mercoledì 31 marzo 2010

E' tutta colpa di Grillo - Andrea Scanzi




Che spettacolo. Che spettacolo. Che spettacolo. Queste elezioni mi hanno caricato come una molla dopata (?). Il Pd ha toccato nuovi abissi di inutilità colpevole.
L’Unità ha detto che è colpa di Grillo (e Luttazzi è uguale a Berlusconi). Bersani ha detto che il vento è bressocambiato (ma non si sa in che senso).

E la Finocchiaro ha detto che nel Lazio tutto sommato è andata bene, perché ha comunque vinto una donna.
A me queste cose mi caricano, agli italiani gli caricano (cit).
Altre considerazioni.

7 a 6 (ma ha vinto chi giocava in trasferta). Cinque anni fa (nel mezzo è passata un’era geologica) finì 11 a 2. Un 8 a 4 sarebbe stato il minimo sindacale per la sinistra (ahahahahahah). Invece è stata mattanza, 7 a 6 risibile. Tutte le regioni in bilico a Berlusconi. L’ennesimo disastro del peggiore centrosinistra d’Europa, che ha coerentemente (almeno in questo) generato il peggior centrodestra d’Europa.

“Berlusconi è in crisi”. Il mantra di molti, troppi ottimisti. Che evidentemente vivono su Plutone. Oppure leggono solo Repubblica (per cui le elezioni del 2008 dovevano finire in parità). “Berlusconi è in crisi” non è una elaborazione politica: è una speranza. Gli italiani (la loro maggioranza) amano l’uomo forte, furbo, che si è fatto da sé (e Gaber sapeva bene di cosa fosse fatto). Berlusconi rappresenta al meglio il peggio degli italiani (cit). Berlusconi finirà solo con la sua dipartita terrena (sempre che non sia immortale). O – nel caso migliore – con il processo Mills, su cui però pesa il rischio (certezza) della prescrizione. Continuerà comunque il berlusconismo. Per sempre. Montanelli parlava di vaccino. Io parlerei, piuttosto, di Ebola.

Pd, acronimo di una bestemmia sprecata. Il Partito Disastro ha realizzato ieri l’ennesimo capolavoro. Ha vinto dove non poteva non vincere e l’unico miracolo (Vendola) è accaduto malgrado il Pd (fosse stato per il Dalailema, addio). Opinionisti e tromboni si interrogano da anni sui motivi della crisi del Pd. Sbagliando alla radice. E’ il Pd stesso la crisi.

4476394936_5d9ca80d6d_mE’ colpa di Grillo. Il grande capolavoro di questa tornata elettorale. I polli di allevamento piddini, con tanto di editoriali tronfi e parole buttate là a casaccio, ha individuato nei 70mila voti del Movimento 5 Stelle in Piemonte la causa della crisi. Lo ha scritto perfino Concita De Gregorio, in quel giornale così aperto e notoriamente libero che è L’Unità. Questa analisi, la cui miopia dimostra da sola quanto il Pd sia irrecuperabile (oltre che correo), è meravigliosa. Al di là del fatto che in Piemonte ci sono stati un milione di astenuti, che numericamente valgono un po’ più dei voti grillisti, il punto è lo sbarazzino rovesciamento della realtà fatto dal Pd. Non è che loro debbano conquistarsi la fiducia. No: il voto gli spetta per diritto regio. Loesigono. In nome del meno peggio, si presume. Mercedes Bresso, pasionaria di sinistra à la Aznar, ha detto (più o meno) che quelli che hanno dato il voto a Grillo sono dei cialtroni che hanno consegnato il Piemonte a una destra razzista. Certo: come quelli che, quando perdono, scaricano la colpa sull’arbitro (e non mi risulta che in Piemonte si fosse candidato Ovrebo). Riassumiamo: la Bresso ha detto cose allucinanti (o quantomeno poco condivisibili) su Tav, nucleare e quant’altro. Ha cercato di convincere i moderati ricalcando pedissequamente modi e mosse (programmi) berlusconiani (Sveltroni non ha insegnato nulla). Ha trattato, come tutto il centrosinistra “che conta”, Grillo e i grillini come paria, denigrandoli e sottovalutandoli. Poi, dopo aver perso, non poco stupita dal loro exploit (non avendo minimamente il polso del reale: altrimenti non sarebbe del piddì), si è ricordata che esistevano e ha gli ha dato la colpa. Idolo. Sarebbe come se io, dopo avere insultato e dileggiato una donna per anni, la offendessi perché lei poi non me l’ha data. Lady Mercedes, come i suoi esegeti, si metta bene in testa una piccola cosa: ha perso perché ha governato male. Perché il Pd è una sciagura. Perché non se ne può più di questa unica motivazione del turarsi il naso. Chi è causa del suo male pianga se stesso (cit). E magari dica addio alla politica.

