venerdì 19 giugno 2015

Pasticcio Ice: conti pignorati per pagare gli ex dipendenti Buonitalia. - Anna Morgantini

Pasticcio Ice: conti pignorati per pagare gli ex dipendenti Buonitalia

Ufficiali giudiziari all'attacco presso Monte dei Paschi e Poste italiane. Dove l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane hai suoi depositi. E' l'ultimo atto della querelle giudiziaria avviata dopo la chiusura della società del ministero delle Politiche agricole. Avvenuta in seguito all'allegra gestione dell'era Zaia.

Ufficiale giudiziario in azione e conti pignorati per mezzo milione di euro. E siamo solo all’inizio: il pasticcio Buonitalia – in breve, 19 persone che verranno pagate per non lavorare – rischia di costare ai contribuenti italiani almeno un paio milioni. Merito dell’Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (nota ai più come ex Ice, il vecchio Istituto per il commercio estero), sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del dicastero dello sviluppo economico. Due settimane fa l’ufficiale giudiziario ha bussato al Monte dei Paschi di Siena, filiale di via Franz Liszt 21, e alla sede di Poste Italiane, in viale Europa, dove l’Agenzia dispone di conti correnti e fondi di investimento, e ha consegnato i primi atti di pignoramento per conto di tre ex dipendenti Buonitalia. E per la gioia di Riccardo Maria Monti, il presidente dell’Agenzia-Ice, altri costosi decreti ingiuntivi sono in arrivo nei prossimi giorni.
La storia è surreale. Buonitalia era la società creata dal ministro An all’Agricoltura Gianni Alemanno per la promozione all’estero dei prodotti agroalimentari italiani. E’ stata chiusa nel 2011 per via della gestione allegra all’epoca di Luca Zaia, ma il decreto di soppressione prevedeva il trasferimento di funzioni, fondi e personale all’Agenzia-Ice. L’Ice era un altro carrozzone di Stato soppresso da Giulio Tremonti nel 2011 e resuscitato da Corrado Passera nel 2012, che gli ha cambiato nome e ha poi messo a dirigerlo Monti, un suo vecchio amico di famiglia. Bene: soldi e funzioni di Buonitalia Monti se li è presi, ma i 19 dipendenti, nonostante la carenza di organico lamentata dall’Agenzia e nonostante la loro evidente specializzazione nel made in Italy agroalimentare, li ha lasciati a spasso.
E a spasso sono tuttora. Così, mentre l’Agenzia procedeva a nuove assunzioni senza gare o concorsi (ilfattoquotidiano.it ha segnalato anche il caso anomalo di un portavoce da 105 mila euro) i 19 hanno dato il via a una vera e propria guerra giudiziaria: il 31 luglio 2013 il tribunale del lavoro di Roma ha dichiarato l’illegittimità del loro licenziamento; il 13 gennaio 2014 il Tar del Lazio ha accertato l’inadempienza dei ministeri competenti condannandoli a “provvedere entro 60 giorni” all’assunzione dei “buonitaliani”, previa verifica della loro idoneità; il 28 gennaio 2014 l’Agenzia-Ice è stata condannata a “dare immediata attribuzione alle disposizioni illegittimamente disattese e ad assumere i ricorrenti”, come spiega in un’interrogazione il senatore Aldo Di Biagio (AP). Il 7 ottobre il giudice del Lavoro Capaccioli ha dato ragione, per l’ennesima volta, a cinque ex dipendenti di Buonitalia, imponendo all’Ice di immetterli in ruolo e risarcirli degli stipendi mancati. Risultati? Zero.
Nessuna risposta neanche ai decreti ingiuntivi (rispettivamente per 100 mila euro, 150 mila e 250 mila euro) presentati da tre ex dipendenti. La palla è così passata all’ufficiale giudiziario, che ha pignorato presso le banche «conti correnti e/o titoli e/o azioni e/o obbligazioni e comunque qualsiasi altra somma dovuta, a qualsiasi titolo, a Ice-Agenzia (…) fino alla concorrenza della somma precettata».
Ma la somma rischia di lievitare ancora. I risarcimenti di cui sopra, infatti, riguardano solo il periodo intercorso tra il decreto di trasferimento del personale e l’avvio della «procedura di idoneità selettiva» nel dicembre 2014. Una specie di concorso, diciamo. Ma secondo quanto denunciato in due diverse interrogazioni dal senatore Di Biagio e dal deputato Massimo Fiorio (Pd), la Commissione ha dichiarato “non ammissibili” tutti i candidati provenienti da Buonitalia. Da qui: nuovi ricorsi al Tar, nuovo lavoro per gli avvocati, nuovo calvario per i senza lavoro. E, oltretutto, nuove spese in arrivo per i contribuenti. Totale previsto, a spanne, sui 2 milioni di euro. Soldi pubblici. Con un paradosso finale: “Tali somme saranno corrisposte dall’Ice a fronte di nessuna prestazione di lavoro”, commenta amaro Di Biagio. Insomma, gli ex dipendenti di Buonitalia, alla fin fine, verranno pagati per non aver potuto lavorare, nonostante ci abbiano provato a tutti i costi. Dirà qualcosa, la Corte dei Conti, al momento di approvare il bilancio dell’Agenzia? E, soprattutto, chiederà conto a qualcuno dell’eventuale danno erariale?

