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mercoledì 23 agosto 2023

Sindrome DI GUILLAIN-BARRE’ DOPO VACCINAZIONE ANTI COVID-19 IN USA.

 

REPORTS OF GUILLAIN-BARRÉ SYNDROME AFTER COVID-19 VACCINATION IN THE UNITED STATES
Abara WE, Gee J, Marquez P, et al.

JAMA Netw Open 2023; 6(2):e2253845


In questo studio di coorte retrospettivo, è stato osservato un aumento del rischio di sindrome di Guillain-Barré entro intervalli di 21 e 42 giorni dopo la vaccinazione con Ad26.COV2.S (Janssen). Il rischio assoluto era probabilmente dell'ordine di diversi casi per milione di dosi di vaccino somministrate. Al contrario, non è stato riscontrato un aumento del rischio di questa ADR dopo il vaccino anti COVID-19 a mRNA (BNT162b2 [Pfizer-BioNTech] e mRNA-1273 [Moderna]), suggerendo che i casi osservati dopo la vaccinazione a mRNA possono costituire l’incidenza naturale di tale sindrome. 

RIASSUNTO

CONTESTO A causa delle associazioni storiche tra i vaccini e la sindrome di Guillain-Barrè (GBS), questa condizione era un evento avverso pre-specificato di particolare interesse per il monitoraggio dei vaccini anti COVID-19.

OBIETTIVO Valutare le segnalazioni di GBS nel database americano VAERS (Vaccine Adverse Event Reporting System) e confrontare i profili di segnalazione entro 21 e 42 giorni dopo la vaccinazione con vaccini anti COVID-19 Ad26.COV2.S (Janssen), BNT162b2 (Pfizer-BioNTech) e mRNA-1273 (Moderna).

DISEGNO, SETTING E PARTECIPANTI Questo studio di coorte retrospettivo è stato condotto utilizzando le segnalazioni inviate al VAERS da dicembre 2020 a gennaio 2022. Sono stati inclusi i report sui casi di GBS verificati come conformi alla definizione di “caso di GBS” della Brighton Collaboration negli adulti statunitensi dopo la vaccinazione anti COVID-19.

ESPOSIZIONI Vaccini anti COVID-19 Ad26.COV2.S, BNT162b2 o mRNA-1273.

ESITI PRINCIPALI E MISURE Sono state condotte analisi descrittive dei casi di GBS. Sono stati calcolati i tassi di segnalazione di GBS entro 21 e 42 giorni dopo le vaccinazioni Ad26.COV2.S, BNT162b2 o mRNA-1273 in base alle dosi somministrate. Sono stati calcolati i Reporting Rate Ratios (RRR) dopo la vaccinazione con Ad26.COV2.S rispetto a BNT162b2 o mRNA-1273 negli intervalli post-vaccinali di 21 e 42 giorni. I rapporti osservato-atteso (observed-to-expected, OE) sono stati stimati utilizzando i tassi di base di GBS in letteratura.

RISULTATI Tra le 487.651.785 dosi di vaccino anti COVID-19, 17.944.515 dosi (3,7%) erano di Ad26.COV2.S, 266.859.784 dosi (54,7%) di BNT162b2 e 202.847.486 dosi (41,6%) di mRNA-1273. Su 295 segnalazioni verificate di casi di GBS identificati dopo la vaccinazione anti COVID-19 per 275 (93,2%) è stato documentato il ricovero ospedaliero (12 asiatici [4,1%], 18 neri [6,1%], 193 bianchi [65,4%] e 17 ispanici [5,8%]; 169 maschi [57,3%]; età mediana [IQR] 59,0 [46,0-68,0] anni). Sono pervenute 209 e 253 segnalazioni di GBS che si sono verificate rispettivamente entro 21 giorni e 42 giorni dalla vaccinazione. Entro 21 giorni dalla vaccinazione, i tassi di segnalazione di GBS per 1.000.000 dosi somministrate erano 3,29 per Ad26.COV.2, 0,29 per BNT162b2 e 0,35 per mRNA-1273; entro 42 giorni dalla vaccinazione, erano 4,07 per Ad26.COV.2, 0,34 per BNT162b2 e 0,44 per mRNA-1273. GBS è stata riportata più frequentemente entro 21 giorni dopo Ad26.COV2.S che dopo la vaccinazione con BNT162b2 (RRR 11,40; IC 95% 8,11-15,99) o mRNA-1273 (RRR 9,26; 6,57-13,07); risultati simili sono stati osservati entro 42 giorni dalla vaccinazione (BNT162b2: RRR 12,06; 8,86-16,43; mRNA-1273: RRR 9,27; 6,80-12,63). I rapporti OE erano 3,79 (2,88-4,88) per 21 giorni e 2,34 (1,83-2,94) per 42 giorni dopo la vaccinazione con Ad26.COV2.S e meno di 1 (non significativo) dopo BNT162b2 e vaccinazione con mRNA-1273 in entrambi i periodi post-vaccinali.

CONCLUSIONE E RILEVANZA Questo studio ha rilevato una disproporzionalità di segnalazione e squilibri per la vaccinazione con Ad26.COV2.S, suggerendo che una associazione con un aumentato rischio di GBS. Non sono state invece osservate associazioni per i vaccini a mRNA anti COVID-19. Il Advisory Committee on Immunization Practices raccomanda preferenzialmente che le persone di età pari o superiore a 18 anni ricevano un vaccino a mRNA anti COVID-19 piuttosto che il vaccino Ad26.COV2.S quando entrambi i tipi di vaccino sono disponibili. In particolare, questa raccomandazione si basa principalmente sull'aumento del rischio di una rara condizione grave di trombosi con sindrome trombocitopenica dopo la vaccinazione Ad26.COV2.S, ma si basa anche su un'associazione riconosciuta con GBS.

http://www.sefap.it/web/index.php?class=Comp&className=Content&op=show&param=CID%2C4101%2Cpreview%2C0&fbclid=IwAR11PWUx1hc5ryl5mR50_XAz_CuCnUanBOi75CaG4OetzEzmFvGPhIuv2TI

martedì 22 agosto 2023

IL RACKET CHE PIANIFICA LE PANDEMIE. - Joseph Mercola - tradotto da Markus

 

Nell’autunno del 2022, i media mainstream avevano iniziato a lanciare l’allarme su una potenziale “triplice epidemia”, caratterizzata dalla presenza simultanea di COVID [1], influenza stagionale e virus respiratorio sinciziale (RSV) [2] . La paura fa vendere, si dice, e questo è certamente il sistema usato da Big Pharma quando si tratta di vaccini.

L’improvvisa attenzione per l’RSV in particolare, che esiste da decenni, è coincisa con l’annuncio di una rapida messa a punto di vaccini contro l’RSV, un’impresa rischiosa se mai ce n’è stata una, visto che i produttori di vaccini avevano inutilmente cercato di immettere sul mercato un vaccino contro l’RSV per circa 60 anni, senza riuscirci a causa di problemi di sicurezza.

Non sorprende che Pfizer e Moderna stiano lavorando a vaccini combinati a base di mRNA per COVID, RSV e influenza [3] , che dovrebbero essere immessi sul mercato nel 2024 e/o nel 2025 [4]. Nell’estate del 2023 la Food and Drug Administration statunitense ha approvato i primi vaccini contro l’RSV per gli anziani di oltre 60, uno di Pfizer (Abrysvo) [5] e uno di GlaxoSmithKline (Arexvy) [6] .

Entrambi i vaccini sono vaccini ricombinanti a subunità, In questi tipi di vaccino vengono utilizzate alcune proteine virali per scatenare una risposta immunitaria [7] ed entrambi i produttori hanno segnalato la sindrome di Guillain-Barré come effetto collaterale dei loro prodotti [8].

Il vaccino contro l’RSV di Pfizer costerà probabilmente tra i 180 e i 270 dollari, mentre GSK intende applicare un prezzo compreso tra i 200 e i 295 dollari [9]. GSK aveva inizialmente annunciato un prezzo di 148 dollari per dose, ma ha deciso di raddoppiare il prezzo a causa di dati più recenti che suggeriscono che l’efficacia potrebbe protrarsi anche nella seconda stagione.

Continua la propaganda della tripla pandemia.

Mentre ci avviamo verso l’autunno del 2023, la “tripla pandemia” di COVID, RSV e influenza fa di nuovo notizia. Una ricerca su Google per la frase chiave “tripla pandemia 2023” [10] a metà agosto 2023 aveva dato ben 41,2 milioni di risposte.

Ricordate che l’esempio di cui sopra è solo a scopo illustrativo e vi sconsiglio vivamente di usare Google. Ma ecco la VERA lezione da apprendere. I risultati totali della ricerca possono essere utilizzati solo per farsi un’idea della frequenza del termine. Google ha smesso da tempo di fornire tutti quei 40 milioni di risultati. Indovinate quanti ne potete visualizzare? Solo 100.

Questo è un punto irrilevante per parole chiave come tripla pandemia del 2023, ma diventa enormemente importante per voi e la vostra famiglia quando cercate di fare una ricerca seria su Internet. È praticamente impossibile ora che Google non solo censura le informazioni vitali sui rimedi naturali per la salute, ma si limita a visualizzare solo i primi 100 risultati.

E, come avevamo visto durante la pandemia COVID, le agenzie di stampa utilizzano gli stessi titoli e le stesse argomentazioni – una prova inequivocabile che la narrativa sulla triple pandemia è coordinata da una fonte centrale.

