mercoledì 7 agosto 2013

Mps, le larghe intese di Giuseppe Mussari per diventare numero uno dell’Abi. - Davide Vecchi

Giuseppe Mussari


Nell'agenda dell'ex presidente di Rocca Salimbeni gli appuntamenti con politici di destra e sinistra nonché rappresentanti del governo nel periodo tra febbraio e giugno 2010. I viaggi a Roma si intensificano in vista della nomina a capo dell'associazione delle banche: prima Palazzo Chigi, poi (per due volte) visita privata al Quirinale.

Giuliano Amato, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, ma anche Enrico e Gianni Letta, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Maurizio Gasparri, Daniela Santanchè. Nel 2010, l’allora presidente del Monte dei Paschi di SienaGiuseppe Mussari, andava con frequenza a Roma per incontrare gli amici di vecchia data, come D’Alema e Latorre, ed esponenti del centrodestra all’epoca al governo. Già iscritto nel registro degli indagati per l’aeroporto di Ampugnano (rinviato a giudizio per i reati di concorso morale in ordine ai reati di falso e turbativa d’asta) Mussari era impegnato nella conquista della presidenza dell’Abi, con l’approvazione di Banca d’Italia nonostante via Nazionale avesse già avviato le indagini sulla situazione patrimoniale di Rocca Salimbeni, mentre la Procura cominciava a interessarsi all’acquisizione di Antonveneta.
A scorrere l’agenda di Mussari, allegata agli atti della prima parte dell’inchiesta su Mps, chiusa il 31 luglio scorso per evitare i termini della prescrizione, si ha l’idea dei rapporti che il mondo economico ha (o è costretto ad avere) con la politica. Già dai verbali di interrogatorio dell’ex parlamentare e sindaco di Siena,Franco Ceccuzzi, era evidente come fosse la politica a definire gli incarichi in Rocca Salimbeni. Quando Mussari lascia la presidenza di Mps, per dire, Ceccuzzi dice di essersi rivolto a D’Alema per convincere Alessandro Profumo a prendere le redini della banca. Mentre l’ex presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, sempre a verbale, racconta di essersi rivolto a Gianni Letta che con l’approvazione di Berlusconi gli indicò chi inserire nel cda.
Così, in vista della sua candidatura alla guida dell’Abi, di cui si comincia a parlare in via informale nelfebbraio 2010 ed è ufficializzata il 23 giugno, Mussari frequenta amici vecchi e nuovi dei Palazzi romani. Oltre a D’Alema le frequentazioni più assidue sono con Latorre, uomo di fiducia del leader pugliese. Ma non solo. Il 6 aprile in poche ore incontra il sottosegretario alla difesa del Pdl, Guido Crosetto, il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, il presidente del Copasir, D’Alema e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Berlusconi, Santanchè. Pochi giorni dopo incontra il presidente della Camera, Gianfranco Fini, poi Enrico Letta, allora vicesegretario nazionale del Pd e Latorre. Nell’agenda sono segnate anche le convocazioni in tribunale per la questione Ampugnano. La notifica della Guardia di Finanza è segnata in agenda alle ore 10 del 25 febbraio. Dopo una settimana di ferie, Mussari rientra e vola a Roma per incontrare prima Amato poi Latorre. Passano 48 ore e riceve D’Alema che lo raggiunge a Siena.
Sono i giorni in cui Mussari è impegnato nelle riunioni che devono portare il Consiglio di amministrazione ad approvare il bilancio nel quale, secondo quanto ipotizzato dai pm, vennero camuffate le perdite derivanti dall’acquisizione Antonveneta e messi in atto “trucchi” per celare gli impatti patrimoniali del contratto Alexandria. Uno dei bilanci camuffati, secondo l’accusa, è stato presentato a Piazza Affari il 26 marzo, come annotato in agenda.
I viaggi verso Roma si intensificano tra aprile e giugno. Numerosi gli incontri con Latorre, con cadenza quasi settimanale, e anche con Fini. Con l’ufficialità della nomina alla guida dell’Abi e la conquista della presidenza, le porte si spalancano ulteriormente. Mussari sale due volte al Quirinale “per udienza privata con Giorgio Napolitano”, annota in agenda. Ai soliti Amato, D’Alema, Latorre, si aggiungono Pierluigi Bersani, Fabrizio Cicchitto, Luciano Violante, Gianfranco Conte, Antonio Tajani. Nel frattempo cominciano a emergere notizie di stampa della situazione patrimoniale che sta attraversando il Monte dei Paschi e, soprattutto, la Fondazione. L’1 settembre 2011 Mussari segna in agenda: “Guardia di Finanza per Notifica atto”. La procura indaga. Banca d’Italia, secondo quanto ricostruito, aveva le comunicazioni adeguate per comprendere cosa accadeva, ma non intervenne. “Ho piena fiducia in via Nazionale”, ha detto Napolitano invitando poi la stampa, lo scorso febbraio, a “sopire” le informazioni su Mps. 
Il monito è arrivato dopo le dimissioni di Mussari dalla guida dell’Abi: ha lasciato l’incarico il 22 gennaio 2013, quando il Fatto Quotidiano diede notizia dell’accordo segreto che aveva siglato con Nomura per ristrutturare il debito di Mps.