Roma, spesi 360 milioni di troppo Campidoglio, "guai a toccare i salari". - Beatrice Bortolin


Sotto accusa le indennità accessorie non dovute e versate al personale tra il 2008 e il 2013. Un cancellamento di quelle voci rischia di scatenare una vera rivoluzione nella Capitale. 

Quei salari accessori sono stati "indebitamente erogati" da Roma Capitale. I salari accessori sono quelle versati al personale del Comune di Roma tra il 2008 e il 2013, ma non dovuti secondo il ministero dell'Economia, che punta il dito su quei bonus "a pioggia" ai dipendenti del Campidoglio: 360 milioni in tutto.
E così sul Comune arriva l'ennesima bufera, come racconta il "Messaggero". Quei soldi vennero dati prima della riforma del sistema, durante l'amministrazione del centrodestra. E adesso il Comune dovrebbe azzerare, o almeno dimezzare, il fondo del salario accessorio per i prossimi anni, per evitare una procedura della Corte dei Conti. 

Ma si rischia una vera rivoluzione. La giunta Marino avverte che un provvedimento del genere determinerebbe "problemi di ordine pubblico", con i romani che dovrebbero fare i conti con servizi fondamentali drasticamente ridotto dagli asili nido alla polizia municipale, agli uffici comunali. E i lavoratori non accetterebbero certo di buon grado l'eventuale sforbiciata. I dipendenti già minacciano: "Bloccheremo la città per il Giubileo". 

Marino si trova a dover fare i conti con un buco creato dai suoi predecessori, come hanno stabilito gli ispettori del Tesoro. E ci arriva dopo mesi di guerra con i sindacati per riformare quella gestione, tra uno sciopero generale, manifestazioni dei dipendenti, e minacce del suo vice Luigi Nieri, che parla il rischio dimissioni: "Se, come assessore al Personale, dovrò scegliere da che parte stare, starò con i dipendenti".

Nel mirino del Tesoro c'è soprattutto il fondo degli extra salariali, quelli che servono per premiare la produttività dei dipendenti del Comune di Roma. Questi premi sono stati evidentemente gonfiati e distribuiti a pioggia, diventando aumenti mascherati da bonus. Le norme per gli enti locali dicono che il Campidoglio dovrà recuperare i soldi erogati illegittimamente prendendoli dallo stesso fondo, 62 milioni annui. "Marino faccia le sue valutazioni", conclude Graziano Delrio.

Sindacati sul piede di guerra - "Se toccano i già esigui salari dei lavoratori sarà guerra: dalle vie legali fino allo sciopero generale". Lo dice Sandro Bernardini della Uil Fpl. "Metteremo in atto tutte le forme di protesta necessarie", gli fa eco Roberto Chierchia della Cisl Fp.

Zanetti: input Mef noti,sindacati irresponsabili - "Il salario accessorio non poteva essere dato a pioggia, ma doveva essere agganciato alla produttività del dipendente". E' il commento del sottosegretario all'Economia, Enrico Zanetti, che poi attacca i sindacati: "Insieme alla peggiore politica hanno trasformato in barzelletta le valutazioni di produttività nella Pubblica amministrazione".

