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venerdì 11 ottobre 2024

Nobel 2024: il premio per la letteratura va alla scrittrice sudcoreana Han Kang. - Chiara Pizzimenti

 

Nobel Letteratura 2024, Han Kang.

«Per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana». Questa la motivazione che accompagna il premio Nobel per la letteratura ad Han Kang, scrittrice sudcoreana, prima della sua nazione ad avere questo riconoscimento, nata nel 1970 già vincitrice del Man Booker International Prize nel 2016 con il romanzo La vegetariana, storia di una donna che decide di smettere di mangiare carne, scelta disapprovata dalla società in cui vive. Originaria di Gwangju, dopo gli studi in letteratura coreana all'Università Yonsei di Seul, ha fatto il suo esordio con una raccolta poetica nel 1993. Dell'anno successivo il primo di 5 romanzi. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts. Nel 2017 ha vinto il Premio Malaparte per il libro Atti umani. Del 2011 il libro L'ora di greco in cui una donna recupera dopo una serie di traumi che le hanno tolto la voce attraverso la lingua di Platone. In Italia le sue opere sono pubblicate da Adelphi.

https://www.vanityfair.it/article/nobel-2024-premio-letteratura

giovedì 10 ottobre 2024

Il Nobel per la Fisica a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton.

 

Il Premio Nobel per la Fisica del 2024 è stato assegnato a John J. Hopfield e Geoffrey E. Hinton «per le scoperte e le invenzioni fondamentali che consentono l’apprendimento automatico con reti neurali artificiali».

Hopfield e Hinton hanno preso in prestito sistemi e strumenti dalla fisica per sviluppare i sistemi di apprendimento automatico (“machine learning”) che oggi fanno funzionare alcuni dei più famosi sistemi di intelligenza artificiale. I loro studi hanno permesso di sviluppare soluzioni per trovare andamenti e modelli nei dati, derivando da questi le informazioni. Il lavoro di Hopfield e Hinton è stato quindi fondamentale per sviluppare le tecnologie che fanno funzionare le reti neurali, cioè i sistemi che provano a imitare le nostre capacità di apprendimento e della memoria.

Nei primi tempi dell’informatica, gli algoritmi erano scritti dalle persone e la loro principale utilità era di indicare al sistema che cosa fare nel caso di una determinata circostanza, una indicazione piuttosto semplice riassumibile in: “Se si verifica questo allora fai quello”. Algoritmi, codice e altre variabili determinano il funzionamento di un software, cioè di un programma informatico, come il browser sul quale si è caricata la pagina che state leggendo in questo momento. Un algoritmo può essere definito come una sequenza finita di istruzioni per risolvere un determinato insieme di richieste o per calcolare un risultato.

Ci sono molti ambiti in cui i dati e i “se questo allora quello” da considerare sono tantissimi, una quantità tale da non poter essere gestita con istruzioni scritte a mano: più dati e più variabili portano a più eccezioni da prevedere e indicare al software per dire come comportarsi, ma se le eccezioni sono miliardi il compito non può essere assolto da dieci, cento o mille programmatori.

Questa difficoltà è stata superata con il machine learning (ML), cioè l’attività di apprendimento dei computer tramite i dati. Mette insieme l’informatica con la statistica, con algoritmi che man mano che analizzano i dati trovando andamenti e ripetizioni, sulla base dei quali possono fare previsioni. L’apprendimento può essere supervisionato, cioè basato su una serie di esempi ideali, oppure non supervisionato, in cui è il sistema a trovare i modi in cui organizzare i dati, senza avere specifici obiettivi.

Messa in altri termini: per fare una torta il software tradizionale segue una ricetta con l’elenco degli ingredienti e le istruzioni passo passo, mentre un software basato sul ML impara attraverso degli esempi osservando una grande quantità di torte, sbagliando e riprovando fino a quando non ottiene un risultato in linea con la richiesta iniziale. Per farlo ha bisogno di una rete neurale artificiale, un modello di elaborazione dei dati che si ispira al funzionamento delle reti neurali biologiche, come quelle nel nostro cervello.

