venerdì 25 novembre 2016

Ars, il mistero di Riggio e Cascio Condannati, ma non ancora sospesi. - Accursio Sabella

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Per la legge Severino, i due parlamentari condannati oltre un mese fa devono lasciare Sala d'Ercole. Ma la procedura è ferma a Palazzo Chigi.

PALERMO - La condanna a due anni e otto mesi per corruzione nei confronti di Francesco Cascio è arrivata 34 giorni fa. 
Quella a Francesco Riggio (5 anni e 8 mesi) per la truffa relativa ai fondi del Ciapi, addirittura 38 giorni fa. Per la legge Severino, entrambi i deputati regionali dovranno essere sospesi dalla carica per 18 mesi. In pratica, dovranno decadere, visto che la fine della legislatura è prevista tra meno di un anno. Ma entrambi sono ancora lì, a Sala d'Ercole, da 34 e 38 giorni. Giorni in cui, oltre ovviamente a ricevere indennità e bonus, che nel caso di Cascio si “estendono” all'intero ufficio di “past president”, i deputati avranno potuto esaminare, votare, approvare e bocciare provvedimenti importanti come ad esempio la manovra di assestamento.

Un mistero. Perché in altri casi, i deputati condannati sono stati “sospesi” in tempi molto più brevi. Persino nell'arco di una settimana. Ma stavolta, tutto procede a rilento. Come mai? Giorni addietro il deputato nazionale del Pd Francesco Boccia aveva puntato il dito contro l'Assemblea regionale siciliana, guadagnandosi però una piccata risposta del presidente dell'Ars Giovanni Ardizzone che ha, di fatto, svelato dove si è inceppato il meccanismo: “L'onorevole Boccia – la replica di Ardizzone all'Adnkronos - ha commesso un errore di persona. Sarebbe stato più corretto, infatti, rivolgersi alla presidenza del Consiglio dei ministri, piuttosto che a quella dell'Assemblea regionale siciliana”. Da allora, sono passati quasi dieci giorni. Ma nulla si è mosso. E contattato da Livesicilia, Ardizzone allarga le braccia: “Per procedere – spiega – serve un decreto di sospensione della Presidenza del consiglio dei ministri. Un decreto che dovrà essere trasmesso al Commissario dello Stato, quindi quest'ultimo dovrà trasmetterlo all'Ars”. A quel punto, non è chiaro se la sospensione avviene attraverso la semplice presa d'atto e comunicazione in Aula o tramite la convocazione della commissione per la Verifica dei poteri, come era avvenuto nel caso della prima “vittima” della Legge Severino, cioè l'ex deputato del Pdl Salvino Caputo.

Di certo c'è che il procedimento è fermo a Palazzo Chigi. E di giorni, come detto, ne sono passati parecchi. Al punto che qualcuno ha iniziato a sollevare qualche dubbio di natura “politica”. Riggio, infatti, è un ex deputato del Pd che si sarebbe avvicinato a movimenti politici vicini ai renziani. 

Cascio, invece, è il coordinatore regionale del Nuovo centrodestra, il partito del ministro dell'Interno Angelino Alfano. Contro quest'ultimo ha puntato il dito, tra gli altri, il deputato nazionale di Sinistra Italiana, Erasmo Palazzotto: “Non vorremmo – ha detto - che il Ministro dell'interno confonda il suo ruolo istituzionale con quello di capo del Ncd, partito di cui Francesco Cascio è uno dei principali esponenti”. A dire il vero, Alfano, da capo dell'Ncd, sul tema si era espresso, ribadendo “amicizia, stima e fiducia” a Cascio e dicendosi certo della “sua innocenza che sono convinto riuscirà a provare in appello. L’articolo 27 della Costituzione – ha aggiunto - è tuttora in vigore e ci consente, e al tempo stesso impone, di considerarlo innocente”. Il ministro ha poi annunciato di aver “convintamente respinto” le dimissioni del deputato siciliano da coordinatore regionale di Ncd.

