domenica 17 maggio 2020

A chi la ciccia e a chi le frattaglie. - Gaetano Pedullà

JOHN ELKANN

Che qualcosa di grosso stesse cucinando in pentola l’avevano capito tutti da tempo. Se n’era sentito l’odore quando alcuni grandi giornali erano passati alla Fiat (che ora si chiama Fca, ma a me piace usare lo stesso nome a cui lo Stato bonifica da decenni montagne di miliardi pubblici sotto forma di cassa integrazione, contributi e rottamazioni). Perché – mi domandavo – gli Elkann, cioè gli eredi della dinastia Agnelli, portano il cuore del loro gruppo automobilistico ad Amsterdam, a Londra e Detroit, poi si fondono con la francese Peugeot e intanto comprano la Repubblica e spingono una schiera di direttori che anche in tv sentiamo ripetere come un disco rotto ogni contumelia contro il Governo?
Elkann nisciuno è fesso, e noi quanto i discendenti dell’Avvocato sappiamo bene che di questi tempi (anzi, in tutti i tempi) i giornali sono un pessimo investimento, a meno che non ci sia da usarli come clave per guadagnarci da un’altra parte. E stavolta la clava si era vista subito: neanche il tempo di salutare i dipendenti che già il nuovo direttore del quotidiano di Scalfari incorniciava in prima pagina i consigli non richiesti di Cottarelli e Moavero per salvare l’Italia, con implicito avviso di sfratto a Conte e a quegli scappati di casa del Movimento Cinque Stelle.
Il governissimo con dentro tutti, dalla Lega di Giorgetti e Zaia (le sparate elettorali di Salvini ora non servono) all’Italia Viva di Renzi, con il Pd e frotte di responsabili, è il sogno di chi vuole sedersi a capotavola del grande banchetto allestito con i miliardi di aiuti pubblici stanziati per ripartire dopo il Covid. Tant’è vero che ieri, su un’agenzia di stampa straniera, è saltata fuori la notizia che Fiat sta trattando con Banca Intesa Sanpaolo un prestito da oltre sei miliardi interamente garantito dalla Sace (cioè lo Stato). Niente male mentre famiglie e imprese ricevono col contagocce i prestiti garantiti fino a 25mila euro, e c’è un Paese da rimettere in piedi, possibilmente senza lasciare tutta la ciccia ai soliti noti, e agli altri le frattaglie.

Ezio Bosso: Musica, maestro! (insegnare le note dalla più tenera età). - Ezio Bosso


Morto Ezio Bosso | Il pianista che faceva commuovere malato da tempo

Ricordiamo il grande direttore d'orchestra ripubblicando questa sua testimonianza nella quale, partendo dalla propria esperienza – quella di chi da bambino ha imparato a leggere prima le note che le parole – spiega perché la musica è un elemento formativo indispensabile e, quindi, da insegnare fin dalla scuola materna: suonare uno strumento è importantissimo per lo sviluppo dei bambini e può essere significativo fattore di inclusione sociale. Fino a una proposta: “Renderei obbligatorio in tutte le scuole lo studio di 'Pierino e il lupo' di Prokof’ev, un testo determinante per la crescita di un bambino”.

di Ezio Bosso, da MicroMega 5/2019
Ho iniziato lo studio della disciplina musicale all’età di quattro anni, ma alla musica mi sono avvicinato anche prima. Praticamente, ho imparato a leggere le note prima delle parole. E questo studio è la base di quello che sono oggi. È la conferma di come quella disciplina, che a volte può essere complessa e faticosa per un bambino, sia stata per me un’esperienza fondante, meravigliosa. La musica è stata di fatto tutta la mia vita. E devo ringraziare quella zia che mi vietava di suonare il pianoforte prima di studiare le note: «Se non impari a leggere la musica», mi diceva, «non lo tocchi». Perché educazione è anche questo: ottenere qualcosa con il lavoro e non per capriccio. E la musica è una forma educativa molto ampia, sempre basata sul merito. Un concetto importante, da non sottovalutare.

Strumento di benessere.
Data anche la mia esperienza personale, ritengo che la musica sia un elemento formativo indispensabile fin dalla scuola materna. E questo perché noi siamo naturalmente composti della materia dei suoni: abbiamo il senso del ritmo fin da quando siamo molto piccoli, fin dall’età di uno o due anni. E l’aspetto ludico del ritmo, per i bambini, è di fondamentale importanza, fa la differenza anche dal punto di vista fisico. Come dimostrano studi scientifici, la capacità di convogliare il ritmo aiuta anche a camminare meglio. Nell’età evolutiva è un aspetto fondamentale per l’equilibrio della crescita. E ugualmente importante è coltivare l’ascolto e lo stupore.