Sì, ma aritmeticamente la colpa è di Grillo. No, anche aritmeticamente è colpa di chi non si è messo nella situazione di farsi votare. Il Pd perde perché l’indulto, perché il conflitto d’interessi, perché il Dalailema, perché Bassolino, perché Bersani, eccetera eccetera. Il Pd è la polizza sulla vita (eterna) di Berlusconi. Silvio è Federer e il Pd sono la pletora di vassalli che si accontentano di perdere in finale (quando va bene) 7-5 al quinto. Fossi uno del centrodestra, vorrei sempre gareggiare contro Loiero (su cui Lombroso avrebbe scritto più di un trattato) e Penati. Per poco non perdevano pure la Liguria.

Il Pd non dice solo no (troppo facile essere disfattisti). Più che altro, non dice mai no. Si dirà: eh, ma loro pensano a governare. Vero: infatti l’exploit di De Luca in Campania è la dimostrazione del loro genio.

La tivù è stata decisiva. Vero e non vero. Nell’ultima settimana Berlusconi è stato ovunque, facendo passare il messaggio della “sinistra che sa solo odiare” e attivando quelli che intendevano astenersi. Tale meticolosa campagna mediatica è stata effettivamente decisiva. Dall’altra parte c’è però il fenomeno Grillo. Il suo Movimento non è mai andato in tivù, stava sugli zebedei a tutti e subiva lo zimbellamento preventivo di grandi e piccini. Ebbene, al Nord è andato sempre oltre il 3 percento e in Emilia Romagna ha superato il sette (il sette!). E’ il vero dato nuovo: una moltitudine di giovani, attiva e informata, non crede più nei vecchi sistemi di comunicazione, ha bypassato la censura e dimostrato quanto il centrosinistra sia vecchio, superato e totalmente avulso dalla realtà. Per molti è un rischio democratico. Per me è solo un virus insinuato in un sistema marcio e schifoso.

Sì, ma tu sei amico di Luttazzi e Grillo. Vero. Ma sono anche amico di Costanzo e non per questo parlo bene del Cangurotto.

La fotografia dell’Italia. L’ha data Mario Monicelli, semper fidelis, giovedì scorso a Raiperunanotte. Riascoltatelo: è la carta d’identità di un paese che nessuno potrà mai salvare da se stesso. Ah: Monicelli e Gillo Dorfles, che ha parlato subito dopo, insieme fanno quasi duecento anni. E hanno ancora tanto da insegnarci.

