venerdì 19 giugno 2020

Manca il numero legale, si rivota la fiducia al dl elezioni.

L'Aula di Palazzo Madama (foto archivio) © ANSA

Errore tecnico nel computo dei congedi, torna in Aula alle 9.30.


Il voto di fiducia al Senato sul dl elezioni è stato annullato a causa della mancanza del numero legale dei presenti in Aula. Lo si apprende dai gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione che hanno già allertato i loro senatori. Erano presenti in Aula 149 parlamentari, ma l'asticella del numero legale sembra essere quella di 150 presenze. E su questo la presidenza di Palazzo Madama ha fatto le verifiche riscontrando un errore nel computo dei congedi . Un errore definito tecnico che comporterà una nuova votazione alle 9.30. Un precedente simile risale ad una seduta del 1989.


Succede anche questo: paghiamo profumatamente, a peso d'oro, assenteisti cronici.

Mattarella: “Distorsioni gravi nel Csm, ora credibilità”. - A. Masc.

Mattarella: “Distorsioni gravi nel Csm, ora credibilità”

La questione morale in magistratura al centro della cerimonia al Quirinale in ricordo dei magistrati uccisi Giacumbi, Minervini, Galli, Amato, Costa e Livatino. 

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rilanciato una dura reprimenda per il caso Palamara e lo scandalo delle nomine del Csm: “Quel che è apparso ulteriormente fornisce la percezione della vastità del fenomeno denunziato” l’anno scorso “e fa intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione” dentro al Csm. Quindi, ha proseguito, vanno messe in discussione le correnti: “Questo è il momento di dimostrare con coraggio di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale. È indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti”. 
Poi, rivolgendosi “ai giovani magistrati”, parla della “fedeltà alla Costituzione, l’unica alla quale sentirsi vincolati”. Ma il presidente sottolinea che “la stragrande maggioranza dei magistrati è estranea alla ‘modestia etica’ di cui è stato scritto” e che è stata la magistratura a far emergere quei comportamenti “in amaro contrasto” con “l’alto livello” di chi è stato ucciso. Allora, “non si può ignorare il rischio che alcuni attacchi alla magistratura” servano a chi vuole porre “in discussione l’irrinunciabile indipendenza”. 

Mattarella, infine, ribadisce un concetto scritto in una nota del 29 maggio in risposta a Salvini che chiedeva lo scioglimento del Csm: “Serve il rispetto rigoroso della Costituzione. Si odono talvolta esortazioni rivolte al presidente della Repubblica perché assuma questa o quell’altra iniziativa”. Così “si incoraggia una lettura delle funzioni del presidente difforme da quanto previsto con chiarezza dalla Costituzione”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/19/mattarella-distorsioni-gravi-nel-csm-ora-credibilita/5840241/

Tre anni di noie per aver fatto il suo lavoro: Woodcock non ha commesso alcun illecito. - Antonella Mascali

Tre anni di noie per aver fatto il suo lavoro: Woodcock non ha commesso alcun illecito

Tre anni e mezzo sulla graticola. Sullo sfondo, le accuse a mezzo stampa di condurre indagini politiche contro Matteo Renzi, “colpendo” il babbo Tiziano e petali del Giglio magico come Luca Lotti, vedi Consip, l’inchiesta finita da Napoli a Roma. 
Ma per Henry John Woodcock, difeso da Marcello Maddalena, ieri è arrivata l’assoluzione dalla sezione disciplinare del Csm, chiesta anche dall’accusa, dal neo avvocato generale della Cassazione, Luigi Salvato. 
Il pm ha così riavuto il suo “onore” invocato nelle dichiarazioni spontanee. 