Le reti neurali artificiali hanno richiesto decenni per essere sviluppate e perfezionate, con grandi difficoltà legate soprattutto alle ridotte capacità di elaborazione dei computer per buona parte del Novecento. Le cose iniziarono a cambiare nei primi anni Ottanta quando il fisico John Hopfield fissò in un modello matematico i principi per realizzare una rete neurale che simula la nostra capacità di ricordare e di ricostruire le immagini nella nostra mente. Hopfield aveva sviluppato il modello attingendo dalle proprie conoscenze in fisica e in particolare dalle proprietà magnetiche di alcuni materiali che condizionano il comportamento dei loro atomi.

Una rete di Hopfield funziona memorizzando dei modelli, come immagini e schemi, e poi richiamandoli quando riceve un input parziale oppure distorto come un’immagine incompleta o poco definita. Il sistema prova a minimizzare l’energia complessiva, cioè cerca di raggiungere uno stato stabile riducendo il disordine che rende instabile lo stato di partenza della rete. In pratica, quando la rete riceve un’immagine incompleta o rumorosa, “esplora” varie possibili configurazioni per ridurre l’energia complessiva, finché non trova una configurazione che corrisponde a un modello memorizzato, cioè a un’immagine “stabile” e riconoscibile. In questo modo può dire che una certa immagine mai analizzata prima assomiglia a una delle immagini che ha già in memoria.

Negli anni seguenti alla pubblicazione del modello di Hopfield, Geoffrey Hinton lavorò a un sistema che aggiungeva alcuni principi di fisica statistica, cioè quella parte della fisica che utilizza metodi statistici per risolvere problemi. Elaborò la “macchina di Boltzmann”, basata sulla distribuzione che porta il nome del fisico austriaco Ludwig Boltzmann.

La macchina di Boltzmann è un tipo di rete neurale usato per riconoscere particolari schemi nei dati. Per farlo utilizza due tipi di nodi: i nodi visibili, che ricevono l’informazione, e i nodi nascosti, che aiutano a elaborare queste informazioni senza essere visibili direttamente. Questi nodi interagiscono tra loro e influenzano l’energia complessiva della rete.

La rete funziona aggiornando uno alla volta i valori dei nodi, fino a raggiungere uno stato stabile, in cui il comportamento complessivo della rete non cambia più. Ogni possibile configurazione della rete ha una probabilità, determinata dall’energia della rete stessa. In questo modo, la macchina può generare nuovi modelli partendo da ciò che ha imparato. La macchina impara dagli esempi durante il suo allenamento: i valori delle connessioni tra i nodi vengono aggiornati in modo che i modelli presentati abbiano la probabilità più alta di essere ricreati, quindi più un modello viene ripetuto, più aumenta la probabilità che la rete lo ricordi.

Con i loro lavori ispirati alla fisica, Hopfield e Hinton hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo del machine learning, soprattutto negli ultimi 15 anni grazie all’aumentata capacità di calcolo dei processori. A distanza di anni, i grandi progressi partiti dalla fisica potrebbero avere importanti ricadute per la fisica stessa con l’elaborazione di nuovi modelli per effettuare misurazioni più accurate, per esempio escludendo il rumore di fondo nello studio delle onde gravitazionali. Le possibilità di impiego dei sistemi di intelligenza artificiale sono comunque sterminate e toccano praticamente qualsiasi ambito della ricerca.

John J. Hopfield è nato nel 1933 a Chicago, negli Stati Uniti, ed è docente alla Princeton University.
Geoffrey E. Hinton è nato nel 1947 a Londra, nel Regno Unito, ed è docente presso l’Università di Toronto in Canada. È stato ricercatore e dirigente di Google, incarico che ha lasciato lo scorso anno sollevando alcune perplessità e preoccupazioni sulla rapida evoluzione di alcuni sistemi di intelligenza artificiale.

https://www.ilpost.it/2024/10/08/nobel-fisica-2024/?fbclid=IwY2xjawF0g8NleHRuA2FlbQIxMQABHSUu0mHgIho7_QT2A8SUSna5LwGwEByMkmNRYHK94qmRwPIgrjMumm2qPA_aem_dOn1LM5W4z06zHb55XBvig

Nobel per la Chimica 2024 – Premiati David Baker, Demis Hassabis, John M. Jumper per gli studi sulle proteine

 

Sono scienziati impegnati nello studio delle proteine “gli ingegnosi strumenti chimici della vita” i vincitori del Nobel per la Chimica 2024. Si tratta di David Baker, Demis Hassabis, John M. Jumper e l’Accademia di Svezia ha deciso di assegnare il premio con una metà a Baker “per la progettazione delle proteine computazionali” e l’altra metà congiuntamente a Hassabis e Jumper “per la previsione della struttura proteica”.