Il caso Luttazzi. Emblematico anche quello. Uno dei massimi momenti televisivi degli ultimi dieci anni. Quindici minuti di monologo, semplicemente, perfetto. Qualsiasi politico e politologo, con un minimo di intelligenza e libertà di pensiero, avrebbe capito – dagli applausi scroscianti – che era quella l’aria che tirava nell’opposizione. Che c’era bisogno di qualcuno che cavalcasse la luttazzprotesta, l’indignazione, il dolore per sedici anni di berlusconismo che stanno minando dalle fondamenta il paese (consegnandolo alla famosa e inedita “guerra civile fredda”). Qual è stata invece la reazione dell’intellighenzia, del micheleserrismo e dell’eugenioscalfarismo? La scomunica, l’ennesima. Da una parte si è accentuata la portata volgare della metafora dell’inculata (dimenticandosi che “buco del culo” lo diceva anche De André) e dall’altra si è deliberatamente frainteso (come sempre si è fatto pure con Grillo, vedi i due V-Day) il significato del monologo. Ripensate all’intervento di Luttazzi: qual è stato il momento che più ha ricevuto applausi? Quello della seconda fase anale, laddove (?) Luttazzi stigmatizzava l’assenza di opposizione. Una dura critica al Pd, accolta con il boato del Paladozza (e di chi guardava il programma). Tale messaggio “eversivo” non poteva passare. Ecco quindi, puntuale, la mitraglia degli opinionisti veltronisti e bersanisti. Lidia Ravera ha straparlato di femminismo, Francesco Piccolo (che sarebbe anche bravo) ha accomunato Luttazzi a Berlusconi (certo, e io sono Galeazzo Ciano). C’è stato perfino chi ha parlato di “elogio dello stupro” (??) e “inneggiamento all’odio” (???). Sì, buonanotte. Badate bene: non sono piccoli segnali. La volgarità luttazziana è un pretesto così scontato che ci sono arrivati perfino Facci e Gasparri. E’ un altro il dato saliente: la puntuale mitraglia, in difesa del fortino piddino, della sempiterna intellighenzia salottiera, che continua a volerci spiegare cosa pensiamo dall’alto di una miopia connivente e interessata. Con questi leader non vinceremo mai. Ma neanche con questi “intellettuali”.

Però Luttazzi è volgare. Luttazzi è volgare per chi ha così tanto guardato Zelige Dandini da arrivare a credere che la satira sia quella di Checco Zalone e Neri Marcorè. Ecco: Neri Marcorè è il comico perfetto per il Pd. Così bravo che, quando lo guardi, te lo dimentichi subito.

renzobossi2Zaia RuleZ. Credevo che Carlotto fosse esagerato nei suoi libri. In realtà era solo realista. Zaia fa politica come una volta: stando sul territorio, coi banchetti, mostrandosi vicino e promettendo l’impossibile. Non esiste ristoratore, imprenditore, operaio (?) veneto che non lo incensi. Il voto di protesta è cosa della Lega (elettorato più vecchio), Di Pietro e Grillo (elettorato più giovane e internauta). Se a Bersani, il Dalailema, Ferrero e Mussi parrà cosa elettrizzante che la sinistra “vera” abbia del tutto smarrito il gusto di essere incazzati (cit), lasciandolo ad altri che di sinistra non sono (e rendendo orfani milioni di elettori), ne prendiamo atto. Certificando una volta di più la loro devastante inappropriatezza.

Renzo Bossi RuleZ. La sua vittoria è la chiara dimostrazione che il suffragio universale ha troppi bug.

Minzolini RuleZ. Ieri era ospite di se stesso da Giorgino. L’Istituto Luce a colori. Vamos.

Concludendo
. Berlusconi vive e lotta in mezzo a loro. La Russa glorifica, Formigoni divelge, Bondi tiranneggia. La Lega domina. Fini non fa breccia a Porta Pia. Casini è decisivo solo nei suoi sogni. La sinistra alternativa è ben rappresentata da Sansonetti. Di Pietro tiene, Grillo stupisce, il Piddì perisce: a stazioni, al rallentatore, con sublime quanto ingiustificata arroganza. Era meglio morire da piccoli. O anche solo senza aver davanti queste brutte facce.


Il “Movimento 5 stelle” e il successo alle Regionali - Peter Gomez


Beppe Grillo cosa è successo in Piemonte?

Dicono che avete fatto perdere al centrosinistra la regione.


“Guardi, la verità è un’altra: Mercedes Bresso ci ha tolto un sacco di voti”. Se si volesse trattare il Movimento 5 Stelle come una sorta di fenomeno pop, nato al seguito di un comico famoso, si potrebbe chiudere l’intervista qui. Con una battuta. Ma la realtà è un’altra. E va ben oltre i risultati elettorali che hanno sancito expot dei ragazzi di Grillo in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte, con percentuali che variano tra il 3 e il 7 per cento. Perché ormai da anni, mentre tutti li accusavano di anti-politica, decine di migliaia di giovani in Italia facevano politica.Grazie alla Rete e radunati nei meetup (un milione e mezzo di iscritti) discutevano di problemi del territorio, di termo-valorizzatori, di biomasse, di economia e sviluppo. Organizzavano incontri con esperti e premi Nobel, mettevano in calendario dibattiti e conferenze.