In realtà, però, le dimissioni non servirebbero nemmeno, in questo caso. Basterebbe applicare la legge. Che invece tarda a diventare operativa nei casi di Cascio e a maggior ragione di Riggio, condannato prima del suo collega di Ncd. E intanto, i parlamentari che dovrebbero subentrare ai due deputati, ossia Giuseppe Di Maggio e Pino Apprendi, attendono. “Inizio ad avere l'impressione – denuncia Apprendi – che in questi casi la politica interferisca, rallentando o accelerando le procedure. Devo anche prendere purtroppo atto che il mio partito non si è mobilitato per far rispettare la regolarità del procedimento. Anzi, - conclude – devo constatare che il Pd si è proprio disinteressato di questa questione”. E il mistero dei deputati “intoccabili” continua.


http://livesicilia.it/2016/11/25/ars-il-mistero-di-riggio-e-cascio-condannati-ma-non-ancora-sospesi_803821/

L’INCOERENZA DI NAPOLITANO. - Tomaso Montanari

L’incoerenza di Napolitano

Per l’ennesima volta, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano entra a gamba tesa nel gioco politico, prendendo posizione a fianco di una sola delle due metà in cui lui e Matteo Renzi stanno spaccando il Paese. Lo fa dichiarando che vota Sì, “coerentemente con le mie posizioni di questi anni”.
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Non so sull’arco di quanti anni sia lecito misurare questa coerenza, ma se nel computo rientra ancora, non dico il 1956 ma almeno il 1995, Napolitano è – al contrario – del tutto incoerente. In quell’anno, infatti, egli firmò una proposta di legge costituzionale (2115/1995) che, se fosse stata approvata, oggi avrebbe impedito a Renzi di imporre a maggioranza questa “riforma” e, in ogni caso, ci obbligherebbe a un voto referendario “spacchettato” per temi.

In quel momento la maggioranza era nelle mani di Berlusconi, Bossi e Fini e un fitto drappello di parlamentari del Centrosinistra affermò con forza che la costituzione non doveva essere nella disponibilità del governo del momento. Tra quei parlamentari figuravano anche Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella.
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Ma cosa diceva quella sacrosanta proposta di modifica che toccava gli articoli 64, 83, 136 e 138 della costituzione? Essa muoveva dalla convinzione – cito dalla relazione introduttiva – che “il principio maggioritario trovi un limite invalicabile nel rispetto dei principi costituzionali, delle regole democratiche, dei diritti e delle libertà dei cittadini: principi, regole, diritti, libertà che non sono e non possono essere rimessi alle discrezionali decisioni delle maggioranze pro tempore”.
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Perché – cito ancora – “è questo il pilastro principale del costituzionalismo moderno, prodotto maturo di una lunga e contrastata stagione storica terminata con l’affermazione dei principi e dei valori della cultura democratica e liberale”.
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Essendo queste le premesse, si capisce che tutti gli articoli di quella proposta di legge firmata da Napolitano (e da Mattarella) meritino di essere commentati.
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L’articolo 4 cambiava il primo comma del fatidico articolo 138, elevando a due terzi la soglia minima per cambiare la costituzione, e continuando a prevedere due deliberazioni separate da almeno tre mesi. Tradotto in termini odierni: se quella riforma Napolitano fosse stata approvata, oggi non avremmo la riforma Napolitano-Boschi-Renzi, approvata a maggioranza.
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Si proponeva poi di cambiare anche il terzo comma dello stesso articolo 138, che manteneva il referendum popolare (in aggiunta ai due terzi del parlamento), prevedendo che si votasse “per ciascuna delle disposizioni sottoposta a revisione, o per gruppo di disposizioni tra loro collegate per identità di materie”. Tradotto in termini odierni: se quella riforma Napolitano fosse stata approvata, oggi si sarebbe votato come avrebbe (giustamente!) voluto Valerio Onida.
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Ancora due altri punti, diametralmente opposti alla riforma odierna. Napolitano proponeva che il presidente della Repubblica fosse eletto “a maggioranza di due terzi dell’assemblea”. Sempre: dal primo all’ultimo scrutinio. Tradotto nei termini della riforma renziana farebbero 487 voti: quando invece oggi ne bastano 221, dal settimo scrutinio.
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Al Napolitano di oggi la velocità sembra un valore cui sacrificare le garanzie democratiche, ma al Napolitano del 1995 era venuta un’ottima idea: “Se, alla scadenza del mandato del presidente uscente, l’assemblea non ha ancora provveduto alla elezione del suo successore, le funzioni di presidente della Repubblica sono provvisoriamente assunte dal presidente della Corte Costituzionale”.
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Infine, un’altra chicca: si stabiliva che le Camere adottassero i propri regolamenti a maggioranza dei due terzi dei componenti. Questo sì che era uno statuto delle minoranze! Mentre oggi la riforma Napolitano-Renzi-Boschi prevede che ciò avvenga a maggioranza semplice: mettendo di fatto la minoranza nelle mani della maggioranza e, per esempio, vanificando totalmente la possibilità che le leggi di iniziativa popolare vadano avanti speditamente anche se non gradite al governo.
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Insomma, Giorgio Napolitano può dire tutto tranne che il suo Sì di oggi sia coerente con il Napolitano del 1995. Allora Napolitano era in minoranza, e pensava ai diritti della minoranza. Oggi è il capo della maggioranza e non pensa più ai diritti della minoranza.
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Ma noi siamo ancora d’accordo con il Napolitano di allora, e votiamo No perché pensiamo che cambiare la costituzione a maggioranza abbatta “il pilastro principale del costituzionalismo moderno”: parola di Giorgio Napolitano.