L’associazione Diamo il La di Milano, di cui sostengo l’attività, ha il merito di portare tutto questo nelle periferie urbane. Perché, a differenza delle scuole dei ricchi, che possono contare anche sulla presenza di musicoterapeuti, nelle periferie mancano spesso gli strumenti per realizzare questo lavoro. Tuttavia, che si utilizzi un registratore o uno xilofono, l’accesso al suono, alla produzione del suono associata all’ascolto complesso, è un aspetto fondamentale della formazione e della cultura, lungo tutta la nostra esistenza.

Del resto io sostengo tutti i progetti miranti a promuovere l’accesso alla musica come strumento di benessere sociale, come valore fondante di una società migliore. In particolare, sono il testimonial dell’associazione Mozart 14, fondata da Claudio Abbado, impegnata a portare il canto corale e la musicoterapia nei reparti di terapia intensiva, tra i bambini che hanno problemi di salute, e nelle carceri, tra i detenuti. È la dimostrazione di come la musica possa e debba essere un modo per migliorare la vita, per cambiarla e anche per salvarla.

Il potere della vibrazione, non a caso, è ben noto alle neuroscienze, essendo noi fatti proprio di vibrazioni. E non mi riferisco a teorie come quella della frequenza a 432 Hz 1, ma proprio al fatto che la musica, al di là del benessere consolatorio che produce, svolge una funzione vera e propria nell’attivazione delle cellule neuronali.

A scuola di musica.

La prima fase dell’insegnamento della musica nelle scuole dovrebbe consistere nell’accesso all’ascolto e poi nella produzione del suono e del ritmo. È come insegnare una lingua: è per questo che i bambini e i ragazzi devono apprendere come sono le note e come funzionano. Dovrebbe essere più facile insegnare la musica che le parole ed esistono anche alcuni esperimenti in tal senso. E invece mi capita di sentire cose aberranti, tipo l’idea di far cantare al saggio musicale l’ultima canzone di Sanremo. Questa, in realtà, è diseducazione alla musica, perché la musica esige sempre la meritocrazia, la capacità di impegnarsi per sentirsi felici, non per soddisfare le voglie della zia.

Ben venga il flautino, allora – malgrado le polemiche sollevate da grandi musicisti – perché mette tutti sullo stesso piano, annulla le differenze sociali, consentendo anche a chi non ha i soldi di ricevere una prima educazione al suono. Non tutte le famiglie, infatti, possono permettersi di comprare un pianoforte.


L’ho suonato anch’io il flautino, proprio perché avevo bisogno di uno strumento a portata di mano e a basso costo. E penso che il fatto che tutti possano avere nelle proprie mani uno strumento musicale sia meraviglioso. E non impedisce a un bravo maestro di suggerire alla famiglia di un bambino particolarmente dotato di fargli continuare lo studio della musica.

Prima di pontificare sui flautini, peraltro, bisognerebbe riflettere sul ruolo fondamentale che dovrebbe avere la formazione degli insegnanti… Io poi introdurrei per legge l’educazione musicale perlomeno in tutta la scuola dell’obbligo, dunque fino ai 16 anni. Penso che dovrebbe essere vista come una materia che collega in un unico percorso qualunque indirizzo si voglia poi seguire. Una costante che potrebbe anche far sì che non ci si perda di vista nei cambi di istituto.

Del resto, poiché la musica, essendo un grande collante sociale, è associabile a tutto, persino al cibo, potrebbe rappresentare un collegamento tra una materia e l’altra, rendendole meno avulse ed evitando il rischio di cadere in nozionismi privi di senso. Rischio che oggi, peraltro, riguarda l’educazione nel suo complesso perché, nel momento in cui metto una crocetta sulla base del 33,3ˉ per cento di possibilità di indovinare la risposta giusta, l’educazione è morta. Io sono un umanista, continuo a sognare un mondo che guarda alle cose, non che tenta la sorte.

Riscoprire la musica classica.
Anche se è solo da un paio d’anni che passo un po’ più di tempo in Italia, sono convinto che, in questo paese, il principale ruolo educativo in materia, a partire dagli anni Cinquanta, lo abbia svolto la televisione. E certo, se per musica si intende soltanto un genere, è evidente che non potremo fare molta strada.