Tutto bello, Grillo, però la morale è che Berlusconi, lo psiconano, ora può sostenere di aver vinto. E Bersani dice che il vostro è stato un cupio dissolvi...


“Con Bersani non parlo, è un dipendente. Io parlo solo con D'Alema. E poi il loro gioco è proprio quello dei bari. Fanno come le squadre di calcio, si vendono le partite prima”.


Vuol dire che il risultato delle Regionali era stato deciso a tavolino?

“Registro ciò che vedo. Funziona così: io ti metto Loriero in Calabria - e so già che non prendo un voto - se mi dai un pezzo di Veneto. Io metto De Luca in Campania, se tu mi dai qualcosa d’altro. Solo che nel Lazio, con la storia della lista della Polverini, gli è andata male. Ma candidare in Lombardia una salma come Penati vuol dire sapere già che si perde. Queste sono spartizioni che la gente ha capito. Ecco perché si astiene”.


E se invece quella del Pd fosse solo stupidità?


“Se lo è, è ancora peggio. Se fosse così non avrebbero nemmeno il diritto di gestire un condominio”.


Però il Pd ha ancora milioni di voti. Ai loro elettori cosa dice?.


“Guardi, questa estate, quando avevo fatto la provocazione di candidarmi a segretario del partito, avevo detto: prendetevi il nostro programma, non potete avere lo stesso del Pdl. Prendete il nostro programma sull'acqua pubblica, sul wi-fi gratuito, sui trasporti, sulcemento zero. Lì dentro c’era tutto: dalle leggi, proposte, con centinaia di migliaia di firme sul ritorno al voto di preferenza, sino all’ineleggibilità dopo due legislature, all’abolizione della legge Gasparri e all’informazione e al Parlamento pulito. Così alle primarie non mi hanno fatto partecipare. E sa perché?.”


No.


“Del loro elettorato non si fidano. D’Alema dovrebbe per una volta uscire allo scoperto e fare la prova canotto...”


Canotto? Io credevo che andasse in barca a vela...


“No, lui e gli altri devono usare il canotto, se davvero hanno consenso. Radunino una folla e poi prendano un canotto e si facciano trasportare dalla gente. Loro devono fidarsi del loro elettorato. Io l’ho fatto due volte, durante la campagna per le Regionali, e garantisco che è davvero un atto di fiducia mettersi in mano alla gente”.


Potrebbe anche essere populismo. I bagni di folla piacciono soprattutto a Berlusconi...


“Non mi pare proprio. Perché il percorso che ci ha portato al successo di oggi è cominciato dal basso. Non dall’alto. È democrazia partecipativa partita dai social network. Dai risultati delle primarie che consegnammo a Romano Prodi. Il quale non comprese assolutamente che cosa erano. Eppure si trattava della sintesi di otto mesi di dibattito tra 800.000 persone. Una discussione a cui avevano partecipato premi nobel e idraulici, elettricisti e ingegneri dell’energia, su temi come la salute, i trasporti, la borsa, la Telecom. Ci eravamo messi d’accordo su otto punti. Ma visto che non ci hanno nemmeno preso in considerazione vuol dire che anche a lui interessavano solo i comitati di affari”.


O forse era semplicemente troppo vecchio per capire...


“Il fatto è che, anche se non se ne sono accorti, tutto sta cambiando. Ma oggi, a parte le nostre liste, l’unica nota vera è la Lega che è un movimento basato sul territorio. Eppure tra un anno noi, grazie al Web avremo più di 100.000 iscritti al Movimento e tutti allora ci dovranno considerare. Anche i tg, di cui peraltro ci importa molto poco. Anche se, visto il digital divide, adesso può succedere che in Campania, dove c’è forse il più bel meetup d’Italia con 4000 iscritti, ci siano delle difficoltà a farci conoscere”.


Diceva della Lega. Grillo ma non è che anche lei e il suo movimento state diventando federalisti?


“Non è una questione di ideologie. I nostri eletti sono laici e rispondono solo ai social network. Sono dei terminali dei social network. Nelle regioni si prendono decisioni importanti: si decide sulla salute, sull’acqua, sulla vita della gente. Ma i cittadini non sanno nulla. I nostri consiglieri saranno così dei terminali per svelare che cosa succede e per portare nelle regioni dei progetti elaborati dalla rete”


Progetti?