Alexis Tsipras e Vladimir Putin sanciscono l'alleanza: soldi in cambio di un gasdotto. - Stefano Vergine

Alexis Tsipras e Vladimir Putin sanciscono l'alleanza: soldi in cambio di un gasdotto

Firmato a San Pietroburgo un accordo «storico», dice il governo greco. Atene farà passare sul suo territorio il metano di Gazprom diretto in Europa. L'opera costerà 2 miliardi e verrà finanziata interamente dalla Russia. Che potrebbe concedere anche un pagamento anticipato sui diritti di transito.

Alexis Tsipras e Vladimir Putin sanciscono l'alleanza: soldi in cambio di un gasdotto.
 
A Bruxelles i negoziati per il salvataggio della Grecia sembrano in stallo, con gli investitori sempre più spaventati dalla possibilità che Atene e le sue banche possano fallire. Ma c'è un altro tavolo su cui la Grecia sta giocando. Si trova in Russia e il risultato di questa partita potrebbe avere conseguenze in tutta Europa.

Venerdì mattina, durante il forum economico di San Pietroburgo, i governi di Atene e Mosca hanno firmato un accordo per la costruzione di un gasdotto. Un tubo che porterà il metano russo nel Paese ellenico passando per la Turchia. E che permetterà al presidente Vladimir Putin, salvo imprevisti, di realizzare il suo principale obiettivo di politica estera: continuare ad essere, attraverso il colosso pubblico Gazprom, il maggiore fornitore di energia dell'Europa. 

Per comprendere l'importanza dell'accordo firmato a San Pietroburgo («storico», lo ha definito il governo ellenico) bisogna guardare la mappa del Vecchio Continente e concentrarsi sui principali tubi che portano il metano russo in Europa. Fino ad oggi le vie del gas più importanti son state due. Una, chiamata North Stream, arriva in Germania passando per le acque del Mar Baltico. L'altra è costituita da una rete di gasdotti che attraversa l'Ucraina. Il problema di Mosca è proprio qui: visto che Kiev ha deciso di recidere il cordone ombelicale che l'ha tenuta per secoli legata al Cremlino, Putin non può più fidarsi dell'ex alleato e, volendo mantenere il predominio sul mercato energetico europeo, deve trovare un'alternativa. Quale? La via del Sud, cioè quella che attraversa il Mar Nero e arriva in Europa passando per il Mar Mediterraneo.

In principio era il South Stream. Così era stato ribattezzato il gasdotto pensato per entrare in Europa da Sud. Poi il progetto è saltato a causa del veto europeo. Ma è ricomparso poco dopo con un altro nome: Turkish Stream. Si tratta di un tubo che permette di raggiungere lo stesso obiettivo, ma attraversando nazioni diverse. La Turchia, innanzitutto, che non fa parte dell'Unione europea. E ora anche la Grecia, i cui legami con Bruxelles sono a dir poco in crisi.

Del gasdotto in questione per ora non si conosce granché. Si chiamerà South European pipeline, avrà una capacità annuale di 47 miliardi di metri cubi. La costruzione inizierà l'anno prossimo e finirà nel 2019, lo stesso anno in cui scadrà il contratto di Gazprom con l'Ucraina per il transito del metano. Si sa anche che, per via della legge europea, il controllo del tubo non potrà essere di Gazprom, visto che quest'ultima sarà anche il fornitore di gas. Su questo punto, il Cremlino ha annunciato che la proprietà dell'infrastruttura sarà divisa equamente fra la Grecia e la Veb, la banca di sviluppo russa. Fonti vicine a Gazprom dicono a "l'Espresso": l'azienda «rispetterà pienamente la legge in questione, ma si aspetta un approccio corretto da parte della Commissione europea sullo sviluppo del progetto». Come dire: niente più veti, come avvenuto nel caso del South Stream. 