Ritengo invece che, nell’insegnamento musicale, la priorità vada assegnata alla musica classica, che è quella in cui affondano le nostre radici, il fondamento della nostra identità. È soprattutto attraverso di essa che si sviluppa quell’insieme di curiosità e di approfondimento che può valere poi per qualsiasi altro genere, impedendoci di restare schiavi dell’ultima moda o dei gusti di pochi. Ecco, l’educazione non è questione di gusto, ma è sviluppo della curiosità.

Le note le abbiamo inventate in questo paese grazie a un signore che si chiamava Guido d’Arezzo. Ed è da qui che possiamo partire, considerando che da quelle note è nata tutta la musica a cui ci riferiamo. Certo, noi pecchiamo sempre un po’ di egocentrismo, perché in realtà siamo solo una parte del mondo: in India, in Pakistan, per esempio, il sistema di notazione è completamente diverso. Ed è importante che ciò venga detto, perché chi lo sa che poi un bambino non ci si appassioni… Penso che utilizzare la storia insieme alla musica, e la musica insieme alla storia, possa costituire un percorso formativo fondamentale per la formazione di un adolescente. E in questo percorso renderei obbligatorio in tutte le scuole lo studio di Pierino e il lupo di Prokof’ev, un testo determinante per la crescita di un bambino. E anche di un adulto.

Rispetto al metodo di insegnamento, penso sarebbe presuntuoso da parte mia dare indicazioni, non essendo un pedagogista e non occupandomi di educazione musicale in senso stretto. L’Italia, però, vanta una pedagogia musicale avanzatissima. Torino, per esempio, è all’avanguardia in questo campo. In ogni caso, esistono metodi assai efficaci, come il meraviglioso e inclusivo metodo Orff, grazie a cui qualsiasi bambino può imparare le note attraverso una partecipazione attiva, anche solo con un piattino, e condivisa con gli altri. Perché lo stare insieme è di fondamentale importanza. E tutto ciò serve anche a superare le proprie difficoltà, le proprie paure. Ma questo, per quel che mi riguarda, vale a qualsiasi età.


Ai miei studi aperti vengono anche bambini dai tre-quattro anni ai dieci, che spesso la sanno più lunga dei trentenni, mostrando una maggiore capacità di risolvere i problemi. Alla fine quello che ha luogo è uno scambio tra bambini, adolescenti, professionisti. Si tratta in fondo di una questione di linguaggio, di vocabolario. Io sono attento a non trattare i bambini da deficienti. Sono piccole persone, che imparano anche in fretta, ed è così che mi rapporto con loro.

Continuo a vedere la società come una multiformità di differenti età, di differenti esistenze, di differenti singolarità. È ovvio che a un bambino piccolo non farò ascoltare tutto Wagner. Di musica ce n’è tanta: Bach, Monteverdi, Palestrina… Se io fossi un bambino, per esempio, vorrei che mi raccontassero storie. Una cosa che peraltro mi piace anche oggi.

La musica classica è una forma oggettivamente meritocratica nel senso più alto del termine: se uno non arriva significa che non è ancora arrivato. Spinge alla cooperazione, non all’esclusione, e spesso cura anche il dolore e riappiana le differenze sociali. Più ancora che uno strumento di inclusione, è uno strumento di parificazione. E invece è stata resa qualcosa di elitario. È sbagliato. È una cosa con cui mi scontro ancora oggi. La musica è fondamentale, perché elimina pregiudizi e difetti (persino fisici), cancella le età e lenisce i dolori di qualsiasi forma siano. Lo dico per esperienza personale: malgrado le mie debolezze, fragilità, stranezze non venivo denigrato, ma suscitavo curiosità perché emettevo un suono che affascinava chi mi stava intorno. E di fronte al potere così grande della musica, è evidente che ci voglia una grande responsabilità. La musica non è un linguaggio universale, ma un patrimonio universale. Non un bene comune, ma una necessità comune. E dunque se ne deve garantire l’accesso a tutti.

