mercoledì 24 marzo 2021

“Bertolaso scelse Aria senza consultarci, non siamo attrezzati.” - Andrea Sparaciari

 

Lo sfogo. Da dentro il cda.

Cancellata Aria e con l’arrivo di Poste, la Lombardia è pronta a infrangere ogni record vaccinale. È il racconto che da ieri si ripete nella Regione sommersa dagli errori dei suoi vertici. Una favola alimentata da Guido Bertolaso che ieri è tornato col solito cliché di annunci e responsabilità scaricate su altri. Il fuoco di fila è partito con l’intervista al Corriere: “Mi ero accorto che qualcosa in Aria non funzionava il giorno che abbandonarono 300 anziani convocati per errore. Era un sistema che funzionava male e andava cambiato”. E ancora: “Qui non sono nessuno: non posso firmare un pezzo di carta, non posso stanziare un euro. Dovrei stare all’ultimo piano di Palazzo Lombardia a dire cosa mi sembra giusto o sbagliato. Invece sono qui a incastrare numeri”. Ed è continuato in tv (Mattino Cinque): “Quando questa parte informatica lavorerà perfettamente, qui vaccineremo più velocemente che nel resto d’Europa”.

Ieri si è rifatto vivo persino l’ex assessore Giulio Gallera: “Io non ho nulla da rimproverarmi. Alla fine l’unico problema oggettivo che ho avuto io è stato quello dei vaccini antinfluenzali, come sempre decisi dalla società Aria che aveva sbagliato completamente il percorso di acquisizione”. Niente errori, colpa di Aria e della Lega: “C’è questa società, Aria, fortemente voluta dall’assessore Caparini e dalla Lega che si è dimostrata una realtà non efficiente e al di sotto delle aspettative. Il management non è all’altezza. Io me ne sono accorto subito, Aria ha sbagliato tutto fin dal primo momento”, ha aggiunto compiaciuto. Quindi, eliminata Aria, eliminati i problemi. Ma c’è chi racconta un’altra verità. È Mario Mazzoleni, professore di Economia Aziendale alla Bocconi di Brescia e membro dimissionario del cda di Aria: “Si è scelto di nascondere gli errori sotto il tappeto, trovando un capro espiatorio. Aria è il paravento dietro il quale si rifugia chi ha preso le decisioni politiche”. Quella che racconta Mazzoleni è una storia che parla di inefficienze: “Aria ha problemi di organizzazione, perché è nata male, è stata realizzata con superficialità”. E svela come il Pirellone stesse trattando con Poste già da gennaio per usare la sua piattaforma, “ritenendo inadeguata quella di Aria”.

Una trattativa interrottasi il 7 febbraio, quando Poste aveva comunicato l’impossibilità di governare il modello di campagna vaccinale ideato dal Pirellone, ingestibile perché differente da quello delle altre Regioni. “Qualcuno a gennaio ha pensato a un sistema molto accentrato e di realizzarlo attraverso Poste. Facendo due errori: 

1) accentrare tutto in una Regione dove c’è un caos organizzativo di deleghe tra Ats, Asst; 

2) legare tale accentramento a un portale che è venuto meno. 

Così si è perso un mese intero”. Per capirci, se la Lombardia avesse fatto gestire gli appuntamenti alle singole Asst con l’appoggio di Poste, sarebbe forse andato tutto liscio. Invece ha deciso di controllare ogni passaggio. Opzione alla quale Poste ha detto “no grazie”. Ma la cosa grave è che l’8 febbraio, svanite Poste, “Bertolaso indica in Aria la soluzione, in un portale che non era nato per gestire questa complessità! Vorrei che qualcuno lo chiedesse a Bertolaso se ha valutato solo per un minuto che il portale era nato con altri scopi. Ha deciso da solo, senza aspettare i tempi tecnici per adeguare la piattaforma. Dopo 10 giorni è partito con gli over 80. Un portale dove c’è tanta parte manuale per l’inserimento dati è sottoposto a ovvii rischi di errore. Vedi cap errati, agende vuote ecc…”, dice Mazzoleni. Perché il cda ha taciuto? “Sentivamo il fiato sul collo di Bertolaso e Caparini. Una pressione diventata molto più pesante dopo la vicenda dei camici (quelli venduti al Pirellone dalla società della famiglia Fontana, ndr)! Il nostro errore è stato di non aver parlato prima”.

