sabato 4 febbraio 2017

L’Italexit, il gattopardo e i sovranisti con il cerino in mano. - Rosanna Spadini e Valdo




Il fatto che la sindaca Virginia Raggi sia tenuta sotto interrogatorio per più di otto ore, che nemmeno Totò Riina, dimostra non solo che la giustizia al servizio dell’establishment azzanna le proprie vittime puntuale come un orologio al quarzo, ma anche che la rivoluzione dei 5 Stelle sta colpendo i gangli vitali del sistema affaristico mafioso, sia romano che nazionale, visto che i sondaggi li danno al 31,7% e oltre. Però altre faglie, cariche di energia, sono pronte a deflagrare.
Intanto è iniziato il conto alla rovescia degli ultimi mesi dell’euro e della implosione dell’Eurozona, il progetto neoliberista, ereditato dal secolo scorso, sembra sottoposto a movimenti tellurici senza precedenti, mentre l’ideologia dominante, espressione delle oligarchie internazionali, sostenuta dalla superbia boriosa della casta bipartisan, sta riposizionandosi per affrontare meglio il Titanic. Multinazionali che continuano ad investire nel debito di un Paese, sottoposto all’austerity più bastarda.
Da l’insediamento del presidente tycoon, l’ideologia neoliberista è crollata di schianto, come fosse stata travolta dal cumulo di nefandezze che l’hanno gratificata fino a ieri. È il tempo della velocità accelerata della storia, che mostra la cruda verità dei fatti, di una democrazia liberale liquida simile ad un guscio vuoto, ove i veri poteri sovranazionali governano la vita dei popoli, ridotti a masse globalizzate prive di identità e coscienza.
Anche i vecchi partiti si stanno squagliando come neve al sole, mentre cercano di rinascere sotto le mentite spoglie dei vari movimenti, e le promesse di giustizia sociale e welfare appaiono solo esercizi retorici puramente formali. Dopo la batosta del referendum, la prima forza politica ad entrare in crisi è certamente il PD (24,1%), che vede polverizzarsi le iscrizioni, desertificarsi i circoli, e dilazionare miseramente il congresso a scadenza indeterminata.
Nello stesso tempo, Vincenzo De Luca, pronto a lasciare il PD renziano, trasforma la sua lista civica in movimento politico personale Campania libera, prendendo le distanze da Renzi. Michele Emiliano minaccia la diaspora, sostenuto dalla sua omertosa rete di potere e viene spiazzato dalla sfida di D’Alema, che sta sondando Vendola e Fratoianni per la nascita di un soggetto politico più a  sinistra, che vuole sfidare il PD renziano, e che mutua il linguaggio direttamente da Dibba dei 5 Stelle.
Narcisismi da leadership consumate ostentano pubbliche virtù inesistenti, mentre le politiche globalizzanti e internazionaliste hanno dettato legge, consumando quel che resta di una vita sociale sempre più dilaniata dalla disoccupazione giovanile (più del 40%) e dai livelli di povertà in continua ascesa.
Naturalmente anche il polo di destra sta vivendo una stagione da tè nel deserto, a meno che in vista del proporzionale non si rianimi e riesca a diventare una cosa più consistente, nell’amalgama dei soliti noti: a meno che i due giovani virgulti non Berlusconi, Verdini, Alfano, Casini … e forse anche Salvini e Meloni, abbiano intenzione di tenere fede al patto stretto con gli elettori per l’uscita. Però la Lega e FdI hanno da sempre puntellato il sistema.
Dunque, sia il quadro politico che quello economico sono destinati a subire trasformazioni di ampia portata nel giro di breve tempo e l’offerta politica è destinata a mutare molto rapidamentesotto gli effetti delle vicende internazionali.
Per la prima volta, il Maestro dell’Ordine, Mario Draghi, ha ammesso la possibilità che l’UE possa disgregarsi, puntualizzando che tutti i Paesi membri che intendono recidere i legami dovranno però prima onorare i loro debiti.  Come dire, vai pure, però paga il pizzo.
Poi, in un’intervista al Financial Times, Peter Navarro, presidente del nuovo Consiglio Nazionale del Commercio di Trump, lancia un durissimo attacco alla Germania, accusata di approfittarsi di un euro definito un «marco implicito esageratamente svalutato». L’amministrazione Trump inserisce la Germania nella lista dai paesi da controllare per il dumping valutario, parte di una più ampia strategia che secondo Navarro è finalizzata a riportare sul suolo americano una robusta catena nazionale di finanziamenti che stimoli il lavoro e la crescita dei salari.
Ok, insomma l’abbiamo capito … l’euro è sul viale del tramonto, ma chi gestirà la transizione dell’Italexit? Il movimento sovranista, il M5S o semplicemente l’establishment al potere?
Valdo
A partire dall’insediamento del governo Monti e degli altri esecutivi-Troika, ha cominciato a diffondersi nel mondo euroscettico italiano il termine “sovranismo”. L’ideale sovranista in soldoni chiede che sia applicata la Costituzione, che attribuisce la sovranità al popolo (a partire dalla sovranità monetaria e fiscale) e ne vieta la cessione a entità sovranazionali, tanto più se private come la Bce. Il sovranismo ha ispirato diversi movimenti e partitini, tra i quali Alternativa per l’Italia, Riscossa Italiana e il Fronte Sovranista Italiano, fermi da anni a percentuali da prefisso telefonico.