(testo raccolto da Giacomo Russo Spena e curato da Claudia Fanti)


http://temi.repubblica.it/micromega-online/ezio-bosso-musica-maestro-insegnare-le-note-dalla-piu-tenera-eta/

Parenti, mattone e prebende: l’Assocalciatori tiene famiglia. - Lorenzo Vendemiale

Parenti, mattone e prebende: l’Assocalciatori tiene famiglia

L’Aic di Tommasi & C. - Lauti stipendi ai capi e incarichi al fratello del n° 2 Calcagno e agli ex collaboratori della moglie del direttore.
L’Assocalciatori è il sindacato del pallone. A volte è un paradosso, quando si batte perché Cristiano Ronaldo non rinunci a un paio di mensilità mentre tutto il calcio, anzi il Paese, si è fermato per l’emergenza Coronavirus. Non sempre, perché difende anche tanti calciatori che non sono Cr7. Ma è comunque un mestiere, almeno per chi lo dirige: come già rivelato dal Fatto Quotidiano, il numero 1 Damiano Tommasi e gli altri responsabili ufficialmente non sono retribuiti, ma percepiscono uno stipendio attraverso Aic Service, la società di servizi dell’associazione. Per la precisione, 180 mila euro lordi annui al presidente e 30 mila ai consiglieri della Srl, più rimborso spese.
Peccato veniale, o venale, se non ci fosse molto altro: una conduzione quasi familistica dell’associazione di tutti i calciatori. L’aggettivo non è casuale: per l’Aic lavorano diversi “congiunti”, termine così di moda di questi tempi, dei principali vertici. Nell’ufficio legale c’è Alessandro Calcagno, fratello del vicepresidente Umberto, da cui passano le pratiche più importanti. Anche il direttore generale Gianni Grazioli è circondato dagli affetti: c’è suo cognato, altri due collaboratori provengono dall’attività personale (uno studio di ufficio stampa e public relations, ormai in liquidazione) della moglie, che ha partecipato all’organizzazione di almeno un evento dell’associazione. Nel 2018 Aic e Aic service insieme hanno speso complessivamente circa un milione e mezzo di euro soltanto per il personale.
L’Assocalciatori, dunque, è una grande famiglia. Però è anche un’azienda. Dove se ne vanno oltre 600 mila euro l’anno in consulenze, 250 mila in viaggi e trasferte. E i capi hanno benefit da manager: al presidente Tommasi e al suo vice Calcagno il consiglio di Aic Service (ovvero Tommasi e Calcagno) ha assegnato l’utilizzo anche personale di un’auto aziendale. E sempre ad entrambi, sempre il consiglio (cioè sempre loro) ha voluto riconoscere un’indennità di fine rapporto: quando lasceranno, riceveranno pure il Tfr. Alle porte ci sono le elezioni, dove Tommasi non si ricandiderà e il suo braccio destro ed erede designato Calcagno sarà sfidato da Marco Tardelli: se anche le cose dovessero andar male (ma il vicepresidente uscente parte favorito), è già pronto il paracadute.
Per certi versi, invece, l’Assocalciatori assomiglia quasi ad una banca. Conta su un patrimonio netto di oltre 9 milioni, di cui circa 8 sono costituiti dal cosiddetto “fondo di mutuo soccorso”, che dovrebbe servire ad aiutare i più bisognosi della categoria. Qualcuno ha chiesto se potessero essere utilizzati per fronteggiare l’emergenza Coronavirus e aiutare i tesserati delle categorie minori, che non possono permettersi di perdere due o più mensilità come i paperoni della Serie A (ma nemmeno i club possono pagarli senza giocare): il direttivo, oltre ad autocomplimentarsi definendo quella riserva un “motivo di vanto”, ha detto che metterà a disposizione un milione.
I soldi l’Aic non li accumula soltanto. Li investe anche, più o meno bene. Il patrimonio complessivo, come rivendicano i vertici per difendersi dalle accuse, negli ultimi dieci anni è cresciuto dell’80%. Merito anche di attività non proprio sindacali: in pancia ci sono 4,6 milioni di investimenti finanziari e immobiliari. E poi c’è il fondo di accantonamento delle indennità di fine carriera, il grande salvadanaio in cui calciatori e allenatori versano una percentuale dello stipendio (circa il 7%) per ricevere un assegno al momento del ritiro. Il Tfr del pallone, decine di milioni di euro. Parte dei risparmi dei tesserati sono stati investiti nel mattone, acquistando degli immobili e mettendoli a rendita. Sono intestati alla Sport Invest 2000, una società con sede a Roma, che dovrebbe così contribuire al futuro dei calciatori e dei tecnici. Se non fosse che la società invece di incassare, perde, intaccando così il suo patrimonio (e indirettamente il fondo che ne detiene la proprietà).
In compenso, ha in organico 4 dipendenti, ed elargisce 200 mila euro l’anno di compensi, più o meno la cifra del rosso in bilancio. Gli amministratori sono i soliti noti: dentro, ci sono i grandi capi del pallone italiano, c’era anche l’attuale presidente della Figc, Gabriele Gravina, quando era alla guida della Serie C. Nel Cda della società (che è diverso da quello del Fondo, dove è presente Tommasi, altre cariche ancora…) tra gli altri siedono lo storico ex capo dei calciatori Sergio Campana (che a quasi 10 anni dall’addio resiste ancora in due consigli ), Calcagno, il n°1 degli allenatori Renzo Ulivieri, Francesco Ghirelli per la Serie C. Per tutti i consiglieri sono altri 25 mila euro l’anno. L’Aic è ancora un sindacato? Forse è solo il più privilegiato che ci sia.