E oggi aprirà l’hub vaccinale nel Palasport di Codogno, la cittadina del Lodigiano dove è stato identificato il primo caso di coronavirus, ma a un centinaio di over 80 è arrivato un messaggio che li invitava ad andare ieri a vaccinarsi: hanno trovato chiuso. C’è stato un errore dell’Asst di Codogno che aveva indicato ad Aria l’apertura da ieri e invece che da oggi.

IlFQ

Vuoto d’Aria. - Marco Travaglio

 

Per un attimo, quando ci venne sottratta anche l’ultima fonte di buonumore, cioè Gallera, tememmo il peggio. Uno così non lo troviamo più, pensavamo. Non avevamo previsto il Governo dei Migliori, che ci ha regalato il generale Figliuolo, prova vivente che i generali vengono scelti tra i colonnelli: infatti pare la reincarnazione del colonnello Buttiglione poi promosso a generale Damigiani (Mario Marenco in Alto Gradimento). E avevamo sottovalutato la Lombardia, nota fucina di comici naturali. Ieri, per esempio, Mestizia Moratti ha scritto al Corriere che c’è “una svolta in Lombardia”. Quale? La “vaccinazione reattiva”. Non inerte, passiva, mogia come nelle Regioni che riescono persino a farla: reattiva. Purtroppo non se ne accorge nessuno. E neppure della “riduzione di 30 volte del tasso di incidenza dei casi a Viggiù”, per la gioia dei pompieri, nonché “a Mede, Castrezzato, Bollate” ecc. Insomma “ci stiamo adoperando”. E non è una promessa: è una minaccia.

Due mesi fa il suo problema era avere più vaccini, “in base al Pil” . Ora non si riesce proprio a prenotarli, grazie all’agenzia regionale Aria, orgoglio e vanto della Lega, figlia di tre società che sembrano la matrigna e le sorellastre di Biancaneve (Arca, Lispa e Ilspa). Dunque invisa a Disguido Bertolaso, altro fuoriclasse dell’avanspettacolo, che si sfoga col Corriere: “Sono esausto per questo sforzo”. Sì, ma quale sforzo? L’intervistatore lo sorprende “circondato da mappe: ogni centimetro di territorio lombardo colorato a seconda dell’incidenza del contagio”. Praticamente gioca a Risiko, anche perché “qui non sono nessuno, senza poteri, non posso firmare un pezzo di carta né stanziare un euro”. Però “il piede è sull’acceleratore” e l’occhio è vigile: il supercoordinatore della campagna vaccinale, s’era subito “accorto che qualcosa non funzionava quando abbandonarono 300 anziani convocati per errore. Ma le pare possibile che qualcuno non venga chiamato e altri mandati a vaccinarsi a 60 km da casa?”. E lo domanda lui a noi. Via, “siamo atterrati su Marte, non possiamo non gestire delle prenotazioni via sms”, dice sempre lui a noi, che lo vorremmo tanto su Marte ma si teme che non ci arrivi, malgrado il piede sull’acceleratore. Insidiato nel suo ruolo di capocomico, Artiglio Fontana va di repertorio: “Le criticità di queste ore offrono un’immagine distorta dei nostri risultati”. E tutti lì ad attendere l’immagine raddrizzata. Incluso Gallera, che si prende la sua bella rivincita: “Il tempo è galantuomo e mi ha restituito un po’ di giustizia. Aria si è rivelata inefficiente” e lui, da ex assessore alla Sanità, se ne vanta. Appena riaprono i cabaret, se qualcuno sopravvive al Covid, sarà sold out assicurato.

