sabato 12 febbraio 2011

Gioie del sesso e devoti di regime.




di Paolo Flores d’Arcais, il Fatto quotidiano, 12 febbraio 2011

“In mutande ma vivi” è l’esibizionistico titolo che Giuliano Ferrara ha voluto dare alla manifestazione indetta “contro il moralismo puritano e ipocrita” di chi si ostina a pensare che il comportamento di Berlusconi sia incompatibile con i requisiti minimi di un politico (“statista” sarebbe parola grossa) delle liberaldemocrazie occidentali. L’iniziativa si svolgerà questo pomeriggio a Milano al Teatro Dal Verme, nome perfettamente propiziatorio e provvidenzialmente adeguato (dappoiché nomina sunt consequentia rerum).

Lo scopo dell’adunata di cotanta goliardia tristemente appassita nel servo encomio di “Lui Culomoscio” (definizione di una fan e pupilla del medesimo – la classe non è acqua – non di esecrabili “azionisti”) è fornire ai minzolini di tutte le testate di regime l’occasione per svillaneggiare in anticipo la manifestazione promossa da alcune donne, non certo in nome del moralismo e nemmeno della moralità, ma della necessità di una seppur minima decenza nel comportamento sulla scena pubblica (che del resto è richiesta dall’articolo 54 della Costituzione – anche per questo invisa alle cheerleader di Forza Arcore? – che recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”). Manifestazione che domenica dilagherà in decine e decine di piazze con centinaia di migliaia di partecipanti, nel minimalismo dei pennivendoli di regime.

Del resto, la manifestazione “Dal Verme” è solo il diapason di una campagna che la setta dei libertini devoti, falsamente libertini ma effettivamente devotissimi al già menzionato “Lui C.”, va sviluppando da mesi sul superdeficitario Foglio (malgrado i milioni elargiti ogni anno dal governo e pescati nelle tasche degli irrisi non-evasori), e che ha segnato una trafelata accelerazione da quando Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano, hanno doverosamente aperto un’inchiesta per una concussione platealmente rivelata dal medesimo “Lui” – altresì “utilizzatore finale” (l’espressione è del suo avvocato onorevole Ghedini) di una prostituta, questa volta minorenne – con una telefonata alla Questura di Milano (su una linea ufficiale che registra): per ottenere, grazie al peso della sua carica, una “altra utilità”, cioè l’indebito rilascio della minorenne che avrebbe potuto inguaiarlo. Il manipolo dei finti libertini di Giuliano Ferrara vuole infatti da mesi far credere che gli avversari (soprattutto le avversarie) del regime liberticida di Berlusconi, in gioventù sessantottina teorizzanti e talvolta anche praticanti “porci con le ali” delle gioie della liberazione sessuale, si siano trasformate/i in occhiuti bacchettoni e laide beghine e vogliano imputare a “Lui”, in sinergia con i “guardoni” delle procure, quanto vorrebbero ancora ma non possono. Invidia e risentimento, insomma, altro che legalità e moralità.

Ferrara e la sua coorte di devotissimi di “Lui” sanno benissimo di mentire per la gola. Ma con la cassa di risonanza di un controllo televisivo quasi totalitario è molto facile far diventare bianco il nero. Contano su questo, sull’incubo orwelliano della neolingua sontuosamente realizzato da “Lui-con-quel-che-segue”.

E invece. Libertari e garantisti siamo rimasti (e libertini talvolta, ma questa è irrinunciabile privacy). Libertari: pensiamo che in fatto di sesso, tra adulti consenzienti, di tutto e di più. Adulterio, masturbazione, orge, sadomasochismo, uso di pornografia e “gadget” sessuali, scambio di coppie, prostituzione, financo sesso con animali (se non si dà luogo a maltrattamento), e chi più ne ha più ne metta, il tutto sia in chiave etero che omo che transessuale. Nessuno, magistrato o giornalista che sia, in questa sfera privata deve poter mettere becco.