Continua qui: https://comedonchisciotte.org/il-racket-che-pianifica-le-pandemie/

sabato 1 gennaio 2022

Vaccini, la Befana vien con l’obbligo, vero o mascherato da Super green pass. - Giacomo Salvini

 

L'EREDITÀ DI DRAGHI - È certa l'estensione ai lavoratori della Pubblica amministrazione dell'obbligatorierà del siero. Ieri gli uffici tecnici di Palazzo Chigi e del ministero della Salute si sono messi a studiare la nuova norma. Conte: “Subito i ristori”.

“Abbiamo fatto molte cose buone, auguri a tutti”. Chiudendo il Consiglio dei ministri che aveva appena approvato le nuove misure per contenere il dilagare della variante Omicron, mercoledì sera, Mario Draghi ai ministri ha dato l’impressione di aver concluso il suo compito da capo del governo. Però poi, dopo il duro litigio tra Lega e M5S e il fronte rigorista di Pd, Leu e Forza Italia, il premier ha annunciato un nuovo provvedimento a inizio anno: “Approveremo il Super green pass per il lavoro nel prossimo Cdm”. La data è cerchiata: il 5 gennaio. Intanto se il pass rafforzato per trasporti e ristoranti entrerà in vigore dal 10 gennaio fino al 31 marzo, le nuove norme sulla quarantena (che cessa con un tampone) dovrebbero valere da oggi con la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale. Inoltre, sarà introdotto un prezzo calmierato per le mascherine Ffp2. Giuseppe Conte chiede “ristori subito” per le attività colpite e un nuovo scostamento di bilancio.

Draghi però ha fretta: avrebbe voluto inserire l’obbligo del vaccino anche per i lavoratori già mercoledì, ma l’asse tra Giancarlo Giorgetti e Stefano Patuanelli glielo ha impedito. Chi ha partecipato alle riunioni con il premier però ha avuto la netta sensazione che l’estensione massima del certificato verde – o in alternativa l’obbligo vaccinale – sia l’eredità che Draghi vuole lasciare prima di affrontare l’elezione del presidente della Repubblica. Una misura che vorrebbe dire obbligo vaccinale di fatto perché imporrebbe a tutti i lavoratori di immunizzarsi. Il tampone, insomma, non basterà più.

Così da ieri gli uffici tecnici di Palazzo Chigi e del ministero della Salute si sono messi a studiare la nuova norma. Certa è, su spinta del ministro di FI Renato Brunetta, l’introduzione dell’obbligo di vaccino per i lavoratori della Pubblica amministrazione. Oggi l’obbligo vaccinale riguarda il personale sanitario, le forze dell’ordine e il personale scolastico. L’intenzione di Draghi, però, è anche quella di applicare il pass rafforzato anche per i settori del privato. Il timore del premier, mercoledì, era quello di far andare in tilt alcune filiere come quella dell’agricoltura e dell’edilizia ma ieri da Palazzo Chigi facevano sapere che sarebbe difficile distinguere le categorie dei lavoratori. Con ogni probabilità, il decreto del 5 gennaio introdurrà un tempo cuscinetto per dare tempo ai lavoratori di vaccinarsi. Resta aperto invece il nodo dei controlli e delle sanzioni: più facili nel pubblico impiego, più complicati nel settore privato. Su questo e sui dubbi tecnici del provvedimento, da lunedì Draghi parlerà con i sindacati e le imprese per capire come la pensano. Cgil e Confindustria preferirebbero l’obbligo vaccinale tout court. Ipotesi difficile ma non esclusa nel governo. Ieri, su Repubblica, lo ha proposto il segretario del Pd Enrico Letta, a cui ha risposto positivamente la ministra forzista Mariastella Gelmini: “Siamo favorevoli sia all’obbligo che al Super green Pass”. Il M5S preferirebbe l’obbligo vaccinale per non escludere disoccupati e pensionati.

Resta da convincere la Lega. Che, come spesso accaduto in questi mesi, ha una doppia faccia. La prima è quella dei presidenti di Regione guidati da Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, che mercoledì mattina erano stati i primi a chiedere al governo di estendere il pass al lavoro; la seconda è quella di Matteo Salvini che ha imposto il suo “no” al suo capodelegazione in cabina di regia Giorgetti. Il numero due del Carroccio però ha precisato che la Lega non è pregiudizialmente contraria ma l’obbligo del pass rafforzato dovrà essere accompagnato da una “lista dei lavoratori fragili esenti”, si dovrà prevedere una forma di risarcimento per danni da vaccino ed “eliminare la manleva”, ossia il consenso informato da firmare per immunizzarsi. Una mediazione, alla fine, si troverà. Forse l’ultima del governo Draghi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/31/vaccini-la-befana-vien-con-lobbligo-vero-o-mascherato-da-super-green-pass/6441663/

mercoledì 24 novembre 2021

Vaccini e novax.

 

I novax vanno condannati a pagare i danni causati dal loro rifiuto, perché costringono un'intera popolazione a subire i danni che il loro rifiuto produce.

Va da sè che, se i contagi aumentano per la loro dabbenaggine, per le loro idee malsane e campate in aria, tutti, anche i vaccinati, dovranno subire le restrizioni che ne deriveranno, tra le quali il divieto di circolare liberamente e, pertanto, di potersi vedere con parenti e amici.
Il loro rifiuto corrisponde ad una dittatura imposta dal loro comportamento nei confronti di chi, osservando le regole e rispettando l'altrui libertà, si vaccina.
Ma ciò che rende il rifiuto ancora più inaccettabile, è che provoca l'impossibilità di curare gli ammalati di altre sintomatologie anche gravi da parte del personale sanitario impegnato a curare chi ha contratto il virus.
Non li capisco, perché, anche cercando di comprendere il loro pensiero, le motivazioni che adducono, peraltro prive di prove, non trovano una logica che dia conferma alle loro affermazioni.
Una delle loro motivazioni predominanti è che il vaccino contenga veleni... se fosse vero dovrebbero essere morti tutti i vaccinati, me compresa per prima, avendo assunto il famigerato AstraZeneca. Non v'è dubbio che un medicinale, perché produca l'effetto voluto, debba contenere sostanze anche sintetiche abbastanza potenti da combattere e sconfiggere l'intruso, ma ciò non vuol dire che sia un veleno.
Farsi il vaccino corrisponde a scegliere l'opzione migliore perché positiva, logica, di apertura;
- non farlo è da sconsiderati, perché si è irrispettosi verso gli altri, é, inoltre, restrittiva e, pertanto, negativa.

cetta

domenica 17 ottobre 2021

Vaccini - Green pass


Nel 2019 si verifica l'insorgenza di un virus che causa molte vittime specie tra gli anziani e che attacca prevalentemente le vie respiratorie per cui, per chi ha contratto il virus ed è in stadio avanzato, si rende necessario il ricovero ospedaliero in terapia intensiva, con conseguente sovraccarico di posti letto per il tipo di terapia, e aumento di decessi.

Gli scienziati, nel frattempo, si prodigano per trovare un rimedio alla cura e riescono a preparare in pochissimo tempo alcuni vaccini ed a testarli.

Gli Stati, tra cui il nostro, mettono a disposizione della cittadinanza i vaccini da somministrare gratuitamente.

La maggioranza dei cittadini ne approfitta e si vaccina ma, come sempre succede nel mondo, una parte della popolazione, in numero minore, fortunatamente, rifiuta di farsi vaccinare adducendo motivi assurdi, complottistici e senza fondamento, facilmente smontabili, per cui la pandemia non regredisce, minacciando di riportare tutto allo stato iniziale di lock down con tutto ciò che ne consegue sia in termini di ricoveri ospedalieri, che di decessi; 
oltre, naturalmente, a provocare danni all'econimia, causati sia dalle cure costose che dal conseguente blocco della produzione e, pertanto, dell'economia in generale. 

E tutto ciò avviene per colpa della pessima informazione e dalla mancanza di cultura. 

Siamo messi maluccio!


cetta.

domenica 15 agosto 2021

Green pacco. - Marco Travaglio

 

Da ultramaggiorenne, ultravaccinato e greenpassmunito, m’illudo di poter sollevare qualche legittimo dubbio sul pensiero unico che ci circonda senza venire iscritto d’ufficio al partito dei Negazionisti No Vax-No Pass e trascinato con loro sulla pira dei pirla.

1. Un anno fa (con zero vaccinati) avevamo un terzo di contagi e un ottavo di morti al giorno rispetto a oggi (con 2/3 della popolazione vaccinata). Il 13 agosto 2021 sono morti in 45 e il tasso di positività (rapporto tamponi/contagiati) era al 3,28%, contro i 6 e l’1,02 del 13 agosto 2020. L’altroieri i ricoverati in terapia intensiva erano +17 e nei reparti ordinari +58, contro i +2 e i +7 di un anno fa. I dati erano molto inferiori a oggi anche il 13 settembre, dopo l’estate folle delle discoteche aperte: 7 morti, positività all’1,6%, +5 in terapia intensiva. Bastano la variante Delta e il mancato lockdown nel 2021 a spiegare il terribile paradosso? O i vaccini (che continuiamo a raccomandare perché riducono i rischi di morte e di ricovero) sono molto meno efficaci e molto più perforabili di quanto si pensasse?

2. Ancora il 13 ottobre, quando Conte varò il primo Dpcm contro la seconda ondata, i morti erano meno dell’altroieri (41 contro 45). Eppure i giornaloni accusavano il governo di inerzia e gli esperti veri o presunti invocavano il lockdown: quanti morti servono ora perché qualcuno chieda a Draghi &C. almeno una parola chiara?

3. Più che della legittimità filosofico-giuridica del Green pass, bisognerebbe discutere della sua utilità pratica. Cosa risponde il governo a Crisanti che lo accusa di mentire spacciandolo per una misura sanitaria mentre non lo è? Se anche i vaccinati possono contagiarsi (stessa carica virale dei non vaccinati: Fauci dixit), contagiare e persino morire (sia pur in misura molto inferiore ai non vaccinati), che senso ha dividere i cittadini di serie A da quelli di serie B, alimentando per giunta l’illusione che i primi non siano contagiosi e che chi li avvicina non debba mantenere le distanze e le mascherine?

