martedì 20 novembre 2018

Caso-Ghosn: case di lusso in tutto il mondo pagate da Nissan. - Stefano Carrer

(Ap)

Case di lusso in quattro Paesi del mondo pagate dall’azienda, anche dove gli interessi di business erano inesistenti. Sono di questo tipo, secondo indiscrezioni filtrate oggi, 20 novembre, gli abusi nell’utilizzo di fondi aziendali e le ripetute manifestazioni di cattiva condotta che Nissan addebita al suo presidente Carlos Ghosn, arrestato ieri a Tokyo assieme al dirigente americano che supervisionava le sue spese, Greg Kelly. Sarebbero 4 le abitazioni nel mirino, ma in particolare spiccano due casi: a Rio de Janeiro e a Beirut. Una società di diritto olandese creata nel 2010 a scopo di investimenti in start-up e finanziata da Nissan con 6 miliardi di yen (circa 54 milioni di dollari) ha pagato 17,8 milioni di dollari per un appartamento di lusso carioca e per una villa nella capitale libanese, dove Ghosn ha fatto le scuole (è nato in Brasile, ma ha origini libanesi). In Libano Nissan non ha attività. Inoltre le spese di mantenimento e gestione delle abitazioni a disposizione personale di Ghosn avrebbero superato i 2 miliardi di yen.

Il top manager della seconda casa automobilistica giapponese è finito in carcere con l’accusa di non aver riportato compensi per 5 miliardi di yen nell’arco di 5 anni nelle comunicazioni alle autorità finanziarie. È stata l’azienda a scaricarlo, chiarendo di aver informato la procura dopo i risultati di una indagine interna durata molti mesi e avviata in seguito a una soffiata. Giovedì Ghosn dovrebbe essere dimissionato da ogni carica ai vertici sia di Nissan sia di Mitsubishi Motors. Per il momento resta però presidente e Ceo di Renault, il cui titolo ieri ha perso l'8,4%. Il titolo Nissan ha chiuso oggi in calo del 5,4%. Lo scandalo mette in dubbio la solidità e il futuro della ventennale alleanza franco-giapponese.

Fonte: ilsole24ore del 20.11.2013

Sequestrata nave Aquarius.

Sequestrata nave Aquarius

Traffico illecito e smaltimento indifferenziato di rifiuti pericolosi: sono queste le accuse mosse dalla procura di Catania nei confronti della ong Medici Senza Frontiere e di due agenti marittimi che ha fatto scattare il sequestro preventivo della nave Aquarius, attualmente ormeggiata a Marsiglia, e di 460 mila euro. Accuse definite "inaccurate e fuorvianti" dalla Ong, che ha già annunciato l'intenzione di presentare ricorso al Tribunale del riesame. Intanto il ministro dell'Interno Matteo Salvini esulta via social: "Ho fatto bene a bloccare le navi delle ONG, ho fermato non solo il traffico di immigrati ma da quanto emerge anche quello di rifiuti. #portichiusi".

L'OPERAZIONE BORDERLESS - Il presunto smaltimento illecito di rifiuti pericolosi, emerso nell'ambito dell'operazione 'Borderless', riguarda "37 sbarchi dell'Aquarius e 7 sbarchi della nave Vos Prudence, per un quantitativo complessivo di circa 24mila chilogrammi di rifiuti pericolosi, con il conseguimento di un indebito risparmio di costi per la Ong pari al profitto sequestrato di circa 460 mila euro". Un importo che secondo la procura di Catania sarebbe corrispondente al presunto profitto per attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, nei confronti sia di due agenti marittimi sia delle Ong 'Medici senza frontiere - Operational Centre Belgium - Missione Italia', 'Medici senza frontiere - Operational Centre Amsterdam', sia infine di appartenenti a vario titolo a tali enti. Nell'ambito dell'operazione 'Borderless' la Guardia di Finanza ha inoltre notificato avvisi di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 24 indagati.