Conti correnti, come evitare i controlli del fisco.

Conti correnti, come evitare i controlli del fisco


Dal 31 marzo scorso, ossia dalla creazione dell'Anagrafe dei conti correnti (bancari o postali), il fisco viene a conoscenza di ogni versamentoprelievo, bonifico e operazione fatta con il Bancomat o con la carta di credito, ogni movimento di titoli, prodotti finanziari o assicurativi. Ciò significa che muovere i propri depositi di credito o di debito è, potenzialmente, un'operazione a rischio, come ricorda il portale 'LaLeggePerTutti.it'.
Il decreto Salva Italia di fine 2011 ha consentito l'ingresso nei database del fisco dei dati di sintesi dei conti correnti (saldo a inizio e fine anno, totale degli accrediti e degli addebiti effettuati e la giacenza media annua). Ma ci sono anche altre informazioni relative a rapporti finanziari come, ad esempio, carte di credito, di debito o prepagate, cassette di sicurezza, che in realtà non possono essere usate per controlli a tappeto ma per quella che viene chiamata 'analisi di rischio'. Attraverso una serie di algoritmi, vengono individuate le posizioni più sospette di evasione e su quelle si concentrano le indagini e i successivi accertamenti fiscali.
L'obiettivo dell'Agenzia delle Entrate è quello di capire se ci sono dei movimenti 'in nero' sui conti correnti, cioè entrate o uscite di denaro non dichiarate al fisco. La legge di Stabilità fissa in 3mila euro il tetto del prelievo in contantipresso lo sportello bancario senza dover dare delle spiegazioni. Ma, in realtà, il titolare di un conto corrente potrebbe prelevarne di più: il rischio però è che l'impiegato della banca faccia una segnalazione per verificare un eventuale riciclaggio.
Nel caso ci fossero dei sospetti concreti su un caso simile, l'avviso finirebbe sul tavolo del procuratore della Repubblica, ma se il correntista ha la coscienza tranquilla non ha nulla da temere.
Se è vero che il titolare di un conto corrente può prelevare più di 3mila euro in un colpo solo, su richiesta della banca deve darne giustificazione: tuttavia, i movimenti superiori ai 12.500 euro (soglia oltre la quale scatta l'obbligo del bonifico bancario) possono essere realizzati solo attraverso un intermediario finanziario.
Nessuna soglia per i prelievi, dunque, e sogni tranquilli per chi non è un farabutto. Ma il fisco può intervenire lo stesso di fronte a un prelievo consistente, magari ripetuto più volte nell'arco di un tempo relativamente breve: all'Agenzia delle Entrate può venire il sospetto che quel denaro sia utilizzato per un investimento che ci serve a fare un po' di soldi in nero.
Quindi, al momento di entrare in banca per prelevare una somma importante, bisogna sapere quale rischio si corre e come evitarlo. Soprattutto se, per colpa del redditometro, l'Agenzia delle Entrate scopre che i soldi che prelevo dal conto sono superiori a quelli che dichiaro. Se questa differenza eccede del 20% non c'è scampo: l'Agenzia busserà alla porta del correntista. In ogni caso, conviene evitare di fare prelievi troppo elevati dal conto e spendere quei soldi in un bene che non si riesce a mantenere.