IlFattoQuotidiano

Borse deboli, preoccupano contagi e lockdown. Leonardo giù del 6%, rinvia l'Ipo di Drs. - Chiara Di Cristofaro ed Enrico Miele

 

L’attenzione degli investitori è per la rilevazione sulla fiducia delle imprese con l’aggiornamento degli indici Pmi in Europa e Stati Uniti.

I nuovi lockdown decisi dai big europei come Germania e Francia e i dati sui contagi che non migliorano anche in Italia, uniti alle tensioni sui vaccini, da AstraZeneca negli Usa al blocco dell’export delle dosi prodotte in Ue, continuano a innervosire gli investitori, che vedono peggiorare le prospettive di ripresa economica globale. Sono tutti in calo quindi gli indici europei, con banche, auto e retail sotto pressione, dopo la seduta debole di martedì 23. Ad appesantire il clima anche l’ipotesi lanciata dalla segretaria al Tesoro Janet Yellen che gli Usa aumentino le tasse sulle imprese per finanziare il futuro piano infrastrutturale, riportando l’aliquota fiscale al 28% (dopo il taglio di Trump dal 35% al 21%).

L'economia europea torna a salire dopo sei mesi.

L'economia dell'Eurozona torna ad espandersi a marzo per la prima volta dopo sei mesi con l'indice Pmi composito che risale a 52,5 da 48,8 in febbraio, livello massimo da otto mesi. A trainare è il manifatturiero che registra un livello record dal giugno 1997 a quota 62,4 (57,9 in febbraio) con la produzione manifatturiera anch'essa al record dal 1997 a quota 63 (57,6 a febbraio). Resta in territorio negativo l'indice pmi servizi a 48,8 (45,7 in febbraio) penalizzato, scrive Ihs Markit, dalle restrizioni per il Covid-19 sebbene la flessione sia la minore dall'agosto scorso. Crescono gli ordini delle imprese e l'occupazione ma le prospettive sono appannate dall'aumento dei contagi in Europa.

Leonardo rinvia a sorpresa l'Ipo della controllata Drs.

Leonardo -5,79% ha comunicato che la controllata statunitense Leonardo US Holding ha rinviato l'offerta pubblica iniziale di azioni di Leonardo Drs, controllata indiretta di Leonardo. Il titolo, dopo non aver fatto prezzo in apertura con un calo teorico del 10% è entrato in contrattazione, per essere nuovamente fermato a -8%. «Nonostante l'interesse degli investitori nel corso del roadshow, all’interno della fascia di prezzo definita, le avverse condizioni di mercato non hanno consentito un'adeguata valutazione di Drs», ha detto la società in una nota. Per gli analisti, si tratta di una notizia negativa e inattesa.

I timori sulla ripresa penalizzano i bancari europei.

In attesa che inizi la girandola di fusioni – auspicata anche ieri dalla Bce – le banche europee continuano a perdere terreno a causa dei timori legati alla ripresa mondiale post-Covid. La seduta, infatti, sta penalizzando in particolare gli istituti di credito, da Credit Suisse a Santander, passando per Societe generale e Deutsche Bank. In questo scenario non fa eccezione l’Italia, dove in questa fase il FTSE MIB -0,12%, oltre che dal tonfo di Leonardo, risente proprio della debolezza dei bancari. Le vendite si stanno concentrando in particolare su Unicredit -1,39%Bper Banca -0,81% e Intesa Sanpaolo -0,83% e Banco Bpm -0,28%.

Tokyo giù del 2% per timori recrudescenza pandemia.

Giornata in netto ribasso per la Borsa di Tokyo preoccupata, sulla scia di Wall Street, dalla recrudescenza della pandemia Covid-19 nel mondo, che raffredda le aspettative di una imminente e rapida ripresa dell'economia mondiale. Le nuove misure di contenimento decise in Europa e l'aumento dei contagi sembrano aver cambiato il sentimento degli investitori. Al termine di una seduta dominata dal segno meno, l'indice Nikkei dei 225 titoli guida lascia sul terreno oltre il 2% a 28.405,52 punti (-2,04%) e l'indice del listino principale, Topix, cede il 2,18% a 1.928,58 punti. Le valutazioni negative del mercato hanno così depresso, tra gli altri, i corsi dei titoli delle compagnie aeree alla luce delle nuove misure di contenimento annunciate in Francia, Germania e Olanda che allungano i tempi per la ripresa dei flussi turistici verso il vecchio Continente. Male anche il settore automotive che soffre per la penuria nell'approvvigionamento dei semi-conduttori a livello mondiale: Toyota ha perso il 2,2% a 8.120 yen, Honda l'1,6% a 3.246 yen e scivolone per Nissan a 581 yen (-4%).red-Ggz