Le righe che precedono le ho scritte oltre un mese fa, sul sito del Fatto (quasi duecentomila visitatori al giorno), e gli unici dissensi sono stati di qualche lettore animalista. Bacchettoni e beghine, si tranquillizzi il devotissimo Ferrara, non albergano da queste parti. Quanto alla tutela della privacy, noi giustizialisti-giacobini-girotondini-azionisti (sempre e comunque trinariciuti nel nostro affetto per la Costituzione nata dalla Resistenza), siamo più rigidi della Comunità europea, per non parlare degli Usa (“che hanno sempre ragione” secondo il lapidario servilismo di “Lui”, prono-americano solo se si tratta di guerre) dove la tutela della privacy della persona pubblica è per legge infinitamente minore di quella del privato cittadino. Noi no. Noi pensiamo che debba essere la stessa, catafratta, e che solo il politico possa stabilire le eccezioni che lo riguardano. Se fa della difesa della famiglia un tema per ottenere consensi, legittima qualsiasi domanda o inchiesta sulle proprie infedeltà. Se si dedica a campagne contro i gay non può invocare la privacy qualora si scopra un suo penchant omosessuale, se propone leggi draconiane contro la prostituzione (clienti compresi) ogni sua utilizzazione di prostituta diventa fatto pubblico, se dichiara che certe cose non le ha mai fatte, anziché limitarsi al secco “fatti miei”, rende legittima la curiosità giornalistica sull’eventuale menzogna. Altrimenti no. Chiaro il criterio, devotissimo Ferrara?

Quanto alla gioiosa libertà sessuale: cosa c’entra il sesso libero, che è condiviso e reciproco piacere per il piacere (o per amore, o per curiosità, gioco, sperimentazione...) con l’acquisto a ore di un corpo, o di un’infornata di corpi, mossi non già da gioiose voglie ma da “danaro o altra utilità”, auri sacra fames capace di compensare lo schifo, confessato pre e post alle amiche, per le carni in smottamento alla cui virilità chimico-meccanicamente artefatta devono dedicarsi? Se non capisci la differenza lascia perdere, devotissimo Ferrara: non parlare di cose che non conosci.




Il golpe di Marchionne e quello di Berlusconi. - di Riccardo Orioles




Stanno salvando l’Italia, ora mentre scriviamo, e stanno preparando il dopoberlusconi. Dove? A Milano. Chi? i congressisti del nuovo partito di Fini, i “futuristi”. A loro l’Italia perbene, giornalisti e politici, si affida. Il capo, proprio a Milano, o almeno il portavoce, era quella Tiziana Maiolo che, dopo brillanti e varie carriere “di sinistra”, alla fine è approdata ai berlusconiani; e da questi ai finiani, sempre rispettatissima e riverita. E’ quella che l’altro giorno, di fronte alla morte atroce di quattro zingarelli: “Più facile educare dei cani – ha commentato – che degli zingari bambini”.

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Si chiamavano Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian. Erano nella loro baracca, morti bruciati mentre si riparavano dal freddo. Quattro bare a via Appia Nuova. Quattro rom bambini. Attorno alle bare le famiglie. Soli da sempre. Campi zeppi di topi. Oggi come dieci anni fa a Casilino 700, nell’anno del Giubileo, quando era vietato raccontare le stragi dei ragazzini nei ghetti, e quell’anno là ne morirono almeno dieci.

A Roma ci sono più case sfitte che in ogni altra città d’Europa: centomila alloggi, dieci milioni di metri cubi di case vuote, come mille stadi di serie A. Ma per i poveri, per i Rom non c’è posto. Ghetti, tendopoli, miseria e spesso morte. Ma quale giornale, quale politico lo dice? Stiamo perseguitando gli zingari esattamente come ieri perseguitavamo gli ebrei. Ma la “politica”, a quanto sembra, è un’altra cosa.

La “politica” si affida alle Maiolo e ai Renzi, alle soluzioni indolori. ai dopoberlusconi tranquilli, con tutto che resta com’è salvo (forse) Berlusconi. Chi parla più della Fiat? Chi pensa più agli operai? Eppure è stato appena deciso (anche qui, esattamente come sotto il fascismo) che di diritti non ne hanno più, neanche uno. Ma la “politica”, a quanto pare, è un’altra cosa.

Il golpe è questo qua, ed è bilaterale. C’è il golpe di Berlusconi, vecchio imbecille vizioso, che minaccia e ricatta e mobilita i suoi puttani. Ma c’è anche quello di Marchionne e soci, che vogliono fare miliardi sulla pelle dei ragazzi. Nessuno, sotto i trent’anni, sa più come sarà il suo avvenire.