“Ne abbiamo migliaia e molti li abbiamo proposti e attuati nei piccoli comuni dove siamo già presenti. Abbiamo, per esempio, fatto risparmiare migliaia di euro alle amministrazioni passando alla luce fredda, alla raccolta differenziata spinta o riaprendo le piccole centrali elettriche. Se nel mondo ci sono cose che funzionano bisogna copiarle”.


E il federalismo?


“Come per tutto il resto sarà la rete a doverlo discutere. Io ho provato a leggere quello proposto dalla Lega, non si capisce niente. Ma se loro saranno furbi e cercheranno di illustrarlo in maniera comprensibile, si potrà iniziare un dibattito. Perché, per esempio, il federalismo sulla scuola non funziona. Esiste in Svizzera ma lì oggi tentano di uniformare il servizio scolastico. Lo stesso vale probabilmente per la sanità. Molto va ripensato, ma il servizio sanitario nazionale resta interessante”.


Intanto però la Lega è alleata di Berlusconi che controlla tv, informazione e vuole controllare pure la giustizia...


“Ma lui non ha vinto le elezioni. Lo psiconano è scomparso. E lo ha capito. Perché lo si può considerare come si vuole, ma non è stupido. Sa che il Pdl non c’è più, come non c’è più il Pd. Ormai è un anziano di 75 anni con attorno una serie di scarafaggi che si stanno preparando a sostituirlo. Perché qui non è più un problema di destra o di sinistra. Di Berlusconi o non di Berlusconi. Noi siamo un Paese economicamente fallito e tra pochi mesi, purtroppo, sarà chiaro a tutti”.


Da: "il Fatto Quotidiano" del 31 marzo 2010


Quarantenni fatevi avanti - Peter Gomez

I risultati delle Regionali sono salutari per il Paese e un’opportunità (l’ultima) per il centrosinistra. Dalle urne è uscito un responso chiaro e, checché se ne dica, ben poco favorevole al Cavaliere: il centrodestra ha vinto – generalmente per insussistenza degli avversari – ma Berlusconi ha perso. Dalle Politiche in poi il Pdl (al pari del Pd) è in costante emorragia di voti: nel giro di due anni ha addirittura lasciato per strada il 7 per cento dei consensi. E ora il neonato partito del premier vale quanto valeva la vecchia Forza Italia. Segno che il giudizio di Dio, più volte invocato da Berlusconi contro i giudici e l’informazione, è stato un flop. Dio (gli elettori) si è astenuto o ha votato Lega. Con questi numeri parlare ancora di riforme – a partire dall’unica che interessa all’anziano leader del Pdl: la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere – non ha senso.

Se si mettesse davvero mano alla Costituzione, il referendum confermativo, previsto per le leggi fondamentali che non hanno una maggioranza qualificata, è destinato a chiudersi con una sonora bocciatura. Resta, è vero, la via delle riforme condivise sempre invocata dai brontosauri della partitocrazia. Ma si tratta di un percorso politicamente suicida. Saggiamente ben pochi tra gli elettori (di destra e di sinistra) ne sentono il bisogno. Perché al Paese più che nuove regole servono il rispetto di quelle vecchie e una nuova classe dirigente. Per questo la sconfitta della nomenklatura del
Pd è un’opportunità.

Se nel Lazio e in Piemonte il centrosinistra avesse vinto (ci voleva un niente), oggi
Pier Luigi Bersani racconterebbe di avercela fatta. Per fortuna è andata diversamente. Ed è arrivata l’ora delle centinaia di funzionari, militanti e amministratori locali onesti, con meno di quarant’anni. Adesso tocca a loro. Devono scegliere: o ribellarsi per prendere il potere nel partito, o morire con esso prima ancora di essere nati. Per gli Italiani comunque andrà a finire, sarà una liberazione.

