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giovedì 25 giugno 2020

Palamara: “Dirò la verità sul ‘ricatto’ Woodcock”. - Antonio Massari

Palamara: “Dirò la verità sul ‘ricatto’ Woodcock”

È la notte tra il 28 e il 29 maggio 2019. Luca Palamara si sfoga a lungo con l’ormai ex vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini. E ha già l’istinto dell’animale ferito che lo accompagnerà fino a questi giorni. Pensa di parlare ai giornalisti, se possibile con Lucia Annunziata, e annuncia a Legnini cosa vorrebbe raccontare in tv: il motivo per cui il processo disciplinare di Henry John Woodcock è slittato alla nuova consiliatura del Csm.
“È una cosa che vorrei di’, questa, cioè che il processo Woodcock non è stato fatto per ‘sto motivo…”, dice Palamara a Legnini. Non si tratta di una frase senza peso. Soprattutto, come vedremo, per il seguito del discorso.
E quindi: qual è il vero motivo per cui è stato rinviato il disciplinare su Woodcock?
Il sospetto è che Palamara stia inviando “messaggi” e “pizzini”. Se vuole raccontare tutto quel che sa, se davvero ha delle verità da rivelare, potrebbe spiegare perché, in più di un’occasione – parlando per esempio con il parlamentare del Pd Luca Lotti – lega la parola “ricatto” al procedimento disciplinare su Woodocock: “Cioè Luca… è un ricatto da febbraio duemila… cioè anzi.. da pre-Woodcock… cioè questo è uno dei motivi per cui non ci fanno chiudere Woodcock…”. Qual è il ricatto? E qual è il motivo per cui non gli fanno “chiudere” Woodcock?
Il Fatto ha chiesto a Palamara di spiegare il senso delle sue parole. “Non avrò difficoltà a riferire nelle sedi istituzionalmente competenti il significato della mia conversazione con Giovanni Legnini” risponde Palamara. Palamara dice di essere pronto a spiegare. Vedremo se davvero Palamara si muove per amore di verità o se sta invece inviando messaggi ai naviganti. E vedremo se qualcuno, a livello istituzionale, ha interesse ad ascoltarlo. Intanto, per comprendere il livello della vicenda in questione, ricostruiamo il suo dialogo con Legnini.
“È una cosa che vorrei dì, questa, cioè che il processo Woodcock non è stato fatto per ’sto motivo…” esordisce Palamara. E Legnini lo interrompe: “No, non lo puoi dì”. Ecco: cos’è che Palamara non può dire?
“Lo so” risponde Palamara, “però Giovà, ho capito, non to vo (sembra dire “non ti voglio”, ndr)…”. Legnini lo interrompe ancora: “Dentro pure me”. Perché “pure” Legnini finirebbe “dentro” questa storia? Palamara gli risponde: “No, ma senza mettere in mezzo te, senza mettere in mezzo te, che questa cosa già girava quando (inc.)… e ma io lo devo dì…”.
Legnini – mentre Palamara gli dice di temere che, rivelando questa storia, avrebbe problemi con il Fatto Quotidiano – torna a dargli un consiglio: “Io la vicenda Woodcock non la sfruculerei, mentre invece sulle incertezze investigative, su Scafarto, vicende della Procura cioè, la parte Csm, mo’ non mi riferisco solo, ma io non la toccherei, anche perché noi abbiamo fatto esattamente il nostro dovere, alla fine abbiamo rinviato, e abbiamo fatto bene a farlo, certo per quel motivo, però (…) alla fine era anche una decisione ragionevole quella un (inc.) scadenza ehhh era giusto”.
In quest’ultima frase, non solo Legnini conferma che i due stanno parlando dei rinvii del disciplinare su Woodcock, ma dimostra che – accanto alla “decisione ragionevole” dovuta al Csm in “scadenza” – c’era dell’altro: “abbiamo fatto bene a farlo… certo, per quel motivo”. Di quale motivo sta parlando?
Lungi dal creare problemi con il Fatto Quotidiano, la domanda è stata formulata sia a Palamara, sia a Legnini. Ecco la sua risposta: “Gli sconsigliai – dice Legnini – di parlare con la stampa di presunti complotti riguardanti il procedimento Consip, che era stato condotto in modo del tutto trasparente, come può ricavarsi dai verbali delle numerose udienze. Non ci fu alcun condizionamento né su di me né sugli altri componenti del collegio, che decisero in assoluta autonomia”. E ancora: “Ignoro il presunto ‘ricatto’ di cui si parla in altre intercettazioni. Ripeto: ho presieduto il collegio disciplinare sul caso Woodcock libero da qualunque condizionamento. Il procedimento non si concluse poiché ne fu deciso il rinvio al nuovo Consiglio, deliberato in Camera di consiglio in assoluta libertà e autonomia di tutti i suoi componenti, su richiesta della difesa del magistrato incolpato. Eravamo a settembre 2018, prima della scadenza della consiliatura fissata per il 24 di quel mese, e i nuovi consiglieri erano stati già eletti tra giugno e luglio”.