4. Siccome il Green pass non è revocabile, ogni giorno aumenta il rischio di incontrare contagiati-contagiosi muniti di carta verde e dunque travestiti da immuni: non sarebbe meglio mantenerlo come incentivo ai vaccini, ma smetterla di farne un passepartout e puntare a ridurre i contagi con tamponi gratuiti e il binomio distanziamento-mascherine nei luoghi affollati? La risposta è nota: ma così si scoraggiano i vaccini. Se però questi coprono le varianti solo fino a un certo punto, anzi le scatenano, qual è lo scopo della campagna anti-Covid: comprare più vaccini o avere meno contagi?

5. Chiunque sollevi qualche dubbio passa per un fottuto No Vax: ma siamo sicuri che le bugie e le omissioni, anziché ridurre i No Vax, non li moltiplichino?

ILFQ

venerdì 30 luglio 2021

Vaccinazione con doppia dose: l’epidemia si può fermare così. - M.T. Island

 

Non siamo fuori dall'emergenza, anzi siamo nel pieno di una nuova fase di crescita dei casi, ma i dati internazionali di chi ha vaccinato più di noi fissano due obiettivi chiari: con il 55-60% circa della popolazione protetta con doppia dose l’epidemia inizia a rallentare. Di conseguenza con l'80% circa potremmo arrivare all'immunità di gregge e al pieno controllo della Covid-19 causata dalla variante Delta. Il traguardo è a portata di mano e dobbiamo tagliarlo in fretta, sicuramente prima dell'autunno e della piena ripresa delle attività (scuole incluse).

In questa analisi toccheremo i vari punti utilizzando due diverse chiave interpretative: la teoria, per la quale esistono certezze, e la pratica, per la quale vivendo di incertezze dovremo affidarci in particolare a confronti internazionali. Tenendo sempre presente che le previsioni, soprattutto in presenza di un virus nuovo come il Sars-CoV-2, sono un esercizio difficile e ad alto rischio. Questo non significa che la scienza sbaglia, come è fin troppo facile sostenere, ma piuttosto che impara dai propri errori e si corregge. E che proprio grazie a questi continui aggiustamenti arriva al risultato finale.

La situazione attuale dell'epidemia.

Come abbiamo anticipato a partire da metà luglio (anche grazie al commento “I numeri della settimana”) siamo nel pieno di una fase di forte crescita dell'epidemia. La variante Delta è caratterizzata da una rapidità diffusionale di almeno il 60% superiore a quella della vecchia variante Alfa (ex inglese) ormai soppiantata anche nel nostro Paese.

La settimana epidemiologica 17-23 luglio, l'ultima completa mentre scriviamo, si è chiusa con un totale di 26.321 nuove infezioni individuate: l'incremento rispetto al periodo precedente (10-16 luglio) è del 106,8%, che conferma un tempo di raddoppio dei casi compreso tra 6 e 7 giorni. Una rapidità anche maggiore di quella (14 giorni) a cui abbiamo assistito a inizio maggio in Uk. Ossia quando, nei Paesi del Regno Unito, si è verificata l'inversione della curva del contagio nonostante un livello di vaccinazioni apparentemente già molto elevato: 35% della popolazione protetto con doppia dose e 54% con “almeno” la dose singola.

Numeri adeguati per affrontare la variante Alfa, che infatti aveva iniziato a declinare rapidamente già con questo livello vaccinale, ma insufficienti per contrastare un virus più veloce e diffusivo come il Sars-CoV-2 nella variante Delta.

Un aspetto importante, che rende particolarmente efficace il confronto dei dati italiani con quelli britannici, è che il momento di inversione della curva nel nostro Paese si è verificato a inizio luglio, con dati vaccinali quasi esattamente sovrapponibili a quelli del Regno Unito di inizio maggio. Anche per noi, dunque, si è confermata l'impossibilità di fermare la variante Delta con lo stesso livello di protezione che aveva tenuto a bada la variante Alfa.

Torniamo rapidamente ai dati dell'ultima settimana epidemiologica: i casi quotidiani hanno raggiunto una media di 3.760 (erano 1.817 la settimana precedente); i ricoverati nei reparti di medicina generale sono saliti dai 1.088 del 16 luglio ai 1.304 del 23 luglio (e attualmente sono in una fase di crescita più consistente); i nuovi ingressi in terapia intensiva (70) hanno iniziato a registrare un incremento sensibile (+29,6% sui 54 della settimana precedente).

Stiamo assistendo, solo con una rapidità maggiore rispetto alle ondate precedenti, alla classica manifestazione temporale delle fasi espansive della Covid-19: prima aumentano i nuovi casi (lo stiamo vedendo da inizio luglio); poi i ricoveri nei reparti ordinari (iniziamo a vederlo chiaramente adesso); poi aumenteranno anche i posti letto occupati in area critica (per ora registriamo l'aumento dei nuovi ingressi, che fino a pochi giorni fa era ancora compensato dalle uscite). Nulla di inatteso quindi, se non per la rapidità estrema che conferma tutta la pericolosità della nuova variante.

La rapidità del contagio inizia a frenare.

Anche questa era una situazione attesa: abbiamo sottolineato più volte come, dopo una prima fiammata, anche l'epidemia italiana avrebbe probabilmente rallentato per portarsi a un tempo di raddoppio dei nuovi casi intorno ai 14 giorni, come già visto in Uk. Questa dinamica sta iniziando a manifestarsi dall'inizio della settimana epidemiologica in corso: mentre scriviamo la crescita è contenuta nel 47,5% contro il 106,8% della settimana epidemiologica precedente, e avvicina il tempo di raddoppio dei nuovi casi ai 14 giorni che abbiamo appena ricordato. Si tratta di un aspetto tutt'altro che secondario, perché ci permetterà di arrivare al momento di picco con un numero di casi più basso rispetto a quello che avremmo raggiunto con il tempo di raddoppio della scorsa settimana.

Come vedremo più avanti in dettaglio, il momento di inversione della curva del contagio è strettamente legato al livello di dosi somministrate, e in Italia è collocabile indicativamente verso la fine di agosto.

Cosa dicono i dati internazionali.

Per capire cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane possiamo osservare l'andamento epidemico in Paesi che ci precedono temporalmente, e che hanno un livello di copertura vaccinale superiore al nostro. In particolare abbiamo considerato Regno Unito (numeri aggregati), Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord con i dati consolidati del 25 luglio. Prima di procedere ricordiamo che l'Italia, alla data del 28 luglio (ultima disponibile mentre scriviamo) aveva vaccinato con dose doppia il 52,3% della popolazione, includendo però nel conteggio anche 906.947 soggetti che hanno contratto la malattia e che hanno effettuato una dose di richiamo. Senza questa “aggiunta” i vaccinati con doppia dose sarebbero il 50,8% della popolazione: lo segnaliamo per rendere uniforme il confronto con Paesi che usano un diverso criterio di conteggio delle vaccinazioni, escludendo dai vaccinati “a ciclo completato” i soggetti che hanno contratto l'infezione per via naturale e che hanno ricevuto una sola dose di richiamo.

Uk (dati aggregati): 55,9% della popolazione vaccinata con doppia dose, 69,9% con almeno la dose singola. I nuovi casi, che sulla spinta della variante Delta avevano ripreso a crescere da inizio maggio, sono in calo dal 21 luglio scorso.

Disaggregando i dati del Regno Unito troviamo:

Inghilterra: 55,7% della popolazione vaccinata con doppia dose; 69,9% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 21 luglio.

Scozia: 56,7% della popolazione vaccinata con doppia dose; 73,3% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 4 luglio.

Galles: 63,8%% della popolazione vaccinata con doppia dose; 73% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 20 luglio.

Irlanda del Nord: 53,7% della popolazione vaccinata con doppia dose; 63,5% con almeno la dose singola. I nuovi casi sono in calo dal 25 luglio.

Come vediamo anche in Paesi con caratteristiche molto simili la manifestazione dell'epidemia non è esattamente sovrapponibile. Per cercare una possibile spiegazione possiamo considerare un altro dato, quello della densità della popolazione, che con una maggiore o minore concentrazione degli abitanti può favorire o sfavorire la diffusione del contagio: Scozia 66 abitanti per chilometro quadrato; Irlanda del Nord 133; Galles 281; Inghilterra 462. Per avere un confronto immediato ricordiamo il dato dell'Italia (196).

Dai numeri appena esposti, a prima vista troviamo nella bassa densità della popolazione una spiegazione al calo precoce della Scozia: dove la curva del contagio si è invertita a inizio luglio, in anticipo sugli altri Paesi. Ma questa tesi viene smentita guardando i dati dell’Irlanda del Nord, che nonostante una densità della popolazione più bassa rispetto a Inghilterra e Galles ha dovuto attendere fino al 25 luglio (ultimo Paese del gruppo) per registrare il calo dei nuovi casi individuati. Per contro osserviamo che proprio l'Irlanda del Nord, con il 53,7% della popolazione vaccinata con doppia dose, mostra il livello più basso di copertura vaccinale completa tra tutti i Paesi del Regno Unito. Possiamo quindi ipotizzare che l'inversione della curva del contagio sia correlabile al livello raggiunto di copertura completa della popolazione, e che avvenga in un range collocabile tra il 55 e il 60%.

Le proiezioni dell'epidemia in Italia.