Sull'intervista esclusiva de "Il Mattino" al giudice Esposito....



Prescindendo dal fatto che il quotidiano "il Mattino" risulta essere di proprietà dei Caltagirone dal 1996; sappiamo anche che i Caltagirone sono imparentati con Casini e che Casini non disdegna alleanze con il soggetto Berlusconi...andiamo, pertanto, ad esaminare i fatti.

Appena undici giorni prima dell'attesa sentenza della Corte di Cassazione nei confronti del Cavaliere sul processo Mediaset, si verifica un fatto strano, viene rinvenuto un apparecchio elettronico negli uffici dei Supremi Giudici che dopo pochi giorni avrebbero dovuto pronunciarsi sulla sentenza dell’ex premier. Qui l'articolo: 

Microspia nell’ufficio dove si giudica il Cav  


Ora c'è da capire se la "presunta" intervista del giudice non sia una delle solite macchinazioni dell'insana mente di Berlusconi.

La "presunta" intervista, infatti, potrebbe essere proprio il risultato di una ricostruzione artefatta di quanto illecitamente intercettato...Non dobbiamo dimenticare che il tizio, lapalissianamente in odor di mafia, ama corrompere, comprare "anime" e, quando non ci riesce con il vil denaro, crea prove indiziarie per procedere, all'occorrenza, con il ricatto.

E' un semplice sospetto, ma non lo escluderei a priori, poichè la vicenda ha come oggetto-soggetto una  personalità ambigua e discutibile come quella di Berlusconi.


Travaglio. Carriera di un evasore! (un delinquente che ancora è senatore della Repubblica!)



Secondo Angelo Panebianco, editorialista del Corriere (e non solo lui), la condanna definitiva di B. per frode fiscale non dipende dal fatto che B. è un frodatore fiscale, ma dallo “squilibrio di potenza fra magistrati e politica”. 
Perché in Italia la politica sarebbe “un potere debole e diviso” che non riesce a riformare il “potere molto più forte e unito” della magistratura. Solo separando le carriere, abolendo l’azione penale obbligatoria, trasformando il pm in “avvocato dell’accusa”, spogliando il Csm, cambiando la scuola e il reclutamento delle toghe e rimpolpando i poteri del governo nella Costituzione si eviteranno sentenze come quella del 1 ° agosto. 
Forse Panebianco non sa che in tutte le democrazie del mondo, anche quelle che hanno da sempre nel loro ordinamento le riforme da lui auspicate, capita di continuo che uomini politici vengano condannati se frodano il fisco, con l’aggiunta che vengono pure arrestati e, un attimo prima, cacciati dalla vita politica. 
Ma soprattutto il nostro esperto di nonsisachè ignora la carriera criminale di B., che froda il fisco da quando aveva i calzoni corti. 
E se non fu scoperto all’epoca è perché con i fondi neri corrompeva politici, Guardia di Finanza e giudici che avrebbero potuto scoperchiare le sue frodi fin dagli anni 70. 
Chi conosce il curriculum del neo-pregiudicato non si stupisce per la condanna dell’altro giorno, ma per il fatto che un tale delinquente matricolato sia rimasto a piede libero fino a oggi. 