venerdì 19 giugno 2020

Tre anni di noie per aver fatto il suo lavoro: Woodcock non ha commesso alcun illecito. - Antonella Mascali

Tre anni di noie per aver fatto il suo lavoro: Woodcock non ha commesso alcun illecito

Tre anni e mezzo sulla graticola. Sullo sfondo, le accuse a mezzo stampa di condurre indagini politiche contro Matteo Renzi, “colpendo” il babbo Tiziano e petali del Giglio magico come Luca Lotti, vedi Consip, l’inchiesta finita da Napoli a Roma. 
Ma per Henry John Woodcock, difeso da Marcello Maddalena, ieri è arrivata l’assoluzione dalla sezione disciplinare del Csm, chiesta anche dall’accusa, dal neo avvocato generale della Cassazione, Luigi Salvato. 
Il pm ha così riavuto il suo “onore” invocato nelle dichiarazioni spontanee. 

Il filone trattato ieri è quello di un’intervista, mai autorizzata, a Repubblica nei giorni roventi del caso Consip. Ieri, il collegio Csm composto da Stefano Cavanna, presidente, Paola Braggion, relatrice, Sebastiano Ardita, Loredana Micciché e Ciccio Zaccaro ha assolto Woodcock per “essere risultato il fatto di scarsa rilevanza”, cioè non è stato commesso alcun illecito. Si è trattato di un riesame dopo il rinvio delle sezioni unite della Cassazione, il 27 novembre scorso, che avevano annullato la severa condanna alla censura, il 4 marzo per mancato dovere di riserbo e comportamento “gravemente scorretto” verso l’ex procuratore reggente di Napoli, Nunzio Fragliasso: non gli aveva detto di aver parlato con Liana Milella di Repubblica che, tradendo la fiducia del pm, suo vecchio amico, come lei stessa ha testimoniato, pubblicò un articolo sul caso Consip malgrado avesse dato la sua parola al pm che non avrebbe scritto. 
Sempre il 4 marzo, Woodcock e la collega Celeste Carrano furono assolti, invece, dall’accusa più grave, la violazione dei diritti di difesa nei confronti dell’ex consigliere di Palazzo Chigi, Filippo Vannoni, interrogato a dicembre 2016 come teste, quindi senza un avvocato. 

“La lealtà, la correttezza, la sincerità – ha detto Woodcock ai giudici – è una caratteristica e una qualità che mi riconosco. È un debito che riconosco a chi questi valori mi ha impartito, i miei genitori”. Poiché era stato accusato di scorrettezza verso Fragliasso, ricorda che l’ex reggente, “collega e amico”, quando la Procura di Roma, tra giugno e luglio 2017, lo ha indagato e poi archiviato, “mi confermò la fiducia” e non gli tolse le indagini. Ma Woodcook non serba rancore neppure verso i pm romani: “Lavoriamo gomito a gomito”. Quando fu avviato il procedimento disciplinare e fu aperta pure una pratica per possibile trasferimento dalla Prima commissione presieduta da Luca Palamara, un unico consigliere chiese l’apertura di una pratica a tutela di Woodcock e Carrano, sotto attacco politico: Piergiorgio Morosini. Invece, l’allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini andava persino in tv a parlar male dei pm partenopei senza alcun imbarazzo per il suo ruolo anche di presidente della disciplinare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/19/tre-anni-di-noie-per-aver-fatto-il-suo-lavoro-woodcock-non-ha-commesso-alcun-illecito/5840239/