Rimbalza invece il petrolio, dopo il calo della vigilia a causa delle deboli prospettive della domanda globale di energia: il Wti di maggio scambia a 58,5 dollari (+1,2%) e il Brent a 61,6 dollari (+1,4%).

Gli appuntamenti di mercoledì 24 marzo.

Dagli Stati Uniti arriveranno gli ordinativi di beni durevoli, il Pmi manifatturiero e dei servizi di Markit mentre la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, e il presidente della Fed, Jerome Powell, testimoniano davanti alla Commissione bancaria del Senato alle 10 (ora 15 in Italia). In Italia, infine, sale l'attesa per le comunicazioni del presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Parlamento sul prossimo Consiglio Ue.

(Il Sole 24 Ore Radiocor)

Berlusconi e i miliardi della mafia. - Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

 

Graviano sentito dai pm di Firenze.

"Parlo, non parlo. Scrivo, mi taccio. Riparlo". E' il modus operandi messo in atto da qualche anno a questa parte dal boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, già condannato definitivo assieme al fratello Filippo per le stragi del '92-'93 e per l'omicidio di don Pino Puglisi.
Quel "balletto" che lo scorso anno lo aveva visto rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo 'Ndrangheta stragista dove era imputato (poi condannato all'ergastolo) per gli attentati ai carabinieri in Calabria tra la fine del 1993 ed il 1994, poi bruscamente interrotto prima di stendere un memoriale, è ricominciato davanti ai magistrati della Procura di Firenze, nelle persone del Procuratore capo Giuseppe Creazzo, del procuratore aggiunto Luca Tescaroli ed il sostituto Luca Turco, che indagano sui mandanti esterni delle stragi.
riportare la notizia, così come era avvenuto per la "dissociazione" di Filippo Graviano, è stato il settimanale L’Espresso.
Nel fascicolo, è noto, vi sono i nomi dell'ex Premier Silvio Berlusconi e dell'ex senatore Marcello Dell'Utri (già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e nel primo grado del processo trattativa Stato-mafia, ndr).
Un'inchiesta avviata dopo le intercettazioni in carcere tra lo stesso Graviano ed il camorrista Umberto Adinolfi in cui parlava della "cortesia" che gli sarebbe stata chiesta da Berlusconi ai tempi delle stragi. E si era appreso durante il processo d'appello Stato-mafia che l'accusa nei confronti dell'ex Cavaliere e Dell'Utri riguarda non solo le stragi di Firenze, Roma e Milano, ma anche gli attentati falliti dell'Olimpico, quello al pentito Contorno e al conduttore Maurizio Costanzo.
Ma ovviamente la ricerca della verità sulle stragi non si è esaurita in questi punti perché, come detto dalla Presidente della Corte d'Assise di Reggio Calabria nelle motivazioni della sentenza 'Ndrangheta stragista, nelle dichiarazioni di Giuseppe Graviano vi sono alcune circostanze che “meritano certamente di essere valutate ed approfondite nelle sedi competenti nella speranza che possano giovare finalmente a fare completa chiarezza su avvenimenti che hanno segnato e continuano tuttora a segnare la storia dell’Italia”.
E il filone investigativo che i pm fiorentini stanno portando avanti partendo proprio dalle dichiarazioni che il boss stragista ha fatto davanti ai giudici della corte d’Assise di Reggio Calabria guarda ai denari che Berlusconi avrebbe ricevuto proprio da Graviano.
E così lo scorso novembre i magistrati di Firenze si sono recati nel carcere di Terni, dove Graviano è detenuto al 41 bis, per interrogare il boss di Brancaccio. La notizia clamorosa, dopo il silenzio in cui si era trincerato, è che il capomafia siciliano non si sarebbe negato e, assistito dal proprio legale di fiducia, avrebbe risposto alle domande che gli sono state poste.