La prima visita. 
Il 12 novembre 1979 una squadretta della Guardia di Finanza ispeziona l’Edilnord Centri Residenziali Sas che sta realizzando a Segrate la città-satellite di Milano 2, sospettata di varie irregolarità tributarie. Nel cantiere, con alcuni operai, c’è un omino spelacchiato e imbrillantinato che si presenta come “semplice consulente” della società. È Silvio Berlusconi, il proprietario, iscritto da un anno alla loggia deviata P2. I finanzieri vogliono sapere perché abbia prestato fideiussioni personali in favore di Edilnord e Sogeat, società il cui capitale è ufficialmente controllato da misteriosi soci svizzeri. 
Ma lui fa lo gnorri e mette a verbale: “Ho svolto un ruolo molto importante nei confronti dell’Edilnord Centri Residenziali e della Società generale attrezzature Sas, perché entrambe mi hanno fin dall’inizio affidato l’incarico professionale della progettazione e della direzione del complesso residenziale Milano 2”. Anziché ridergli in faccia e approfondire le indagini, il maggiore Massimo Maria Berruti che guida la squadra si beve tutto, chiude l’ispezione in meno di un mese, nonostante le anomalie finanziarie riscontrate e archivia tutto con una relazione rose e fiori. 
Poi, il 12 marzo 1980, si dimette dalle Fiamme Gialle. Per qualche mese lavora per l’avvocato d’affari Alessandro Carnelutti, titolare a Milano di un importante studio legale con sedi a New York e Londra, dove si appoggia all’avvocato inglese David Mackenzie Mills. 
Poi Berruti inizia a lavorare per il gruppo Fininvest, specializzandosi in operazioni finanziarie estere e in contratti per i calciatori stranieri del Milan. Gli altri due graduati che erano con lui nel blitz del ’ 79 sono il colonnello Salvatore Gallo e il capitano Alberto Corrado. Il nome di Gallo verrà trovato nelle liste della loggia P2. Corrado verrà arrestato nel ’ 94 e poi condannato con Berruti per i depistaggi nell’inchiesta sulle mazzette Fininvest. 
Versate a chi? Alla Guardia di finanza, naturalmente. San Bettino vede e provvede. 
Nel 1980 Berlusconi rischia di ritrovarsi un’altra volta la Finanza in casa. Allarmatissimo, scrive una lettera al-l’amico Bettino Craxi, leader del Psi che sostiene il governo Cossiga: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Ca-bassi, la Polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare”. 
Che si sappia, anche quella volta le Fiamme Gialle si tengono alla larga dal Biscione. Che evidentemente ha sempre più cose da nascondere. Giudici venduti e no Il 24 maggio 1984 il vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, Renato Squillante, interroga B., assistito dall’avvocato Cesare Previti e imputato “ai sensi dell’articolo 1 della legge 15 / 12 / 69 n. 932” per interruzione di pubblico servizio a causa delle presunte antenne abusive sul Monte Cavo che interferiscono nelle frequenze radio della Protezione civile e dell’aeroporto di Fiumicino. Gli imputati sono un centinaio. Ma la posizione di B. viene subito archiviata il 20 luglio 1985, mentre altri 45 rimarranno sulla graticola fino al 1992 e se la caveranno solo grazie all’amnistia. Non potevano sapere che Squillante e Previti avevano conti comunicanti in Svizzera. 