Da
il Fatto Quotidiano del 31 marzo






Cos'hanno in comune i celebri conduttori del Tg1 Paolo Di Giannantonio, Tiziana Ferrario e Piero Damosso? Fino ad oggi solo il fatto di essere riconosciuti per strada in virtù del loro prestigioso mestiere. Ma da oggi qualcosa in più li unisce: sono stati tutti quanti fatti fuori dal direttore del Tg1 Minzolini. Una casualità? Forse. Ma improbabile. Per la prima volta nella storia della Rai ai giornalisti epurati dal direttore non è stato concordato nessun compito alternativo ne la decisione di fare un passo indietro nella conduzione del Tg1.

C'è allora qualcosa di più. Scava scava e si trova qualcos'altro che unisce questi tre giornalisti. Nessuno dei tre nelle scorse settimane aveva firmato una lettera in favore del direttore, preso di mira dalle inchieste di Trani (è indagato per rivelazione di segreto d'ufficio) e dalla pubblica opinione dopo i suoi inverecondi editoriali e la conseguente raccolta di firme per rettificare l'"assoluzione di Mills". Guarda caso pochi giorni fa era stato professionalmente gambizzato il caporedattore Massimo De Strobel. Indovinate? Eh sì, anche lui non ha firmato la lettera in favore del direttore.

Siamo già alle purghe?


http://www.sconfini.eu/Cronaca/rai-epurati-3-conduttori-del-tg1-ostili-a-minzolini.html



ART.18: UN PRIMO PASSO PER LA DIFESA DEL LAVORO



Il ddl delega al Governo sul lavoro massacra lo Statuto dei lavoratori perché nei fatti sterilizza l’articolo 18. Si tratta dell’ennesimo provvedimento adottato dal Governo per comprimere i diritti di chi lavora. Il Presidente della Repubblica non poteva che rinviarlo alle Camere, dove ora è necessario portare avanti una ferma opposizione affinché la maggioranza compia marcia indietro.

Si tratta di un ddl ingiusto e anticostituzionale. Ingiusto perché si
costringe il lavoratore a “scegliere” di affidare le eventuali controversie con la parte datoriale ad un arbitro, chiamato a giudicarle in base ad un principio di equità e non secondo la legge. Ingiusto perché questa “scelta” avviene nel momento di massima debolezza del lavoratore stesso, cioè all’atto della sua assunzione, divenendo un obbligo e una costrizione. Ma la vera e profonda natura anticostituzionale del ddl consiste nel fatto che si impedisce automaticamente al lavoratore di rivolgersi alla magistratura, per far valere la legge, a prescindere dalla valutazione dell’arbitro stesso.

In questo modo 16 milioni di lavoratori dipendenti e 4 milioni tra precari e false partite Iva
vengono posti fuori dalla protezione della Costituzione repubblicana, esclusi dal diritto e dalla legge, privati di tutele in un passaggio economico così delicato come quello che stiamo vivendo.

L’Italia dei Valori fin dall’inizio ha denunciato questa vergogna chiedendo al Capo dello Stato di valutare le conseguenze nefaste che il provvedimento avrebbe sui diritti dei lavoratori. Io stesso ho avanzato questa richiesta in occasione della diretta streaming "
Votare informati" di settimana scorsa: per questo, la decisione presa dal presidente della Repubblica oggi, non può che rappresentare per me e per l'Italia dei Valori un primo importante risultato per chi lotta a difesa del lavoro e dei lavoratori, avendo nell’articolo 1 della Costituzione il riferimento più importante della sua azione politica.




LETTERA APERTA AL VESCOVO MOLINARI

Sua Eccellenza Arcivescovo Molinari,

destano non poco stupore le sue illazioni circa le asserite intenzioni del cosiddetto “popolo delle carriole”. Mi fa piacere ricordarLe quelli che ritengo siano i principi morali cui dovrebbe più spesso ricordare di aderire.

1) dovrebbe essere pastore di anime, e invece a quanto pare preferisce le illazioni. Asserisce infatti, che le carriole nascondano lobby politiche, che intendono tramite esse affermarsi nella cabina di regia della ricostruzione. Le carriole quindi, tutelerebbero nascostamente, interessi privati.

La calunnia, è peccato, Sua Eccellenza.