Non siamo lontani da questo traguardo, che potremmo raggiungere entro poche settimane: in particolare, se consideriamo una media di 500.000 vaccinazioni al giorno (restando in linea con quanto fatto nelle ultime settimane) delle quali 300.000 circa destinate alla somministrazione delle seconde dosi, arriveremo al 55% della popolazione vaccinata entro la prima settimana di agosto, e al 60% nella seconda decade di agosto. Se dovessimo replicare la tendenza emersa in Uk, e confermata dall'analisi separata dei singoli Paesi che ne fanno parte, avremmo una crescita dei nuovi casi almeno fino alla seconda metà di agosto, quando si potrebbe manifestare l'inversione della curva epidemica.

Questa ipotesi temporale conferma peraltro quanto emerge dalle proiezioni statistiche, che indicano il possibile picco epidemico proprio nell'ultima parte del mese di agosto. Come abbiamo visto la fase di rallentamento della crescita potrebbe essere già iniziata, e si manifesta con un incremento del tempo di raddoppio dei casi (da 6-7 a 14 giorni): se tutte le ipotesi precedenti trovassero conferma potremmo raggiungere il picco della fase attuale intorno al 20-30 agosto, dopo aver raggiunto un livello massimo di nuove infezioni intorno ai 15.000 casi. Un livello inferiore a quello (30.000) che solo una settimana fa i numeri disponibili proiettavano per la fine di agosto.

A causa dello sfasamento temporale delle curve dei contagiati, ricoverati, ricoverati in area critica e decessi, assisteremo probabilmente a una crescita dei ricoverati fino a inizio settembre, delle terapie intensive fino a metà settembre e dei decessi fino a fine settembre. Prima che, in seguito alla riduzione del contagio, si arrivi all'inversione di rotta anche per questi parametri.

Considerando i dati Uk (tasso di letalità dell'ultimo periodo 0,45%, rapporto ricoverati/casi totali 2,0%) e parametrandoli su un picco atteso di 15.000 casi giornalieri, in Italia potremmo arrivare a un massimo di 300 nuovi ricoveri e di 67 decessi giornalieri. Non ci sono ovviamente certezze in proposito, ma se così fosse l'impatto sarebbe praticamente dimezzato rispetto alle stime basate sui numeri e sulla dinamica epidemica di due settimane fa (600-650 ricoveri e 140-150 decessi).

Siamo in una fase di difficile interpretazione, caratterizzata da oscillazioni fortissime che influiscono direttamente sulle stime del contagio: basti pensare che in Italia, più che un picco vero e proprio, è attesa una fase di plateau come accaduto in passato. Mentre, osservando i dati del Regno Unito, il momento di picco è individuabile con estrema precisione in un giorno singolo.

Le condizioni perché si verifichino queste ipotesi sono legate alla prosecuzione della campagna vaccinale con i ritmi attuali e alla manifestazione epidemica entro i parametri che abbiamo illustrato per Uk (il range dello scostamento possibile varia dalla situazione della Scozia a quella dell’Irlanda del Nord).

Perché è importante la seconda dose.

I dati che arrivano dagli studi condotti sull'efficacia del vaccino sono molto confortanti e testimoniano, come vedremo, la drastica riduzione delle complicanze nei soggetti che hanno ricevuto una doppia dose. Dobbiamo però partire da un dato preliminare: contro la variante Delta i vaccini in uso, dopo la somministrazione della sola prima dose, hanno un'efficacia limitata per quanto riguarda la possibilità di contrarre l'infezione. La riduzione del rischio, infatti, è di poco superiore al 30%: questo significa che il Sars-CoV-2 continua a circolare con una buona efficienza anche tra i soggetti protetti parzialmente, generando nuovi contagi e allargando la base dei positivi totali.

Dopo la seconda dose la situazione cambia in modo radicale, e per verificarlo possiamo ricorrere a dati italiani, recentemente pubblicati dal nostro Istituto superiore di Sanità:
1) Il ciclo completo di vaccinazione (doppia dose o vaccino monodose) protegge dal rischio di infezione, in base alla fascia di età, con valori compresi in un range tra il 79,8% e l'81,5%.
2) Il ciclo completo di vaccinazione, contro il rischio di ricoveri nei reparti di medicina generale e sempre in base alla fascia di età, ha un'efficacia compresa tra il 91,0% e il 97,4%.
3) Il ciclo completo di vaccinazione, nelle fasce di età fino a 59 anni, ha un'efficacia del 100% contro il rischio di ricovero in terapia intensiva e resta su livelli molto elevati (96,6%) anche tra i soggetti over 80.
4) Il ciclo completo di vaccinazione, nelle fasce di età al di sotto dei 59 anni, ha un'efficacia del 100% contro il rischio di morte. Con performance elevatissime anche al di sopra dei 59 anni; 98,7% nella fascia 60-79 anni e 97,2% tra gli over 80.

In sintesi, la doppia dose funziona in modo eccellente ed è in grado di limitare (purtroppo non di eliminare) la circolazione del virus sul territorio. Lo scudo del vaccino risulta ancora più evidente dai dati dell'ultimo Rapporto sui decessi pubblicato dall'Iss (si veda in particolare l'ultima pagina). Dei 35.776 decessi “Covid positivi” registrati tra il 1° febbraio e il 21 luglio 2021, solo 423 hanno riguardato soggetti che avevano completato il ciclo vaccinale: ovvero l'1,18% del totale. Inoltre è corretto registrare che l'età media dei deceduti nonostante la doppia dose è di 88,6 anni, contro una media di 80 anni da inizio epidemia; e che i deceduti presentavano una media altissima (5) di patologie concomitanti. Due elementi che testimoniano come il rischio, nei soggetti con ciclo vaccinale completo, sia legato a situazioni cliniche estremamente complesse in soggetti di età molto avanzata.

Per completezza di informazione segnaliamo che l'Iss ha preso in considerazione i soli numeri successivi al 1° febbraio 2021, e non precedenti, perché quella data coincide con la fine del periodo di 5 settimane necessario per il completamento dei primi cicli vaccinali dopo l'avvio della campagna di immunizzazione, che in Italia è stata avviata il 27 dicembre 2020.

Tutti questi numeri confermano l'utilità, o meglio l'indispensabilità, della seconda dose di vaccino: con la sola prima dose il virus può circolare ancora efficacemente, e anche i soggetti immunizzati con dose singola possono essere veicolo di infezione. Dopo la seconda dose, non solo diminuisce in modo sensibile come abbiamo visto il rischio di contrarre l'infezione; ma le osservazioni in corso testimoniano anche una bassissima capacità dei positivi immunizzati di trasmettere l'infezione ad altri soggetti. Un fattore di progressiva demoltiplicazione che giocherà un ruolo chiave nel contenere la diffusione del Sars-CoV-2.

Il traguardo da raggiungere: l'immunità di gregge.

Siamo arrivati all'ultimo aspetto da considerare, ovvero l'immunità di gregge: che, come abbiamo visto in passato, secondo la teoria non è raggiungibile. Ne riassumiamo brevemente i motivi. Per il calcolo teorico dell'immunità di gregge si utilizza la formula 1-1/R0 (R0 indica la “velocità” diffusionale del virus in assenza di contromisure). La variante Delta viene accreditata di un R0 di 8,0, ma considerando le stime più conservative possiamo limitarci a un 5,0. Quindi dobbiamo calcolare: 1-1/5. Dalla divisione otteniamo 0,2. Procediamo con la sottrazione (1-0,2) per arrivare al risultato finale: 0,8. L'immunità di gregge teorica è fissata all'80% della popolazione immunizzata con doppia dose.

Per calcolare come arrivare a questa soglia grazie alla campagna vaccinale dobbiamo introdurre un secondo elemento, ovvero la reale efficacia dei vaccini contro l'infezione: che non arriva al 100%, come abbiamo visto, ma secondo i dati dell'Iss si ferma all'80% (range tra il 79,8% e l'81,5% in base alla fascia di età).

Il calcolo della copertura minima vaccinale si effettua dividendo l'immunità di gregge teorica per l'efficacia del vaccino: nel nostro caso 0,80/0,80. Il risultato (1,0) ci dice che per arrivare all'immunità di gregge dovremmo vaccinare il 100% della popolazione, cosa ovviamente impossibile. A questo punto ci viene però in soccorso la pratica, che utilizza come punto di partenza la teoria e la adatta alle situazioni che si presentano sul campo.

Sulla base delle stime epidemiologiche che deriviamo dai dati del Regno Unito, sappiamo infatti che il primo effetto di rallentamento del contagio si manifesta su livelli molto più bassi (il 60% della popolazione protetto con doppia dose): questo grazie all'effetto combinato dei vaccinati e degli immunizzati in modo naturale, in quanto hanno contratto l'infezione e sviluppato gli anticorpi. In Italia i positivi individuati ufficialmente sono il 7,5% della popolazione, ma è comunemente accettata la stima che indica in un numero “almeno doppio” gli italiani venuti a contatto con il Sars-CoV-2. La parte ignota dell'infezione è legata all'alto numero di asintomatici, che nel nostro Paese restano spesso nascosti a causa del basso numero di test eseguiti (un quinto circa rispetto a Uk).

Per semplicità possiamo stimare un 15-20% della popolazione italiana già immunizzata per via naturale: di questi una parte sono stati individuati ufficialmente, e una parte è stata comunque sottoposta a vaccinazione perché non era nota l'infezione pregressa. Non conoscendo con esattezza i numeri in gioco, che peraltro sono anche in questo caso molto simili a quelli del Regno Unito, possiamo stimare che la soglia del 60% della popolazione protetta con doppia dose corrisponda nella realtà a un 75-80% della popolazione in grado di opporre una risposta immunitaria alla Covid-19 (sommando vaccinati e immunizzati in modo naturale). Dell'efficacia di questo effetto combinato nel frenare l'infezione abbiamo certezza, grazie ai dati che mostrano il punto di inversione della curva nel Regno Unito. Spostando un po' più in alto l'asticella possiamo stimare che, arrivando a vaccinare con doppia dose il 75-80% della popolazione, non solo arriveremmo a ridurre tutti i principali parametri dell'epidemia, ma probabilmente raggiungeremmo quell'immunità di gregge “pratica” a cui tanto miriamo.

