giovedì 13 giugno 2024

GEOLOGI VISSUTI OLTRE 5.000 ANNI FA? - David Attenborough Fans - Mogens Nygaard

 

La Grande Piramide di Giza ha un peso enorme, che sfiora o supera probabilmente 6.000.000 di tonnellate. È una cosa piuttosto facile da immaginare che, sotto un peso tale, il terreno sottostante possa avere dei cedimenti. Non sono molte le zone della Terra che sopportano un peso simile. Se, per esempio, questa piramide fosse stata costruita a Bangkok, il terreno alluvionale sottostante col tempo avrebbe ceduto, e la piramide sarebbe almeno in parte sprofondata in alcuni punti, danneggiandosi in maniera irreparabile. Invece, in migliaia di anni, e nonostante alcuni violentissimi terremoti verificatisi in passato nella zona, la Grande Piramide sembra non aver avuto alcun cedimento significativo.

Nei nostri giorni, ogni architetto include la variabile del “cedimento” nel suo progetto. Vengono fatti accurati studi geologici e calcoli statici, e viene considerata accettabile la possibilità che un edificio subisca un cedimento di 15 centimetri ogni 100 anni. Ebbene, fino ad ora la Grande Piramide, nonostante il suo incredibile peso, ha subito uno smottamento inferiore a 1,5 centimetri in almeno 5.000 anni! Un simile risultato, al limite del paranormale, non può essere dovuto al caso.

Chiunque abbia deciso il luogo esatto in cui costruire la Grande Piramide, sapeva esattamente quello che stava facendo. Come sapevano esattamente quello che facevano gli ingegneri che hanno livellato il terreno, con un margine di errore di 1 centimetro su 230 metri (come abbiamo visto nei capitoli precedenti). Quindi il sospetto che in quella zona abbiano lavorato geologi e ingegneri “coi fiocchi”, diventa molto pressante. Ma, normalmente, una civiltà di migliaia di anni fa, appena uscita dal neolitico non avrebbe dovuto avere questo tipo di conoscenza. Teoricamente, gli operai che hanno lavorato a Giza, costruirono tutto usando soltanto scalpellini di rame e tronchi di legno, non avendo praticamente nessuna nozione di geologia o di calcoli statici.

Secondo diversi studiosi moderni, la piana di Giza potrebbe essere l’unico luogo AL MONDO capace di sopportare il peso della Grande Piramide senza cedere. È stato un semplice caso che la Grande Piramide sia stata costruita proprio in quel punto? È possibile che con quei poveri mezzi gli uomini di migliaia di anni fa siano riusciti a fare meglio dell’uomo del XXI secolo? O c’è qualcosa che ancora non sappiamo su di loro?

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Wallace Monument, Stirling, Scozia

 

Il Wallace Monument, situato a Stirling, Scozia, 🏴󠁧󠁢󠁳󠁣󠁴󠁿 è un'imponente torre alta 67 piedi che rende omaggio a William Wallace, l'eroe nazionale scozzese noto per aver guidato la lotta per l'indipendenza scozzese nel XIII secolo. Costruito nel 1869, questo monumento offre una spettacolare vista panoramica della regione dalla vetta, dopo aver salito 246 gradini. All'interno ospita varie esposizioni, tra cui la famosa spada Wallace, che misura circa 1,67 metri e pesa 3 kg. Questo monumento non solo celebra il coraggio e l'eredità di Wallace, ma è anche un simbolo di orgoglio e resistenza per gli scozzesi.
Credits Conoscimientum

La guerra per la lingua. - Guendalina Middei

 

In questi giorni è uscito un saggio pubblicato da Einaudi: La guerra per la lingua; l’ho acquistato d’impulso e adesso dal mio comodino occhieggia la quarta di copertina che recita: «chi riesce a controllare la lingua, deciderà ciò che pensa la gente». La lingua è il terreno di scontro della politica. E la lingua che usiamo è sempre una questione politica, di un certo tipo di politica almeno. La lingua usata nei giornali, nelle radio, nelle televisioni, la lingua d’elezione delle classi dirigenti rivela molto sulla politica interna ed estera di un paese. 

Oggi leggere i giornali significa barcamenarsi tra una sfilza di anglicismi come long warjobs actgreen economyrecovery plan, calchi linguistici e pessimi adattamenti come il caso di smart working, letteralmente lavoro intelligente che in italiano chissà perché ha preso il significato di lavoro da remoto. Il compianto linguista Tullio de Mauro nel 2016 parlava di tsunami anglicus; per il professor Jeffrey Earp gli italiani usano l’inglese «più per mostrarsi colti o moderni che per comunicare nella maniera più chiara possibile».

