mercoledì 31 luglio 2024

L`obelisco incompiuto di Assuan, Egitto.

 

L'obelisco incompiuto di Assuan è un obelisco egizio la cui estrazione non è stata completata, probabilmente a causa della comparsa di fenditure nella roccia.[1] Si trova disteso su un fianco in una grande cava di granito rosa circa 2 km a sud della città di Assuan, in Egitto. Il lato inferiore non è stato distaccato dalla roccia per l'abbandono del progetto a causa delle fenditure nel granito.

Lungo 41,75 metri con una base di 4,2 x 4,2 metri, sarebbe stato il più alto del mondo se fosse stato completamente estratto ed eretto. Il suo peso è stimato in circa 1.200 tonnellate. Si pensa che risalga al regno del faraone Tuthmosis III e che facesse parte di una coppia di obelischi il cui secondo esemplare, l'obelisco del Laterano, era situato a Karnak ed ora si trova a Roma di fronte alla Basilica di San Giovanni in Laterano.[2]

L'area dove si trova è stata dichiarata un museo all'aperto dal governo egiziano ed è visitata costantemente da tanti turisti.


https://it.wikipedia.org/wiki/Obelisco_incompiuto_di_Assuan

Abitazioni sotterrnee Matmata - Tunisia

 

Nella città berbera di Matmata in Tunisia, le tradizionali abitazioni sotterranee sono una caratteristica notevole dell'architettura locale. Queste case, note come case troglodite, sono scavate nel terreno per fornire isolamento naturale contro le temperature estreme della regione.

Il design sotterraneo aiuta a proteggere i residenti dal caldo estivo e dai freddi venti invernali.

Le abitazioni consistono tipicamente in un grande pozzo centrale, intorno al quale le stanze sono scolpite nella terra, creando uno spazio abitativo unico ed efficiente. Queste case non solo offrono benefici pratici ma riflettono anche l'ingegno e il patrimonio culturale del popolo berbero.

Matmata ha guadagnato ulteriore fama quando la sua architettura caratteristica è stata inclusa nel film originale di Guerre stellari come la casa d'infanzia di Luke Skywalker. 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=476059441813528&set=a.139082628844546

I tachioni sfidano la fisica moderna. - Denise Meloni

 

I recenti progressi nella teoria dei tachioni hanno affrontato le incongruenze del passato incorporando sia gli stati passati che quelli futuri nelle condizioni al contorno, portando a una nuova teoria dell’entanglement quantistico e suggerendo un ruolo fondamentale nella formazione della materia.

I tachioni: gli “enfant terrible” della fisica moderna.

I tachioni sono particelle ipotetiche che viaggiano a velocità superiori a quella della luce. Queste particelle superluminali sono gli “enfant terrible” della fisica moderna. Fino a poco tempo fa, erano generalmente considerati entità che non rientravano nella teoria speciale della relatività.

Uni studio appena pubblicato dai fisici dell’Università di Varsavia e dell’Università di Oxford ha dimostrato tuttavia che molti di questi pregiudizi erano infondati. I tachioni non solo non sono esclusi dalla teoria, ma ci permettono di comprenderne meglio la struttura causale.

Lo studio.

Il moto a velocità superiori a quella della luce è uno degli argomenti più controversi della fisica. Fino a poco tempo fa, erano ampiamente considerate creazioni che non rientravano nella teoria speciale della relatività.

Finora erano note almeno tre ragioni per la non esistenza del tachione nella teoria quantistica. La prima: si supponeva che lo stato fondamentale del campo tachionico fosse instabile, il che avrebbe significato che tali particelle superluminali avrebbero formato delle `valanghe’.

La seconda: si supponeva che un cambiamento nell’osservatore inerziale avrebbe portato a un cambiamento nel numero di particelle osservate nel suo sistema di riferimento, ma l’esistenza di, diciamo sette particelle, non può dipendere da chi le sta osservando. La terza ragione: l’energia delle particelle superluminali potrebbe assumere valori negativi.