“David Baker è riuscito con l’impresa quasi impossibile di costruire proteine completamente nuove. Demis Hassabis e John Jumper hanno sviluppato un modello di AI per risolvere un problema vecchio di 50 anni: prevedere le strutture complesse delle proteine. Queste scoperte hanno un enorme potenziale. La diversità della vita testimonia la sorprendente capacità delle proteine come strumenti chimici. Controllano e guidano tutte le reazioni chimiche che insieme sono la base della vita. Le proteine funzionano anche come ormoni, sostanze segnali, anticorpi e mattoni di diversi tessuti – prosegue la nota -. Le proteine consistono generalmente in 20 diversi amminoacidi, che possono essere descritti come elementi costitutivi della vita. Nel 2003 David Baker riuscì ad usare questi blocchi per progettare una nuova proteina diversa da qualsiasi altra proteina. Da allora, il suo gruppo di ricerca ha prodotto una creazione di proteine fantasiose dopo l’altra, comprese proteine che possono essere utilizzate come farmaci, vaccini, nanomateriali e piccoli sensori. La seconda scoperta riguarda la previsione delle strutture proteiche. Nelle proteine, gli amminoacidi sono collegati tra loro in lunghe stringhe che si piegano per creare una struttura tridimensionale, decisiva per la funzione della proteina. Fin dagli anni ’70, i ricercatori avevano cercato di prevedere strutture proteiche dalle sequenze di amminoacidi, ma questo era notoriamente difficile. Tuttavia, quattro anni fa, ci fu una svolta sorprendente”.

“Nel 2020, Demis Hassabis e John Jumper hanno presentato un modello di AI chiamato AlphaFold2. Con il suo aiuto, sono riusciti a prevedere la struttura di quasi tutte le 200 milioni di proteine individuate dai ricercatori. Dalla loro svolta, AlphaFold2 è stato usato da più di due milioni di persone provenienti da 190 paesi. Tra una miriade di applicazioni scientifiche, i ricercatori possono ora comprendere meglio la resistenza agli antibiotici e creare immagini di enzimi in grado di decomporre la plastica. La vita non potrebbe esistere senza proteine. Il fatto che ora possiamo prevedere strutture proteiche e progettare le nostre proteine conferisce il maggior beneficio all’umanità” dice l’Accademia di Svezia.

martedì 8 ottobre 2024

Il premio Nobel per la fisiologia o la medicina a Victor Ambros e Gary Ruvkun.

Victor Ambros e Gary Ruvkun (©Nobel Prize Outreach) 

I due ricercatori hanno dato un contributo fondamentale alla scoperta dei microRNA, piccole molecole fondamentali per la regolazione dei geni in tutti gli organismi pluricellulari, compresi gli esseri umani.

Il premio Nobel per la fisiologia o la medicina 2024 è stato assegnato a Victor Ambros e Gary Ruvkun per “la scoperta del microRNA e del suo ruolo nella regolazione post-trascrizionale dei geni”.

Victor Ambros è nato il 1° dicembre 1953, ad Hanover, negli Stati Uniti, e lavora attualmente all’Università del Massachusetts a Worcester, sempre negli Stati Uniti.

Gary Ruvkun e nato a Berkeley, in California, nel 1952, e lavora attualmente alla Harvard Medical School a Boston, negli Stati Uniti.

Quest’anno il riconoscimento del Karolinska Institutet è andato agli autori della scoperta di un principio biochimico fondamentale per la vita, perché consente la regolazione dell’attività dei geni, che costituiscono il patrimonio ereditario di un individuo.
A un livello fondamentale, ogni cellula di un organismo, indipendentemente dalla sua specializzazione, contiene la stessa informazione genetica, codificata dal DNA, racchiuso nel nucleo cellulare. L’informazione viene dapprima trascritta dall’RNA messaggero (mRNA) e poi trasferita ad altri organelli cellulari, dove viene tradotta in una proteina. Per ogni cellula c’è quindi un unico sistema di sintesi proteica a partire da una vastissima “libreria” di informazioni. Eppure ogni cellula, per svolgere la sua specifica funzione, necessita di un proprio insieme di proteine. È qui che entrano in gioco i meccanismi che regolano l’attività e l’espressione dei geni.