Solite accuse.
Durante le deposizioni a Reggio Calabria, come ha poi ripetuto nella memoria depositata nel processo, Graviano ribadì di aver incontrato durante la latitanza Silvio Berlusconi a Milano per tre volte. Disse anche degli investimenti che la sua famiglia, a partire dal nonno, fece nelle imprese dell'ex Cavaliere nel Nord Italia, parlando anche dell'esistenza di una "scrittura privata" che sarebbe stata in mano del cugino. Ed è facile pensare che di questo ha parlato con i magistrati di Firenze, anche cercando di smontare le accuse a lui rivolte dai collaboratori di giustizia.
Ma perché sia Giuseppe che Filippo Graviano hanno deciso di parlare, seppur in forma diversa, con i magistrati?
Nessuno dei due è un collaboratore di giustizia. E questo già la dice lunga sull'attendibilità che possono avere le loro dichiarazioni. Nelle parole di Graviano il "vero" e "falso" vengono continuamente mescolati a proprio uso e consumo, tanto che allontana da sé ogni accusa ("io non sono responsabile. Non posso accollarmi cose dopo 26 anni di carcerazione che ho fatto e mi trovo in 'area riservata'"), pur dicendo di "rispettare le sentenze". Certo è che, come da lui stesso spiegato, "sul 41 bis, sul 4 bis, o l'ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione".
Uscire dal carcere è l'obiettivo dichiarato di entrambi i fratelli sanguinari. E se da una parte la speranza è nelle sentenze della Corte di Strasburgo o quelle della Corte Costituzionale che ha recentemente aperto ai permessi premiali per i boss, dall'altra c'è anche la volontà di non essere più inerme nella costruzione del proprio destino.
E da qualche anno ha iniziato a muoversi ad esempio scrivendo nel 2013 una lettera di cinque pagine alla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin. Era quello il Governo di Enrico Letta in cui, allora come oggi, erano stabilite larghe intese con il Popolo delle libertà di Berlusconi che vi era entrato a pieno titolo. Quella missiva è stata acquisita dai pm fiorentini. 

Messaggi all'esterno.

Certo è che Giuseppe Graviano ha inviato messaggi verso l'esterno.A chi? Sicuramente a quegli apparati dello Stato e della politica che non hanno rispettato, nell'ottica del capomafia, i "patti". Una minaccia, neanche troppo velata, verso il potere, come se fosse pronto a "vuotare il sacco". Quasi a voler imbastire una nuova trattativa. Del resto Giuseppe Graviano, assieme al super latitante trapanese Matteo Messina Denaro, a figure come Salvatore Biondino, i Madonia di Palermo, Leoluca Bagarella, o ancora Piddu Madonia di Caltanissetta, soprattutto per i segreti che portano sono ad oggi le figure di riferimento che comandano la mafia siciliana. E la strategia di Graviano è proprio quella di confermare la propria leadership dimostrando che nessuno ha dimenticato gli antichi obiettivi: smantellare il 41 bis e l'ergastolo. E da questo punto di vista non è un caso se l'altro piano, quello della dissociazione, che era tanto caro all'altro capomafia corleonese, oggi deceduto, Bernardo Provenzano, non sia lui, ma il fratello FilippoAi magistrati fiorentini quest'ultimo ha fatto mettere a verbale: "Fino al 2009 il mio nome non era di interesse di nessuna procura; nel 2009 ci fu l’inizio della collaborazione di Gaspare Spatuzza, io mi ero reso conto che la mia vita passata non era corretta e stavo facendo un percorso interno. Lui sosteneva che nel carcere di Tolmezzo gli avevo detto che stavamo aspettando qualcosa dall’esterno". Un fatto quest'ultimo totalmente negato dal capomafia di Brancaccio. Quindi avrebbe aggiunto: "Mi proclamo innocente rispetto ai reati che mi sono stati attribuiti nella sentenza di Firenze (quella sulle stragi del 1993, ndr) e ritengo che, per me, questa sia una questione pregiudiziale rispetto alle domande che mi avete posto. Il mio interesse è quello di ottenere una revisione della mia posizione giudiziaria. Non sono disponibile a rispondere alle vostre domande. Mi sono dissociato da Cosa nostra facendo una dichiarazione espressa di dissociazione. Ammetto la mia responsabilità in relazione alla partecipazione a Cosa nostra palermitana, mandamento di Brancaccio, non sono mai stato capo del mandamento neppure come sostituto".