2) dovrebbe essere dalla parte degli indifesi, dei diseredati, dei senza tetto. Insomma, dalla parte dei deboli. Di quelli che non sono più liberi di essere artefici del proprio destino. Di quelli che contro di loro hanno forze più grandi, e che proprio a quelle forze cercano di far sentire la propria voce. Perché del loro destino, si tratta, e qui si ha il diritto di far sapere come si vorrebbe che quel destino venisse da altri delineato. Delegare ad altri, non significa non osservarne le azioni, né tantomeno non richiamare all’attenzione dei delegati, le priorità che i deleganti percepiscono come primarie.

Oggi gli indifesi non possono contare nemmeno sul suo disinteresse alla loro causa, ma peggio, incassano la sua scomunica.

Non aiutare il prossimo è peccato, Sua Eccellenza.

3) dovrebbe spogliarsi dei propri beni, a vantaggio dei più deboli. Ma in questi mesi, abbiamo osservato la Curia adoperata nell’accrescere i suoi beni materiali, ottenendo che si costruissero strutture pubbliche su terreni di sua proprietà, come la nuova casa dello studente.

Oppure, a parti invertite, abbiamo dovuto vedere la sua Curia far costruire dallo Stato una struttura privata su terreno pubblico di proprietà comunale, pagato anche da suoi devoti fedeli. Struttura anch’essa largamente pagata da denaro pubblico, come la Chiesa-Convento-Mensa di Piazza D’Armi.

Avarizia e Cupidigia sono peccati, Sua Eccellenza.

Dunque, un conto sono le opinioni e le calunnie, un conto sono i fatti.

Le azioni della Curia Aquilana nell’anno trascorso, sono fatti. Ed hanno dimostrato chi, tra noi, ha agito tutelando ed accrescendo i propri interessi privati.

Circa i presunti inconfessabili interessi che Lei, con un processo alle intenzioni, attribuisce ai cittadini aquilani che la domenica prendono in mano una carriola, sono e restano illazioni.

Meglio: sono autentiche calunnie, visto il tono con cui Lei, piuttosto che sollevare dubbi privati, afferma pubbliche certezze denigratorie di un puro ed altissimo senso di cittadinanza attiva che ci ha visti prenderci cura della nostra città ferita.

Per ora, dunque, lascio che a parlare siano i fatti: ce ne sono a sufficienza per farsi un’opinione sulla qualità della Vostra morale pubblica.

Federico D’Orazio

Aquilano munito di carriola,

tutt’altro che pecorella, tutt’altro che smarrito.


http://stazionemir.wordpress.com/2010/03/31/lettera-aperta-al-vescovo-molinari/



I blog al posto delle sezioni Grillo-boys, rifugio dei delusi

Nati dopo il '70, spesso fanno gli informatici e sono pensatori globali e agitatori locali
Il comico: è il movimento wiki, i partiti sono ormai anime morte


di MICHELE SMARGIASSI

BOLOGNA - Alle prime proiezioni "spaventose, incredibili", il bolognese Giovanni Favia, il grillino più votato d'Italia, è corso a comprarsi una cravatta nera: "ora devo essere elegante". Il grande momento è giunto. Il partito cinque-stelle passa dal folclore alla storia, dove c'erano sfottò ora c'è timoroso rispetto, anche paura. Sette per cento in Emilia Romagna, 4 in Piemonte, 400 mila voti in cinque regioni, quattro consiglieri eletti. Increduli loro per primi. "Per non montarci la testa andremo avanti a testa bassa". Dal V-day agli emicicli in soli tre anni: l'incubo dell'"antipolitica" si materializza, i ruba-consensi terrorizzano la sinistra. La Bresso recrimina: "erano voti nostri", Bersani apocalittico: "sono la cupio dissolvi della sinistra". E Beppe Grillo se li mangia con un marameo: "Bersani delira, rimuovetelo da segretario" commenta al telefono, tono più trionfale che aggressivo, "questi partiti sono anime morte, vagano in attesa di scomparire. I danni se li fanno da soli, e non hanno capito ancora niente di noi. "Grillo chi è?" diceva Veltroni, che per il Pd è stato come il meteorite per i dinosauri. Ora loro sono in estinzione e noi siamo il futuro".