A partire dagli anni sessanta, si è scoperto che alla base di questi meccanismi vi erano specifiche proteine, note come fattori di trascrizione, identificate poi a centinaia. L’importanza della scoperta dei meccanismi di regolazione genica fu riconosciuta dal Karolinska Institutet già nel 1965, con il premio attribuito a François Jacob e Jacques Monod.

Un piccolo verme, un piccolo RNA.
Un’altra svolta epocale per la comprensione della regolazione dei geni venne negli anni successivi, grazie all’introduzione da parte, del biologo Sydney Brenner, del piccolo verme Caenorhabditis elegans, negli studi di laboratorio. Questo modello animale è caratterizzato da un breve tempo di generazione, dall’essere trasparente e dalla facilità con cui possono essere manipolati i suoi geni. La scelta si è poi rivelata azzeccata, perché ha permesso a Brenner, John Sulston e Robert Horvitz di chiarire i meccanismi genetici che controllano la divisione, la differenziazione e la morte cellulare durante lo sviluppo degli organi – una scoperta tanto importante che i tre sono poi stati insigniti del premio Nobel 2002 per la fisiologia o la medicina.

Sempre nel laboratorio di Brenner, le ricerche su C. elegans sono proseguite negli anni settanta, in particolare su esemplari mutanti chiamati lin-4. Quegli esemplari mutanti mostravano diverse strutture morfologiche alterate, apparentemente per un difetto della sincronizzazione dell’attivazioni di specifici programmi genetici, che portavano all’accumulo di cellule uovo e alla mancata formazione della vulva

Intanto nel laboratorio di Horvitz, arrivava il giovane Victor Ambros, che iniziava a lavorare  su un’altra linea di C. elegans mutanti noti come lin-14, in cui il difetto di regolazione genica portava alla mancata formazione delle larve. Dal punto di vista del fenotipo, i vermi lin-4 erano più grandi del normale, mentre quelli lin-14 erano più piccoli. Infine, il gene lin-4 sembrava regolare negativamente lin-14, anche se non era chiaro in che modo. Allo stesso laboratorio si era unito nel 1982 Gary Ruvkun per svolgere la sua attività di ricerca post-dottorato. Pur continuando le loro ricerche, i due giovani erano riusciti anche a ottenere posizioni accademiche: Ambros alla Harvard University e Ruvkun al Massachusetts General Hospital e alla Harvard Medical School.

Ad Harvard, Ambros iniziava una ricerca per produrre copie del gene lin-4, ma il risultato non era quello atteso: si otteneva una molecola di RNA molto piccola, non in grado di codificare per una proteina. Nello stesso periodo, Ruvkun, scoprì che lin-4 agiva ostacolando la traduzione in proteine di lin-14 in una fase successiva alla sua trascrizione. Da un confronto tra le due ricerche emergeva così che parte della sequenza dell'mRNA di lin-4 corrispondeva a quella della regione terminale dell'mRNA di lin-14: dal legame dei due mRNA, quello di lin-14 risultava inibito e incapace di mediare la sintesi della proteina corrispondente lin-14. Si trattava a tutti gli effetti di un nuovo meccanismo di regolazione genica, orchestrato da piccole molecole chiamate microRNA, che avveniva dopo la trascrizione da parte dell’mRNA e veniva perciò definito post-trascrizionale.

Un meccanismo universale.
Descritte nel 1993 da due articoli pubblicati sulla rivista “Cell” dai due giovani ricercatori, la scoperta del microRNA fu accolta tiepidamente, almeno all’inizio: l’idea era che questo inedito sistema di regolazione genica fosse peculiare dell’organismo del verme, e non fosse quindi significativo per gli organismi superiori, tra cui gli esseri umani. Con il passare degli anni, tuttavia, l’interesse per il microRNA è cresciuto, e molti ricercatori hanno iniziato a occuparsene, con il risultato che sono stati identificati centinaia di microRNA differenti. Ma nel 2000 Ruvkun ha identificato un secondo microRNA, chiamato let-7, presente negli esseri umani come in tutto il regno animale.