Non è un obiettivo facile, ma è l'obiettivo da raggiungere per mettere sotto controllo la variante Delta. E potremmo arrivarci prima della fine dell'anno in corso, godendo tra l'altro dei vantaggi del rallentamento della curva che si dovrebbe manifestare, come abbiamo visto, già tra fine agosto e inizio settembre.Per questo sarà importantissimo procedere il più rapidamente possibile con le vaccinazioni, accompagnando la campagna con il mantenimento di alcune misure precauzionali che facciano da ulteriore argine all'infezione e alla malattia che potenzialmente ne consegue.

In tal senso deve essere letta la decisione di imporre il “green pass” come documento indispensabile per poter accedere a una gamma crescente di servizi. Da un punto di vista epidemiologico la scelta di concederlo dopo una singola dose è molto debole, un po' come la riduzione del rischio di infezione che segue la sola prima somministrazione. Ma ha il merito di avviare sul percorso vaccinale molti soggetti indecisi, che a quel punto avranno anche tutto l'interesse a completare il ciclo di immunizzazione: capace, come abbiamo visto, di azzerare o quasi il rischio di decesso a causa di una malattia che finora ha generato oltre 127.000 morti.

In conclusione

Fissiamo alcuni punti fermi per il nostro prossimo futuro:
1) Al raggiungimento del 60% circa della popolazione protetta con doppia dose, sulla base delle evidenze che stanno emergendo in Uk, potremmo avere una prima inversione della curva del contagio.
2) Dopo l'inversione della curva dei contagi giornalieri vedremo crescere ancora per 1-2 settimane il numero dei ricoverati; per 2-3 settimane il numero delle terapie intensive; per 3-4 settimane il numero dei decessi.
3) Al raggiungimento del 75-80% della popolazione vaccinata con doppia dose dovremmo ottenere l'immunità di gregge, grazie alla somma con un numero consistente di soggetti (il 15% circa della popolazione) che hanno contratto la malattia e sono quindi immunizzati per via naturale.

Si tratta ovviamente di stime e ipotesi, quindi suscettibili di errori e variazioni in base all'andamento epidemico. Ma soprattutto di stime basate sulla circolazione della variante Delta e sull'efficacia dei vaccini in uso nel fermarne la diffusione e ridurne le ricadute cliniche. Se arrivasse una nuova variante tutti i calcoli dovrebbero essere rivisti: con la certezza, però, di poter aggiornare rapidamente i vaccini (in particolare quelli a mRna).

La battaglia è ancora lunga e tutt'altro che finita; ma, forse per la prima volta, vediamo davvero una luce in fondo al tunnel nel quale ci stiamo dibattendo da inizio 2020.

IlSole24Ore

mercoledì 28 luglio 2021

Vaccini 12-18enni, tutto quel che c’è da sapere in 10 domande e risposte. - Nicola Barone

 

Dagli eventi avversi registrati alle sperimentazioni ancora in corso, come rispondono i pediatri ai dubbi dei genitori.

Consentire un ritorno non traumatico a scuola degli studenti, allontanando lo spettro di nuove fasi di didattica a distanza. Nei pensieri del Governo è una priorità assoluta, di Mario Draghi in particolare che riserva sempre parole nette a riguardo sin dalla primissima ora. Per la vaccinazione obbligatoria del personale non ancora immunizzato niente è ancora deciso. L’altra parte sta invece ai più giovani che sono davanti alla scelta, insieme alle proprie famiglie. Alle più correnti domande danno risposta le Faq pubblicate sul sito della Società Italiana di pediatria (Sip) in cui si «raccomanda la vaccinazione Covid-19 per tutti i bambini e gli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni».

I più piccoli sono “risparmiati” dal Covid?

A maggio 2020, ricordano i pediatri italiani, solo il 5% dei pazienti Covid pediatrici che erano stati ospedalizzati aveva comorbidità e il 3,5% di loro è stato ricoverato in terapia intensiva. «Recenti evidenze scientifiche hanno dimostrato in tale fascia di età la presenza di gravi complicanze renali o di complicanze multisistemiche, anche al di là della ben codificata MIS-C, conseguenti ad un’infezione pauci o asintomatica». Rispetto alla celiachia gli studi disponibili non mostrano un incremento dell’incidenza di effetti collaterali in pazienti affetti rispetto al resto della popolazione, vi sono alcuni dubbi sull’efficacia ma ad oggi non sono disponibili studi che lo dimostrino.

Non aver avuto malattie pregresse mette al riparo dalle conseguenze peggiori?

«Anche i bambini adolescenti senza malattie pregresse sono a rischio di ospedalizzazione a causa del Covid, quindi necessitano di essere protetti dalla vaccinazione». Chi soffre di asma, se la malattia è controllata, può essere sottoposto alla vaccinazione e «non vi sono evidenze che dosi basse o moderate di corticosteroidi inalatori possano avere impatto sulla efficacia». Quanto ai bambini con disabilità neurologiche e immunodeficienze, sono più a rischio di essere ospedalizzati a causa del SARS-CoV-2, pertanto «devono essere vaccinati, anche se probabilmente l’immunogenicità della vaccinazione sarà minore». Inoltre il vaccino anti Covid non contiene lattice o proteine dell’uovo per tanto non è controindicato in soggetti con queste allergie.

Quali sono i rischi effettivi di miocarditi e pericarditi?

Qualche motivo di preoccupazione è stato dato da rarissimi casi nel mondo di miocardite, un’infiammazione del muscolo cardiaco, e di pericardite, nella quale a essere interessato è invece il rivestimento dell'organo. Stando a un consistente report del Centers for disease control and prevention di Atlanta (Cdc), su oltre 7,3 milioni di dosi di vaccino somministrate a giovani tra i 12 e i 17 anni, dopo la prima dose sono stati rilevati 4 casi nelle femmine e 32 nei maschi. La maggior parte delle volte i pazienti sottoposti a successive cure mediche hanno risposto bene ai farmaci con risoluzione dei problemi sorti.

In Italia abbiamo avuto morti?

Dai dati dell’Istituto superiore di sanità aggiornati al 9 giugno 2021, nel nostro Paese dei 4,2 milioni di casi di infezione, il 5,5%, ovvero 231.338, ha riguardato bambini tra 0 e 9 anni con 11 morti. Mentre il 9,6%, cioè 406.460 casi, ha interessato la fascia 10-19 anni, in questo caso con 15 decessi. La distribuzione per classe d’età, spiega la Sip, aumenta progressivamente dall’età neonatale a quella adolescenziale, con la metà dei casi che si verifica in minori tra 1 e 14 anni, mentre sono rari i casi nel primo anno di vita.

Sono in corso ulteriori sperimentazioni sotto la fascia di età approvata?

Le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti hanno chiesto a Pfizer/BioNTech e Moderna di espandere la dimensione degli studi in corso che testano i loro vaccini anti Covid nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni. La Food and Drug Administration ha indicato che l’attuale ampiezza delle sperimentazioni appare inadeguata per rilevare i rari effetti collaterali.

La vaccinazione favorirà un ritorno a scuola in presenza?

Il Comitato tecnico-scientifico, esprimendosi in un parere richiesto dal ministero dell'Istruzione, ritiene «assolutamente necessario» dare priorità alla didattica in presenza per il prossimo anno scolastico. Non solo come strumento essenziale per la formazione degli studenti, ma anche come «momento imprescindibile e indispensabile nel loro percorso di sviluppo psicologico». Diversamente, la situazione potrà «negativamente tradursi in una situazione di deprivazione sociale e psico-affettiva delle future generazioni». Per il massimo organo consultivo la vaccinazione costituisce, ad oggi, la misura di prevenzione pubblica fondamentale per contenere la diffusione della SARS-CoV-2. È dunque essenziale, per evitare di dover rinunciare alla didattica in presenza, oltre che alle altre attività di socializzazione in ambiente scolastico, e nel contempo impedire che si generino focolai di infezione, promuovere la vaccinazione nella scuola, tanto del personale scolastico (docente e non docente), quanto degli studenti.

È utile o necessario fare una ricerca degli anticorpi prima di prenotare il vaccino?

Nel caso di minore con anamnesi di pregressa infezione da SARS-CoV-2, la Società italiana di pediatria raccomanda un intervallo di almeno 90 giorni tra la diagnosi di infezione o la somministrazione di eventuali anticorpi monoclonali e la prima somministrazione del vaccino Covid-19.

Bisogna fare una profilassi particolare pre vaccinazione?

I pediatri italiani suggeriscono di non prescrivere farmaci finalizzati alla prevenzione degli eventuali eventi avversi postvaccinici.

Dopo si possono abbandonare le regole di contenimento del virus?

Fino a quando non verranno formalizzate specifiche indicazioni da parte degli enti regolatori nazionali, agli adolescenti e le loro famiglie viene ribadito il valore del continuo e costante rispetto delle norme per il contenimento e la diffusione del coronavirus anche dopo la vaccinazione.

Tutti i Paesi si comportano allo stesso modo con i giovani?

No. Uno di quelli più citato è la Germania dove la commissione specializzata indipendente presso il Robert Koch Institut non consiglia di somministrare vaccini in modo generalizzato nella fascia 12-17 anni. Sulla scorta delle evidenze acquisite, la Stiko giudica che l’impatto dell’infezione nella fascia in questione sia troppo piccolo per giustificare il vaccino per tutti i bambini sani. Tanto più che la sicurezza del vaccino non è considerata ancora sufficientemente documentata nello specifico gruppo di età. La vaccinazione viene dunque riservata solo a chi è malato o ha determinate patologie pregresse.