Il filone trattato ieri è quello di un’intervista, mai autorizzata, a Repubblica nei giorni roventi del caso Consip. Ieri, il collegio Csm composto da Stefano Cavanna, presidente, Paola Braggion, relatrice, Sebastiano Ardita, Loredana Micciché e Ciccio Zaccaro ha assolto Woodcock per “essere risultato il fatto di scarsa rilevanza”, cioè non è stato commesso alcun illecito. Si è trattato di un riesame dopo il rinvio delle sezioni unite della Cassazione, il 27 novembre scorso, che avevano annullato la severa condanna alla censura, il 4 marzo per mancato dovere di riserbo e comportamento “gravemente scorretto” verso l’ex procuratore reggente di Napoli, Nunzio Fragliasso: non gli aveva detto di aver parlato con Liana Milella di Repubblica che, tradendo la fiducia del pm, suo vecchio amico, come lei stessa ha testimoniato, pubblicò un articolo sul caso Consip malgrado avesse dato la sua parola al pm che non avrebbe scritto. 
Sempre il 4 marzo, Woodcock e la collega Celeste Carrano furono assolti, invece, dall’accusa più grave, la violazione dei diritti di difesa nei confronti dell’ex consigliere di Palazzo Chigi, Filippo Vannoni, interrogato a dicembre 2016 come teste, quindi senza un avvocato. 

“La lealtà, la correttezza, la sincerità – ha detto Woodcock ai giudici – è una caratteristica e una qualità che mi riconosco. È un debito che riconosco a chi questi valori mi ha impartito, i miei genitori”. Poiché era stato accusato di scorrettezza verso Fragliasso, ricorda che l’ex reggente, “collega e amico”, quando la Procura di Roma, tra giugno e luglio 2017, lo ha indagato e poi archiviato, “mi confermò la fiducia” e non gli tolse le indagini. Ma Woodcook non serba rancore neppure verso i pm romani: “Lavoriamo gomito a gomito”. Quando fu avviato il procedimento disciplinare e fu aperta pure una pratica per possibile trasferimento dalla Prima commissione presieduta da Luca Palamara, un unico consigliere chiese l’apertura di una pratica a tutela di Woodcock e Carrano, sotto attacco politico: Piergiorgio Morosini. Invece, l’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini andava persino in tv a parlar male dei pm partenopei senza alcun imbarazzo per il suo ruolo anche di presidente della disciplinare.

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Gli Incompiuti. - Marco Travaglio