martedì 12 marzo 2019

Chi tocca i Renzis muore. - Marco Travaglio


L’altro giorno il Csm ha assolto il pm Henry John Woodcock dalle accuse più gravi e gli ha inflitto la sanzione disciplinare della censura (bloccandogli la carriera) per la più lieve. 
Ha stabilito che la sua condotta – e quella della collega Celeste Carrano – nell’inchiesta Consip fu ineccepibile: sia quando decise di non inquisire il renziano Vannoni e dunque di interrogarlo come testimone (con l’obbligo di dire la verità), anziché come indagato (con la facoltà di mentire), perché queste sono scelte insindacabili del pm; sia quando lo interrogò senz’alcun tipo di pressione (Vannoni sosteneva che invece le sue accuse a Lotti gli fossero state estorte con minacce e il Pg della Cassazione aveva preso per buona la sua parola, peraltro smentita da tutti i testimoni e rivelatasi una balla). Dunque tutte le accuse di complotto lanciate per due anni da Renzi e dai suoi sottopancia finiscono definitivamente nel cesso. La censura riguarda un aspetto che con le indagini Consip non c’entra. Quando i pm di Roma indagano il cap. Gianpaolo Scafarto del Noe di vari falsi dolosi per alcuni errori nel rapporto investigativo su Consip, Woodcock riceve una telefonata da Liana Milella di Repubblica.
I due si conoscono da tempo e, come spesso accade fra cronisti giudiziari e magistrati (o avvocati), parlano off record, con l’intesa che nulla sarà pubblicato. Woodcock, che non ha mai rilasciato interviste, non le svela alcun segreto d’indagine: si limita a dirle che a suo avviso il capitano ha commesso sbagli in buona fede, e non per incastrare i Renzis. È la stessa conclusione a cui giungerà la Cassazione, che farà a pezzi le accuse di falso a Scafarto. 

La Milella conferma di aver tradito il patto di sangue stretto con Woodcock per l’ansia dello scoop e le pressioni del suo direttore Calabresi: inserì alcune sue frasi con la formula usata dai retroscenisti (“dice Woodcock ai suoi colleghi”). Quel mattino Woodcock va da Fragliasso per dirgli che la Milella non ha parlato con i “colleghi”, ma con lui in un colloquio che doveva restare riservato. Il che dovrebbe bastare a dimostrare la sua buona fede. 
Fragliasso, invece, denuncia Woodcock, in base alle sue stesse parole, al Pg della Cassazione. Il quale avvia l’azione disciplinare non solo sulle accuse di Vannoni, ma pure su 4 rilievi relativi alla non-intervista: il pm non doveva interferire con l’indagine romana; non doveva parlare con la giornalista; doveva avvertire subito il suo capo; e non doveva ingannarlo consigliandogli di parlare con la Milella per ribadire la regolarità dell’indagine, quasi a volersi coprire le spalle.Ora il Csm ha stabilito che Woodcock non interferì nell’indagine romana e poteva parlare con la giornalista senz’avvertire il capo (sennò sarebbero guai per quasi tutti i magistrati). Ma l’ha censurato per il presunto inganno. La sua difesa ricorrerà in Cassazione per fargli cancellare pure quella macchiolina (molto pesante ai fini della carriera). Noi siamo ammirati da cotanto zelo contro un pm che da vent’anni indaga su destra, centro e sinistra, senza la protezione di alcuna corrente, sempre assolto in 17 procedimenti disciplinari nati quando a Potenza scoperchiava i malaffari del centrosinistra, quando a Napoli incastrava B. per la compravendita di senatori e apriva il fascicolo che avrebbe portato a Milano e Genova alle condanne dei vertici della Lega per i 49 milioni rubati. 