Chi può e chi non può. - Marco Travaglio

Csm, le trame tra Lotti e Palamara su Ielo: «Il dossier va spinto ...
Siamo tutti distratti da problemi di sopravvivenza (anche se ormai ci siamo mitridatizzati a ingoiare 250 morti al giorno). Dunque certe notizie cadono nel vuoto. Perciò questa merita di essere sottolineata: l’altroieri i nostri Marco Lillo e Antonio Massari, che stanno leggendo le intercettazioni dell’inchiesta sul pm Luca Palamara, hanno fatto due scoop. Il primo sono gli imbarazzanti colloqui di un anno fa tra il pm indagato e il suo collega Fulvio Baldi, capo di gabinetto di Alfonso Bonafede al ministero della Giustizia, su come sistemare lì due magistrate vicine a Palamara, potente capocorrente di Unicost (che però restarono dov’erano). Nulla di illegale o di inusuale: ma imbarazzante sì, almeno per il braccio destro del ministro che voleva scardinare le correnti togate col sorteggio alle elezioni del Csm.
Il secondo riguarda la cena segreta organizzata il 25 settembre 2018 nella propria casa romana da Giuseppe Fanfani, avvocato aretino, allora consigliere uscente del Csm in quota Pd, molto legato a Renzi&Boschi, col solito Palamara e tre parlamentari turborenziani Pd: Luca Lotti (indagato per Consip), Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa, già potente capocorrente di MI) e David Ermini (allora candidato alla vicepresidenza del Csm). Due giorni dopo l’allegro convivio, il deputato uscente Ermini viene eletto a sorpresa alla carica elettiva più alta dell’autogoverno dei magistrati (sopra di lui c’è solo il presidente di diritto Mattarella), grazie ai 13 voti delle correnti conservatrici MI (quella di Ferri) e Unicost (quella di Palamara), a quelli dei due capi della Cassazione, al suo e all’astensione di FI. Il tutto in barba alle raccomandazioni del capo dello Stato sull’indipendenza richiesta per quella carica, che avrebbero consigliato di eleggere l’altro candidato: il prof. Alberto M. Benedetti, giurista apolitico e apartitico indicato come laico dal M5S e sostenuto anche dai togati di Area, dai davighiani di AeI e dai leghisti (11 voti). Lo stesso giorno il Fatto rivela che la Procura di Perugia indaga su Palamara (ancora non iscritto), il quale si consola esultando su Whatsapp con Fanfani per aver piazzato Ermini con un sobrio “Godo!!!!!!! Insieme a te!!!!” (11 punti esclamativi).
Risultato dei due scoop. Ermini è sempre vicepresidente del Csm. Lotti è sempre deputato (ex?) renziano del Pd. Ferri è sempre magistrato in aspettativa e senatore renziano di Italia Viva. Baldi non è più capo di gabinetto di Bonafede, che l’ha dimissionato ieri. Dunque il 20 maggio i renziani minacciano di votare in Parlamento una mozione del centrodestra. Contro Lotti? Contro Ferri? Contro Ermini? No, contro Bonafede.

