giovedì 15 ottobre 2020

Covid, la Russia registra il secondo vaccino: “È altamente sicuro”. - Alessandro Cipolla

 

Vladimir Putin ha annunciato che la Russia ha registrato il secondo vaccino al coronavirus: si chiama EpiVacCorona, con le prime 60.000 dosi che a breve saranno messe in produzione.

La notizia l’ha voluta dare Vladimir Putin in persona: la Russia in data 14 ottobre ha registrato un secondo vaccino al coronavirus presso il Centro scientifico nazionale di virologia e biotecnologie Vector di Novosibirsk.

Il vaccino, che è stato chiamato EpiVacCorona, secondo la vice-prima ministra russa Tatyana Golikova sarebbe “caratterizzato dalla assenza di reattogenicità e ha mostrato un alto livello di sicurezza”.

Sempre stando a quanto dichiarato durante la conferenza stampa dalla Golikova, adesso inizieranno le sperimentazioni cliniche post-registrazione che interesseranno 40.000 volontari, mentre a breve dovrebbe essere avviata la produzione delle prime 60.000 dosi.

A dimostrazione della validità del vaccino ideato dal laboratorio Vector, Vladimir Putin ha reso noto come sia Tatyana Golikova che Anna Popova, direttrice dell’Agenzia governativa russa per la tutela dei consumatori, si sarebbero già vaccinate con il EpiVacCorona.

Nelle ultime settimane in Russia sono aumentati di molto i casi da coronavirus, con il 14 ottobre che è stato anche il giorno del record dei nuovi positivi con un picco di oltre 14.000 contagi che sono stati registrati.

Già in estate la Russia ha registrato un primo vaccino, lo Sputnik V, che secondo Kirill Dmitriev, direttore del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti, potrebbe essere distribuito già a fine ottobre.

https://www.money.it/Covid-Russia-registra-secondo-vaccino-altamente-sicuro

Li riconoscete? - Andrea Scanzi


Li riconoscete? Sono quattro eroi italiani. Il nucleo del Pool Antimafia. Fuori inquadratura c’è Di Lello. Poi Borsellino, Guarnotta, Falcone, Caponnetto. È l’unica foto che li ritrae tutti insieme. Erano al funerale di Ninni Cassarà, una delle tante vittime della mafia.

Ieri Leonardo Guarnotta ha presentato il suo libro, lo splendido "C’era una volta il Pool antimafia”, alla tenuta di Suvignano (Siena). Un luogo molto simbolico, perché quella tenuta fu confiscata una prima volta nel 1983 da Falcone. Apparteneva all’”immobiliarista di Cosa Nostra”, definitivamente condannato nel 2005 proprio da Guarnotta, che non aveva mai visto quel luogo prima di ieri.

Ho assistito alla sua presentazione con trasporto e commozione. Ho avuto anche la fortuna di conoscerlo un po’ e di riportarlo con sua moglie in hotel (dormivamo nella stessa struttura). Non nascondo l’emozione e l’orgoglio.

Quello che ha fatto il pool antimafia di Chinnici prima e Caponnetto poi è straordinario. Anni di eroismo, senso dello Stato, coraggio, martirio e utopia puri. Ascoltare e leggere Guarnotta è come guardare la storia dal di dentro.

Ogni suo aneddoto ti colpisce al cuore. Come quando ha raccontato di un rito di Borsellino. “A maggio, quando si poteva prendere il primo caffè freddo a Palermo, mi invitava sempre. Lo beveva, mi guardava e rideva: ‘Leonardo, anche per quest’anno al caffè freddo ci siamo arrivati’. Era come dire: “Siamo ancora vivi”. Il senso del rischio costante era in loro fortissimo.