Nel microcosmo sovranista (parliamo di decine di migliaia di persone in tutta Italia, non di più) da qualche anno si individuano compatibilità con la Lega, che pure per storia e secondo lo Statuto del 2015 è autonomista, e con FdI, mentre generalmente si sostiene che il M5S sovranista non è, in quanto sul tema euro sarebbe troppo confuso e ondivago, se non proprio nascostamente eurista. Se i numeri sono questi, perché occuparsi del sovranismo?
Ma perché la nostra previsione è che a breve milioni di italiani si scopriranno sovranisti! Solo che non sarà il movimento sovranista ad avvantaggiarsene né a risultare determinante. E questo anche per scelta sua. Vediamo perché.
1. L’euro non durerà ancora molto. La sua insostenibilità economica e sociale unita a un clima internazionale profondamente mutato, con Donald Trump che spinge per misure protezionistiche e sta scaricando palesemente Bruxelles, stanno conducendo la moneta unica al capolinea. L’establishment lo sa (Draghi ammette la non irreversibilità dell’euro e fa i conti per la separazione consensuale, Mediobanca, sì, proprio Mediobanca, esce con uno studio secondo cui dall’eurexit l’Italia avrebbe solo da guadagnare) e si sta preparando a gestirne la dissoluzione. In fondo il sistema euro non è che uno strumento del capitale per massimizzare i profitti e, quando smette di funzionare, può essere sostituito da un nuovo sistema più efficiente che giunga agli stessi risultati.
Semplice gattopardismo. Se questo è il quadro, a che cosa servono partiti fondati sul concetto di sovranismo? La risposta è semplice: potrebbero avere qualche utilità e senso forse ancora per un anno o due, poi non serviranno a nulla. Se si recupera sovranità monetaria e quindi fiscale, e visto che il tema della sovranità “territoriale” (immigrazione) è già in mano ad altri partiti ben più radicati, il sovranismo come base ideologica non avrà più senso. O un partito sovranista entra in Parlamento nelle prossime elezioni (2017 o 2018) e dà un contributo per influenzare la coalizione di governo o, un giorno dopo la dissoluzione dell’euro, che avverrà comunque prima delle elezioni successive, esso sarà superato.
C’è di più: non solo i partitini sovranisti saranno a breve già superati ma il tema stesso del sovranismo rischia di andare presto in soffitta. Fra poco infatti saranno gli stessi Renzi, Bersani, Prodi, Berlusconi, Brunetta a spiegare agli italiani che bisogna dissolvere la moneta unica. E la stessa stampa mainstream, finora faziosamente eurista per servilismo verso l’establishment, si incaricherà di persuadere la gente della bontà dell’exit, sempre in virtù del proprio servilismo e conformismo. Se qualcuno pensa che a convincere la massa saranno i vari Barnard, Bagnai, Barra Caracciolo e compagnia bella, non ha ben capito come funzionano politica e comunicazione di massa.
2. Se tra poco il sovranismo sarà superato, l’appoggio palese a Lega e FdI e la concomitante avversione verso il M5S, che viene attaccato da gran parte dei sovranisti in modo continuo e sarcastico, si configura come una scelta perdente anche per incidere nel breve lasso di tempo che ci separa dall’implosione dell’euro. Sarebbe infatti curioso sapere come i sovranisti pensino di arrivare al governo subito, prima che i soliti partiti si approprino del tema, unendo i loro pochissimi voti a quelli di Lega e FdI, che in due fanno il 15/16% ad essere ottimisti. Dovrebbe essere ovvio che se i sovranisti vogliono che la loro causa si imponga alle prossime elezioni, devono per forza considerare come interlocutore il 30% e oltre del M5S, senza il cui aiuto Salvini, la Meloni e loro stessi non potranno governare un bel nulla.
Delle due l’una, dice la logica: o si concede fiducia critica al M5S, smettendo di attaccarlo sistematicamente e di accusarlo di essere cavallo di Troia dell’eurismo nel fronte euroscettico, in previsione di un accordo post-elettorale; oppure lo si attacca e ci si pone alternativi ad esso, ma in quel caso occorre ammettere che l’exit lo gestiranno il Pd e/o FI, nei tempi e nei modi che desidereranno. Come mai, allora, i vertici dei micropartiti sovranisti, che stupidi non sono, fanno credere ai loro elettori in una grande futuro del movimento sovranista e nel presente promuovono costantemente l’attacco al M5S mentre strizzano l’occhio a Lega e FdI?
L’unica ipotesi sensata è che essi sappiano benissimo come stanno le cose e che cerchino semplicemente di accumulare un pacchettino di voti da strappare al M5S e da portare in dote al centrodestra (che comprenderà anche Berlusconi). Alla fin fine, insomma, in cambio di qualche poltrona accettano che l’exit lo gestiscano gli stessi che, assieme al centro-sinistra, hanno amministrato vent’anni di euro. Riverniciati, ma sono sempre loro. La cosa a certuni può anche stare bene. Ma è onesto che si sappia, prima di dare a destra e manca patenti di gatekeeping.