Bertolaso astronauta. - Marco Travaglio

Coronavirus, Lombardia al collasso: arriva Bertolaso. Conte ...
I barbieri riaprono domani, ma Guido Bertolaso ha riaperto ieri. Con un’intervista al Foglio. Così si è riformato il duo fra lui, noto nell’ambiente cabarettistico come Bertolesso, e il suo ultimo capocomico, Attilio Fontana in arte Umarell, che purtroppo non aveva mai chiuso. Resta invece in lockdown la lingua del terzo caratterista del trio: il popolare Giulio Gallera, noto anche come Compro-una-Consonante, silenziato ormai da un mese da chi gli vuol bene per risparmiargli guai peggiori. Ma andiamo con ordine. Triste, solitario y finàl, Bertolesso si è concesso al ragionieri Cerasa in un imperdibile colloquio su “La protezione che manca all’Italia”: quella civile, che non s’è ancora riavuta dopo il suo passaggio. Dice dunque il salvatore della patria, richiamato d’urgenza due mesi orsono dal Sudafrica (con gran sollievo delle popolazioni indigene) per fare il “consulente personale del governatore della Lombardia”, che se ce la faremo dovremo “ringraziare un po’ meno il popolo e un po’ meno chi lo rappresenta”. Resta da capire chi dovremo ringraziare un po’ di più, ma la risposta è implicita: Lui.
Le apparenze non ingannino: è vero che, appena arrivato per creare nuovi posti letto, ne occupò subito uno perché incontrava questo e quello senza distanziamento né mascherina, stringeva mani senza mettere i guanti e si avvicinava pericolosamente a chi gli parlava per via di un calo d’udito, ragion per cui si contagiò e spedì in quarantena plotoni di collaboratori in Lombardia e pure nelle Marche. Però, anche se nessuno se n’è accorto, ne ha fatte di cose. “Ho costruito un’astronave”, cioè il leggendario ospedale Covid alla Fiera di Milano, ma poi “se gli astronauti chiamati a pilotarla non sono stati capaci, credo che la colpa sia di chi li ha scelti”. Cioè di chi ha scelto lui: l’Umarell. Il fatto che l’“astronave” sia costata 50 milioni e sia arrivata a ospitare 14 malati nelle ore di punta e 4 negli ultimi giorni, roba da 3,5-12,5 milioni per letto, e sia diventata lo zimbello della comunità scientifica mondiale, non lo tange. Lui l’astronave l’ha fatta, tant’è che è richiestissimo dalla Nasa. Ma non solo: “Nei giorni in cui ho collaborato con la Regione Lombardia un piano lo avevo proposto”. Ecco, pure il piano. E che diceva? “Fare tamponi a tappeto e screening sierologici a 4 milioni di persone entro la prima settimana di maggio”, insomma “le tre t (tamponi, tracciamento, terapia)”, che però si scontrarono con le “tre d” di Fontana “distanza, dispositivi, digitalizzazione”, peraltro mai viste). Ma, osserva amaro il nostro eroe, “ancora non ho capito perché non mi è stato permesso di farlo”.
E domandarlo all’Umarell e all’Avanzo di Gallera pareva brutto. Vabbè, dài, è andata così. Spiace per gli incolpevoli sudafricani, che ora se lo riciucciano. Invece Fontana resta. E, se non fosse per il record mondiale di morti (15.450 grazie alla sua “sanità modello”), sarebbe uno spasso. L’altroieri, stufo del doppio gioco dei sedicenti governatori del Nord, pompieri al chiuso e incendiari all’aperto, Conte li ha responsabilizzati sulle nuove riaperture. Ed è accaduto ciò che accadde nella striscia di Gaza quando Israele la lasciò ai palestinesi, che iniziarono a scannarsi fra loro. Il vertice dei 20 presidenti era meglio del circo Togni: Fontana, tremante all’idea di metter la faccia su misure restrittive e impopolari, tentava di ripassare il cerino al governo (“Deve darci linee guida uguali per tutti”) e Zaia lo zittiva (“Non se ne parla neanche”).
A quel punto, siccome è più facile assumere un Bertolaso che una responsabilità, ha sganciato un’arma di distrazione di massa. E, non potendo invadere le Falkland, ha iniziato a strillare al terrorismo per una scritta e un falcemartello contro di lui su un muro di Milano. “Virus comunista”, ha titolato il fu Giornale, intervistando il povero Umarell che sbraitava lì e su La Stampa: “C’è un piano politico contro di me”, “un clima antilombardo”, “critiche non sul merito ma perché io sono della Lega” e “questo clima si riversa contro la Lombardia”, noto paradiso terrestre: “la sanità in Lombardia ha funzionato bene e si è dimostrata efficiente”, grazie anche al Bertolaso Hospital (“un’opera di programmazione, fatta anche nelle Marche, in Emilia, a Berlino”: infatti sta per chiudere). Insomma, “io credo che i numeri si debbano anche interpretare. Se guardiamo il tasso di infezione, scopriamo che da noi è fra i migliori in Italia” (nessuno si infetta come in Lombardia: sono soddisfazioni). Ergo “siamo riusciti a contenere il virus”, che peraltro “si è diffuso perché c’è una grande densità, mobilità”: invece le altre regioni sono desertiche e i pochissimi aborigeni non hanno ancora inventato la ruota. Sallusti e altre pregiate firme del Giornale elencano i mandanti del vile attacco terroristico a mezzo spray: la Sciarelli, Currò del M5S, Gad Lerner e il sottoscritto, rei di aver criticato il miracolo sanitario lombardo. Mancano, alla lista dei mandanti delle Vernici Rosse, gli Ordini dei medici di tutta la Lombardia, autori di un referto definitivo sui disastri sanitari regionali. I famosi Camici Rossi che Fontana&Gallera accusarono di “fare politica al servizio del Pd”. Appena riaprono pure i cabaret, questi ci ammazzano dal ridere.