Ieri Guarnotta (colui che è poi stato tra i giudici del processo Dell’Utri) ha anche detto: “Giovanni (Falcone) è stato uno dei più grandi giudici che abbiamo avuto. Forse il più grande. Ma è stato anche il più trombato”. Una frase durissima, che fa capire come Falcone sia stato sì santificato dopo la morte, ma pure osteggiato in vita da quasi tutti: pezzi dello Stato, magistratura, intellettuali (Sciascia), non pochi cittadini (che si lamentavano del suo eccessivo “esibizionismo”.

Oggi Guarnotta sarà a Firenze e domani a Viareggio ed Empoli. Poi rientrerà a Palermo. Il suo “tour” è simile a quello di Caponnetto: parlare affinché tutti, anzitutto i giovani, conoscano e non dimentichino.

Un paese senza storia e senza memoria non ha speranze. Un paese che non conosce Leonardo Guarnotta non va da nessuna parte.

Che uomini straordinari.

La figlia di Fontana e le tre consulenze per gli ospedali. - Davide Milosa

 

Vertici scelti dal papà.

Ieri i camici al cognato, oggi le consulenze alla figlia. Per il presidente Attilio Fontana i guai sembrano non finire. Sul tavolo, incarichi dati da due ospedali pubblici di Milano all’avvocato Maria Cristina Fontana, figlia del governatore lombardo la cui giunta decide le nomine dei direttori generali nelle strutture sanitarie. E così dopo l’affidamento diretto per mezzo milione ad Andrea Dini e dopo il caso dell’ex consigliere regionale Luca Marsico, già ex collega dello studio legale di Fontana che, come emerso dall’inchiesta Mensa dei poveri, fu nominato nella commissione regionale del Nucleo di valutazione degli investimenti, la storia sembra ripetersi. Nel caso Marsico, Fontana è stato indagato per abuso d’ufficio, accusa archiviata su richiesta della Procura di Milano. In quella dei camici è accusato di frode in pubbliche forniture. Ecco allora la nuova storia che a oggi nulla ha di illegale. Dagli atti dell’ospedale Sacco e dell’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) Milano nord che comprende gli ospedali di Cinisello Balsamo e di Sesto San Giovanni emergono tre consulenze affidate all’avvocato Maria Cristina Fontana.

Dalla metà del 2018 la figlia di Fontana è titolare dello studio dopo che il padre, eletto governatore, si è dimesso. A oggi, va detto subito, la vicenda non ha rilievo penale. Resta invece il rilievo politico e di trasparenza. Tra il 6 e il 20 settembre 2018, con Fontana presidente, l’area affari legali dell’Asst Milano nord affida all’avvocato Maria Cristina Fontana due incarichi professionali. Il primo inizia il 6 settembre e viene pagato 6.383 euro. Il secondo è del 20 settembre. Stessa voce: incarico professionale, ma nessun riferimento al costo che, si comprende dall’atto, viene pagato da una delle compagnie assicurative dell’ospedale. In quel settembre, Fontana è già governatore (il mandato inizia il 26 marzo) e sulla poltrona di direttore generale dell’Asst Milano nord siede Fulvio Odinolfi nominato dalla giunta di Bobo Maroni. La cronologia prosegue con un documento dell’ospedale Sacco di Milano, diventato noto a livello mondiale dopo l’inizio della pandemia. Qui il direttore generale è Alessandro Visconti nominato a inizio del 2019 da Fontana. Nomina di cui la Procura chiede conto al presidente durante l’interrogatorio per l’inchiesta Mensa dei poveri. In quel caso il governatore conferma la nomina, ma spiega la scelta non dal punto di vista dell’appartenenza politica ma delle capacità professionali. Maria Cristina Fontana sotto la direzione di Visconti ottiene una consulenza dal Sacco. Il documento è del 31 gennaio 2019.