LA REPLICA DI MSF - Medici Senza Frontiere (MSF) contesta la ricostruzione della Procura e "respinge categoricamente" le accuse, che definisce "inaccurate e fuorvianti", annunciando l'intenzione di presentare "ricorso al Tribunale del riesame". "Tutte le nostre operazioni in porto, compresa la gestione dei rifiuti, hanno sempre seguito procedure standard", sottolinea la Ong, sostenendo che "le autorità competenti non hanno contestato queste procedure né individuato alcun rischio per la salute pubblica da quando MSF ha avviato le attività in mare nel 2015".
MSF ha inoltre definito il sequestro della Aquarius come "una misura sproporzionata e strumentale, tesa a criminalizzare per l'ennesima volta l'azione medico-umanitaria in mare". "Dopo due anni di indagini giudiziarie, ostacoli burocratici, infamanti e mai confermate accuse di collusione con i trafficanti di uomini - dichiara Karline Kleijer, responsabile delle emergenze per MSF - ora veniamo accusati di far parte di un'organizzazione criminale finalizzata al traffico di rifiuti. È l'estremo, inquietante tentativo di fermare a qualunque costo la nostra attivitàdi ricerca e soccorso in mare".
"Siamo pronti a chiarire i fatti e a rispondere delle procedure che abbiamo seguito, ma riaffermiamo con forza la legittimità e la legalità della nostra azione umanitaria", aggiunge Gabriele Eminente, direttore generale di MSF in Italia. "L'unico crimine che vediamo oggi nel Mediterraneo è lo smantellamento totale del sistema di ricerca e soccorso, con persone che continuano a partire senza più navi umanitarie a salvare le loro vite, mentre chi sopravvive al mare viene riportato all'incubo della detenzione in Libia, senza alcuna considerazione del diritto internazionale marittimo e dei rifugiati".

LE ACCUSE - Secondo la procura di Catania gli indagati nell'ambito dell'operazione 'Borderless' avrebbero "sistematicamente condiviso, pianificato ed eseguito un progetto di illegale smaltimento di un ingente quantitativo di rifiuti pericolosi a rischio infettivo, sanitari e non, derivanti dalle attività di soccorso dei migranti a bordo delle navi Ong Vos Prudence, da marzo 2017 a luglio 2017, e Aquarius, dal gennaio 2017 al maggio 2018". I rifiuti pericolosi, secondo l'accusa, sarebbero stati "conferiti in modo indifferenziato, insieme ai rifiuti solidi urbani, in occasione di scali tecnici e sbarco di migranti nei porti di Catania, Augusta (Siracusa), Pozzallo (Ragusa), Trapani, Messina, Palermo nonché in altri porti italiani".
Secondo quanto emerso gli indagati "qualificavano, conferivano e smaltivano fraudolentemente, in modo indifferenziato, i rifiuti derivati dall'attività di salvataggio in mare" come "gli indumenti contaminati indossati dagli extracomunitari, gli scarti degli alimenti somministrati agli stessi, nonché, i rifiuti sanitari infettivi utilizzati a bordo per l’assistenza medica, eludendo i rigidi trattamenti imposti dalla loro natura infettiva, in ragione della quale gli stessi andavano classificati come pericolosi, sanitari e non, ad alto rischio infettivo".

Secondo l'accusa dalle indagini è emersa la "consapevolezza da parte degli indagati della pericolosità degli indumenti indossati dai migranti, in quanto fonte di trasmissione di virus o agenti patogeni contratti durante il viaggio, come emergeva tra l'altro anche dai S.A.R. Report Rescues in relazione alle condizioni sanitarie dei migranti assistiti a bordo dell'Aquarius, dove si segnalano frequenti casi di scabbia, Hiv, infezioni del tratto respiratorio quali tubercolosi, meningite".

In particolare, secondo la procura di Catania, nel periodo compreso tra gennaio 2017 e maggio 2018 dalle navi 'Vos Prudence' e 'Aquarius' "non è stata mai dichiarata la presenza di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo" anche in presenza di "numerosi e documentati casi di malattie registrate dai vari Uffici di Sanità Marittima siciliani e del Sud-Italia intervenuti al momento dell'arrivo dei migranti nei porti italiani" duranti i quali sono stati "rilevati 5.088 casi sanitari a rischio infettivo (scabbia, meningite, tubercolosi, Aids e sifilide) su 21.326 migranti sbarcati".