Poi, per sua sventura, s’imbatté nel nome Renzi: indagando sull’imprenditore Romeo, scoprì che parlava di babbo Tiziano col faccendiere toscano Carlo Russo; poi il renziano Luigi Marroni gli confessò di aver strappato le microspie dagli uffici Consip su soffiata di Lotti, Vannoni, Del Sette, Saltalamacchia. E, al 18° procedimento disciplinare, s’è beccato la censura per le conseguenze di un’intervista mai rilasciata.
Ora attendiamo con ansia notizie dal Pg della Cassazione su un altro pm incappato in guai simili, anzi per aver detto a una giornalista cose ben più pesanti. È il romano Mario Palazzi, che ereditò con Ielo l’inchiesta Consip, poi indagò e infine archiviò Woodcock e Federica Sciarelli, accusati di una criminale triangolazione di fughe di notizie col nostro Marco Lillo. Il 22 febbraio 2018 Annalisa Chirico pubblica sul Foglio queste frasi di Palazzi (mai smentite) sull’inchiesta appena archiviata su Woodcock-Sciarelli: “Non vedo l’ora di tornare a occuparmi degli Spada a Ostia. So’ più semplici perché in quel caso sai chiaramente chi sono i buoni e chi i cattivi. Qui invece è un verminaio senza fine. Abbiamo acquisito una valanga di materiale probatorio, stiamo lavorando con il pettine fino… Abbiamo riscontrato la triangolazione delle utenze telefoniche tra Woodcock, Federica Sciarelli e Marco Lillo, abbiamo battuto questa pista ma senza individuare elementi sufficienti”. Diversamente da Woodcock, il pm romano parla di una sua inchiesta violando il doveroso riserbo. Poi dice cose non vere: non esiste alcuna triangolazione Woodcock-Sciarelli-Lillo, ma solo una telefonata di Lillo alla Sciarelli per sapere se Woodcock fosse a Roma, senza che poi la Sciarelli chiamasse Woodcock e richiamasse Lillo (il famoso triangolo con due lati). 
Infine parla di “verminaio senza fine”, roba da rimpiangere quei bei criminali del clan mafioso Spada, a proposito di due innocenti, Woodcock e Sciarelli, archiviati con tante scuse perché non hanno fatto nulla (ma per lui è solo perché la “valanga di materiale probatorio” non è “sufficiente”). Ora, siccome l’azione disciplinare è obbligatoria, siamo certi che il Pg della Cassazione l’abbia avviata o stia per avviarla anche per le dichiarazioni di Palazzi alla Chirico. Sennò Woodcock e la Milella potrebbero credersi più importanti e montarsi la testa.

https://infosannio.wordpress.com/2019/03/09/chi-tocca-i-renzis-muore/

Leggi anche l'art. de "ilfattoquotidiano" risalente al febbraio del 2014:

lunedì 18 settembre 2017

Consip, altro che colpo di Stato: ecco tutta la storia dell’inchiesta. Marco Lillo

Negli uffici  –  Carabinieri e Gdf nella sede  della  Consip.

Dall’intercettazione tra l’ex premier e il generale Adinolfi pubblicata dal “Fatto” alle dichiarazioni del procuratore Musti sugli incontri con i Noe - 2015-2017.