Articolo 21. - Massimo Erbetti

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure
Per cui ben venga la protesta del 2 giugno. Ma siccome l'articolo 21 non è solo per alcuni, tutti hanno il diritto di dire la loro, per cui, diritto di protestare? Si, sacrosanto, ma anche il diritto di critica verso chi quella manifestazione l'ha indetta, deve essere accettato. E io rivendico il mio diritto a farlo, rivendico il diritto di ricordare a questi signori affetti dalla sindrome della memoria corta, quanto accaduto negli ultimi tempi. Cari "amici del popolo italiano", vi ricordate che con la finanziaria dello scorso anno l'attuale governo è riuscito ad evitare l'aumento dell'Iva? Ve le ricordate le clausole di salvaguardia? Vi ricordate che il governo Conte è riuscito a scongiurarlo? Ve lo ricordate si, che quello che voi chiamate capitano, ma altro non è che un mozzo, ha deliberatamente fatto cadere il governo precedente? E vi ricordate che avrebbe voluto andare al voto, proprio quando si sarebbe dovuta fare la manovra economica? Cosa sarebbe successo, se le cose fossero andate come voleva lui? Lo sapete vero che i mercati speculano su queste cose e che sfruttano i momenti di incertezza per lanciare attacchi agli stati e lo spread sarebbe aumentato e il taglio dell'Iva non si sarebbe potuto effettuare? Come sarebbe oggi la nostra economia con un'iva al 25%? E ve lo ricordate che il vostro mozzo, ha attaccato il governo perché secondo lui bisognava chiudere già dal 31 gennaio? (Non voglio entrare nella polemica di dire che un giorno affermava una cosa e quello successivo un'altra, non è questo il mio scopo) Non diceva di non chiudere, anzi lui avrebbe chiuso prima, e cosa sarebbe cambiato rispetto ad ora? Non avremmo avuto gli stessi problemi? Attività in difficoltà, lavoratori senza stipendi, molti cittadini senza neanche soldi per fare la spesa, ci sarebbero state comunque no? Oppure pensate che lui i soldi li avrebbe trovati? E se pensate che li avrebbe trovati, ditemi dove. Li avrebbe stampati? Li avrebbe creati dal nulla? Con la bacchetta magica? Oppure se li sarebbe fatti dare dall'Europa? Perché se mi dite che sarebbe l'Europa a doverci aiutare, mi dovete anche spiegare per quale assurdo motivo l'altro giorno, in Europa non avete votato il Recovery Fund, e mi dovete anche spiegare perché fate comunella con i partiti nazionalisti europei che sono i primi a non volerci aiutare. Volete soldi e avete ragione a volerli, volete i soldi della cassa integrazione e avete ragione, ragione da vendere, ma spiegatemi come mai, le vostre regioni, quelle governate da voi, sono indietro con la lavorazione delle pratiche, lo sapete che dipende da loro se i soldi non arrivano? Siete così indietro che per far arrivare quei benedetti soldi questo governo, sta togliendovi questo compito per darlo direttamente all'INPS, così da accelerare le pratiche. Sapete? La gente ha fame davvero e il giochetto delle tre carte prima o poi verrà scoperto.


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10217427519745570&set=a.2888902147289&type=3&theater