dal Pd solo perché l’hanno fatta i 5Stelle. E riesuma la vergogna della prescrizione che falcidia 120mila processi all’anno.
Come se la bontà di una legge dipendesse da chi la vota o dalle elezioni in Emilia Romagna. Siamo ai livelli del falso sillogismo di Montaigne: “Il salame fa bere. Bere disseta. Dunque il salame disseta”. Ma un falso sillogismo tira l’altro. La Stampa: “La Calabria volta le spalle ai grillini: meno voti che redditi di cittadinanza”. E il Messaggero: “Calabria, un beneficiato su 3 dal Reddito ha preferito non dare il voto al Movimento”. Titoli che denotano un’idea raccapricciante della democrazia e degli elettori: quella feudale, malata, clientelare, corrotta, mafiosa che si facciano le leggi per comprare voti e i beneficiari debbano ricambiarne gli autori votandoli a scatola chiusa. Del resto, quando il Rdc partì, si disse che i 5Stelle non lo facevano perché lo ritenevano giusto e doveroso, ma per fare voto di scambio al Sud. Poi i 5Stelle persero le Europee anche al Sud, allora si disse che il Rdc era stato bocciato, ergo era un errore, anzi “un flop” (come se 500 euro al mese anziché 0 fossero niente). E ora ci si scandalizza se chi lo riceve vota per chi gli pare anziché fare come nella Napoli di Lauro: una scarpa regalata prima del voto e l’altra dopo.
Ma ormai la logica non abita più qui, neppure fra i 5Stelle. Che, con tutti i guai che hanno, continuano a scannarsi su un falso problema: se debbano allearsi di qui all’eternità col Pd, o con la Lega, o con nessuno. La risposta l’han data domenica i loro elettori in Emilia Romagna: dovendo scegliere fra un energumeno che li ha umiliati e traditi per un anno e mezzo e un governatore normale e rispettoso, hanno votato il secondo contro il primo. Ora nessuno chiede ai 5Stelle di rinunciare alla propria identità-diversità, né di sposare il centrosinistra finché morte non li separi (se al posto di Zinga arrivasse un Calenda o un Gori, ci sarebbe da fuggire a gambe levate). Ma oggi quello è il campo meno indigeribile e incompatibile con loro. Con buona pace dei (pochi) nostalgici della Lega, cui non è bastata la batosta alle Europee per l’alleanza cannibalizzante con Salvini. E con buona pace dei soloni della Salvinistra, che han sempre equiparato 5Stelle e Lega come “le due destre” e messo in guardia il Pd dal contaminarsi col M5S: ancora quattro mesi fa sfilavano luttuosi in tv, profetizzando sette secoli di sventure per la sinistra se si fosse mischiata con quei pericolosi incensurati e avesse accettato un imbroglione “senz’anima” come Conte. Quello – oracolavano – era il miglior regalo a Salvini. Infatti… Ora qualcuno si stropiccerà gli occhi per questo titolo a pag. 6 di Repubblica: “Conte adesso parla da leader: ‘Un fronte contro le destre’”. E per questo a pag. 10: “Il salto a sinistra degli ex grillini: per Bonaccini 4 su 10”. Manca solo la conclusione: “Quindi chi scriveva che i 5Stelle sono di destra e il governo Conte fa il gioco di Salvini è un pirla”.
Ps. A proposito di sillogismi, ci sarebbero pure i “giornalisti” e i “politici” che solidarizzano da tre giorni con Gaia Tortora perché ho scritto cose vere senza nominarla né pensarla, lei mi ha mandato affanculo su Twitter, dunque lei è la vittima e io l’aggressore. Ma quella non è né logica né illogica: è cabaret.


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