Confindustria: cinque nomi in pole per la presidenza - Giornale di ...
L’altro giorno, dopo le ultime performance del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, un amico mi ha girato il video (disponibile sul web) di una conferenza di Mino Martinazzoli, che descriveva la nostra classe imprenditorial-manageriale con un apologo: quello del capo-azienda che regala al suo direttore del personale, un nerd efficientista bocconiano con master a Londra, un biglietto per il concerto dell’Incompiuta di Schubert. L’indomani il giovanotto gli consegna una relazione della serata in 5 punti 
“1. Durante considerevoli periodi di tempo i 4 oboe non fanno nulla. Si dovrebbe ridurne il numero e distribuirne il lavoro tra il resto dell’orchestra, eliminando i picchi d’impiego. 
2. I 12 violini suonano le medesime note. Quindi l’organico dei violinisti dovrebbe essere drasticamente ridotto. 
3. Non serve a nulla che gli ottoni ripetano suoni già eseguiti dagli archi. 
4. Se tali passaggi ridondanti fossero eliminati, il concerto potrebbe essere ridotto di almeno un quarto. 
5. Se Schubert avesse tenuto conto di queste mie osservazioni, avrebbe terminato la sinfonia…”. 
Conclusione di Martinazzoli: “Io vorrei vivere in un mondo nel quale si possa continuare a sentire l’Incompiuta di Schubert così com’è”.
Ora, chi legge il Fatto e Millennium sa bene che Bonomi sta alla vera impresa come il sottoscritto all’astrofisica: questo ragioniere di Crema con un corso di economia a San Diego, in 51 anni di vita è riuscito a investire in attività produttive la miseria di 31mila euro. Ma è interessante che gl’imprenditori veri si facciano rappresentare da lui. Peggio per loro, si dirà. Sì, se non fosse che il rag. Bonomi, specializzato nell’italica arte del prendi i soldi e piangi, se la tira come un Pirelli o un Del Vecchio, insegna ciò che si dovrebbe fare, scuote il capino implume perché Conte aiuta anche chi ha bisogno, e auspica la caduta del governo per metterne su uno di larghe imprese, manco fosse Tejero. Ieri Salvatore Cannavò ha ricordato le precedenti lezioni dei numeri 1 confindustriali e la loro miseranda fine. Avevano tutte, come quelle di Bonomi, la consistenza di un oroscopo di Branko e l’attendibilità di una profezia del divino Otelma, tant’è che si pensò di ribattezzare Viale dell’Astronomia in Viale dell’Astrologia. La Marcegaglia, che se la rideva quando B. la chiamava “velina”, annunciò il Regno di Saturno se si fossero tagliate le pensioni. Monti & Fornero provvidero, coi risultati a tutti noti. Poi Squinzi ripartì con la tarantella: sgravi fiscali, soldi a pioggia, licenziamenti più facili e mai una sillaba sull’evasione, in cambio di mirabolanti “investimenti”. Che, certificò l’Ue nel 2018, erano addirittura diminuiti.
Sempre e comunque “nettamente sotto la media europea”. Invece i licenziamenti facili e i soldi pubblici arrivarono, grazie al Jobs Act e altre boiate dell’Innominabile, spalmato su Confindustria come la Nutella sul pane e ricambiato da Boccia con un tifo da stadio al Sì nel referendum del 2016. L’Ufficio studi di Confindustria pareva la direzione strategica delle Br, per il livello di terrorismo contro chi avesse osato votare No: giù il Pil del 4%, crollo degli investimenti del 20%, meno 600 mila posti di lavoro (non uno di più né di meno); mancava solo l’invasione delle cavallette. Poi vinse il No e tutti i parametri migliorarono. Boccia riprese a profetare sventure col nuovo governo giallo-verde in caso di blocco del Tav Torino-Lione: inventò “rivolte del Nord”, sbandierò un fantomatico “partito del Pil”, vaneggiò di “40mila nuovi posti di lavoro” (quando persino le carte dei Sì Tav non vanno oltre i 400), mandò avanti improbabili madamine fra gli applausi dei giornaloni e ovviamente di Salvini. Ora persino la Corte dei Conti dell’Ue ha certificato che quell’opera è inutile, costosa, inquinante ed eterna (non sarà pronta neppure nel 2030, cioè non si farà mai).
Quando il povero Boccia aveva consumato anche l’ultimo centimetro quadrato di lingua e di faccia, è arrivato Bonomi. Che s’è subito distinto come la parodia di Cetto La Qualunque (“questa politica fa più danni del Covid”), poi ha tuonato contro gli aiuti ai ceti più deboli (lui li chiama “sussidi a pioggia”, a meno che non vadano ai ricchi), infine ha annunciato che il grande piano per la ricostruzione dell’Italia l’avrebbe scritto con le sue manine e donato al governo. L’altroieri, accolto con rulli di tamburi, trombette e tromboni come il salvatore della Patria agli Stati generali, ha cagato la perla: “Rivogliamo i soldi delle accise sull’energia”. Ammazza che ideona. Il SuperPiano di SuperBonomi ha avuto grande audience su tutti i giornaloni, tranne uno: il suo, cioè il Sole 24 Ore, purtroppo in sciopero per il taglio degli stipendi del 25% e l’annuncio della cassa integrazione con la scusa del Covid (in realtà per una lunga malagestione: 340 milioni di perdite in dieci anni, taroccando pure le copie vendute e gli abbonamenti). Il che ci ha ricordato, ove mai non fossero bastate le performance dei nostri prenditor&magnager su Telecom, Parmalat, Cirio, Merloni-Indesit, case di moda, Sai-Ligresti, Ilva, Mps e altre banche decotte, che ne sarebbe dell’Italia se fosse gestita come Confindustria gestisce la roba sua. Eppure queste Cassandre con le tasche degli altri continuano a predicare la “cultura della crescita”, come se ne sapessero qualcosa. E, quel che è più comico, nessuno li ha ancora presi a pesci in faccia.