L'inchiesta va avanti.
Lo scorso gennaio indiscrezioni giornalistiche avevano evidenziato come un nuovo impulso investigativo fosse giunto dalle propalazioni di Salvatore Baiardo, gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni 90 curò la latitanza dei fratelli Graviano, e che è stato anche intervistato nel programma Report. A queste dichiarazioni si aggiungono quelle dei due fratelli stragisti. E la volontà non è quella di fermarsi alle parole, ma di cercare i riscontri. Proprio in questo senso, scrive sempre l'Espresso, che vi sarebbe stata una trasferta dei pm di Firenze, tra l'8 ed il 12 febbraio, nelle zone di Palermo per effettuare “accessi”, verifiche e sopralluoghi. Ma fare ipotesi di qualsiasi tipo è quantomeno azzardato. Dunque, non resta che attendere.
Nel frattempo Cosa nostra, la 'Ndrangheta, la Camorra, le Mafie sono più vive che mai e sempre più inserite all’interno di un Sistema Criminale integrato.
Di fronte a tutto questo sul tema mafia e antimafia il Governo tace e dorme (nella peggiore delle ipotesi è in trattativa?). E la cosa più grave è che quel Movimento Cinque Stelle che doveva essere il nemico numero uno della mafia si trova di fatto al governo con quelle forze politiche fondate da uomini della mafia e soggetti che l’hanno costantemente pagata.
Tutto ciò grazie al “buffone di corte”, Beppe Grillo.
I Graviano, i Messina Denaro, i Madonia e gli altri boss Calabresi, possono ben sperare.

Foto di copertina: rielaborazione grafica by Paolo Bassani

AntimafiaDuemila

Libertà condizionale ai boss, il governo cede sull'ergastolo. - Giorgio Bongiovanni

 

Il consigliere togato del Csm Di Matteo: "In questo modo si realizza obiettivo delle stragi"