Ne sono stati scritti a migliaia di articoli sugli anglicismi, qual è allora la necessità di tornare a rimarcare un fenomeno su cui è stata già stata spesa un’abbondanza di parole? Quando si parla di anglicismi si lancia sempre un appello accorato in difesa della lingua italiana, quasi mai ci si arrischia ad analizzare fino in fondo questo fenomeno. Sembra un aspetto marginale, mentre sta esattamente al centro del delicatissimo sistema socio-politico e socio-culturale di un paese. Ma per capirlo fino in fondo bisogna fare un passo indietro e andare a ripescare un classico della letteratura russa: Guerra e pace

Chi legge per la prima volta Guerra e Pace non può non sentirsi confuso, spaesato, perfino infastidito. Il famoso ricevimento di Anna Pavlovna che dà il là al romanzo è scritto quasi interamente in francese. Nel salotto della leonessa di Pietroburgo gli invitati parlano in francese. Metà delle frasi sono in francese, l’altra metà abbonda di parole come mon amichère, charmant, ridicule, caustique, ma tante.  Non si tratta di una trovata letteraria, Tolstoj, da maestro del realismo qual era, ha descritto fedelmente l’atteggiamento linguistico della nobiltà russa. Nel XIX secolo il francese ha conquistato la Russia diventando la lingua ufficiale dell’aristocrazia. Parlare in francese è una moda, un lusso, un segno distintivo. Al contrario l’eroe del romanzo, Pierre, usa di rado il francese, perché crede nell’uguaglianza tra gli uomini e non ritiene di doversi dimostrare superiore a nessuno, nemmeno alla servitù. 

Che cosa contiene allora la lingua, che cosa custodisce, che cosa esprime? Una cultura. La lingua riflette un’identità culturale, innata, mancante o acquisita. Nel II secolo d.C. il greco diventa la lingua d’elezione di un’altra identità culturale e politica. Ai tempi dell’irriverente Luciano di Samosata che ridicolizza questo fenomeno, parlare in greco significava appartenere a quell’élite di intellettuali – allora chiamati neosofisti – che contrapponevano la propria grecità al potere politico romano. 

Gli esempi storici non mancano e ci vorrebbe un’analisi molto accurata, oggi mi limito a dire che la lingua è da sempre ed è sempre stata una questione politica. Quando una cultura ne assorbe e ne soppianta un’altra, lo fa lo attraverso la lingua. Chi conquistava una terra aveva il diritto d’imporre sul popolo assoggettato la sua lingua. Il conquistatore impone la sua lingua, il conquistato la subisce. Nel racconto biblico Dio dà ad Adamo il compito di dare un nome agli animali. Adamo è il primo uomo, il primo della sua dinastia. Dio lo nomina «signore degli animali e delle creature del paradiso terrestre» e in quanto signore ha il diritto d’imporre il nome a tutte le creature che fanno parte del suo regno. Nell’antica Grecia si credeva che un uomo potesse acquisire potere su un altro apprendendone il nome. Quando gli antichi romani volevano cancellare la memoria di una persona, ne cancellavano il nome. I nomi hanno potere. Noi acquisiamo potere sulle cose dandogli un nome. Dire è creare, ma è anche avere potere sulle cose. 

L’incipit di Lolita, il celebre romanzo di Nabokov, ha inizio proprio con un cambiamento di nome: «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. […] Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita». Humbert Humbert dà alla sua figlioccia dodicenne il nome di Lolita. La fantasia morbosa di Humbert prende possesso di Dolores, si appropria della sua identità, della sua storia, la modella a suo piacimento e lo fa innanzitutto dandole un altro nome. Dolores dunque diventa Lolita. 

Assegnare un nome alle cose, nominarle e rinominarle, lasciare su di esse l’impronta della propria lingua è un atto di possesso, di conquista, di supremazia. La lingua è uno strumento di controllo di sociale: i regimi in ogni tempo ed epoca hanno maneggiato, rivoltato e tentato di togliere significato alle cose e di chiamarle con un altro nome. E le trasformazioni linguistiche riflettono l’avvicendarsi di primati culturali e supremazie politiche. Il linguaggio musicale abbonda di parole italiane, testimonianza dell’influenza che l’Italia esercitò sul canto e la musica; in ambito informatico la supremazia americana è stata indiscussa e questa supremazia si è tradotta in una «lingua informatica» mutuata direttamente dall’inglese. L’inglese però è anche la lingua della finanza, dell’economia, della politica, dell’industria farmaceutica, della sanità. Già, ma perché? Perché gli Stati Uniti esercitano un’egemonia su finanza, economia, politica, sanità

Cosa rivela allora la massiccia influenza di una lingua su un’altra? Una sudditanza psicologica, culturale e politica. Difficile negare l’influenza degli Stati Uniti sulla vita politica italiana e di riflesso sulla cultura italiana e sulla nostra lingua. Viviamo all’ombra di una civiltà più forte, dinamica e agguerrita della nostra che ha affermato su di noi la sua egemonia. E lo fa attraverso le nostre classi dirigenti. I vettori principali dell’immissione di parole inglesi nella nostra lingua sono la televisione, la radio, i giornali, la politica, le istituzioni. Apparati che dall’alto propagano messaggi verso il basso e che già per Pasolini rappresentavano l’opinione e la volontà di un’unica fonte d’informazione: quella del Potere. 

In definitiva non è possibile criticare e contestare l’uso sproporzionato di parole inglesi nella nostra lingua, se non mettiamo prima in discussione i nostri rapporti politici e culturali con la nazione che ne è l’origine. 

[di Guendalina Middei, in arte Professor X]

https://www.lindipendente.online/2024/06/12/la-guerra-per-la-lingua/


Già Churchill aveva proposto in passato di governare il mondo attraverso la lingua, proponendo l'uso dell'inglese come lingua globale da utilizzare: https://italofonia.info/6-settembre-1943-churchill-teorizza-linglese-globale-gli-imperi-del-futuro-sono-quelli-della-mente/