Firmato a San Pietroburgo un accordo «storico», dice il governo greco. Atene farà passare sul suo territorio il metano di Gazprom diretto in Europa. L'opera costerà 2 miliardi e verrà finanziata interamente dalla Russia. Che potrebbe concedere anche un pagamento anticipato sui diritti di transito.
Alexis Tsipras e Vladimir Putin sanciscono l'alleanza: soldi in cambio di un gasdotto.
A Bruxelles i negoziati per il salvataggio della Grecia sembrano in stallo, con gli investitori sempre più spaventati dalla possibilità che Atene e le sue banche possano fallire. Ma c'è un altro tavolo su cui la Grecia sta giocando. Si trova in Russia e il risultato di questa partita potrebbe avere conseguenze in tutta Europa.
Venerdì mattina, durante il forum economico di San Pietroburgo, i governi di Atene e Mosca hanno firmato un accordo per la costruzione di un gasdotto. Un tubo che porterà il metano russo nel Paese ellenico passando per la Turchia. E che permetterà al presidente Vladimir Putin, salvo imprevisti, di realizzare il suo principale obiettivo di politica estera: continuare ad essere, attraverso il colosso pubblico Gazprom, il maggiore fornitore di energia dell'Europa.
Per comprendere l'importanza dell'accordo firmato a San Pietroburgo («storico», lo ha definito il governo ellenico) bisogna guardare la mappa del Vecchio Continente e concentrarsi sui principali tubi che portano il metano russo in Europa. Fino ad oggi le vie del gas più importanti son state due. Una, chiamata North Stream, arriva in Germania passando per le acque del Mar Baltico. L'altra è costituita da una rete di gasdotti che attraversa l'Ucraina. Il problema di Mosca è proprio qui: visto che Kiev ha deciso di recidere il cordone ombelicale che l'ha tenuta per secoli legata al Cremlino, Putin non può più fidarsi dell'ex alleato e, volendo mantenere il predominio sul mercato energetico europeo, deve trovare un'alternativa. Quale? La via del Sud, cioè quella che attraversa il Mar Nero e arriva in Europa passando per il Mar Mediterraneo.
In principio era il South Stream. Così era stato ribattezzato il gasdotto pensato per entrare in Europa da Sud. Poi il progetto è saltato a causa del veto europeo. Ma è ricomparso poco dopo con un altro nome: Turkish Stream. Si tratta di un tubo che permette di raggiungere lo stesso obiettivo, ma attraversando nazioni diverse. La Turchia, innanzitutto, che non fa parte dell'Unione europea. E ora anche la Grecia, i cui legami con Bruxelles sono a dir poco in crisi.
Del gasdotto in questione per ora non si conosce granché. Si chiamerà South European pipeline, avrà una capacità annuale di 47 miliardi di metri cubi. La costruzione inizierà l'anno prossimo e finirà nel 2019, lo stesso anno in cui scadrà il contratto di Gazprom con l'Ucraina per il transito del metano. Si sa anche che, per via della legge europea, il controllo del tubo non potrà essere di Gazprom, visto che quest'ultima sarà anche il fornitore di gas. Su questo punto, il Cremlino ha annunciato che la proprietà dell'infrastruttura sarà divisa equamente fra la Grecia e la Veb, la banca di sviluppo russa. Fonti vicine a Gazprom dicono a "l'Espresso": l'azienda «rispetterà pienamente la legge in questione, ma si aspetta un approccio corretto da parte della Commissione europea sullo sviluppo del progetto». Come dire: niente più veti, come avvenuto nel caso del South Stream.
Al di là dei dubbi sulla reale proprietà del gasdotto, resta un quesito più importante da risolvere per il futuro della Grecia e quello dell'Unione europea. Perché il governo di Tsipras, mentre cerca di convincere la Troika a salvarla, firma un'alleanza strategica con quello che oggi è un dichiarato nemico dell'Occidente, con tanto di sanzioni economiche appena rinnovate? Insomma, per quale motivo irritare i propri creditori proprio ora? Secondo Chris Weafer, analista finanziario di Macro Advisory, che vive in Russia da oltre vent'anni, «siglando l'accordo sul gasdotto in questo momento, Atene sta mandando un segnale di questo tipo a Bruxelles: siamo un partner importante per la sicurezza energetica, meglio averci dentro l'Unione europea che fuori».
C'è però anche un motivo strettamente economico dietro l'accordo. «La proposta di cui stanno discutendo Atene e Mosca», spiega ancora Weafer, «prevede due benefici diretti: uno sconto sulle forniture di gas e i ricavi derivanti dalle tariffe di transito. Il vantaggio più immediato è legato a quest'ultimo punto. Per aiutare Tsipras, la Russia potrebbe infatti pagare in anticipo una parte delle tariffe di transito. Si tratta di miliardi di dollari di cui Atene ha disperato bisogno, e credo che già nelle prossime settimane potremmo assistere ad un accordo del genere».
Di questo scambio, ufficialmente, finora i due governi non hanno parlato. Ciò che hanno reso noto riguarda il costo del gasdotto: 2 miliardi di euro. Tutti finanziati dalla Russia attraverso la Veb, la banca di sviluppo nazionale. Annunciando la firma dell'accordo, il ministro dell'Energia della Grecia, Panagiotis Lafazanis, ha dichiarato: «L'opera non connetterà solo Grecia e Russia ma tutti gli europei. Il nostro è un messaggio di stabilità e amicizia». Chissà se la pensano così anche ai vertici della Commissione europea, dove da anni l'obiettivo della politica energetica è uno: far in modo che l'Europa sia meno dipendente dal metano di Putin. Non proprio quello che succederà se il tubo immaginato a San Pietroburgo verrà realizzato.
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