Insomma, che il giudice romano era a libro paga della Fininvest. Il 16 ottobre 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma, Giuseppe Casalbore, Nicola Trifuoggi e Adriano Sansa, sequestrano gli impianti che consentono a Canale 5, Italia 1 e Rete 4 di trasmettere in contemporanea in tutt’Italia in spregio alla legge. 
Craxi neutralizza le ordinanze con due “decreti Berlusconi”. Mills e la Fininvest occulta. Nel 1989 l’avvocato Mills, consulente Fininvest da alcuni anni, costituisce per conto del gruppo Berlusconi la All Iberian e decine di altre società offshore (la Kpmg, per conto della Procura di Milano, arriverà a contarne 64) domiciliate nelle isole del Canale (all’ombra di Sua Maestà britannica), nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali. 
Ordine è partito dai responsabili della finanza estera del gruppo, Candia Camaggi e Giorgio Vanoni. Nasce così il “Comparto B” della Fininvest, “very discreet”, cioè occulto e in gran parte mai dichiarato nei bilanci consolidati, alimentato perlopiù dalla Silvio Berlusconi Finanziaria Sa (società lussemburghese regolarmente registrata a bilancio), ma anche da denaro proveniente dal Cavaliere in persona (in contanti, tramite “spalloni” che lo portano da Milano oltre il confine elvetico). Sul conto svizzero di All Iberian, in soli sei anni, transitano in nero quasi mille miliardi di lire. Usati per operazioni riservate e inconfessabili, come confermeranno le sentenze definitive All Iberian, Mills e Mediaset. Anzitutto, B. versa 23 miliardi a Craxi tra il 1990 e il ’ 91. Gira soldi di nascosto ai suoi prestanome Renato Della Valle e Leo Kirch: non potendo, per la legge Mammì, detenere piú del 10 % di Telepiú, B. finanzia occultamente le teste di legno che rilevano le sue quote eccedenti. Acquista per 456 miliardi il capitale di Telecinco, la tv spagnola, di cui per la legge antitrust di Madrid non potrebbe controllare più del 25 %. Presta soldi a Giulio Margara, presidente di Auditel e direttore di Upa, l’associazione utenti pubblicitari. Gira 16 miliardi a Previti, in parte per pagarlo in nero in parte perché versi tangenti a giudici romani come Squillante e Vittorio Metta (autore della sentenza comprata che nel 1990 scippa la Mondadori a De Benedetti per regalarla alla Fininvest). Scala di nascosto i gruppi Rinascente, Standa e Mondadori in barba alla normativa Consob. E soprattutto, tramite alcune offshore, intermedia l’acquisto di film dalle major di Hollywood, facendone lievitare i costi per 368 milioni di dollari e dunque abbattendo gli utili di Mediaset per tutti gli anni 90, consentendo al gruppo di pagare meno imposte e al beneficiario dei conti esterni, cioè a se stesso, di accumulare una fortuna extrabilancio ed esentasse. 
E cosí via. 
Resta pure il sospetto che parte del denaro di destinazione ignota sia servito a pagare i politici del pentapartito per la legge Mammì del 1990 sull’emittenza: quella che consente a B. di tenersi tutt’e tre le reti Fininvest in barba a qualunque minimo principio antitrust. Lo testimoniano i responsabili della Fiduciaria Orefici, che aiuta il Cavaliere a foraggiare il conto All Iberian: il dirigente Fininvest Mario Moranzoni confidò loro che “i politici costano, c’è in ballo la Mammí”. Per le presunte tangenti Fininvest in cambio di quella legge, la magistratura romana indagherà Gianni Letta e Adriano Galliani, ma l’ufficio Gip guidato da Squillante negherà il loro arresto, e l’inchiesta finirà nel nulla