Per smontare il teorema del ‘complotto’ contro Matteo Renzi costruito dal Noe dei Carabinieri con la complicità del pm Henry John Woodcock e del Fatto è molto utile una semplice cronologia.
Quando il capitano Gianpaolo Scafarto, ai primi di settembre del 2016, avrebbe fatto alla pm di Modena Lucia Musti la confidenza generica su un’indagine non meglio precisata (“Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi”) erano già accaduti alcuni fatti. In particolare un signore toscano amico di Tiziano Renzi di nome Carlo Russo era già entrato più volte nell’ufficio di Alfredo Romeo per parlare degli appalti che interessavano all’imprenditore. Non solo in Consip ma anche in Grandi Stazioni e in Inps. Stando alle informative di Gianpaolo Scafarto di quel periodo erano già accaduti questi eventi: il 3 agosto Romeo aveva chiesto a Russo di incontrare il padre del premier di allora perché aveva problemi con il suo amico amministratore di Consip, Luigi Marroni, per una serie di appalti del valore di centinaia di milioni di euro. Russo aveva proposto allora di fare una bisteccata a casa di Tiziano Renzi con lo stesso Marroni. Il 31 agosto Romeo era tornato alla carica e Russo aveva riferito così la risposta di Tiziano: “gli ho detto che … dobbiamo fare sto passaggio con Marroni! M’ha detto dice: ‘Fammi finire sto casino prossima settimana ci mettiamo’”.
Quando Scafarto avrebbe fatto la sua profezia, Romeo aveva già proposto a Russo il famoso ‘accordo quadro’ che poi sarà precisato meglio il 14 settembre nel famoso foglio che – secondo l’interpretazione dei Carabinieri – reca l’offerta di 30 mila euro al mese per Tiziano Renzi in cambio di un incontro al mese con Luca Lotti e con Luigi Marroni per propiziare un occhio di riguardo su Romeo da parte della Consip guidata da Marroni.
La confidenza di Scafarto (‘scoppierà un casino arriviamo a Renzi’) quindi non è la prova del movente delle sue macchinazioni contro Tiziano e Matteo ma un annuncio abbastanza prevedibile (e certamente scorretto se vero) sulla base di indizi già raccolti.
Prima però ricordiamo come è nata la teoria che piace tanto ai grandi giornali, alla politica e ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura vicini a Renzi.
Il teorema (ben descritto ieri in un pezzo di Carlo Bonini su Repubblica) vuole connettere due fatti che non c’entrano nulla: lo scoop del Fatto del luglio 2015 sulla telefonata di Matteo Renzi con il generale Michele Adinolfi e lo scoop del Fatto del 2016-2017 sul caso Consip. Ebbene il teorema è delineato nel libro del segretario del Pd Avanti.
Renzi ricorda così il nostro scoop della telefonata tra lui e il generale della GdF Adinolfi, nella quale i due sparlavano di Enrico Letta, intercettata nel 2014 e pubblicata dal Fatto il 10 luglio 2015. “È la prima volta – scrive Renzi – in cui faccio la conoscenza del Noe, Nucleo operativo ecologico dell’Arma dei carabinieri, che su incarico di un pm di Napoli, il dottor Woodcock, mi intercetta. Apprenderò dell’intercettazione mentre sono presidente del Consiglio, grazie a uno scoop del Fatto Quotidiano firmato da un giornalista che si chiama Marco Lillo. Segnatevi mentalmente questo passaggio: Procura di Napoli, un certo procuratore, il Noe dei carabinieri, il Fatto Quotidiano, un certo giornalista. Siamo nel 2014, non nel 2017, sia chiaro. Che poi i protagonisti siano gli stessi anche tre anni dopo è ovviamente una coincidenza, sono cose che capitano”.
L’insinuazione che Il Fatto abbia ottenuto le notizie per i due scoop nel 2015 e nel 2016-7 sempre grazie al Noe e al pm Woodcock è falsa e diffamatoria ma trova subito una grancassa nelle istituzioni.
Il libro esce il 12 luglio e sembra il canovaccio delle domande poste al pm Lucia Musti di Modena appena cinque giorni dopo dal presidente della prima commissione del Csm. L’avvocato Giuseppe Fanfani, ex sindaco Pd di Arezzo, amico di Maria Elena Boschi e già legale del padre, ascolta con i suoi colleghi del Csm il procuratore di Modena nell’ambito del procedimento contro Henry John Woodcock finalizzato a capire se il pm di Napoli che ha osato intercettare il padre del leader Pd debba essere trasferito per incompatibilità.
