Il fatto che la sindaca Virginia Raggi sia tenuta sotto interrogatorio per più di otto ore, che nemmeno Totò Riina, dimostra non solo che la giustizia al servizio dell’establishment azzanna le proprie vittime puntuale come un orologio al quarzo, ma anche che la rivoluzione dei 5 Stelle sta colpendo i gangli vitali del sistema affaristico mafioso, sia romano che nazionale, visto che i sondaggi li danno al 31,7% e oltre. Però altre faglie, cariche di energia, sono pronte a deflagrare.
Intanto è iniziato il conto alla rovescia degli ultimi mesi dell’euro e della implosione dell’Eurozona, il progetto neoliberista, ereditato dal secolo scorso, sembra sottoposto a movimenti tellurici senza precedenti, mentre l’ideologia dominante, espressione delle oligarchie internazionali, sostenuta dalla superbia boriosa della casta bipartisan, sta riposizionandosi per affrontare meglio il Titanic. Multinazionali che continuano ad investire nel debito di un Paese, sottoposto all’austerity più bastarda.
Da l’insediamento del presidente tycoon, l’ideologia neoliberista è crollata di schianto, come fosse stata travolta dal cumulo di nefandezze che l’hanno gratificata fino a ieri. È il tempo della velocità accelerata della storia, che mostra la cruda verità dei fatti, di una democrazia liberale liquida simile ad un guscio vuoto, ove i veri poteri sovranazionali governano la vita dei popoli, ridotti a masse globalizzate prive di identità e coscienza.
Anche i vecchi partiti si stanno squagliando come neve al sole, mentre cercano di rinascere sotto le mentite spoglie dei vari movimenti, e le promesse di giustizia sociale e welfare appaiono solo esercizi retorici puramente formali. Dopo la batosta del referendum, la prima forza politica ad entrare in crisi è certamente il PD (24,1%), che vede polverizzarsi le iscrizioni, desertificarsi i circoli, e dilazionare miseramente il congresso a scadenza indeterminata.
Nello stesso tempo, Vincenzo De Luca, pronto a lasciare il PD renziano, trasforma la sua lista civica in movimento politico personale Campania libera, prendendo le distanze da Renzi. Michele Emiliano minaccia la diaspora, sostenuto dalla sua omertosa rete di potere e viene spiazzato dalla sfida di D’Alema, che sta sondando Vendola e Fratoianni per la nascita di un soggetto politico più a sinistra, che vuole sfidare il PD renziano, e che mutua il linguaggio direttamente da Dibba dei 5 Stelle.
Narcisismi da leadership consumate ostentano pubbliche virtù inesistenti, mentre le politiche globalizzanti e internazionaliste hanno dettato legge, consumando quel che resta di una vita sociale sempre più dilaniata dalla disoccupazione giovanile (più del 40%) e dai livelli di povertà in continua ascesa.
Naturalmente anche il polo di destra sta vivendo una stagione da tè nel deserto, a meno che in vista del proporzionale non si rianimi e riesca a diventare una cosa più consistente, nell’amalgama dei soliti noti: a meno che i due giovani virgulti non Berlusconi, Verdini, Alfano, Casini … e forse anche Salvini e Meloni, abbiano intenzione di tenere fede al patto stretto con gli elettori per l’uscita. Però la Lega e FdI hanno da sempre puntellato il sistema.
Dunque, sia il quadro politico che quello economico sono destinati a subire trasformazioni di ampia portata nel giro di breve tempo e l’offerta politica è destinata a mutare molto rapidamente, sotto gli effetti delle vicende internazionali.
Per la prima volta, il Maestro dell’Ordine, Mario Draghi, ha ammesso la possibilità che l’UE possa disgregarsi, puntualizzando che tutti i Paesi membri che intendono recidere i legami dovranno però prima onorare i loro debiti. Come dire, vai pure, però paga il pizzo.
Poi, in un’intervista al Financial Times, Peter Navarro, presidente del nuovo Consiglio Nazionale del Commercio di Trump, lancia un durissimo attacco alla Germania, accusata di approfittarsi di un euro definito un «marco implicito esageratamente svalutato». L’amministrazione Trump inserisce la Germania nella lista dai paesi da controllare per il dumping valutario, parte di una più ampia strategia che secondo Navarro è finalizzata a riportare sul suolo americano una robusta catena nazionale di finanziamenti che stimoli il lavoro e la crescita dei salari.
Ok, insomma l’abbiamo capito … l’euro è sul viale del tramonto, ma chi gestirà la transizione dell’Italexit? Il movimento sovranista, il M5S o semplicemente l’establishment al potere?
Valdo
A partire dall’insediamento del governo Monti e degli altri esecutivi-Troika, ha cominciato a diffondersi nel mondo euroscettico italiano il termine “sovranismo”. L’ideale sovranista in soldoni chiede che sia applicata la Costituzione, che attribuisce la sovranità al popolo (a partire dalla sovranità monetaria e fiscale) e ne vieta la cessione a entità sovranazionali, tanto più se private come la Bce. Il sovranismo ha ispirato diversi movimenti e partitini, tra i quali Alternativa per l’Italia, Riscossa Italiana e il Fronte Sovranista Italiano, fermi da anni a percentuali da prefisso telefonico.