- “O mascalzoni o coglioni” - l'editoriale di Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano del 4 febbraio

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Per un attimo, l’altroieri, abbiamo segretamente sperato che nelle sette e più ore di interrogatorio i magistrati avessero finalmente e inoppugnabilmente incastrato Virginia Raggi in una grande storia di corruzione, in un romanzo criminale degno dei paragoni che ancora ieri i valorosi segugi dei giornaloni facevano con “la Milano di Mani Pulite” (Repubblica) e addirittura con House of cards (La Stampa). Così, pensavamo, questa donna minuta soverchiata da un compito troppo più grande di lei avrebbe trovato una via d’uscita per scendere dal calvario su cui l’hanno issata i cittadini romani sette mesi fa e riconsegnare la Capitale nelle mani sapienti di chi l’aveva così ben governata fino all’anno scorso. 
Una bella tangente camuffata da polizza vita, sia pure di soli 33.500 euro, era un’ottima scappatoia per farla finita con gli errori, i collaboratori infidi, i nemici interni, i direttorii, i commissari grillini, i linciaggi a mezzo stampa e tv basati su invenzioni e panzane varie, le accuse per tutto quel che accade sotto il Cupolone (dalla pioggia ai licenziamenti di Sky). E, diciamolo, anche una riabilitazione dall’offesa più sanguinosa: quella di non saper fare niente, neppure rubare. 

Che, in tempi di beatificazione di San Bettino, è un peccato mortale.

– Poi purtroppo, quando già pregustavamo nuovi succulenti particolari sui “tesoretti segreti” per “garantire un serbatoio di voti a destra” al M5S (Repubblica), 


sui “voti comprati” (Il Messaggero), 

sui “finanziamenti occulti giunti al Movimento 5 Stelle” ma non tutti, “solo una parte” (Corriere), astutamente nascosti da Salvatore Romeo in alcune polizze domiciliate sul suo conto in banca con tanto di sua firma,

e naturalmente sull’“accusa di corruzione” che sarebbe “vicina” (La Stampa), 

senza contare l’intensissima attività sentimentale della Messalina del Campidoglio che si mangia un uomo via l’altro, da Frongia a Marra a Romeo a chissà quanti altri, 

è giunta come un fulmine a ciel sereno la nota della Procura di Roma (ovviamente nascosta dai siti dei giornaloni e dai telegiornaloni): nessuna nuova ipotesi di reato, nessuna rilevanza penale, i pm sono convinti che la Raggi dica la verità quando afferma di non aver mai saputo di quella polizza (come 5 dei 6 beneficiari delle altre accese da Romeo), discorso chiuso. Dopo 420 e passa minuti sotto il torchio dei pm, il minimo che ci si possa augurare è che questi le abbiano contestato tutto il contestabile e che ora le facciano sapere le loro conclusioni: o la arrestano, o la lasciano stare. 