La pm Lucia Musti ha ricevuto per competenza nell’aprile del 2015 le carte del fascicolo Cpl Concordia, istruito da Woodcock, nel quale era contenuta l’intercettazione di Matteo Renzi con il generale Adinolfi. La telefonata è divenuta pubblica nel luglio 2017 perché non era più segreta e Il Fatto – come la Procura di Napoli ha ricostruito già nel 2016 – l’ha avuta da fonti non investigative in modo pienamente lecito. E non era più segreta per una svista non del pm Woodcock ma degli uffici dei pm dell’antimafia che l’avevano ricevuta per competenza di materia da Woodcock proprio come la dottoressa Musti l’aveva avuta a Modena.
I pm di Napoli nel 2015-2016 indagarano i carabinieri del Noe che avevano aiutato il personale di segreteria, oberato di lavoro, a effettuare la scansione delle pagine senza avvedersi che l’informativa depositata non era quella omissata ma la versione precedente, che non conteneva gli omissis. Così quelle due pagine così delicate con i giudizi sprezzanti di Renzi su Letta sono finite nel computer della Procura accessibile a tutti gli avvocati del procedimento. Tre avvocati (almeno) ne vennero in possesso e così Il Fatto ha potuto acquisire tutte le carte pubbliche del fascicolo, compresa quella che doveva restare segreta. Questo tragitto è stato accertato con certezza dai pm e dai loro periti informatici grazie anche alle perquisizioni ai danni dei giornalisti del Fatto e in particolare al sequestro e all’analisi del computer del collega Vincenzo Iurillo che ha firmato quello scoop con chi scrive questo articolo.
I carabinieri del Noe furono indagati e interrogati ma i pm Alfonso D’Avino e Giuseppe Borrelli ne chiesero l’archiviazione a febbraio 2016 perché “E’ da escludersi che la scansione integrale della informativa del 15.10.2014 sia stata intenzionalmente effettuata dai militari al fine di renderla ostensibile attraverso il suo inserimento al TIAP (il sistema informatico della Procura, Ndr)”; 2) “la pubblicazione degli atti era avvenuta ad opera del cancelliere (incolpecole anche lui, Ndr) addetto alla segreteria del pm dell’antimafia Cesare Sirignano”.
L’audizione della dottoressa Musti al Csm doveva essere diretta ad appurare le responsabilità dei magistrati in quella fuga di notizie. Woodcock in questo caso non aveva alcuna responsabilità ma il pm Musti ne approfitta per fare due dichiarazioni contro la polizia giudiziaria preferita dal pm napoletano: i carabinieri del Noe.
La prima riguarda il fascicolo Cpl Concordia del 2015 e l’allora vicecomandante del Noe dei Carabinieri Sergio De Caprio, alias Ultimo.
Questa è la ‘la seconda versione’ del verbale pubblicata dal quotidiano Repubblica (diversa da quella del giorno precedente) riguardo all’incontro Ultimo-Musti per le carte dell’indagine Cpl Concordia del 2015: “Il presidente Fanfani chiede: «Chi glielo disse?». Musti: «Il colonnello De Caprio mi disse: “Lei ha una bomba in mano, se vuole la può fare esplodere”». Fanfani: «Ma in riferimento a cosa?». Lei: «Ma cosa ne so? Cioè, io non lo so perché erano degli agitati. Io dovevo lavorare su Cpl Concordia, punto, su quest’episodio di corruzione. Dissi ai miei, “prima ci liberiamo di questo fascicolo meglio è”».
Musti quindi sta dicendo al Csm che Ultimo quando consegnò il fascicolo Cpl Concordia a Modena disse che era una bomba. Il fascicolo non era centrato su Renzi ma sulla coop emiliana e conteneva intercettazioni del 2014 riguardanti: 1) i rapporti tra Massimo D’alema e la Cpl Concordia; 2) la Fondazione Icsa fondata da Marco Minniti ma lasciata dall’ex sottosegretario nel 2013; 3) intercettazioni su altri personaggi del Pd tra cui anche Matteo Renzi ma non solo lui.
Dal testo del secondo (e probabilmente vero) verbale pubblicato da Repubblica ieri si evince chiaramente che il pm Lucia Musti non dice e nemmeno insinua mai che ‘la bomba’ a cui faceva riferimento Ultimo fosse l’intercettazione di Renzi con Adinolfi.