Nell’oggetto si legge: “Costituzione nel giudizio promosso inanzi al tribunale di Milano (…) e conferimento dell’incarico a difesa dell’ente all’avvocato Maria Cristina Fontana”. Costo della consulenza pagata dal Sacco: 5.836 euro. Cifra che sommata alla precedente del 2018 porta a un totale di 12.246 euro pagati da due ospedali pubblici alla figlia del governatore, il quale decide sulle nomine dei direttori generali. Dal Sacco si torna all’Asst Milano nord, è il 29 aprile scorso. Qui il dg, dopo il valzer delle nomine di fine 2018, è la dottoressa Elisabetta Fabbrini. Il documento firmato anche dal dg è la delibera 284 che segue un verbale del 27 aprile della Commissione per la valutazione delle domande di iscrizione all’elenco degli avvocati esterni agli enti. I nomi dei legali vengono divisi per categorie. In due, quella fallimentare e quella sulla medical malpractice, compare l’avvocato Maria Cristina Fontana. Qui non vi sono costi perché le consulenze saranno affidate solo se l’ente ne avrà necessità.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/15/la-figlia-di-fontana-e-le-tre-consulenze-per-gli-ospedali/5966578/?fbclid=IwAR23eiR3bbZkdTVmrJBc_fRRxxPRLY4p3-yiono8JQIXlX99WqTULo0Bg0M

Covid, 80 scienziati bocciano l'immunità di gregge: «Non ferma il virus, tornerebbe con nuove ondate.»













Sul Covid non arrivano ancora notizie confortanti. L'idea di arrestare il virus raggiungendo l'immunità di gregge è un errore pericoloso, non supportato da alcuna evidenza scientifica. Tenere sotto controllo la diffusione del virus - mettendo in atto delle regole da rispettare - è il modo migliore di proteggere società ed economia fino all'arrivo di terapie e vaccini efficaci ed evitare nuovi lockdown. E' la voce unanime di 80 scienziati di tutto il mondo e di varie competenze scientifiche tra cui epidemiologi, pediatri, virologi, psicologi, che hanno stilato la lettera aperta John Snow Memorandum, pubblicata oggi su The Lancet; la lettera sarà anche presentata al 16° World Congress on Public Health programme 2020.

L'approccio di raggiungere l'immunità di gregge, scrivono, è fallace e costosa in termini di vite umane ed economici e non arresterebbe comunque il virus, che tornerebbe più volte in nuove ondate ripetute; anche perché sono sempre maggiori le evidenze secondo cui l'immunità post-infezione al SARS-CoV-2 dura solo pochissimi mesi dal contagio, poi svanisce e il rischio di reinfezione non è remoto. Servono con urgenza «efficaci misure di controllo della trasmissione del virus, affiancate da programmi sociali ed economici per aiutare i più vulnerabili e combattere le iniquità amplificate dalla pandemia», scrivono gli scienziati.

https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/immunita_di_gregge_quando_si_raggiunge_scienziati_non_ferma_il_virus_ultime_notizie_news-5525164.html

Senza bisogno di scomodare 80 scienziati, è logico pensare che tale convinzione sia confutabile sotto tanti aspetti, il primo fra tutti, e il più importante, è che curare un massiccio numero di contagiati farebbe collassare l'intero comparto sanitario sia per il numero di posti limitati che economicamente per le cure da utilizzare; il secondo, e non meno importante, è che metterebbe in crisi anche il comparto dello smaltimento dell'abnorme numero di cadaveri; terzo aspetto è che il caos provocato dall'insicurezza e dalla paura potrebbe degenerare in disordini e sommosse.
Quindi, meglio prevenire che curare.
cetta@

Giganti del web, 46 miliardi di tasse non pagate.