IlSole24Ore

venerdì 23 luglio 2021

Draghi gela Salvini, è tensione sui vaccini.

 

Il premier apre al green pass su lavoro, Orlando convocherà le parti.


"L'appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori.

Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore". Sono raggelanti le parole del premier Mario Draghi. Una pietra tombale sulle timidezze di alcuni politici sulle vaccinazioni e soprattutto una bocciatura definitiva della posizione espressa da Matteo Salvini, che qualche giorno fa aveva detto che ai giovani vaccinarsi "non serve" e che dai 40 ai 59 si può decidere liberamente se farlo.

Il leader della Lega risponde puntuto: "L'obiettivo di tutti, mio come di Draghi, è salvare vite, proteggere gli italiani. Comunità scientifiche e governi, come quelli di Germania e Gran Bretagna, che invitano alla prudenza sui vaccini per i minorenni, invitano forse a morire? Per fortuna no", afferma, limitando le sue perplessità ai giovanissimi.

Ma anche qui Draghi, nella conferenza stampa che segue il Consiglio dei ministri, ribatte alle perplessità leghiste con una posizione netta: "Senza vaccinazione si deve chiudere tutto di nuovo, il vaccino si sta diffondendo e con il vaccino abbiamo visto che le conseguenze, per quanto riguarda ricoverati e morti, sono molto meno serie". 

ANSA

giovedì 22 luglio 2021

Contagio più veloce del previsto: perché è un grave errore affidarsi solo ai vaccini. - M.T. Island

 

Affrontiamo la variante Delta con dati vecchi e inaffidabili, i numeri inglesi non vengono letti correttamente e senza un numero di test adeguato permettiamo al virus di allargare il bacino di replicazione e generare varianti.

Dei tre scenari che avevamo delineato la scorsa settimana, stiamo purtroppo avanzando a passo di corsa verso quello peggiore (30.000 casi al giorno entro fine agosto): il tempo di raddoppio delle nuove infezioni, con una brusca accelerazione, è crollato da 11 a 6-7 giorni. Contro la velocissima variante Delta ci affidiamo ai soli vaccini e alla loro capacità di abbattere ricoveri e decessi: ma “quanto” sia davvero reale questa capacità lo ricaviamo da una lettura errata, anche se molto rassicurante per la popolazione, dei dati inglesi (come vedremo più avanti).

Restiamo ancora ottimisti su un futuro con un impatto sanitario molto inferiore a quello delle prime ondate, quando non avevamo a disposizione il vaccino, ma al tempo stesso stupiti di fronte alla pervicace ripetizione degli stessi errori commessi nel passato nell’affrontare l’epidemia: diminuzione dei test quando andavano aumentati; attesa di un’elevata circolazione virale prima di provare a frenare il contagio; utilizzo di dati vecchi e inaffidabili per decidere gli interventi di contrasto all’epidemia; regole troppo complesse, legate alla sensibilità personale del singolo individuo e, soprattutto, completamente slegate dalla realtà quotidiana.

Approccio sbagliato.

Difficile stupirsi di una simile situazione in un Paese dove l’approccio più comune risulta essere quello del «con questi numeri non servono interventi, se la situazione dovesse peggiorare le scelte potrebbero essere diverse». Senza capire che, una volta peggiorata, la situazione non è più recuperabile se non con interventi ben più pesanti di quelli necessari oggi.

Tutti i Paesi che hanno controllato il virus entro limiti accettabili, pur con crescenti difficoltà dopo l’arrivo della variante Delta (per esempio l’Australia) hanno agito in modo tempestivo prima che il numero dei casi raggiungesse da loro valori molto più bassi (poche decine) rispetto a quelli che noi consideriamo gestibili (qualche migliaio).

In questa fase estremamente delicata sembra in molti prevalere il desiderio di imitare la ingiustificabile (per la scienza) scelta inglese: rimozione di tutte le restrizioni, con la raccomandazione del premier Johnson di essere “cauti”. Se non fosse vero, e non fossero in gioco vite umane, verrebbe da pensare a una sceneggiatura comica.

Prima regola: per affrontarlo con successo, conoscere il nemico.

Può sembrare incredibile, ma dopo un anno e mezzo di epidemia a livello mondiale la scienza trova ancora difficoltà a far capire che la situazione evolve in continuazione e che, di conseguenza, deve evolvere anche il modo di affrontarla. Un esempio pratico? Parlare oggi di Sars-CoV-2 e di Covid-19 significa affrontare due aspetti (virus e malattia) che sono lontani parenti di quelli vissuti nel 2020.

La variante Delta ha completamente stravolto i parametri precedenti, e solo l’avvento dei vaccini (nei Paesi dove sono disponibili in quantità importante) ha permesso di evitare quella che, solo 12 mesi fa, sarebbe stata una catastrofe imparabile. Vediamo perché.

Il virus in circolazione all’inizio della prima ondata (variante DG614) esprimeva un valore di R0 di circa 2,0: escludiamo i picchi anomali di zone geograficamente limitate dove si è arrivati intorno a quota 4,0 (per esempio alcune aree della Lombardia) e per semplicità usiamo il dato medio globale. In termini pratici quel valore di R0 si traduceva, a partire da un singolo contagiato e dopo 5 passaggi, in 63 infezioni.

La variante Alfa, allora nota come inglese, a fine 2020 segnava un primo cambio di passo con un R0 di 3,0: ovvero, sempre a partire da un contagiato e dopo 5 passaggi, 364 infezioni. Un incremento importante, che infatti ha generato un impatto sulla popolazione maggiore rispetto a quello della prima ondata.

Ora discutiamo tranquillamente di variante Delta come se fosse il nostro “caro e vecchio” Sars-CoV-2, dimenticando che nella migliore delle ipotesi esprime un R0 di 8,0: lasciato libero di correre, il virus attuale, a partire da un singolo contagiato e dopo 5 passaggi arriva a quota 42.129 infezioni. Ne parliamo come se fosse un bradipo mentre è diventato un ghepardo.

I rischi della variante Delta.

La variante Delta non solo è più veloce, ma anche clinicamente più pericolosa: come riportava il Bollettino epidemiologico dell'Oms, già in data 8 giugno, a confronto con la variante Alfa si registra un incremento importante del rischio di ricovero in terapia intensiva (hazard ratio: 1.67; IC 95% 1.25-2.23) e ancora maggiore del rischio di ricovero in area medica (hazard ratio: 2.61; IC 95% 1.56-4.36). Tradotto in termini più comprensibili: ogni 100 persone ricoverate in area critica a causa della variante Alfa, la variante Delta ne genera 167; ogni 100 persone ricoverate in area medica a causa della variante Alfa, quella Delta ne genera 261.

Non ci rendiamo conto di questa differenza, almeno finora, e confidiamo che sia così anche in futuro solo perché i vaccini hanno avuto 2 effetti concomitanti:

1) La riduzione progressiva e importante dei soggetti suscettibili all’infezione, in particolare nelle fasce di età più avanzata che sono anche quelle più a rischio.

2) La riduzione degli effetti clinici della malattia nelle persone che vengono infettate nonostante il completamento del ciclo vaccinale.

Anche in questo caso semplifichiamo: i vaccini hanno addomesticato il “ghepardo” variante Delta, riconducendone gli effetti e conseguenze cliniche a livelli lontanissimi rispetto a quelli sperimentati in passato.

L’errata (ma rassicurante) lettura dei dati Uk.

Qui veniamo a un altro capitolo importante: che, come il precedente, lascia stupiti per l'incapacità dopo oltre un anno e mezzo di “digerire” le corrette modalità di interpretazione dei numeri della pandemia.

Sappiamo con certezza che le curve dei singoli parametri che ci permettono il monitoraggio del contagio si collocano a distanza tra loro sulla linea del tempo:

1) Le infezioni individuate oggi sono state contratte circa una settimana fa (range stimato 5-7 giorni per passare dall'infezione alla rilevazione della stessa con test tampone);

2) I ricoverati comunicati oggi hanno ricevuto la diagnosi con test tampone circa una settimana fa (di nuovo abbiamo un range di 5-7 giorni per passare dalla fase di comparsa dei sintomi all'eventuale necessità di ricovero ospedaliero) ma sono stati infettati quasi due settimane prima;

3) I deceduti di oggi sono la conseguenza dei contagi avvenuti all'incirca un mese fa.

Confrontare i ricoveri e decessi quotidiani con i casi dello stesso giorno, come viene regolarmente fatto con i dati Uk, oltre che un errore è un falso scientifico. Un vano tentativo di costringere i numeri a raccontare una storia diversa da quella reale.

Se eseguiamo il calcolo della letalità in Uk seguendo gli errati criteri appena esposti (invece di quelli elencati per punti poco prima) arriviamo a un valore di 0,1%: senza dubbio rassicurante, perché sovrapponibile al tasso di letalità dell'influenza stagionale. Che causa ogni anno 8-12.000 morti in Italia (dati Iss) e 290-690.000 nel mondo (dati Oms).

Un prezzo elevato, in termini di vite umane, con il quale abbiamo tuttavia imparato a convivere ritenendolo accettabile: in realtà basterebbe vaccinare più persone per abbattere questi numeri, ma l’influenza stagionale non è oggi l’argomento dell'analisi.

Se eseguiamo correttamente il calcolo del tasso di letalità in Uk (usiamo i dati ufficiali consolidati disponibili mentre scriviamo, per gli aggiornamenti successivi consigliamo di cliccare qui) arriviamo a un risultato diverso. Non sui livelli delle ondate precedente, ma molto maggiore dallo 0,1% più volte (erroneamente o volontariamente?) sbandierato anche dal premier Boris Johnson.