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Sono momenti incredibili, in cui davvero è possibile il cambiamento. Purché sia cambiamento vero – a cominciare dallo spazzare via i mafiosi, che sono il cuore del Sistema – e purché si sia disposti a far sul serio e non solo balletti “politici”. Perché il mondo è cambiato. I vecchi non se ne accorgono, ma i giovani sì. L’Egitto è un paese giovane. E ha vinto, alla faccia di tutti.Ma c’è un’altra politica, quella vera. La politica che ha appena mandato via Mubarak, senza violenza. La politica che non è affatto isolata (che dite, ora, di Obama?) e che sa cogliere le occasioni. “Qua bisogna puntare sui ragazzi di Ammazzateci Tutti” ha detto – secondo Wikileaks – l’uomo di Obama in Calabria. Chi se ne è accorto? Vorrà dire qualcosa, politicamente?

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Sicilia: qua tutto è lento. Ma si muove. Catania: sono bastati pochi giornalisti e cittadini coraggiosi – ma al culmine di una catena lunghissima, lunga trent’anni – per mettere in crisi la camera di compensazione del Sistema locale, a Palazzo di giustizia. Vorrà dire qualcosa, politicamente?

Informazione libera e movimenti, lavorando insieme, possono sperare di vincere, in questa città. E’ già quasi successo una vita, coi Siciliani. Perché non riprovare?

Per l’informazione, in particolare, è arrivato il momento della verità. Il caso Procura di Catania ha fatto da cartina di tornasole: chi si è schierato e chi si è messo da parte, chi ha detto la verità e chi l’ha nascosta. Chi se l’è presa coi funzionari infedeli e chi coi “dossieraggi” che li smascheravano. Adessso, bisogna scegliere. O da una parte o dall’altra.

E’, finito, fra l’altro, l’equivoco di Sudpress, diviso fra l’onesta ingenuità dei giornalisti e le grevi ambizioni dei proprietari. Ora è il momento di riprendere la strada dei Siciliani, tutti insieme. A questo sta servendo, da tre anni in qua, questo nostro giornale, con tutto ciò – e non è poco – che gli vive attorno.

Non siamo, e non vorremmo essere, autosufficienti. Ma abbiamo una storia e delle idee chiarissime e decise, le uniche che nessuno qui potrà mai equivocare. E’ un patrimonio per tutti, per tutta la comunità che ci appartiene: cerchiamo di usarlo bene, con decisione e tutti insieme ed essendone sempre degni.

http://www.gliitaliani.it/2011/02/il-golpe-di-berlusconi-e-quello-di-marchionne/


Incontro-scontro tra Napolitano e Berlusconi: “Fatti giudicare”. - di Sara Nicoli


Al Quirinale il premier alza la voce: "Mi perseguitano". Il capo dello Stato lo gela: "Basta, il giusto processo c'è già". Inutili le raccomandazioni di Letta: B. minaccia nuovi conflitti con i magistrati, tensione al Colle.

A un certo punto l’urlo: “Ma io mi devo difendere! E devo difendere il Parlamento, c’è un vero e proprio accanimento contro di me…”. Fuori controllo, anche se solo per un attimo, Silvio Berlusconi deve essersi sentito perso quando il capo dello Stato, con sguardo gelido e fermezza istituzionale, gli ha risposto “si calmi”, costringendolo a proseguire un colloquio che però, a quel punto, era ormai compromesso.

NON È ANDATA per niente bene ieri sera al Quirinale. Napolitano, dopo il lungo pressing esercitato dal mediatore Gianni Letta che finalmente era riuscito a ottenere l’incontro “chiarificatore”, sperava forse di ascoltare dalla bocca del premier parole diverse dalla solita litania, da quel continuo cercare di spiegare le proprie ragioni e di difendersi dalle accuse invocando la persecuzione giudiziaria. Invece no, nonostante Letta l’avesse indottrinato per più di un’ora sull’atteggiamento da tenere per evitare di mandare di nuovo tutto per aria. Niente, il Caimano ancora una volta non ha resistito. Superati i convenevoli, è partito a cercare di convincere il presidente della Repubblica del fatto che le accuse della Procura di Milano cadranno nel nulla “perché non c’è nulla di penalmente rilevante”, che “continuo a essere vittima di un’offensiva giudiziaria senza pari che ha il solo obiettivo di farmi fuori”. E che è “stata violata la mia privacy in modo mostruoso”. A quel punto, il Cavaliere avrebbe detto di “credere che sia venuto il momento di difendermi anche sollevando il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato…”.

