Mattarella continua a ripetere che i confini di uno stato non si cambiano con la forza. Ha una certa età e la memoria non lo sostiene. Ma Travaglio gli ricorda l’esempio del Kossovo! Credo che Mattarella, o i collaboratori che gli hanno scritto il discorso, dimenticano che c’è una guerra in corso e da che mondo è mondo con le guerre i confini si cambiano. In genere li cambia chi vince il conflitto e li cambiano a loro favore. Avevamo tutta l’Istria ma perdemmo la guerra …. Avevamo Rodi ed il Dodecanneso ed anche l’Etiopia e la Libia ma perdemmo la guerra …. Che senso ha uscire oggi dicendo che i confini sono inamovibili!! Perché non lo dice agli israeliani che stanno occupando tanti territori dei paesi limitrofi? Pretende forse che la Russia abbia combattuto e perso centinaia di migliaia di soldati e si ritiri dalle regioni dove la maggioranza della popolazione è russofona e che ora sono occupate? Ma chi è il capo di stato che accetterebbe questa soluzione? Zelensky ha poco da pensarci!! Non è riuscito a sconfiggere la Russia con l’aiuto degli americani figuriamoci ora che è stato abbandonato. Se tentenna ancora i russi avanzeranno e toglieranno lo sbocco al mare all’Ucraina saldando i territori già conquistati con i territori dove c’è una maggioranza russofona in Moldavia!! Ed insistere che i confini non si cambiano significa volere continuare il conflitto!! Che bravi sono quelli che chiedono agli ucraini di continuare a morire per una causa già persa!!
E DIRLO PRIMA ?
MARCO TRAVAGLIO – IL FATTO – 16.10.2025
Mentre Mattarella si iscrive al club dei sabotatori del negoziato perché i confini ucraini sono sacri e intoccabili (mica come quelli di Serbia e Kosovo che da vicepremier bombardò per 78 giorni), Zelensky pare sempre più ragionevole perché conosce l’unico verdetto che conta: quello disastroso del campo. In pochi giorni ha rimosso i due moventi fondamentali di questi 11 anni di guerra con la Russia: il Donbass e la Nato. La pillola amara dell’addio al Donbass, peraltro quasi tutto perso, l’ha indorata con l’annuncio che “Trump ci impone di rinunciarvi” (dobbiamo obbedire agli Usa, come sempre) e col caveat del referendum in loco. Ma tutti sanno che gli abitanti del Lugansk (tutto occupato) e del Donetsk (occupato all’85%) già prima della guerra erano quasi tutti russi o filorussi, e tantopiù lo sono ora, dopo 46 mesi di evacuazioni delle province occupate (in parte già ricostruite), dov’è rimasto quasi solo chi vuol restare russo o attende l’arrivo dei russi. Se si votasse, l’esito sarebbe scontato, quindi è improbabile che si voti: sennò si certificherebbe che da quattro anni rischiamo la terza guerra mondiale per difendere dai russi una popolazione che vuole stare coi russi. Ieri poi Zelensky, sempre con l’aria di chi fa un gran sacrificio, ha rinunciato anche alla Nato: bella forza, visto che Trump (come l’ultimo Biden) non perde occasione di fargli sapere che la Nato se la scorda, anzi nel nuovo piano di Difesa ha messo nero su bianco che l’espansione a Est è morta e sepolta. Per chi, come noi, pensa all’inutile sacrificio di centinaia di migliaia di persone, le rinunce di Zelensky a ciò che ha già irrimediabilmente perduto ricordano la fiaba della volpe e dell’uva. Ma anche ciò che si diceva subito prima e subito dopo l’invasione del 2022. Per scongiurarla, Macron e Scholz imploravano Zelensky di rinunciare alla Nato e promettere l’autonomia del Donbass promessa negli accordi di Minsk: parlavano con Putin e sapevano che con quei due impegni non ci sarebbe stata invasione. Zelensky tentennò, poi su pressione Usa-Uk rifiutò e Putin invase. Ma il negoziato russo-ucraino partì subito, in Bielorussia e poi a Istanbul. Putin chiedeva sempre le stesse cose: no alla Nato e sì a Minsk in cambio del ritiro russo, cioè di un’Ucraina tutt’intera (parola dei negoziatori ucraini). E Zelensky ripeté due volte: “La Nato non è pronta ad accoglierci”, “Non possiamo entrare nella Nato”. Non solo: “Neutralità e intesa su Crimea e Donbass per la pace”. Ma Usa e Uk si rimisero di traverso e Zelensky li seguì, alzandosi dal tavolo mentre si discutevano le garanzie per Kiev e le dimensioni del suo esercito. Sembrerebbe il film Il giorno della marmotta, se sotto quei ponti non fosse passato un fiume di sangue.