I decessi in Uk nella settimana mobile1-7 luglio (ultimo dato ufficiale consolidato) hanno registrato una media giornaliera di 32,4. Le infezioni nel periodo 1-7 giugno (a cui dobbiamo far risalire i decessi) una media giornaliera di 6.714. Il tasso di letalità reale è quindi 0,48%, quasi 5 volte superiore a quello rassicurante ma non veritiero. Con un tasso di letalità di questa portata l'influenza stagionale causerebbe, in Italia, da 38.400 a 57.600 decessi (e non 8-12.000).

Questo, al momento, è il tasso di letalità che dobbiamo correttamente applicare alla Covid-19, confidando che il procedere della campagna vaccinale possa ulteriormente abbattere questo valore. Cosa sulla quale, in prospettiva futura e in assenza di nuove varianti con caratteristiche di maggiore pericolosità, siamo ottimisti. Ma per ora dobbiamo “i fare i conti” considerando, senza inutili e futili sotterfugi, i tre momenti “passato, presente e futuro”.

La verità è che sapremo solo tra un mese a quanti decessi corrispondono davvero i casi giornalieri che sta registrando adesso Uk. Sperando, ripetiamo, che i vaccini ne abbattano il numero in modo progressivamente crescente nel tempo, grazie all'aumento della popolazione protetta dal ciclo vaccinale completo.

Se davvero in Italia arrivassimo a 30.000 nuove infezioni al giorno entro fine agosto, come abbiamo indicato nel nostro scenario 3 concordando con le stime del professor Sergio Abrignani (immunologo dell’università di Milano e membro del Cts), applicando il tasso di letalità che ricaviamo dai numeri inglesi (0,48%) arriveremmo a fine settembre a una media giornaliera di 144 decessi. Speriamo ovviamente che non succeda, ma dobbiamo essere consapevoli che in larga parte dipende dalle nostre scelte e dalla tempistica di applicazione delle stesse: più tardi si agisce, peggio è.

L’errore ripetuto del calo dei test.

Una delle regole chiave dell’epidemiologia è quella che prescrive, nelle fasi di riduzione del contagio, il mantenimento e se possibile l’incremento del numero dei test eseguiti per individuare il virus. In questo modo (non ce ne sono altri) si ottengono alcuni risultati fondamentali:

1) Si individua precocemente il maggior numero possibile di positivi, quando i numeri sono ancora bassi.

2) Si tracciano i contatti e si isolano, cosa impossibile al di sopra di certe soglie (in Italia 50 casi per 100.000 abitanti alla settimana, ovvero 4.311 positivi di media giornaliera).

3) Si individuano e si isolano i focolai.

4) Si interrompono le catene di trasmissione del virus.

5) Si impedisce al virus, soprattutto grazie ai soggetti asintomatici, di circolare con efficacia aumentando in modo silente il proprio bacino di replicazione.

In Italia non lo abbiamo mai fatto: anzi, al termine di ogni ondata epidemica abbiamo rapidamente ridotto il numero dei tamponi eseguiti permettendo al virus di agire senza alcun controllo fino al momento in cui ne diventano nuovamente visibili gli effetti sulla popolazione (in particolare il forte rialzo dei casi e dei pazienti sintomatici).

Nella fase attuale, con la circolazione di una variante altamente diffusiva come la Delta, la diminuzione del numero dei test ha permesso al virus (come descritto nel punto 5) di generare un bacino di replicazione per noi del tutto sconosciuto. Non ne conosciamo le dimensioni: né in modo grossolano, né tantomeno esattamente, e in questo modo diventa difficile se non impossibile formulare previsioni attendibili sullo sviluppo epidemico.

Solo una settimana fa il tempo di raddoppio dei nuovi casi era di 11 giorni, attualmente stiamo assistendo a un’accelerazione che lo ha portato a soli 6-7 giorni.

Qualche numero ci aiuta a capire l’errore commesso nella strategia di testing, da noi più volte sottolineato sia nelle analisi settimanali (si veda in particolare al punto 7) sia nei commenti quotidiani. Il numero massimo di tamponi (2.051.720) è stato raggiunto nella settimana epidemiologica 10-16 aprile 2021. Da allora, in corrispondenza con il miglioramento dei numeri del contagio, le Regioni hanno sempre più ridotto il numeri dei test fino ad arrivare agli attuali 1.224.988 (settimana epidemiologica 10-16 luglio): il calo è del 40,2%. Ovvero abbiamo quasi dimezzato la ricerca del virus, probabilmente spinti più dal desiderio di ottenere allentamenti che dalla necessità di controllare l'epidemia.

Il problema dei test rapidi.

A questo trend negativo si aggiunge un secondo problema, quello dei test rapidi: non quelli indicati dall’Iss e ritenuti equiparabili ai test molecolari, ma i molti di vecchia generazione (e con bassissima affidabilità) che vengono ancora regolarmente utilizzati e inseriti senza alcuna distinzione nel conteggio del Bollettino quotidiano. Di fatto stiamo usando i vecchi test rapidi (in media il 50% del totale) per fare un lavoro diverso da quello per cui sono stati pensati: tracciare rapidamente i casi all’interno di cluster limitati (per esempio in presenza di focolai nelle scuole, oppure nelle aziende).

Per tracciare il virus sul territorio i test rapidi non servono, esattamente come non servono per individuare le varianti essendo impossibile sequenziare il materiale genetico virale (se non con alcuni di ultimissima generazione).

In sintesi:

1) Facciamo pochi tamponi in assoluto (un quinto di Uk a parità di popolazione, per fare un esempio).

2) Di quelli che facciamo, nel 50% dei casi non comunichiamo le caratteristiche (cosa indispensabile per i test rapidi) e quindi non ne conosciamo la reale affidabilità.

3) Di quelli che facciamo, il 50% circa (sempre i test rapidi) non servono per sequenziare il materiale virale e individuare le varianti.

Di fatto la situazione è anche peggiore a quella di fine 2020, quando il calo fu altrettanto importante ma tutti i test, perlomeno, erano del solo tipo molecolare e quindi al massimo dell’attendibilità possibile. A metà novembre 2020 in Italia venivano eseguiti quasi 200-250.000 tamponi molecolari al giorno, attualmente siamo a quota 79.048 (media quotidiana della settimana epidemiologica 10-16 luglio).

Il modo migliore per non trovare il virus resta sempre lo stesso: non cercarlo. Almeno in questo mostriamo una costanza ammirevole.

Dati vecchi e scarsamente affidabili

Al proposito potremmo semplicemente rinviare a questa analisi, che risale a dicembre 2020, oppure a questa dello scorso aprile: di fatto, nulla è cambiato. I dati ufficiali continuano a riflettere una situazione senza dubbio correttamente consolidata, ma purtroppo ampiamente superata dall'avanzata impetuosa dell'epidemia.

Basta ricordare che il valore di Rt, comunicato ogni settimana dell’Iss, come conseguenza dei criteri di calcolo rimanda a una circolazione del virus di una-tre settimane precedenti rispetto alla situazione attuale. Sapere che nel periodo 23 giugno - 6 luglio il valore di Rt medio in Italia era di 0,91 (si veda l’ultimo Bollettino epidemiologico a pagina 2) e quindi sotto la soglia critica di 1,0 che divide la fase di espansione da quella di crescita del contagio, riveste interesse dal punto di vista scientifico: ma è totalmente fuorviante nella comunicazione alla popolazione, che prende l'indicazione come rassicurante mentre l'epidemia, dopo quella data, ha iniziato a correre e il valore di Rt puntuale (metodo rapido Kohlberg-Neyman) ha ormai superato quota 1,5.

Prendere decisioni su dati passati costringe, come abbiamo sempre fatto, alla perenne rincorsa di un virus che già nelle forme più “lente” ha dimostrato di essere molto più veloce di noi e dei nostri interventi.

Al problema della tempistica si aggiunge quello dell’affidabilità dei dati: che sarebbe fondamentale per affrontare correttamente l’epidemia mentre invece è bassa a causa delle continue correzioni, rettifiche e imprecisioni nelle comunicazioni da parte di molte Regioni. Per questo motivo abbiamo sottolineato più volte la necessità sia di costituire un campione statistico nazionale in grado di fornire informazioni rapide e certe, sia di mettere a disposizione della comunità scientifica tutti i dati raccolti e non solo una parte di essi.

Per capire cosa intendiamo quando parliamo di dati inaffidabili e di correzioni in corsa riportiamo alcuni esempi del recente passato.

1) Il 15 giugno, a corredo del Bollettino quotidiano, si leggeva testualmente: «La Regione Campania riporta che, a seguito delle periodiche verifiche, si è riscontrato un disallineamento che, dopo un dettagliato ed accurato controllo da parte delle Asl, ha evidenziato 48.078 soggetti ancora riportati erroneamente in “Isolamento Domiciliare” e che, pertanto, sono stati assegnati alla categoria guariti».

Questa correzione ha fatto calare in solo giorno gli attualmente positivi a livello nazionale da 157.790 a 105.906; e, nella sola Campania, da 59.828 a 11.737. Generando una discontinuità statistica puntuale (dati del giorno); e inficiando la validità delle tre serie storiche (a livello regionale e nazionale) relative all’andamento delle positività in corso, dei pazienti in isolamento domiciliare e delle guarigioni/dimissioni quotidiane.

Comunicazioni analoghe, relative a soggetti guariti ma dati ancora per positivi, nelle settimane successive hanno riguardato altre Regioni a partire da Sardegna e Calabria, che come la Campania presentavano da tempo valori chiaramente fuori parametro rispetto alla media nazionale.