 

Nel 2015-2019 i giganti del web e del software (WebSoft) hanno più che raddoppiato il fatturato a un ritmo 10 volte superiore a quello delle grandi aziende manifatturiere. L'anno passato il fatturato dei primi 25 colossi ha toccato quota 1.014 miliardi in un mercato sempre più concentrato e dominato da nomi americani e cinesi: i primi tre, Amazon, Alphabet (Google) e Microsoft, hanno fatto circa la metà dei ricavi con Amazon che da sola ne rappresenta un quarto (249,7 miliardi). Secondo uno studio del'Area Studi di Mediobanca sono aumentati anche utili, forza lavoro e valore di Borsa. E l'emergenza sanitaria non ha frenato la loro corsa neanche quest'anno, anzi in molti casi l'ha aiutata

Circa la metà dell'utile ante imposte dei giganti del web e del software - continua la ricerca - è tassato in Paesi fiscalità agevolata, come l'Irlanda e Singapore ma pure Usa e Cina, con un conseguente risparmio fiscale di oltre 46 miliardi nel quinquennio 2015-2019. Secondo l'Area studi di Mediobanca il tax rate è pari al 16,4%, al di sotto di quello teorico al 22,2%. Da qui la spinta gli utili 25 big del comparto quasi tutti americani e cinesi, guidati da Amazon, Google e Microsoft, che hanno visto il fatturato aggregato superare nel 2019 i mille miliardi di euro e aumentare anche la forza lavoro e il loro valore di Borsa. L'emergenza sanitaria legata al Covid non ha frenato la loro corsa neanche quest'anno, anzi in molti casi l'ha aiutata.

I giganti del web e del software operano in Italia tramite controllate presenti in gran parte nelle province lombarde di Milano e Monza Brianza. L'aggregato 2019 delle filiali italiane, passate in rassegna dall'Area Studi di Mediobanca, ha un fatturato di oltre 3,3 miliardi (pari allo 0,3% del totale delle aziende web e software a livello mondiale) e occupa oltre 11mila unità (0,5% del totale) ,oltre mille in più rispetto al 2018. L'anno scorso hanno versato al fisco italiano circa 70 milioni, per un'aliquota fiscale effettiva del 32,1%. 

(foto ANSA)

https://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/tlc/2020/10/14/giganti-del-web-46-miliardi-di-tasse-non-pagate_5775f4cc-0a33-44fc-8fc7-e23c3309bcee.html

Orgasmi&ganasce. - Marco Travaglio

 

Per la prima volta, ho provato sentimenti di umana pietà per Monica Cirrinnà. È stato quando ho letto sul sito di Repubblica che “Calenda schiaccia gli altri candidati nella corsa per il Campidoglio”. Il pensiero dell’esile deputata pidina che stramazza al suolo esanime sotto il peso del corpulento leader di Azione mi ha fatto riflettere sulle dure e impietose leggi della politica e sull’esigenza di porvi qualche limite di cristiana misericordia o di laica solidarietà. Anche perché le primarie romane del centrosinistra sono talmente affollate che non ci si meraviglierebbe di veder piovere dal cielo pure Mario Adinolfi. E lì sarebbero cavoli amari per tutti, non solo per la Cirinnà. Ma almeno si smetterebbe di chiamarle “le primarie dei sette nani”. Per fortuna, al momento, di schiacciante c’è solo la maggioranza dei giornaloni e dei retrostanti padroni del vapore che fanno il tifo per Calenda ancor prima che si candidi a sindaco. Anzi, più che un tifo, è una serie di orgasmi multipli a mezzo stampa, pari a quelli che si registravano ai tempi del Giubileo, dei Mondiali di Nuoto e delle candidature olimpiche (fortunatamente sventate da Monti e dalla Raggi). Con una particolarità: invece dei tradizionali sospiri e gridolini di piacere, gli orgasmi capitolini hanno come colonna sonora un sinistro rumore di ganasce, che va da Repubblica degli Agnelli-Elkann al Messaggero di Caltagirone. Per la serie: daje che se rimagna.