Che posizione avrà nel governo Draghi la lotta alla mafia? Ce lo siamo chiesti un mese fa a pochi giorni dalla sua nascita. La risposta non si è fatta attendere e quanto accaduto oggi è indubbiamente un segnale grave che il Sistema criminale integrato, di cui le mafie fanno parte, colgono con estremo favore: i permessi premio anche per i boss condannati all'ergastolo non sono più un tabù e per ottenerli la collaborazione con la giustizia non è affatto necessaria.
Non c'è che dire. Una "manna dal cielo" per i vari Giuseppe e Filippo Graviano, Leoluca Bagarella, i Biondino, i Madonia, gli 'ndranghetisti, i camorristi e chi più ne ha più ne metta.
Durante l'udienza pubblica alla Consulta pure l’avvocatura dello Stato - che in teoria avrebbe dovuto difendere le leggi vigenti sull'ergastolo ostativo per conto del governo - ha nei fatti aperto alla liberazione condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo, anche gli irriducibili stragisti.
Come? Non chiedendo più di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati all’ergastolo ostativo - cioè i detenuti che abbiano trascorso almeno 26 anni in carcere ma non dai condannati ad una pena perpetua per reati di particolare gravità, come terrorismo e mafia - la liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura.
Diversamente ha invitato la Consulta a emettere una sentenza interpretativa di rigetto, in cui si riconosce al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione ogni caso.
"Il Giudice di sorveglianza deve verificare in concreto... quali sono le ragioni che non consentono di realizzare quella condotta collaborativa nei termini auspicati dallo stesso giudice" ha affermato l'avvocato di Stato, Ettore Figliolia intervenendo durante l'udienza pubblica in Consulta (giudice relatore Nicolò Zanon), rimarcando che "una interpretazione costituzionalmente orientata di queste norme... potrebbe consentire di procedere ad una esegesi della normativa", tanto più che anche nelle sentenze della Corte di Cassazione "mi pare che si sia proceduto ad una maggiore valutazione sulle ragioni per le quali non era stata data quella collaborazione".
Nell'intervento sono state citate sia la pronuncia della Corte Costituzionale che quella della Corte europea dei diritti dell'uomo Viola, del 13 giugno 2019"Si potrebbe procedere - ha suggerito Figliolia - ad una interpretazione di queste norme nel senso in qualche modo di ritrattare ogni forma di possibile automatismo ed andare a consentire al giudice di sorveglianza di verificare in concreto le motivazioni che vengono addotte dal detenuto per non poter assicurare quella condotta collaborativa sugli altri". "Il governo ritiene che ci sia la possibilità di praticare un'esegesi - conclude l'avvocatura dello Stato - potremmo dire maggiormente corrispondente alla ratio della norma, assicurando praticamente uno spazio discrezionale al magistrato decidente in termini di verificare in concreto le motivazioni su quella mancata collaborazione che è condizione per ottenere il beneficio". Secondo l’avvocato dello Stato “il Governo non può non tenere in debita considerazione sia i principi evocati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019, che della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Viola, del 13 giugno 2019. Questi principi debbono essere adeguatamente sfruttati, soppesati, calibrati rispetto a quelle che sono le peculiarità della liberazione condizionale, peculiarità che sono evincibili dalla lettura dell’articolo 177 del codice penale”.
Un cambio di posizione clamoroso nel momento in cui, in un primo momento, aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l'infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione.
Domani ci sarà il verdetto della Consulta, ma resta la gravissima presa di posizione dell'avvocatura dello Stato che di fatto rappresenta la linea del governo sul fronte.
Sul punto in passato si sono espressi diversi addetti ai lavori ed oggi il consigliere togato Nino Di Matteo è tornato ad evidenziare le criticità di una presa di posizione che potrebbe davvero segnare un cedimento della lotta alla mafia, permettendo alla stessa di ottenere quei risultati da sempre voluti, sin dai tempi delle stragi.
“Poco alla volta, nel silenzio generale, si stanno realizzando alcuni degli obiettivi principali della campagna stragista del 1992-1994 con lo smantellamento del sistema complessivo di contrasto alle organizzazioni mafiose ideato e voluto da Giovanni Falcone" ha detto Di Matteo rilasciando una dichiarazione al 'Fatto Quotidiano'.
Del resto un’eventuale sentenza di accoglimento della Consulta potrebbe aprire la strada ad appelli e ricorsi da parte di boss di primissimo piano che hanno messo a ferro e fuoco il Paese, uccidendo Falcone e Borsellino, le scorte e tanti cittadini inermi.
E' noto, dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, ma anche dalle intercettazioni in carcere di capomafia, che l'attenuazione dell'ergastolo e 41-bis erano i punti principali del cosiddetto 'papello' di richieste che Totò Riina fece avere allo Stato subito dopo la strage di Capaci.
Se la Consulta si esprimerà in maniera favorevole diventa sempre più alto il rischio, come evidenziato in passato dallo stesso Di Matteo, "che i capimafia ergastolani continuino a comandare e sarebbe un segnale di possibile riaffermazione anche simbolica del loro potere". "Da magistrato che per decenni si è occupato delle vicende stragiste e che ha il dovere di ricordare le loro vittime e i motivi che hanno scatenato la mano di Cosa Nostra - aveva ricordato già nel 2019 - spero che l’efficacia dell’ergastolo non venga vanificata da decisioni che inconsapevolmente rischiano di far realizzare alle organizzazioni mafiose un obiettivo per loro fondamentale. Se ciò si verificasse, si realizzerebbe un passo indietro complessivo nel sistema di contrasto alle organizzazioni criminali".