2) L’11 giugno, sempre nel Bollettino quotidiano, si leggeva: «La Regione Emilia Romagna (…) rettifica, a causa errore di trasmissione, il dato sul numero complessivo di tamponi antigenici comunicato ieri (10/06/2021) che risulta essere corretto in 1.547.397» (-17.215 test antigenici). La rettifica (non è noto se riferibile a un solo giorno oppure a errori commessi in più giorni ed emersi in blocco nella comunicazione del 10 giugno) ha modificato con un effetto a catena più parametri: tamponi rapidi eseguiti; tamponi totali eseguiti, rapporto positivi/tamponi totali.

3) Citiamo ancora in data 11 giugno:«La Regione Puglia comunica che alcuni casi confermati da test antigenico essendo stati successivamente confermati da test molecolare sono stati riclassificati tra questi ultimi». Identica comunicazione (alla lettera) è stata effettuata dalla Regione Veneto il 12 giugno.

Quale sia il numero reale che si cela dietro la definizione di “alcuni casi” è ignoto e lasciato alla libera interpretazione. Ma è facile capire come, con questo tipo di informazioni, sia molto difficoltoso se non impossibile costruire analisi accettabili.

Qualche stima sul prossimo futuro in Italia.

Come indicato in apertura di questa analisi l'epidemia si sta indirizzando rapidamente verso uno scenario di tipo 3, a causa del già citato tempo di raddoppio dei nuovi casi sceso da 11 a soli 6-7 giorni. Questo parametro potrebbe esprimere in futuro valori più moderati, stabilizzandosi intorno ai 14 giorni entro 2-3 settimane, ma ci porta come abbiamo visto a una proiezione di circa 30.000 casi al giorno entro fine agosto. Numeri inferiori non sarebbero figli di una minore circolazione del virus, ma piuttosto della nostra inefficienza nel cercarlo.

Il basso numero di test eseguiti ingigantisce infatti il numero degli asintomatici potenzialmente in circolazione, in gran parte collocabili nelle fasce più giovani della popolazione che non ha ancora raggiunto una copertura vaccinale accettabile.

Età media dei contagiati in calo

La prova è nell’età media dei contagiati, scesa a soli 29 anni (si veda l’ultimo Bollettino epidemiologico a pagina 2): una situazione che replica esattamente quanto accaduto nell’estate del 2020 (età mediana 30 anni il 3 agosto, si veda la tabella a pagina 16 dell'ultimo Bollettino epidemiologico). Allora i giovani avevano costituito il bacino ideale di replicazione del virus, in forma silente in quanto asintomatica, e la situazione era poi esplosa al ritorno dalle vacanze con il contagio portato in famiglia verso soggetti di età più avanzata e con rischio maggiore (o molto maggiore).

Oggi, esattamente come allora, non conosciamo il reale dimensionamento del bacino di replicazione virale, quello dei soggetti che vengono indicati come “attualmente positivi”. Ricaviamo questa informazione dai casi che emergono dai numeri ufficiali, sottostimati a causa del basso numero di test eseguiti.

Nella fase autunnale e invernale dell’epidemia, caratterizzate dalla vecchia variante DG614 e successivamente dalla Alfa (ex inglese), le stime convergevano su un positivo non individuato per ogni caso ufficiale: in altri termini per avere i contagiati reali occorreva moltiplicare per due le infezioni quotidiane. Difficile dire quale sia il moltiplicatore corretto oggi, in presenza della variante Delta che sappiamo essere molto più veloce e diffusiva: azzardiamo un moltiplicatore di 3-4 volte, a causa della circolazione sostenuta tra i giovani che in moltissimi casi sono completamente asintomatici.

Dobbiamo essere consapevoli che aumentando il denominatore (ovvero il numero dei positivi) anche se con valori percentuali più bassi che in passato, aumenta inevitabilmente anche il numero dei ricoverati e dei decessi. Per quanto riguarda i decessi abbiamo già eseguito il calcolo corretto del tasso di letalità nel paragrafo dedicato all’errata lettura dei dati di Uk, ora possiamo procedere con un’operazione analoga a proposito dei ricoverati:

1) Nel periodo 4-10 luglio i dati ufficiali del Regno Unito riportano una media di 616,7 ricoverati giornalieri.

2) Come abbiamo visto questi ricoveri sono riferibili a positività riscontrate una settimana prima, quindi nel periodo 27 giugno - 3 luglio, e non ai numeri attuali molto più alti.

3) La media giornaliera delle infezioni rilevate, nel periodo 27 giugno - 3 luglio, è stata in Uk di 28.542,4.

Effetto Delta sui ricoveri.

In termini semplici possiamo concludere che, sulla base dei dati Uk, al momento la variante Delta causa il ricovero del 2,1% delle persone infettate. Valore che, a fronte dei 30.000 casi giornalieri ipotizzati in Italia per fine agosto, corrisponderebbe a 630 nuovi ricoveri quotidiani.

È facile intuire come, a questo ritmo e nonostante la più giovane età dei soggetti colpiti rispetto alle ondate precedenti, arrivare alle soglie di allerta del sistema sanitario (in Italia 30% di occupazione per le terapie intensive, 40% per i posti letto in area medica) non richiederebbe moltissimo tempo: un mese e mezzo, massimo due. Un effetto che, in assenza di una rapida inversione di tendenza al momento non prevedibile, inizieremo a breve a vedere proprio in Uk.

Non lasciare i vaccini da “soli”

Dobbiamo affidarci ai vaccini, ma non possiamo lasciare ai soli vaccini il compito di frenare il Sars-CoV-2, soprattutto nella nuova forma mutata (la variante Delta) che presenta caratteristiche per noi molto più difficili da controllare.

Non dobbiamo immaginare per forza scenari apocalittici con nuovi lockdown, ma forse mantenere l’obbliago delle mascherine anche all’aperto sarebbe stata una buona idea. Si tratta dell’unico strumento di facile uso che consente di bloccare il virus, incluse tutte le varianti al momento note.

Raccomandare di festeggiare “in sicurezza” la vittoria dell’Italia al Campionato Europeo, pensando che tutti i tifosi possano stare diligentemente a un metro uno dall’altro e indossare la mascherina quando necessario, è un po’ come guardare una pentola d’acqua sui fornelli accesi chiedendo al fuoco di portare a ebollizione solo la metà di destra.E infatti iniziamo a registrarne gli effetti con focolai nelle zone dei cosiddetti “assembramenti”, peraltro con contagi avvenuti tranquillamente all'aperto: condizione che mitiga il rischio, ma che con la variante Delta è purtroppo molto lontana dall'eliminarlo.

Non adottare misure semplici ma efficaci, pur con l’amaro sapore delle restrizioni e magari distinguendo tra vaccinati e non vaccinati, ha l’effetto immediato e confortante di non disturbare la popolazione proprio nel periodo estivo: ma, soprattutto, quello pericoloso di non disturbare il virus. Che non ha bisogno di regali, e che potrebbe costringerci ad adottare in futuro misure peggiori di quelle che vogliamo evitare oggi.

L’errore più comune che si commette quando si parla di vaccinazioni è considerarle una misura di protezione personale: mentre, in realtà, sono uno strumento fondamentale di salute pubblica.

Il giusto calcolo della percentuale di vaccinati.

Così come è un errore calcolare la percentuale dei vaccinati facendo riferimento ai soli soggetti vaccinabili (in Italia sopra i 12 anni). In questo modo alziamo il dato percentuale, ma è una distinzione che per il virus non esiste: anzi, proprio i non vaccinati (e non vaccinabili) costituiscono per il Sars-CoV-2 l'obiettivo preferenziale. E sono questi i soggetti che dobbiamo a tutti i costi proteggere (obiettivo di salute pubblica) sapendo che oltre ai bambini in questo particolare gruppo dobbiamo considerare un milione circa di persone che, a causa della loro situazione di salute, pur essendo particolarmente esposti al rischio in caso di infezione non possono essere vaccinati.

Affrontiamo l’estate 2021 come se un anno fosse passato invano: abbiamo i vaccini, che sono fondamentali, ma li lasciamo da soli a combattere una guerra che parte da numeri molto diversi. La media attuale (in forte rialzo) è di 2.311 positivi giornalieri (settimana mobile 12-18 luglio) e si confronta con quella di 198 dello stesso periodo 2020; i ricoverati al 18 luglio 2021 sono 1.136, al 18 luglio 2020 erano 757; alla stessa data le terapie intensive sono 156 contro 50.

Come abbiamo sottolineato più volte, grazie ai vaccini non rivedremo percentuali di ricoveri e di decessi analoghe a quelle del passato. Ma lasciando correre il virus, e permettendogli di aumentare a dismisura il denominatore, inevitabilmente arriveremo a valori assoluti comunque elevati. E gli daremo la possibilità di replicarsi, commettere errori nel farlo, generare mutazioni e selezionare varianti.

In attesa, nel frattempo, di raggiungere una copertura vaccinale sufficiente per frenare la corsa della variante Delta: ma, come abbiamo visto in passato (si legga in particolare il punto 3 di questa analisi del 23 giugno scorso) il livello di popolazione da immunizzare è oggi molto più alto di quanto avessimo ipotizzato in base alle caratteristiche delle vecchie varianti.

Errare è umano, e quindi perdonabile. Ma continuare a commettere gli stessi errori dopo quasi 18 mesi di esperienza sul campo diventa diabolico, ingiustificabile e imperdonabile. Vedremo nelle prossime settimane, e speriamo già nei prossimi giorni, se metteremo in campo altre misure (insistiamo sulle mascherine sempre, anche all'aperto) capaci di aiutare i vaccini in una battaglia campale che non possiamo permetterci di perdere.

IlSole24Ore