Al di là dei dubbi sulla reale proprietà del gasdotto, resta un quesito più importante da risolvere per il futuro della Grecia e quello dell'Unione europea. Perché il governo di Tsipras, mentre cerca di convincere la Troika a salvarla, firma un'alleanza strategica con quello che oggi è un dichiarato nemico dell'Occidente, con tanto di sanzioni economiche appena rinnovate? Insomma, per quale motivo irritare i propri creditori proprio ora? Secondo Chris Weafer, analista finanziario di Macro Advisory, che vive in Russia da oltre vent'anni, «siglando l'accordo sul gasdotto in questo momento, Atene sta mandando un segnale di questo tipo a Bruxelles: siamo un partner importante per la sicurezza energetica, meglio averci dentro l'Unione europea che fuori».

C'è però anche un motivo strettamente economico dietro l'accordo. «La proposta di cui stanno discutendo Atene e Mosca», spiega ancora Weafer, «prevede due benefici diretti: uno sconto sulle forniture di gas e i ricavi derivanti dalle tariffe di transito. Il vantaggio più immediato è legato a quest'ultimo punto. Per aiutare Tsipras, la Russia potrebbe infatti pagare in anticipo una parte delle tariffe di transito. Si tratta di miliardi di dollari di cui Atene ha disperato bisogno, e credo che già nelle prossime settimane potremmo assistere ad un accordo del genere».

Di questo scambio, ufficialmente, finora i due governi non hanno parlato. Ciò che hanno reso noto riguarda il costo del gasdotto: 2 miliardi di euro. Tutti finanziati dalla Russia attraverso la Veb, la banca di sviluppo nazionale. Annunciando la firma dell'accordo, il ministro dell'Energia della Grecia, Panagiotis Lafazanis, ha dichiarato: «L'opera non connetterà solo Grecia e Russia ma tutti gli europei. Il nostro è un messaggio di stabilità e amicizia». Chissà se la pensano così anche ai vertici della Commissione europea, dove da anni l'obiettivo della politica energetica è uno: far in modo che l'Europa sia meno dipendente dal metano di Putin. Non proprio quello che succederà se il tubo immaginato a San Pietroburgo verrà realizzato.

Truffa da 28mln al S.Raffaele, 9 indagati. - Igor Greganti e Francesca Brunati

Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele e medico personale di Berlusconi © ANSA

Irregolarità su rimborsi 4mila interventi chirurgici.