Il "casus belli"
Il caso finito in Consulta, su cui dovrà esprimersi la Corte, è quello del mafioso di Partinico Salvatore Francesco Pezzino, rappresentato all'udienza pubblica dall'avvocatessa Giovanna Beatrice Araniti, che vorrebbe accedere alla libertà vigilata senza collaborare.
Nel 2018 Pezzino ha chiesto al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila di riconoscergli la libertà condizionale, prevista per tutti i detenuti che hanno scontato 26 anni di carcere, salvo, appunto, quelli condannati per reati di mafia che non hanno collaborato con la giustizia. Un divieto previsto dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, e dal decreto legge 306 del 1992, ispirato da Giovanni Falcone già con un decreto dell’anno precedente, e approvato dopo la strage di Capaci per provare a rompere la breccia di omertà di Cosa nostra, all’inizio della stagione delle bombe.

Silenzio assenso di Governo
E non sorprende che la presa di posizione dell'Avvocatura dello Stato avvenga proprio ora che al Ministero della Giustizia siede Marta Cartabia, già vicepresidente di quella Corte Costituzionale che nell'Ottobre 2019, sulla scia della pronuncia della CEDU, dichiarò proprio l'illegittimità dell’articolo 4-bis di fatto aprendo alla possibilità per gli ‘ergastolani ostativi’ di accedere a permessi premio nel corso della loro detenzione. Se da una parte si può comprendere che quella decisione muoveva dall’esigenza di tutelare diritti costituzionalmente garantiti, dall'altra non possiamo dimenticare come le mafie mortificano i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini.
Da quando è divenuta Guardasigilli la Cartabia non è intervenuta mai nel tema specifico ma ha semplicemente parlato della funzione rieducativa della pena. Ieri, però, è intervenuto il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, di Forza Italia, che ha espresso una considerazione totalmente fuori dal mondo affermando che "un elemento ostativo non può derivare da una scelta processuale di collaborare o non collaborare. L’ergastolo non deve essere legato alla collaborazione con la giustizia: io posso non collaborare ma aver rescisso i rapporti o collaborare e non averli rescissi”.
E' un fatto noto, purtroppo, che da Cosa nostra, dalla 'Ndrangheta ed altre organizzazioni criminali si possono avere solo due modi per uscire: o collaborando con la giustizia o da morti.
Dunque è evidente che questo provvedimento, nei fatti, disincentiverebbe anche la collaborazione con la giustizia da parte dei boss criminali.
Capomafia sanguinari che ora attendono così come aveva dichiarato Giuseppe Graviano nel processo 'Ndrangheta stragista: "Io non ho fatto né trattative né patti. Ho avanzato le mie lamentele per il carcere nei confronti di tutti i politici. Alcuni politici più garantisti, a loro dire. Invece di mantenere gli impegni presi con mio nonno hanno fatto leggi ingiuste, vergognose e incostituzionali. Tanto è vero che l'Italia non fa altro che prendere sempre multe dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. Il 41 bis? E' normale che stiamo male al 41 bis ma io non piango e non faccio la vittima. Io lotto per quello che mi permette la legge. Sul 41 bis, sul 4-bis, o l'ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione". Nei mesi scorsi il fratello, Filippo Graviano, ha affermato ai magistrati fiorentini di essersi dissociato ed al contempo ha chiesto proprio di poter accedere ad un permesso premio. Oltre a loro aspettano il verdetto della Consulta anche altri 1.271 detenuti condannati al “fine pena mai”. Tutt'altro che coincidenze.
E comunque andrà a finire è chiaro che il segnale di Governo è stato lanciato, con la mafia pronta a coglierlo. E vedere organi altamente istituzionali che si adeguano, calandosi le brache, a certi dettami (europei e non solo) è scandaloso quanto offensivo per tutti quei martiri, a cominciare da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno lottato contro i Sistemi criminali.

AntimafiaDuemila