Le Fiamme Sporche. 
Nel 1989 il responsabile servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, altro ex finanziere passato alla corte del Cavaliere, si libera di una verifica fiscale a Videotime (la società Fininvest che racchiude Canale 5, Rete 4 e Italia 1) versando ai finanzieri una tangente di 100 milioni di lire. Lo stesso fa nel 1991 con 130 milioni scuciti per ammorbidire un’ispezione a Mondadori. E poi nel 1992 con altri 100 milioni per una visita delle Fiamme Gialle a Mediolanum. E ancora nel 1994 con 50 milioni perché i finanzieri chiudano un occhio, o possibilmente due, durante un blitz disposto dalla Procura di Roma e dal Garante per l’editoria sulla reale proprietà di Telepiù: che, se dovesse risultare ancora in mano a B. tramite i soliti prestanome (così com’è nella realtà), porterebbe al-l’immediata revoca delle concessioni per Canale 5, Rete 4 e Italia 1. Ma anche quella volta i finanzieri corrotti se ne vanno con gli occhi bendati. Nel ’ 94, appena un sottufficiale confessa a Di Pietro di aver ricevuto parte di una tangente Fininvest, esplode lo scandalo Fiamme Sporche, che in poche settimane porta all’arresto di un centinaio di finanzieri corrotti e all’incriminazione di oltre 500 imprenditori e manager corruttori (il Gotha dell’imprenditoria milanese). Confessano quasi tutti. Tranne uno: Silvio B., che non può ammettere nulla perché è appena divenuto presidente del Consiglio. Sciascia dice che ha fatto tutto per ordine di Paolo Berlusconi, Silvio non c’entra nulla. Intanto l’avvocato Berruti chiama l’ex collega Corrado (quello dell’ispezione del 1979), ormai in pensione, perché tappi la bocca sulle mazzette Fininvest il capobanda, colonnello Angelo Tanca. E così avviene. Quando il pool Mani Pulite ha pronta la richiesta di cattura per Sciascia e Paolo, il governo di Silvio vieta la manette per corruzione col decreto Biondi. È il 14 luglio ’ 94. L’Italia si ribella, Bossi e Fini si defilano, B. è costretto a ritirare il decreto a furor di popolo, così finiscono dentro Sciascia, Paolo, Corrado e Berruti. Il quale, si scopre, prima di orchestrare il depistaggio è volato a Roma per incontrare il premier a Palazzo Chigi. 
La prova che ha fatto tutto Silvio, non Paolo. Di qui l’invito a comparire durante la conferenza Onu di Napoli e poi il processo. Primo grado: condannati Silvio e Sciascia, assolto Paolo. Appello: prescritto Silvio, condannato Sciascia. Cassazione: condannato Sciascia, assolto per insufficienza di prove Silvio, perché potrebbe essere stato Paolo, che però non può essere riprocessato una volta assolto. La prova contro Silvio potrebbe, anzi dovrebbe fornirla Mills, sentito come testimone al processo: purtroppo è stato corrotto con 600 mila dollari e mente ai giudici, salvando il Cavaliere. 9 processi aboliti per legge. 
Ma le tangenti c’erano, e quello che il gruppo Berlusconi ha da nascondere alla Guardia di Finanza è più che evidente. Lo dimostra la miriade di processi nati da quei fondi neri negli anni 90, quando i giudici e i finanzieri corrotti iniziano a scarseggiare. Non potendoli neutralizzare a monte a suon di mazzette, B. li cancella a valle con una raffica di leggi ad personam: falso in bilancio, condoni fiscali ed ex Cirielli. Risultato: 2 processi fulminati perché il reato non c’è più, cancellato dall’imputato (All Iberian-2 e Sme-2) e 8 caduti in prescrizione. 
L’ultimo, per il semplice decorrere del tempo, sulla divulgazione dell’intercettazione della telefonata segreta e rubata tra Fassino e Consorte. Gli altri 7: corruzione del giudice Metta per la sentenza Mondadori e caso All Iberian-1 per i 23 miliardi a Craxi (prescritti grazie alle attenuanti generiche); falsi in bilancio Fininvest anni 90; altri falsi in bilancio per i 1550 miliardi di lire di fondi neri sottratti al consolidato col sistema All Iberian; fondi neri nel passaggio del calciatore Lentini dal Torino al Milan; corruzione giudiziaria del teste Mills (prescritti grazie al-l’ex Cirielli); appropriazioni indebite e i falsi in bilancio e la gran parte delle frodi fiscali sui diritti Mediaset (prescritti grazie al combinato disposto della legge sul falso in bilancio e all’ex Cirielli). I reati superstiti, e cioè le frodi fiscali del 2002 e 2003, per un totale di 7 milioni di euro (su un totale di 360 milioni di dollari, ormai evaporati), sono miracolosamente giunti in Cassazione per la sentenza definitiva del 1 ° agosto prima della solita falcidie. Sarebbe questo il sintomo di una politica debole e di una giustizia forte? E che c’entra, con questa fogna, la politica? Marco Travaglio FQ 7 agosto 2013

https://www.facebook.com/notes/gabriele-lanzi/travaglio-carriera-di-un-evasore-un-delinquente-che-ancora-%C3%A8-senatore-della-repu/10151772483249629