Magari dedicandosi un po’ anche ad altre vicenduole. Come lo scandalo Consip-Lotti-Del Sette&C. sul più grande appalto (truccato) d’Europa e le microspie scomparse. Quindi peggio per Virginia: invece di tornarsene a casa,dovrà restare in Campidoglio e provare a governare Roma. Che poi è la peggiore delle condanne.
Archiviata questa tragicomica vicenda delle polizze all’insaputa dei beneficiari e fornita la sua versione sulla nomina di Renato Marra a direttore del Turismo comunale e su tutto il contorno davanti ai pm e (finalmente) ai cittadini nell’in – tervista a Mentana, restano in piedi tutte le questioni che anche ieri segnalavamo: i nemici interni sempre in assetto di guerra (ma levargli i social, no?), i collaboratori spesso inadeguati e inaffidabili, i bombardamenti esterni, i sistematici sabotaggi dei poteri marci dovrebbero indurla a una seria riflessione sulle sue possibilità di continuare o sull’eventualità di dimettersi per non aver commesso il fatto. 

Con un’aggiunta: la storia delle polizze a sua insaputa, anche se vera (come ritengono gli stessi pm), l’ha coperta suo malgrado di ridicolo.
E non si governa una macchina complicata, anzi impazzita come il Comune di Roma, con 22mila e più dipendenti, senza la necessaria autorevolezza.
Ma queste sono valutazioni che può fare soltanto lei (magari facendo benedire il Campidoglio da un esorcista, previo bagno integrale in una piscina di Lourdes).
Perché prescindono dalle faccende penali che paiono ridimensionarsi.
E riguardano altro: la sua padronanza dei dossier della Capitale; la sua capacità di scegliere le persone giuste in un contesto marcio dalle fondamenta; l’efficienza di una giunta continuamente avvicendata e commissariata; i rapporti con un movimento che, a Roma, la sostiene come la corda l’im -piccato; e anche la sua tenuta personale, umana, psicologica, sotto un fuoco concentrico che piegherebbe anche Rambo e che continuerà fino all’ultimo giorno del suo mandato.


Con gli attuali assetti delle tv e dei giornali, se non si trovano scandali veri, se ne inventano di falsi e li si gonfia a reti ed edicole unificate fino a farli apparire veri, o si continua a trasformare le pagliuzze in travi.[…]


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Prescrizione: da tre anni la riforma in Parlamento. Che fine ha fatto?

I familiari delle 32 vittime della strage di Viareggio in attesa della sentenza al processo a Lucca © ANSA

Dopo ok Camera il 24 marzo 2015 è fermo a causa dello scontro in maggioranza.

Dopo la prima sentenza sulla strage di Viareggio  arrivata a sette anni da quel terribile incidente, torna alla ribalta il tema della riforma della prescrizione. Il testo in materia in Senato ma è fermo da tempo.
Nei mesi scorsi a denunciare lo stallo lo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando. "I processi di riforma - ha detto - avrebbero bisogno di coalizioni politiche che le sostengono: se ci sono forze politiche che hanno visioni diverse, non si ottiene una totale uniformità. La riforma della prescrizione è inchiodata da un anno e mezzo, e non un caso. Nel civile, invece, siamo andati avanti".
E' da tre anni - infatti - che in Parlamento si discute della riforma della prescrizione. Il 28 febbraio 2014 la presidente della commissione Giustizia di Montecitorio, Donatella Ferranti (Pd), deposita un provvedimento in proposito che viene approvato quasi un anno dopo, il 24 marzo 2015. Ma al Senato il provvedimento si ferma anche a causa della tensione interna alla maggioranza.
Dopo una lunga discussione in commissione il provvedimento approda in Aula nel settembre scorso. Ma, sempre a causa delle divisioni nella maggioranza e dei numeri risicati al Senato l'esame viene sospeso e si procede a una inversione del calendario d'esame a favore del ddl sul cinema. Il testo è riapparso all'ordine del giorno di Palazzo Madama a partire dal prossimo 28 febbraio. Sarà la volta buona?
Intanto metà gennaio un nuovo richiamo all'Italia perchè si metta in regola su questo fronte. E, dopo l'ok del Senato il provvedimento, già modificato in commissione e che contiene, tra l'altro, anche le norme sulle intercettazioni, dovrà comunque tornare alla Camera.
Il primo febbraio scorso il ministro della Giustizia Andrea Orlando, parlando in Aula al Senato ha sottolineato di ritenere prioritario il provvedimento ma ha anche avvertito che, in ogni caso, la riforma non potrà incidere sui processi in corso. "Considero prioritaria - ha detto Orlando - l'approvazione del disegno di legge" che riforma la prescrizione, "ho avuto anche una discussione con il governo precedente. Ma qualunque intervento realizzeremo non avrà alcun valore sui processi in corso".