Alt, fermi, non facciamo l'errore. Il profilo del comico genovese è potente, ma il nuovo sta nascosto nella sua ombra. Il "MoVimento 5 stelle" (la V maiuscola e rossa è quella del vaffa) non vuole essere il partito di un solo uomo: "Grillo è solo il detonatore, la dinamite siamo noi", rivendica Favia. E neppure il megafono dell'esasperazione, "se c'è qualcuno che fa marketing dell'urlo non siamo noi" (questa è per Di Pietro); e se gli parli di "voto di protesta" Favia si spazientisce, "protesta è il 10% di astensionismo, noi abbiamo portato voti alla democrazia". No, dal cappello delle urne è uscito un coniglio più carnoso del previsto. Una novità antropologica nella politica italiana che può travolgere chi la sottovaluta. I "grillini" esistono, guardate le loro foto sui loro siti Internet, leggete le loro date di nascita, tante post-1970, sbirciate le loro biografie, i loro mestieri urbani e terziario-avanzati, con un'eccedenza di quelli tecno-informatici. Da dove vengono? Chi va sui cinquant'anni esibisce qualche medagliere militante (radicali, noglobal, post-comunisti), ma quelli sotto i trenta sono una strabiliante antologia di micro-cause: la battaglia per il latte crudo, l'associazione "Novaresi attivi", il comitato "Vittime del metrobus", gli anti-inceneritore, quelli che fanno "guerrilla gardening" o la dieta a km zero... Sono, forse, ciò che i Verdi italiani non sono mai riusciti ad essere: pensatori globali e agitatori locali.


Sono, certo, un ceto politico, siedono già in decine di consigli comunali, spesso piccoli centri. Ma sfuggono ai profili tradizionali, sono corpi bionici della politica, ibridi di vecchio e nuovo. Non si incontrano in sezione ma in un blog, però non vedono l'ora di scendere in piazza; si contano orgogliosi come nei vecchi partiti (Grillo: "sessantamila ora, duecentomila fra due anni"), ma iscriversi è facile come fare un log-in al sito, la tessera è una password e non costa nulla perché "la gratuità rende bella la politica". Credono nella Rete come mito catartico: lo scrigno della verità che smaschera ogni complotto. Sono un incrocio di boy-scout e cyber-secchioni, volontari e computer-dipendenti. Grillo si fa semiologo: "È un movimento wiki". Come Wikipedia, l'enciclopedia online che chiunque può scrivere e modificare. L''assemblearismo ora è "contenuto generato dall'utente". La delega elettorale, "mandato partecipativo", l'eletto promette di essere solo il "terminale istituzionale" che inietta in consiglio le opinioni del movimento. "Abbiamo eletto ben due virus!", esulta il piemontese Vittorio Bertola, ed è ovvio che non pensa al bacillo influenzale ma ai virus informatici, che mandano in tilt un intero sistema operativo. "È qui che siamo avanti", Grillo si anima, "con noi non governa un consigliere, governa un network; con tutto il rispetto per la serata bolognese di Santoro non siamo un anchorman in tivù, siamo una rete di persone".

Le stelle grilline, però, sono spesso stelle comete, il loro impegno brucia intensamente e per poco, il ricambio è altissimo, ma se qualcuno ci dà dentro si vede: dietro il record del 28% di Bussoleno, ad esempio, c'è la lotta anti-Tav. Ma il vero salto di qualità che fa paura a Bersani è avvenuto proprio là dove i grillini non ci sono. Nell'hinterland bolognese, a Granarolo o Castenaso dove strappano il 10%, nessuno li ha mai incontrati di persona, neanche chi li ha votati. Chiedi perché l'hanno fatto, rispondono "Perché il Pd...". Rifugio dei delusi, ultima risorsa prima dell'astensione, messaggio di protesta senza rischio: "votare Lega non ci riesco, loro invece...". La loro presenza ha bucato i media. Gli elettori li conoscono. Leggete le interminabili liste di commenti dei loro blog, ce n'è una quantità che cominciano come Paolo: "Da anni non votavo...". E anche tanti che vibrano di un'eccitazione dimenticata, come Alessio: "Per la prima volta ho votato con gioia". Ho visto anche degli elettori felici: di questi tempi, da non crederci.

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