La seconda cosa che dice il pm Lucia Musti al Csm riguarda il fascicolo che nel 2016 vedeva il solito Noe, sempre sotto la direzione del pm Woodcock, impegnato sul versante Consip. Così sempre Repubblica (sempre nella seconda versione del verbale ieri) riferisce la versione del pm Lucia Musti su un suo incontro con il capitano Scafarto ai primi di settembre del 2016: «Lui mi ha parlato del caso Consip, un modo di fare secondo me poco serio, perché un capitano, un maresciallo, un generale sono vincolati al segreto col loro pm, non devi dire a me che cosa stai facendo con un altro. Quindi, quando lui faceva lo sbruffone dicendo che sarebbe “scoppiato un casino”, io dentro di me ho detto “per l’amor di Dio”. Una persona seria non viene a dire certe cose, quell’ufficiale non è una persona seria». Fanfani vuole dettagli: «De Caprio ha detto “Ha una bomba in mano”, mentre Scafarto “succederà un casino”?». Musti risponde: «Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi».
E’ evidente dalla lettura di questa versione del verbale l’inesattezza di quanto pubblicato il giorno prima. Lucia Musti non ha mai dichiarato che Ultimo e Scafarto le dissero: ‘Dottoressa, lei, se vuole, ha una bomba in mano. Lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi’.
Una cosa è la bomba Cpl Concordia di cui parla Ultimo senza alcun riferimento a Renzi e alla sua conversazione con Adinolfi poi pubblicata dal Fatto.
Altra cosa è quel generico “scoppierà un casino arriviamo a Renzi” che sarebbe stato detto nel settembre 2016 dal capitano Scafarto quando aveva già in mano indizi pesanti su Tiziano Renzi.
La scorretta rappresentazione della realtà fatta dai grandi quotidiani insinua che la bomba di cui parlava Ultimo a Lucia Musti nel 2015 fosse l’intercettazione Adinolfi-Renzi. Non basta. la grande stampa e il Pd al seguito forzano anche il senso della frase di Scafarto per insinuare un intento complottistico del Noe contro Renzi nel 2016.
Scrive sul punto Il Corriere della Sera di venerdì “Il fatto che l’ex capitano del Noe abbia detto a Musti, quattro mesi prima di consegnare l’informativa e anche prima che fosse registrata la famosa frase «Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato» falsamente attribuita a Romeo («assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità il Renzi Tiziano», scrisse Scafarto nel rapporto), potrebbe far immaginare che l’obiettivo dei carabinieri fosse proprio il padre dell’ex premier. Come se fosse un possibile movente della successiva manipolazione dell’intercettazione. E chi volesse ipotizzare che quello fosse lo scopo dei falsi contestati a Scafarto (…) ora avrebbe un motivo in più per sostenerlo”.
La rappresentazione di un colloquio in cui Scafarto parla con Musti prima di avere nelle mani gli indizi e le registrazioni che inguaieranno Tiziano Renzi ha permesso al Pd Michele Anzaldi di presentare un’interrogazione al Governo e ha fatto parlare di ‘fatti di gravità inaudita’ all’ex segretario Pd Dario Franceschini e di “complotto” al capogruppo Pd Luigi Zanda. Grazie a questo modo di fare informazione non è apparsa ridicola la visita di Matteo Renzi a Rignano così raccontata in un pezzo dal titolo “Consip, Renzi subito a Rignano dal padre. Con lui il faccia a faccia della pace”.
Il pezzo è uscito il 14 settembre, proprio nel primo anniversario del giorno del famoso pizzino. Il 14 settembre 2016 infatti Alfredo Romeo scrisse su un foglietto ritrovato il giorno dopo nella spazzatura dal Noe e interpretato come un’offerta nero su bianco al ‘compare di Tiziano Renzi, Carlo Russo, di 30 mila euro al mese, destinati a ‘T.’ che secondo la tesi accusatoria sarebbe Tiziano Renzi.
Al di là delle conseguenze politiche della strumentalizzazione delle frasi della pm Musti, c’è una conseguenza giudiziaria di non poco conto. Alla Procura di Roma sono state trasmesse dal Csm le dichiarazioni della pm di Modena perché i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi valutino se inserirle nel fascicolo contro Woodcock. Non solo. Lunedì prossimo la solita prima commissione del Csm presieduta dal solito Giuseppe Fanfani convocherà i due pm di Napoli, Giuseppe Borrelli e Alfonso D’avino, che si sono occupati del’indagine sulla pubblicazione da parte del Fatto dell’intercettazione Renzi-Adinolfi.
In pratica il presidente della commissione del Csm convoca i procuratori aggiunti di Napoli e trasmette carte alla Procura di Roma perché finalmente si indaghi a fondo nella direzione del collegamento tra i due scoop del Fatto, proprio la direzione auspicata dal leader Matteo Renzi nel suo libro.