(ANSA) - MILANO, 16 GIU - Finito sull'orlo del crac nel 2011 anche per una serie di spese allegre, come l'acquisto di un jet privato per il fondatore, il defunto Don Luigi Verzè, ma poi salvato dal gruppo Rotelli, l'ospedale San Raffaele di Milano torna al centro di una bufera giudiziaria. E sempre per presunti rimborsi illeciti, come era già accaduto alla fine degli anni '90. Stavolta la Procura di Milano contesta una presunta truffa da 28 milioni di euro su circa 4 mila interventi chirurgici e si appresta a chiedere il processo per 9 persone, tra amministratori, dirigenti e primari, tra cui anche Alberto Zangrillo, da 20 anni anche medico personale di Silvio Berlusconi, per lo stesso ente ospedaliero e per la Fondazione Monte Tabor.
Stando all'avviso di conclusione delle indagini, coordinate dal pm Giovanni Polizzi e condotte dal Nucleo di polizia tributaria della Gdf, tra il 2011 e il 2013 nel corso di migliaia di interventi "le equipe" di medici sarebbero state solo sulla carta "regolarmente costituite", in quanto "chirurghi e/o anestesisti" figuravano, in realtà, come "presenti contestualmente in più sale operatorie". Come si legge negli atti, inoltre, in circa 2 mila interventi chirurgici gli specializzandi avrebbero sostituito anestesisti o chirurghi professionisti, mentre in 989 casi, nelle sale operatorie, mancava il "primo operatore". Sui "registri", invece, sarebbe stato segnalato che tutti i "requisiti" di presenze dei medici erano stati rispettati, così da ottenere i cosiddetti 'rimborsi dei drg', cioè per prestazione, dal sistema sanitario. Il San Raffaele, tuttavia, in una nota "contesta radicalmente le accuse che gli vengono avanzate perché assolutamente insussistenti sia in punto di fatto che relativamente alla disciplina amministrativa relativa all'accreditamento".
Tra i nove indagati per truffa aggravata e falso figurano Mario Valsecchi, amministratore della struttura fino al 2012 (ha già patteggiato 3 anni fa in seguito all'indagine per bancarotta, nata dopo il suicidio del vicepresidente Mario Cal), Nicola Bedin, attuale amministratore e Roberts Mazzuconi, storico direttore sanitario. Poi ancora: Ottavio Alfieri, direttore dell'unità operativa di Cardiochirurgia, Piero Zannini, primario di Chirurgia Toracica, Roberto Chiesa, primario di Chirurgia Vascolare, Patrizio Rigatti, ex primario di Urologia, Francesco Montorsi, attuale direttore dell'unità operativa di Urologia e direttore scientifico, e Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione e da un paio di decenni 'angelo custode' dell'ex premier. Indagati per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti anche l'ospedale (formalmente rappresentato dal presidente Gabriele Pelissero) e la Fondazione Monte Tabor (di cui il legale rappresentante è Claudio Macchi).
Quest'ultima, c'è da aggiungere, nel novembre dell'anno scorso ha patteggiato un milione di euro di sanzione pecuniaria e una confisca di altri 9 milioni di euro come provento del reato di corruzione nell'ambito del processo sul caso Maugeri, che vede tra gli imputati l'ex Governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Per il pm dirigenti, con la complicità dei primari, avrebbero truffato il sistema sanitario, violando i "requisiti di accreditamento" e, in particolare, quelli "relativi al numero minimo ed alle qualifiche degli operatori chirurgici ed anestesisti che debbono essere presenti per ogni tipo di intervento". Avrebbero fatto "apparire assolti tali requisiti attraverso 'Registri Operatori' riportanti equipe in apparenza regolarmente costituite" in modo da percepire i conseguenti rimborsi dal "servizio sanitario regionale", indotto, però, "in errore". Il tutto con "un ingiusto profitto rappresentato dall'indebito" incasso dei finanziamenti pubblici consistiti nei rimborsi "del costo degli interventi". Rimborsi ritenuti illeciti e che per un capo di imputazione ammontano ad un totale di "18.436.018" euro e per l'altro a "10.309.022" euro. Agli indagati viene contestata anche l'aggravante "di aver commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione". Intanto anche la Procura della Corte dei Conti della Lombardia ha aperto un fascicolo per presunto danno erariale mentre cinque indagati (Alfieri, Chiesa, Zannini, Montorsi e Zangrillo) si dicono "indignati e sconcertati per un'accusa radicalmente inventata".(ANSA).

Sicilia, viadotto crollato: “L’Anas sapeva delle frane”. La relazione del ministero contro Ciucci e i suoi uomini. - Daniele Martini

Sicilia, viadotto crollato: “L’Anas sapeva delle frane”. La relazione del ministero contro Ciucci e i suoi uomini

Le cento pagine elaborate da 4 ingegneri incaricati dal ministro Delrio sono un atto d'accusa: secondo i tecnici la società era consapevole di esistenza, entità e gravità del dissesto e delle criticità geologiche fin dalla definizione del progetto "e a conoscenza dell'aggravio della situazione dal 2005". Eppure, uscito di scena il presidente, sono rimasti al loro posto tutti i suoi collaboratori.