Cgia, sprechi ed inefficienze nella P.A. costano 16 miliardi l'anno.

Un dipendente ministeriale varca i tornelli © ANSA


Da migliore gestione patrimonio, aiuti e detrazioni altri 16mld.

Tra gli sprechi nella sanità, le misure di contrasto alla povertà percepite da famiglie abbienti e la quota di spesa pubblica indebita denunciata dalla Guardia di Finanza, l'Ufficio studi della Cgia ha stimato in 16 miliardi di euro all'anno le uscite che la pubblica amministrazione italiana potrebbe risparmiare se funzionasse meglio. Se, inoltre, si potesse quantificare anche la spesa riconducibile ai falsi invalidi, a quella riferita a chi percepisce deduzioni fiscali non dovute o alla cattiva gestione del patrimonio immobiliare, molto probabilmente lo Stato potrebbe risparmiare, per la Cgia, altrettanti milioni di euro.
Una montagna, quella degli sprechi della Pa, che, secondo la Cgia, assume una dimensione ancor più preoccupante se si tiene conto dei dati forniti dal Fondo monetario internazionale. Se la Pa, rileva la Cgia, avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, che ha nei migliori territori del Paese, il Pil aumenterebbe di 2 punti (oltre 30 mld/anno di euro).  
"Dopo aver approvato in fretta e furia una legge di Bilancio molto generosa sul fronte delle uscite - dice il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo - ora, dopo la richiesta da parte dell'Ue di correggere i nostri conti pubblici per 3,4 miliardi, il Governo decide di recuperarli agendo soprattutto sul fronte delle entrate. Non sarebbe il caso, invece, di intervenire in misura più aggressiva nei confronti della spesa pubblica improduttiva che risulta avere ancora dimensioni molto preoccupanti?" Pur riconoscendo gli sforzi fatti dagli ultimi esecutivi sul fronte della spending review, la Cgia continua a ritenere che sarebbe sbagliato recuperare una buona parte dello 0,2% di taglio del deficit/Pil richiestoci da Bruxelles aumentando, ad esempio, le accise sui carburanti.
"Ricordo - conclude il segretario della Cgia Renato Mason - che l'80 per cento circa delle merci italiane viaggia su gomma. E' vero che grazie al rimborso delle accise gli autotrasportatori, solo quelli con mezzi sopra i 35 quintali, possono recuperare una parte degli aumenti fiscali che subiscono alla pompa. Tuttavia, nel caso scattassero gli incrementi di accisa, potrebbero verificarsi dei rincari dei prodotti che troviamo sugli scaffali dei negozi e dei supermercati del tutto ingiustificati, penalizzando soprattutto le famiglie a basso reddito". Rammentando che la nostra spesa pubblica annua ammonta a 830 miliardi di euro circa, i 3,4 miliardi di correzione del deficit richiestoci incide per lo 0,4%: un'inezia che auspichiamo possa essere risolta attraverso una contrazione degli sprechi e degli sperperi presenti nella nostra Pa". 

Detrazioni fiscali, le novità 2017.

Detrazioni fiscali, le novità 2017


Detrazioni fiscali, cosa sono? Importi che il contribuente può sottrarre all'imposta lorda, "ovvero il risultato complessivo delle imposte sui redditi al cui versamento si è tenuti, al fine di calcolare l'imposta netta". A differenza della deduzione fiscale, che opera direttamente diminuendo la base imponibile, "la detrazione interviene direttamente a ridurre l'imposta lorda (e cioè dopo che sono state operate le deduzioni)".

Ciò vuol dire che, come riporta il sito di informazione giuridica 'StudioCataldi.it', "dopo aver dedotto dal reddito complessivo gli oneri, si ottiene la base imponibile dell'imposta, cioè quell'importo a cui si applicano le aliquote che sono crescenti per scaglioni di reddito".