Nel frattempo, un gruppo di autori: Jerzy Paczos, che sta conseguendo il dottorato di ricerca presso l’Università di Stoccolma, Kacper Dębski, che sta completando il dottorato presso la Facoltà di Fisica, Szymon Cedrowski, studente dell’ultimo anno di Fisica (studi in inglese), e quattro ricercatori più esperti: Szymon Charzyński, Krzysztof TurzyńskiAndrzej Dragan (tutti della Facoltà di Fisica dell’Università di Varsavia) e Artur Ekert dell’Università di Oxford, hanno appena sottolineato che le difficoltà incontrate finora con i tachioni avevano una causa comune.

Si è scoperto che le “condizioni al contorno” che determinano il corso dei processi fisici includono non solo lo stato iniziale ma anche lo stato finale del sistema. I risultati del team internazionale di ricercatori sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista Physical Review D.

Per dirla in parole povere: per calcolare la probabilità di un processo quantistico che coinvolge i tachioni, è necessario conoscere non solo il suo stato iniziale passato, ma anche il suo stato finale futuro. Una volta che questo fatto è stato incorporato nella teoria, tutte le difficoltà menzionate in precedenza sono completamente scomparse e la teoria dei tachioni è diventata matematicamente coerente. “È un po’ come la pubblicità su Internet: un semplice trucco può risolvere i tuoi problemi“, ha affermato Andrzej Dragan, principale ispiratore dell’intera iniziativa di ricerca.

L’idea che il futuro possa influenzare il presente invece che il presente determini il futuro non è nuova in fisica. Tuttavia, fino ad ora, questo tipo di visione è stata al massimo un’interpretazione non ortodossa di certi fenomeni quantistici, e questa volta siamo stati costretti a questa conclusione dalla teoria stessa. Per ‘fare spazio’ ai tachioni abbiamo dovuto espandere lo spazio di stato“, ha aggiunto Dragan.

Conclusioni

Gli autori hanno previsto anche che l’espansione delle condizioni al contorno abbia le sue conseguenze: un nuovo tipo di entanglement quantistico appare nella teoria, mescolando passato e futuro, che non è presente nella teoria convenzionale delle particelle.

Lo studio ha anche sollevato la questione se i tachioni descritti in questo modo siano puramente una “possibilità matematica” o se tali particelle siano probabili da osservare un giorno.

Secondo gli autori, tali particelle non sono solo una possibilità, ma sono, di fatto, una componente indispensabile del processo di rottura spontanea responsabile della formazione della materia. Questa ipotesi significherebbe che le eccitazioni del campo di Higgs, prima che la simmetria venisse spontaneamente rotta, potrebbero viaggiare a velocità superluminali nel vuoto.

https://reccom.org/i-tachioni-sfidano-la-fisica-moderna/

LA LISTA DEI RE SUMERI E GILGAMESH DI URUK.


 