Dissero che era colpa del destino cinico e baro, che i piloni del viadotto Himera sull’autostrada tra Palermo e Catania avevano ceduto a causa degli smottamenti causati dalle piogge torrenziali e quindi non era assolutamente possibile prevedere il repentino evento in modo da evitare il disastro. E che in ogni caso la faccenda non riguardava l’Anas. Non era vero niente. Il vertice della società stradale, a cominciare dal presidente di allora, Pietro Ciucci, e compresa la prima linea tecnica che gli faceva corona e che è rimasta al suo posto con il nuovo presidente ed amministratore Gianni Armani, sapevano benissimo che quel ponte era a rischio, ma non fecero assolutamente nulla per metterlo in sicurezza. Il risultato è che dal 10 aprile il viadotto è chiuso, impraticabile, l’autostrada in quel tratto non percorribile e la Sicilia spaccata in due dal punto di vista automobilistico. La situazione è così grave e destinata a durare a lungo che per unire le due importanti città le Ferrovie hanno deciso di impiegare sette treni in più al giorno.
Le gravi responsabilità dell’Anas emergono chiaramente dal rapporto di un gruppo di tecnici incaricati di fare chiarezza sull’accaduto dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio. I tecnici sono gli ingegneri Salvatore Acampora, Giovanni CoppolaCarlo Ricciardi e Andrea Tumbiolo. Dopo un’indagine accurata i quattro hanno consegnato al ministro un documento molto dettagliato di un centinaio di pagine che è un severo atto d’accusa nei confronti dell’ex presidente Ciucci e del vertice Anas. Le conclusioni non lasciano spazio a dubbi: “L’Anas era in possesso degli elementi atti ad avere la consapevolezza della esistenza, entità e gravità del fenomeno di dissesto e delle criticità geologiche sin dalla definizione della scelta di progetto ed era a conoscenza dell’aggravio della situazione dal 2005″. Detto in parole più semplici: l’Anas sapeva fin dal momento della costruzione del viadotto all’inizio degli anni Settanta che c’erano movimenti franosi gravi in atto, ma fecero finta di niente. Peggio: nel 2005, quando le condizioni complessive si aggravarono tanto da far temere il crollo, i responsabili dell’azienda pubblica delle strade fecero di nuovo orecchie da mercante.
Ciucci diventò presidente Anas l’anno successivo ed è rimasto in carica per circa un decennio fino alle dimissioni forzate a metà maggio 2015: in tutto questo tempo non ha mosso foglia per il viadotto Himera. E invece era suo dovere intervenire. A disastro avvenuto l’allora presidente si giustificò dicendo che avrebbero dovuto provvedere altri, a cominciare dalla Protezione civile. Il rapporto ministeriale sostiene esattamente l’opposto: “L’Anas aveva l’onere di intervenire in quanto soggetto cui spetta la gestione e la manutenzione delle infrastrutture autostradali in gestione diretta e, di conseguenza, aveva l’obbligo di vigilare sull’efficienza e salvaguardia di tali opere”.
Il disastro dell’Himera purtroppo non è isolato. In Sicilia soprattutto, ma anche in molte altre parti d’Italia, al sud in particolare, le strade, i ponti e i viadotti, segnatamente quelli costruiti dalla Cassa del Mezzogiorno, stanno letteralmente cadendo a pezzi. E’ un fatto gravissimo, ma assolutamente non imprevedibile. I tecnici Anas delle gestioni precedenti a quella di Ciucci sapevano che quelle opere stavano arrivando a fine corsa e per questo cercavano di curarle con una manutenzione costante. Con Ciucci cambiò tutto. Ossessionato dai tagli dei nastri e dalle grandi opere, l’ormai ex presidente mise la manutenzione in terza fila. I tecnici che più gli sono stati vicini hanno condiviso con lui questa scelta. Uscito di scena il capo, sono rimasti tutti ai loro posti.
A cominciare da Michele Adiletta ingegnere specializzato in aeronautica che conserva il compito di responsabile della manutenzione delle strade Anas. Sopra Adiletta c’è Alfredo Bajo condirettore generale tecnico, ex Stretto di Messinaex Toto costruzioni dove si occupava di nuove opere, ma a corto pure lui di competenze inerenti la manutenzione. Sul suo curriculum pesano i crolli e i monumentali fallimenti sulla Salerno-Reggio Calabria. Il vicedirettore esercizio e coordinamento del territorio, Roberto Mastrangelo, è laureato in ingegneria meccanica, quindi anche lui non ha competenze specifiche in geologia, geotecnica, frane, fondazioni, asfalti e cemento armato. Ancora:Stefano Caroselli fu assunto da Ciucci il primo gennaio 2014 per seguire le manutenzioni straordinarie, anche se nel suo curriculum ufficiale non sono segnalate precedenti e specifiche attività in materia.
Al suo posto resta pure Ugo Dibennardo, direttore centrale progettazione e per anni direttore regionale proprio in Sicilia, la regione del viadotto Himera e del record di crolli e strade interrotte. E non ha mosso un passo neanche Salvatore Tonti, il direttore regionale attuale della Sicilia, il tecnico che aveva negato di essere a conoscenza dei pericoli incombenti sull’Himera. Ai tempi di Ciucci era stato pure premiato per gli eccellenti risultati ottenuti sulla Salerno-Reggio.