GLI INDAGATI - Sono 24 gli indagati nell'ambito dell'operazione 'Borderless'. "Tra gli indagati destinatari del provvedimento cautelare di sequestro", riferisce la procura di Catania, ci sono due agenti marittimi e "l'Ong 'Medici senza frontiere' (Msf), quale produttrice dei rifiuti oggetto del traffico illecito, con riferimento: al centro operativo di Amsterdam (O.C.A.) per quanto concerne l'operatività della nave Aquarius; al centro operativo di Bruxelles (O.C.B.) - Missione Italia, che ha gestito e finanziato le attività di soccorso prestate dalla nave Vos Prudence sino al mese di ottobre 2017".

Fonte: adnkronos del 20.11.2018

Inceneritori, quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda: “Emissioni al minimo”.

Inceneritori, quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda: “Emissioni al minimo”

I fumi saranno ottimizzati, ma non è vero che l'impianto nella capitale danese emetterà solo vapore acqueo. La Babcock & Wilcox Vølund, azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione, assicura sulle "prestazioni avanzate" e sulla qualità dell'aria ma precisa che comunque emetterà un minimo di monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto.

L’inceneritore di Copenaghen produce solo vapore acqueo? No, non è vero. Lo dice la stessa azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi. Che non saranno solo di vapore acqueo, come scrivono diversi media italiani tra i quali il Corriere della Sera. Certo, le emissioni sono ottimizzate, ma comunque dal camino usciranno monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto. L’inceneritore potrebbe diventare una delle maggiori attrazioni turistiche di Copenaghen e molti, in questi giorni di polemica su quel tipo di impianti, citano la struttura della città danese in fase di ultimazione come un modello da seguire. Famoso perché ospiterà sul suo tetto una pista da sci e percorsi di trekking e per le sue tecnologie all’avanguardia, l’impianto emette però qualcosa in più oltre al semplice vapore acqueo e per funzionare guarda all’immondizia in arrivo da altri Paesi. Ecco come funziona.
Energia dai rifiuti. Amager Bakke, rinominato anche Copenhill perché ambisce a rappresentare una collina verde, dentro la città danese, è stato costruito da una società di cinque Comuni. Ha iniziato a funzionare a settembre 2017 in sostituzione di un altro inceneritore arrivato a 45 anni di anzianità. Con due linee di combustione, brucia in totale 70 tonnellate di rifiuti all’ora: in un anno, può trattare circa 400mila tonnellate di spazzatura, prodotta da 550-700mila cittadini e 46mila imprese. L’energia sprigionata dalla combustione torna alle famiglie sotto forma di elettricità per 50mila utenze e calore per 120mila. Per avere un termine di paragone, l’impianto di Brescia, il più grande d’Italia con oltre 700mila tonnellate incenerite nel 2017 ma una tecnologia più datata, produce energia elettrica pari al fabbisogno di oltre 200mila famiglie e calore per oltre 60mila appartamenti.
Non proprio vapore acqueo. “Gli amanti dello sci hanno bisogno di non preoccuparsi per la qualità dell’aria sul versante dello stabilimento”, si legge in una brochure della Babcock & Wilcox Vølund, azienda danese che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi, per ridurre le emissioni inquinanti dell’impianto. L’azienda assicura che l’inceneritore di Amager Bakke “rispetto al vecchio impianto riduce del 99,5 per cento le emissioni sulfuree e minimizza quello degli ossidi di azoto a un decimo”. Prestazioni avanzate, è vero, anche se nel fumo che esce dall’altissimo camino non c’è solo vapore acqueo, come qualcuno arriva a dire in questi giorni. La Vølund assicura che l’impianto manterrà le emissioni degli ossidi di azoto entro i 15 mg/Nm3, il monossido di carbonio sotto i 