Esiste una lista di re, chiamata “lista reale sumerica”, che risale, nella sua ultima compilazione, al 1900 a.C., durante la dinastia di Isin. In questa lista, la storia umana viene divisa in tre parti: un’epoca pre-diluviana e un’epoca post-diluviana.
Nella prima parte della lista troviamo un elenco di re, i cui periodi di reggenza sono conteggiati da una strana unità di misura, denominata “sar”, unità di misura che corrisponde a 3600 anni. I primi dieci re regnarono complessivamente per 240.400 anni. Alla fine di questa prima lista di re “mitici”, è scritto: “Il Diluvio cancellò ogni cosa. Dopo che il Diluvio spazzò via ogni cosa e la regalità fu discesa dal cielo, il regno ebbe dimora in Kish”.
Il Diluvio universale, per le genti sumeriche e per quelle che succedettero loro nei territori mesopotamici, era una realtà.
La Lista Reale continua con i sovrani di epoca post-diluviana, il cui periodo di reggenza non viene più calcolato in quella strana unità di misura, “sar”, ma in anni umani. E notiamo un’altra cosa: i re non regnano più per migliaia di anni, ma per svariate centinaia d’anni.
I sumeri non hanno un mito della creazione. Gli interventi su questo punto sono molteplici, molti studiosi si sono arrovellati sul perché questo popolo non abbia un mito della creazione e alcuni hanno voluto rinvenirlo in alcune righe molto fumose che parlano di “quando il cielo non esisteva e quando la terra non esisteva”; ma il dato incontrovertibile, al di là delle interpretazioni e delle disquisizioni, è che un mito della creazione sumerica non c’è. La ragione è semplice: leggendo i componimenti rinvenuti, ci si avvede immediatamente di trovarsi di fronte a un popolo che non filosofeggia, al quale non interessano le teogonie e tantomeno la teologia. I componimenti sono asciutti, schematici e hanno carattere narrativo. Tutto quanto ivi contenuto è percepito come una realtà – storica o mitica, non sta a noi dirlo – composta fondamentalmente di due temi: il diluvio universale, percepito come la rottura di un’antica alleanza tra uomini e dèi, e la perdita dell’immortalità da parte della razza umana.
Il terzo dato riguarda Gilgamesh di Uruk, che, secondo la nostra lista reale, è l’ultimo re a regnare per più di 100 anni, e sul quale è stata scritta la più antica epopea della storia, risalente – lo sappiamo dai sigilli cilindrici – addirittura a prima della nascita della scrittura. A partire da questi dati, con l’aiuto dei testi, cercheremo di capire qualcosa di più di questa prima civiltà umana conosciuta, che è assolutamente atipica: i testi sumerici sono sempre brevi, distaccati, privi di filosofia e a carattere narrativo. In essi, molto spesso, notiamo ripetizioni simili a litanie, come se per lungo tempo le storie fossero state tramandate da una tradizione orale. Alcuni studiosi, come sir Wooley, che lavorò agli scavi di Ur, hanno provato a teorizzare che il Diluvio non fosse stato, in realtà, che un’esondazione del fiume Eufrate, apparsa come un cataclisma universale dalle genti mesopotamiche. Questa teoria non è mai stata universalmente accettata e la ragione è semplice: chiunque abbia letto i racconti sul Diluvio e dell’importanza che questo ebbe non solo a Ur, ma per tutte le genti mesopotamiche e per altri ben noti e lontani popoli nel corso dei millenni, non potrà mai accettare una tesi del genere.
Gilgamesh è l’ultimo re a regnare per più di 100 anni. Era figlio di una dea: era quindi per 2/3 divino e per 1/3 umano. Perché per 2/3 divino, e non per metà? Perché la madre – non il padre – era divina: in questo dettaglio vediamo l’eco di antiche tradizioni, compresa quella egizia, in cui la matrilinearità del sangue era la garanzia della purezza della stirpe regale: modernamente, potremmo dire che Gilgamesh è per 2/3 divino perché il suo DNA mitocondriale appartiene alla razza divina. Sia come sia, la missione della sua vita è quella di recuperare l’immortalità perduta dalla razza umana che lui ritiene gli spetti di diritto. Per questo, dopo avere superato moltissime prove iniziatiche con l’amico Enkidu, giunge alla fine, da solo, nel luogo in cui si era ritirato Utnapishtim, l’ultimo immortale. Utnapishtim dice al re di Uruk che la sua immortalità è stata decretata dall’assemblea degli dei al completo, ma che ora il destino degli uomini è la morte: “e chi potrà riunire per te, o re, l’assemblea degli dei?”. Così, pur dicendogli che sarebbe stato impossibile raggiungere l’immortalità, Utnapishtim mette alla prova Gilgamesh e gli ordina di non dormire per sette giorni e sette notti, ossia sempre per il tempo mitico legato alla durata del diluvio. Gilgamesh, provato dal lungo viaggio, fallisce la prova. Ma la moglie di Utnapishtim gli confida che nell’Abzu, casa del dio Enki, cresce una pianta della giovinezza, e gli spiega come trovarla. Presa la pianta, il re di Uruk fa per tornare alla città, soddisfatto del suo viaggio, ma fa un errore: sulla via del ritorno, mormora fra sé che non avrebbe mai tenuto quella pianta solo per sé: l’avrebbe condivisa con tutti i vecchi della città, per riportare l’umanità al suo splendore. È allora che dalle acque del fiume esce un serpente, animale sacro a Enki, che divora la pianta e immediatamente cambia pelle, ringiovanendo. Ciò significa che Gilgamesh avrebbe potuto tenere la pianta per sé ma, nel momento in cui sceglie di condividerla con tutti, il dio Enki è costretto a riprendersela, perché Enki aveva giurato davanti all’assemblea che l’umanità non avrebbe potuto tornare a essere immortale. Il singolo, a quanto capiamo, sì, ma dopo prove terribili da superare in prima persona e che possono portare alla morte, come fu per Enkidu.
(Tratto da: La storia inizia a Sumer – dal mito al rito di Anna Bellon)