MA COME FUNZIONANO? - Dall'imposta lorda si detraggono: le detrazioni per carichi di famiglia, le detrazioni sostitutive delle spese di produzione e le detrazioni per gli oneri. "Sono detrazioni per carichi di famiglia - si legge - quelle operate nei confronti di chi ha un familiare a carico; le detrazioni sostitutive delle spese di produzione sono attribuite a chi ha un reddito da lavoro dipendente (e anche a redditi assimilati), ai redditi di lavoro autonomo o di impresa di ammontare minimo e ai pensionati".
Dunque, prosegue il portale, "dallo scomputo delle detrazioni si riesce così ad ottenere l'esatto ammontare dell'imposta netta dovuta per un determinato periodo di imposta. Dall'imposta netta si scomputano infine i crediti di imposta, i versamenti d'acconto e le ritenute alla fonte a titolo d'acconto".
Le detrazioni vanno regolate attraverso la dichiarazione dei redditi, che si riferisce ad un preciso periodo d'imposta. Per i redditi da lavoro dipendente, invece, le detrazioni vengono normalmente operate dal datore di lavoro.

LE NOVITÀ DEL 2017 - La legge di bilancio 2017, si legge sul sito di informazione giuridica, "ha prorogato fino al 31 dicembre 2017 la detrazione del 50% per le ristrutturazioni edilizie. È prevista finanche un'ulteriore detrazione, anch'essa del 50%, per le spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2017 per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+, nonché A per i forni, per le apparecchiature per le quali sia prevista l'etichetta energetica e che siano finalizzati e funzionali all'arredo dell'unità immobiliare che sia oggetto di ristrutturazione".
Secondo quanto disposto inoltre dall'art. 1, comma 2, lett. a) n. 3, Legge n. 232/2016, "per le spese sostenute dal primo gennaio 2017 al 31 dicembre 2021 per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, che interessino l'involucro dell'edificio con un'incidenza superiore al 25 per cento della superficie disperdente lorda dell'edificio medesimo, la detrazione di cui al comma 1 spetta nella misura del 70 per cento".
"La medesima detrazione spetta, nella misura del 75 per cento, per le spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica relativi alle parti comuni di edifici condominiali finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale ed estiva e che conseguano almeno la qualità media di cui al decreto del ministro dello Sviluppo economico 26 giugno 2015, pubblicato nel supplemento ordinario n. 39 alla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio 2015".
Infine, per il cosiddetto 'sisma bonus', ricorda il portale, "è prevista un'agevolazione al 50% in cinque anni, dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2021. Finanche per le spese funzionali alla certificazione sismica degli immobili si potrà applicare la detrazione al 65% (dal 1° gennaio 2017). Si tratta di un bonus che ha ad oggetto quelle certificazioni sismiche e statiche su edifici situati nelle zone sismiche 1, 2 e 3, sulle prime e seconde case e immobili che siano destinati ad attività produttive".


Unicredit firma l'accordo sugli esuberi, anche 1300 assunzioni.

La sede di Unicredit in piazza Cordusio a Milano © ANSA

Le 3900 uscite saranno volontarie. Sì a 600 stabilizzazioni.

Unicredit e i sindacati hanno firmato, dopo una no stop notturna al culmine di giorni di trattative, l'accordo sui 3900 esuberi previsti dal piano. L'intesa prevede la volontarietà delle uscite che saranno incentivate e, in cambio, 1300 assunzioni. Previsti anche il turnover nel rapporto di un assunzione ogni tre uscite e la stabilizzazione di 600 contratti di apprendistato.   
 In particolare i 3900 esuberi, aggiuntivi alle 6mila uscite già stabilite in precedenza, sono la conseguenza della volontà dei vertici del gruppo di chiudere oltre 800 filiali nell'ambito del piano industriale di rilancio (che prevede anche ul maxi aumento di 13 milairdi di euro).
Una richiesta che aveva trovato la contrarietà dei sindacati, preoccupati che il mancato turnover provocasse problemi di operatività delle filiali e critici sul fatto che a fronte delle perdite emerse in estate (che hanno spinto a varare il maxi aumento) ci fossero ricadute così pesanti sui dipendenti. Ora l'accordo prevede appunto l'assolutà volontarietà delle uscite e un meccanismo di turnover. Inoltre secondo i sindacati nell'orizzonte triennale del piano è stata data garanzia che non si procederà a nuovi esuberi o piani di uscita. E' stato raggiunto anche un accordo suli inquadramenti, sulla cassa sanitaria e sul premio 2016 che sarà corrisposto per 600 euro in contanti e 800 sotto forma di welfare.

Chi ha compiuto il misfatto si autocongratula:
FurlanAnnamaria's avatar
RT @FurlanAnnamaria E' importante l'accordo raggiunto ad #Unicredit che rilancia occupazione con nuove garanzie per lavoratori Congratulazioni alla @FirstCisl