Ecco, è stato più o meno a questo punto del colloquio che Napolitano ha alzato un muro invalicabile per il premier, ripetendo quanto aveva detto in mattinata ricevendo il vicepresidente del Csm Vietti e, di fatto, mandando un segnale preciso di quelli che avrebbe voluto fossero i toni del colloquio successivo. “Il giusto processo – ha quindi detto Napolitano – è garantito dalla Carta, basta strappi sulla giustizia”. Un messaggio netto, senza possibilità di interpretazioni sulle sfumature del grigio. Il capo dello Stato ha fatto capire chiaramente a Berlusconi che ogni sua necessità di difesa è già garantita dalla Costituzione. E che non c’è alcuna necessità di sollevare nuovi e più pesanti conflitti istituzionali, perché “i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali” ci sono davvero tutti per garantire il “giusto processo”. Insomma, meno “strappi mediatici, che non conducono a conclusioni di verità e giustizia” ma più attenzione alle regole. In poche parole, Napolitano ha invitato il Caimano a farsi processare. Con una stoccata pesante: “Come dice il suo stesso legale Pecorella, il conflitto di attribuzione si solleva nel processo, non in Parlamento”. È stato lì, a quel punto che la rabbia di B. è esplosa perché ha capito che non avrebbe mai trovato sponda nel Colle per fare quello che vuole: l’ennesimo strappo sulla giustizia per la sua difesa.

E TUTTAVIA il Cavaliere su un punto è stato chiaro: la maggioranza ha i numeri e quindi il “dovere” di fare le riforme, il che per lui significa soprattutto intercettazioni e processo breve. “Quello che sta accadendo – ha ribadito Berlusconi – non è solo un problema mio, ma fango che ricade sull’intero Paese”. Ancora gelo. Perché Napolitano non si fida e teme un nuovo crescendo di tensione istituzionale con i giudici che, tuttavia, ha chiarito anche a Gianni Letta, di non essere disposto a tollerare. Come ha chiarito di aver digerito malissimo l’estemporanea manifestazione di protesta davanti al Tribunale di Milano dove dovevano essere presenti anche i ministri milanesi e dove invece, alla fine, a fare da incendiaria c’è rimasta solo la Santanchè.

All’uscita dal Quirinale, Berlusconi era livido. Ma più di lui era scuro in volto Gianni Letta che per tutta la giornata di ieri aveva fatto una pesantissima opera di convincimento, arrivando a chiudersi in una stanza da solo con il Cavaliere per indottrinarlo sull’atteggiamento “cauto, mite” da tenere davanti al capo dello Stato. In gioco, in fondo, “c’è anche il federalismo” e il proseguimento della legislatura. Parole al vento. “Governo e Parlamento non possono essere commissariati dal potere giudiziario!”, ha tuonato ancora Berlusconi. “Io devo poter governare senza condizionamenti!”.

Dopo un’ora di colloquio, il più lungo forse da un anno a questa parte, Berlusconi è tornato a Palazzo Grazioli. Con uno stop così pesante avuto ieri dal Quirinale, adesso dovrà rivedere completamente tutta la strategia d’attacco che aveva messo giù durante l’ultimo “consiglio di guerra” di qualche giorno fa. Adesso sa che qualunque strappo sarà respinto “in maniera plateale” dal Quirinale, ma seguire le regole significa anche farsi processare, subire quasi certamente una condanna a breve sul processo Mills. E chissà poi cosa potrà accadere su Ruby e sulle altre.

NEL PDL giurano che “Silvio farà di testa sua”, che “cercherà comunque una strada per non andare a processo perché i cittadini sono con lui e capiranno, continueranno a capire – sostiene un famiglio del premier – che senza di lui si ferma tutto, che le riforme non si faranno mai”. Non seguirà le regole come gli ha detto Napolitano, questo sembra essere una certezza tra i suoi. Ora, però, è all’angolo. E la difesa, qualsiasi difesa, diventa sempre più difficile.