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Le sfere di pietra - Costa Rica

 

Le sfere di pietra qui raffigurate non sono una scena di un film di fantascienza; sono reali e si trovano in una zona remota della Costa Rica. Alcune sono sfere perfette. Il mistero sta in chi li ha fatti e perché. Come le Piramidi e la Sfinge, queste sfere non possono essere datate utilizzando il metodo radiocarbonio C14, che data solo materiale organico presente sulle pietre. Se le sfere fossero state lavate, ogni traccia databile sarebbe stata cancellata.

Gli archeologi hanno collegato queste sfere alla cultura Diquís, che esisteva intorno al 600 d.C. Tuttavia, questo non spiega come una popolazione presumibilmente primitiva possa intagliare diverse centinaia di sfere perfette, con la più grande misura 2,66 metri di diametro. Creare una sfera perfetta senza strumenti avanzati è incredibilmente difficile.
Sorgono domande: altre popolazioni antiche erano capaci di questo lavoro? Fino a poco tempo fa, si credeva che la cultura originale delle Americhe fosse il Clovis, risalente a 14.000 anni fa. Tuttavia, una ricerca pubblicata intorno al 2020 suggerisce che gli esseri umani vivevano nel Messico centrale almeno 30.000 anni fa. Studi genetici indicano che queste popolazioni avevano antenati provenienti dal Sundaland e dalla Siberia, non dal Nord America, suggerendo una storia più complessa.
Rifletti su quanto rare siano le sculture a forma di sfera nella storia. Cosa ha ispirato questi antichi popoli a crearne centinaia in una piccola regione? Il mistero dura, sfidando la nostra comprensione delle civiltà antiche.

Acquedotto, Iran

 


Nel 2015, un progetto di costruzione come tanti ha cambiato la storia di Borujerd, Iran. Mentre stavano lavorando sui resti di un castello antico, gli operai sono incappati in un incredibile scoperta: un antico sistema di acquedotti nascosto nel profondo della terra.

Quest'incredibile labirinto di tubi di argilla e recipienti di ceramica è un esempio strabiliante di come gli antichi avevano una conoscenza avanzata della gestione dell'acqua. Molti ritengono che il sistema risalga al periodo Sassanide (224-651 d.C.), ma alcuni esperti suggeriscono che potrebbe essere ancora più antico.

Gli strumenti e le tecniche usate per realizzare l'acquedotto dimostrano un livello di abilità ingegneristica che sfida qualunque pregiudizio che possiamo avere sulla tecnologia antica.

Questo ritrovamento importante, con il suo design avanzato per la purificazione e distribuzione dell'acqua, suggerisce una civiltà con abilità tecniche straordinarie.

La ricerca continua, con lo scopo di scoprire le origini precise dell'acquedotto, alimentando il mistero e i quesiti su chi l'ha costruito e quali altri segreti potrebbero essere sepolti sotto la superficie.