Repubblica spaccia per “sondaggio” una consultazione fra i lettori del sito su chi preferiscano fra Calenda e nove “potenziali candidati” al Campidoglio: Cirinnà, Fassina, Zevi, Ciani, Caudo, Magi, Ciaccheri, Alfonsi e De Biase. Naturalmente è arrivato primo Calenda col 50%, mentre gli altri nove si dividono il 32 e il restante 18 li detesta tutti. Bella forza: Calenda sta sempre in televisione anziché al Parlamento europeo (dove, secondo i dati ufficiali di Votewatch, è il 72° italiano su 75 per numero di voti e presenze: peggio di lui fanno solo Roberti, Patriciello e B.), mentre gli altri nessuno sa chi siano. Il campione, peraltro, è piuttosto striminzito, visto che in quattro giorni han risposto appena 25mila lettori del sito e 13.100 han votato Calenda. Ma Rep ha già deciso che questo “successo travolgente”, questo “straordinario consenso” basta e avanza a garantirgli “buone chance di arrivare primo”: basterà un emendamento per limitare il diritto di voto ai romani che leggono il sito di Rep. Inutile fare le primarie, un tempo orgoglio e vanto del Pd veltroniano e dunque di Rep, oggi degradate a “concorso di bellezza per sconosciuti” e “coperta di Linus cui aggrapparsi in mancanza di idee migliori”.

Del resto, Carletto è un “city manager più che un politico di professione”, e ciò è bene se lo dice Rep (se lo dicono gli altri, è male, è qualunquismo, peronismo, antipolitica, fascismo). Lui sa “cosa vuol dire amministrare una macchina da 30 mila dipendenti”, anche se non ha amministrato nemmeno un condominio. Lui sa “condurre in porto un appalto senza farsi imbrigliare per mesi o anni da cavilli”: basti pensare alla brillante gestione di dossier come Ilva, Alitalia eccetera. Lui sa “far ritrovare alla parte sana dei dipendenti comunali l’orgoglio delle cose realizzate”, anche grazie alla proverbiale fermezza e alla tetragona continuità: nel 1998 in Ferrari, nel 2003 a Sky, nel 2004 in Confindustria, nel 2008 all’Interporto Campano, nel 2012 in Italia Futura con Montezemolo, nel 2013 candidato trombato nella Lista Monti e viceministro al Mise con Letta, nel 2014 confermato da Renzi, nel 2016 rappresentante permanente dell’Italia presso la Ue per ben due mesi, poi di nuovo al Mise come ministro, nel 2018 nel Pd, nel 2019 fondatore di Siamo Europei, ma candidato ed eletto eurodeputato col Pd, abbandonato tre mesi dopo per fondare Azione, e ora forse candidato a sindaco di Roma confidando nell’appoggio del Pd che ha appena cercato di far perdere alle Regionali, insultandone i dirigenti e persino gli elettori (“indegni”). Sono soddisfazioni.
Ma l’orgasmo repubblichino è niente al confronto delle fregole caltagirine. Il Messaggero titola: “La tentazione dei dem: ‘adottare’ Calenda per fermare la Raggi. L’idea di replicare l’operazione Bonino nel 2010”. Infatti l’operazione Bonino nel 2010 riuscì a consegnare il Lazio alla Polverini. Ma la notiziona è un’altra: dopo aver passato quattro anni a dipingerla come un’incapace che i romani non rivoterebbero neppure sotto tortura, adesso il Messaggero registra orripilato “la paura, non solo di Calenda ma di buona parte della città, che Virginia possa arrivare al secondo turno, per poi avere l’appoggio sicuro del Pd”. Un “timore che rovina il sonno anche al Pd”. Ma come fa la Raggi ad arrivare al ballottaggio e poi a rivincerlo se “buona parte della città” è terrorizzata dalla sola prospettiva? E perché mai l’insonne Pd dovrebbe darle l’“appoggio sicuro” al ballottaggio se non dorme la notte all’idea che rivinca? L’unica spiegazione alternativa al manicomio è che forse non è vero che la Raggi ha sbagliato tutto e tutti i romani la maledicono. E forse non è vero che Roma è piena di sindaci in pectore capacissimi di rifarla più bella e superba che pria: altrimenti qualcuno di questi fenomeni si candiderebbe per farcelo vedere. Cioè: i giornaloni ci han raccontato un sacco di balle. Tanto per cambiare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/15/orgasmiganasce/5966573/