Nel microcosmo sovranista (parliamo di decine di migliaia di persone in tutta Italia, non di più) da qualche anno si individuano compatibilità con la Lega, che pure per storia e secondo lo Statuto del 2015 è autonomista, e con FdI, mentre generalmente si sostiene che il M5S sovranista non è, in quanto sul tema euro sarebbe troppo confuso e ondivago, se non proprio nascostamente eurista. Se i numeri sono questi, perché occuparsi del sovranismo?
Ma perché la nostra previsione è che a breve milioni di italiani si scopriranno sovranisti! Solo che non sarà il movimento sovranista ad avvantaggiarsene né a risultare determinante. E questo anche per scelta sua. Vediamo perché.
1. L’euro non durerà ancora molto. La sua insostenibilità economica e sociale unita a un clima internazionale profondamente mutato, con Donald Trump che spinge per misure protezionistiche e sta scaricando palesemente Bruxelles, stanno conducendo la moneta unica al capolinea. L’establishment lo sa (Draghi ammette la non irreversibilità dell’euro e fa i conti per la separazione consensuale, Mediobanca, sì, proprio Mediobanca, esce con uno studio secondo cui dall’eurexit l’Italia avrebbe solo da guadagnare) e si sta preparando a gestirne la dissoluzione. In fondo il sistema euro non è che uno strumento del capitale per massimizzare i profitti e, quando smette di funzionare, può essere sostituito da un nuovo sistema più efficiente che giunga agli stessi risultati.
Semplice gattopardismo. Se questo è il quadro, a che cosa servono partiti fondati sul concetto di sovranismo? La risposta è semplice: potrebbero avere qualche utilità e senso forse ancora per un anno o due, poi non serviranno a nulla. Se si recupera sovranità monetaria e quindi fiscale, e visto che il tema della sovranità “territoriale” (immigrazione) è già in mano ad altri partiti ben più radicati, il sovranismo come base ideologica non avrà più senso. O un partito sovranista entra in Parlamento nelle prossime elezioni (2017 o 2018) e dà un contributo per influenzare la coalizione di governo o, un giorno dopo la dissoluzione dell’euro, che avverrà comunque prima delle elezioni successive, esso sarà superato.
C’è di più: non solo i partitini sovranisti saranno a breve già superati ma il tema stesso del sovranismo rischia di andare presto in soffitta. Fra poco infatti saranno gli stessi Renzi, Bersani, Prodi, Berlusconi, Brunetta a spiegare agli italiani che bisogna dissolvere la moneta unica. E la stessa stampa mainstream, finora faziosamente eurista per servilismo verso l’establishment, si incaricherà di persuadere la gente della bontà dell’exit, sempre in virtù del proprio servilismo e conformismo. Se qualcuno pensa che a convincere la massa saranno i vari Barnard, Bagnai, Barra Caracciolo e compagnia bella, non ha ben capito come funzionano politica e comunicazione di massa.
2. Se tra poco il sovranismo sarà superato, l’appoggio palese a Lega e FdI e la concomitante avversione verso il M5S, che viene attaccato da gran parte dei sovranisti in modo continuo e sarcastico, si configura come una scelta perdente anche per incidere nel breve lasso di tempo che ci separa dall’implosione dell’euro. Sarebbe infatti curioso sapere come i sovranisti pensino di arrivare al governo subito, prima che i soliti partiti si approprino del tema, unendo i loro pochissimi voti a quelli di Lega e FdI, che in due fanno il 15/16% ad essere ottimisti. Dovrebbe essere ovvio che se i sovranisti vogliono che la loro causa si imponga alle prossime elezioni, devono per forza considerare come interlocutore il 30% e oltre del M5S, senza il cui aiuto Salvini, la Meloni e loro stessi non potranno governare un bel nulla.
Delle due l’una, dice la logica: o si concede fiducia critica al M5S, smettendo di attaccarlo sistematicamente e di accusarlo di essere cavallo di Troia dell’eurismo nel fronte euroscettico, in previsione di un accordo post-elettorale; oppure lo si attacca e ci si pone alternativi ad esso, ma in quel caso occorre ammettere che l’exit lo gestiranno il Pd e/o FI, nei tempi e nei modi che desidereranno. Come mai, allora, i vertici dei micropartiti sovranisti, che stupidi non sono, fanno credere ai loro elettori in una grande futuro del movimento sovranista e nel presente promuovono costantemente l’attacco al M5S mentre strizzano l’occhio a Lega e FdI?
L’unica ipotesi sensata è che essi sappiano benissimo come stanno le cose e che cerchino semplicemente di accumulare un pacchettino di voti da strappare al M5S e da portare in dote al centrodestra (che comprenderà anche Berlusconi). Alla fin fine, insomma, in cambio di qualche poltrona accettano che l’exit lo gestiscano gli stessi che, assieme al centro-sinistra, hanno amministrato vent’anni di euro. Riverniciati, ma sono sempre loro. La cosa a certuni può anche stare bene. Ma è onesto che si sappia, prima di dare a destra e manca patenti di gatekeeping.
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