50, ammoniaca non oltre i 3, così come il carbonio organico totale. Se si osservano i dati delle emissioni di forni italiani (anch’essi frutto di autodichiarazioni da parte degli impianti), si osserva che i vantaggi dell’impianto di Copenaghen riguardano soprattutto gli ossidi di azoto, composti associati alla combustione (compresa quella da traffico) molto dannosi per l’apparato respiratorio. Per fare un confronto con l’inceneritore del Gerbido di Torino, entrato in funzione nel 2013, in media nel mese di settembre 218 la linea 1 dell’impianto ha emesso 2 mg/Nm3 di ossido di carbonio, 0,1 di carbonio organico totale, 0,7 ammoniaca, ma quasi 26 mg/Nm3 di ossidi azoto.
Sciare sull’inceneritore. A far parlare molto dell’impianto prima ancora della sua apertura al pubblico prevista per la primavera 2019 sono però, oltre alle prestazioni ambientali, le attività che si possono fare sul tetto e su uno dei lati. Copenhill ospiterà una pista da sci, percorsi su cui correre e passeggiare, un’area verde per il pic nic, una parete di arrampicata alta 80 metri, oltre che un ristorante e un bar. Costato circa 500 milioni di euro, di grosse dimensioni per raggiungere alti livelli di efficienza, adesso Amager Bakke conta sui turisti e sui rifiuti in arrivo da fuori confine per ripagare il cospicuo investimento.
Modello danese? Mentre la Lega propone un inceneritore per provincia e il Movimento 5 stelle non ne vuole neanche uno, gli operatori del settore rifiuti ricordano che per chiudere il ciclo ad oggi serve anche l’incenerimento. Per far diventare realtà l’economia circolare bisognerà puntare su riduzione dei rifiuti e di imballaggi non riciclabili, riuso, riciclo, affrontando però di pari passo il problema della parte della spazzatura impossibile da rigenerare. Oggi nelle regioni del Sud senza inceneritori questi scarti raggiungono il Nord o vanno in discarica con punte dell’80 per cento in Sicilia e del 58 in Calabria. Ma di fronte alle richieste dell’Europa di non superare il 10 per cento di rifiuti interrati entro il 2035 diventa molto difficile fare a meno degli altri impianti di smaltimento, seppur brutti e inquinanti.
In questo quadro, la Danimarca può davvero essere un modello da replicare? Non più di tanto. Copenaghen ha sì un impianto di combustione considerato all’avanguardia, ma ha avviato solo di recente la raccolta dei rifiuti organici, che da soli rappresentano circa un terzo degli urbani e sono una risorsa per produrre biometano e biogas. Non solo.
Nel Paese che vuole raggiungere il 50 per cento di riciclo entro il 2022 e la cui capitale sogna di diventare a emissioni zero entro il 2025, c’è il problema opposto a quello italiano: una sovraccapacità di incenerimento, con 28 impianti attivi per meno di 6 milioni di abitanti. L’incenerimento, seppur a ridotte emissioni e alti livelli di accettazione da parte dei cittadini, qui non si ferma alla gestione dei rifiuti ma è anche una strategia di sviluppo industriale. Lo stesso Copenhill, ha spiegato il direttore Clima della città di Copenaghen Jorgen Abildgaard, è stato sovradimensionato per ottenere dei benefici in termini di efficienza e ora come gli altri 27 cercherà rifiuti sui mercati stranieri. Tra il 2013 e il 2015, si legge nel rapporto annuale sul tema del ministero dell’Ambiente danese, l’importazione di rifiuti per l’incenerimento è passata da 160mila a 350mila tonnellate: oggi rappresentano l’11 per cento della spazzatura bruciata nel Paese e arrivano soprattutto dalla Gran Bretagna. Ma lo spazio nei forni c’è e la Danimarca guarda a tutta l’Europa, Italia compresa. Così, mentre da noi si litiga, chissà che qualcuno a Copenaghen già non pensi ai treni di immondizia che potrebbero arrivare dalla penisola per far marciare gli impianti danesi.
Fonte: ilfattoquotidiano del 19.11.2018