Un altro 'trucco' per evitare controlli fiscali sui prelievi è tenere sempre in archivio tutta la documentazioneriguardante i soldi portati via dal conto. E' importante poter giustificare il denaro prelevato, soprattutto quando si ha un'attività commerciale o imprenditoriale, nei confronti delle quali c'è sempre una presunzione del nero. Non c'è modo migliore per evitare i controlli del Fisco che effettuare i pagamenti più importanti tramite bonifico, assegno o carta di credito anziché in contanti: ne resta sempre traccia, anche a distanza di tempo, anche quando, a memoria, vai a sapere perché è stato fatto quel prelievo e dove sono andati a finire i soldi.
Chi pensa però che, per spendere 5mila euro in nero in un dato giorno, possa evitare di dare nell'occhio prelevando dal conto corrente 250 euro per volta, si sbaglia. Si pone sempre il problema del reddito: il correntista può permettersi di prelevare quella somma in un mese? Se la risposta è no, scatta l'accertamento.
Se il denaro invece serve per un prestito o una donazione, meglio fare una scrittura privata con data certa che possa giustificare il movimento di soldi. Esistono diversi metodi per fornire tale certificazione a un documento, ma il più utilizzato è la spedizione dello stesso, con plico piegato su se stesso (quindi senza busta), ove viene fatto apporre il timbro postale: timbro che, essendo certificato da un pubblico ufficiale, farà piena prova della data. Questo documento, sigillato e munito del timbro postale di data certa, andrà conservato per almeno cinque anni.
Quali sono i rischi per chi viene sorpreso a prelevare contante oltre la soglia consentita? Per le violazioni è prevista una specifica sanzione amministrativa dall'1% al 40% dell'importo trasferito. La sanzione non è mai inferiore a 3mila euro, mentre le violazioni che superano i 50mila euro vengono punite con una sanzione pari a cinque volte il minimo.
Rischia anche l'operatore di banca che viene a conoscenza della violazione ma sta zitto: può ricevere una sanzione pecuniaria dal 3 al 30% dell'importo dell'operazione, partendo sempre da un minimo di 3mila euro.
Per il fisco, inoltre, non c'è più il segreto bancario. La lotta all'evasione fiscale portata avanti dall'Agenzia delle Entrate autorizza i suoi funzionari a sapere ogni dettaglio dei conti correnti, ma anche di qualsiasi tipo di investimento, compresa la compravendita d'oro. Pertanto la privacy di un correntista non è più esclusiva della banca o delle Poste, dove sono depositati i risparmi. Banca e Poste sono tenute a dare al fisco qualsiasi tipo di informazione venga richiesta. Il Garante ha lanciato l'allarme ma, per ora, non ha ottenuto risposte.