martedì 9 maggio 2017

Consip, Woodcock sotto accusa: "Non doveva parlare del caso". - Dario Del Porto, Conchita Sannino

Consip, Woodcock sotto accusa: "Non doveva parlare del caso"

Il pg della Cassazione apre un'azione disciplinare per le frasi riportate da Repubblica. Marco Gasparri conferma ai pm: "A me 100mila euro da Romeo".

NAPOLI - Da accusatore ad accusato. Secondo il Pg della Cassazione, quel magistrato ha violato il riserbo: doveva tacere. Procedimento disciplinare per Henry John Woodcock, il pm napoletano che, insieme alla collega Celeste Carrano, ha indagato su presunte tangenti e cordate nel mega appalto Consip. Si tratta dell'inchiesta madre - i cui atti sono stati poi trasferiti a Roma - che ha portato all'arresto dell'imprenditore Alfredo Romeo, e al coinvolgimento degli eccellenti, tra cui il ministro Luca Lotti e il padre di Matteo Renzi. Un'altra pagina a sorpresa, nella tormentata vicenda: proprio mentre ieri, a piazzale Clodio, fa un altro passo avanti il complesso filone romano e va in scena l'incidente probatorio che cristallizza le dichiarazioni di Marco Gasparri contro Romeo. "Sì, presi 100mila euro da Romeo per consigli e informazioni sulle gare", ribadisce il funzionario Consip di fronte al procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, e al pm Mario Palazzi.
Ora, però, c'è anche il pm Woodcock a dover dare spiegazioni. Al centro della dura contestazione che gli viene mossa dal Pg Pasquale Ciccolo, finisce il ragionamento riportato da Repubblica lo scorso 13 aprile. Nell'articolo vengono dettagliatamente ricostruite alcune riflessioni del pm sulle ore più tese dell'indagine sul capitano del Noe Giampaolo Scafarto: è l'ufficiale che ha redatto la corposa informativa Consip. A Roma, i pm prima revocano la delega al nucleo, poi mettono sotto inchiesta l'investigatore. Grave l'ipotesi. Aver manomesso un passaggio del dossier, attribuendo a Romeo, invece che al suo consulente Italo Bocchino, questo brano: "Renzi, l'ultima volta che l'ho incontrato...".

Le frasi di Woodcock smentivano sia i contrasti con i colleghi della capitale, sia l'idea di un complotto "investigativo" contro Renzi. Un errore, insomma. "Mi chiedo, ma cui prodest? Perché il capitano ( Scafarto, ndr) avrebbe dovuto fare questo? Perché avrebbe dovuto mettere in atto una pianificazione eversiva contro Renzi? A me pare davvero una cosa da pazzi...". E ancora: "La guerra non esiste. Io sono amico di Ielo, ci sentiamo e ci vediamo. Lo stimo, lavora bene da trent'anni. Certo, ci sono scelte diverse. Ma date alla mia procura il tempo di depositare le carte. Lì c'è la prova di quanta professionalità è stata usata in questa vicenda". Argomentazioni che, secondo il pg della Cassazione, avrebbero interferito con il lavoro dei colleghi, oltre che violato il riserbo. Woodcock, che si è appena espresso pubblicamente a favore della legalizzazione delle droghe leggere, ora prepara la difesa. Ad assisterlo, sarà l'ex procuratore di Torino Marcello Maddalena.

Intanto, a Roma viene interrogato davanti al giudice Gaspare Sturzo, per oltre 5 ore, il funzionario Consip Marco Gasparri. Che conferma tutte le accuse. "Ho preso 100 mila euro da Alfredo Romeo per garantirgli consigli e informazioni sulle gare bandite in Consip": ribadisce l'indagato. Risponde alle domande dei magistrati e degli avvocati Francesco Carotenuto, Giovambattista Vignola e Alfredo Sorge. I legali sembrano tuttavia fiduciosi. "Gasparri ha reso molti chiarimenti rispetto ai precedenti interrogatori - scrivono in una nota - precisando diversi aspetti, ritenuti molto utili alla difesa di Romeo e della società Romeo Gestioni, tanto da ritenere ormai difficilmente configurabili ipotesi di reato e di illeciti".

Romeo è in cella dal primo marzo per corruzione, e ora nei suoi confronti si profila la richiesta di giudizio immediato da parte di Roma. In un altro filone, risultano tuttora indagati: per traffico d'influenze Tiziano Renzi; per violazione del segreto d'ufficio il ministro Lotti, il comandante generale dell'Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e il comandante regionale della Toscana Emanuele Saltalamacchia.


http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/05/09/news/consip_woodcock_sotto_accusa_non_doveva_parlare_del_caso_-164970526/