Oggi sappiamo che i microRNA sono responsabili di un meccanismo di regolazione universale negli organismo pluricelluari, e che negli esseri umani esistono più di 1000 geni per i diversi microRNA. Quello di Ambros e Ruvkun è stato quindi un contributo enorme alla conoscenza dei meccanismi biologici fondamentali. Ma è stato cruciale anche in ambito medico, dal momento che una regolazione anomala da parte dei microRNA può contribuire all’insorgenza dei tumori, mentre le mutazioni che codificano per i microRNA sono all’origine di patologie congenite a carico, per esempio, di occhi, orecchie e dello scheletro. (red)

https://www.lescienze.it/news/2024/10/07/news/nobel_medicina_fisiologia_2024-17354060/

mercoledì 7 ottobre 2020

Nobel per la Chimica alle due donne del taglia-incolla il Dna. -

 















Il Nobel per la Chimica quest'anno è diviso equamente fra la biochimica francese Emmanuelle Charpentier e la chimica americana Jennifer A. Doudna, le due ricercatrici che hanno messo a punto la tecnica che taglia-incolla il Dna che permette di riscrivere il codice della vita. Le forbici genetiche, che permettono di modificare il Dna, hanno aperto la via a molte terapie un tempo impossibili. 

La Crispr/Cas9 scoperta da Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna è uno degli strumenti più potenti oggi nelle mani dell'ingegneria genetica. Può infatti essere utilizzato con uno strumento di altissima precisione (forse più simile a un bisturi che a delle forbici molecolari) per modificare l'informazione genetica (Dna) di animali, piante e microrganismi. Presentata per la prima volta nel 2012, la tecnica ha permesso di rivoluzionare la ricerca nelle Scienze della vita, portandola in una nuova epoca, e ha finora contribuito ad aprire nuove strade per la cura di molte malattie, da alcune forme di tumore alla fibrosi cistica, fino ad avvicinare il sogno di curare le malattie ereditarie.

"C'è un enorme potere in questo strumento genetico", ha detto il presidente del Comitato Nobel per la Chimica, Claes Gustafsson. "Non ha soltanto rivoluzionato la ricerca di base, ma - ha aggiunto - ha portato a mettere a punto colture innovative e portato a nuovi trattamenti medici".

Come spesso è accaduto nella storia della scienza, anche la scoperta della Crispr è avvenuta quasi per caso. Tutto era cominciato dalle ricerche di Emmanuelle Charpentier sul batterio Streptococcus pyogenes, responsabile di infiammazioni nell'uomo, in particolare con la scoperta di un frammento del patrimonio genetico utilizzato dal batterio come arma per combattere i virus.

Nello stesso anno della scoperta, il 2011, Charpentier ha cominciato a collaborare con Jennifer Doudna per ricostruire in provetta l'arma del batterio, in modo da semplificarla, trasformandola in uno strumento più facile da utilizzare. In un solo anno le due ricercatrici hanno ottenuto delle forbici molecolari capaci di tagliare la molecola della vita, il Dna, e di farlo con precisione, in un determinato sito. Era subito chiaro che riuscire a tagliare il Dna in modo preciso avrebbe significato poter riscrivere il codice della vita.
Dal 2012 la tecnica della Crispr/Cas9 è utilizzata in un tutto il mondo, in una vera e propria esplosione di applicazioni.

(foto ANSA/AFP)

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/fisica_matematica/2020/10/07/oggi-il-nobel-per-la-chimica-diretta-alle-1145_d4765da6-1fd3-4285-bdcb-35a8dc8bfc3f.html

martedì 6 ottobre 2020

Nobel per la Fisica 2020, premiati gli scienziati che studiano i buchi neri: Roger Penrose, Reinhard Genzel e Andrea Ghez.

 













Il Comitato dei Nobel ha attribuito questo premio alla scoperta "dei più oscuri misteri dell’universo". Penrose ha lavorato a lungo con il cosmologo Stephen Hawking, morto due anni fa.

Il premio Nobel per la Fisica 2020 è stato assegnato a Roger Penrose, “per aver scoperto che la formazione di un buco nero è una chiara predizione della teoria generale della relatività” e congiuntamente a Reinhard Genzel e Andrea Ghez “per la scoperta di un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia”. Il Comitato dei Nobel ha attribuito questo premio alla scoperta “dei più oscuri misteri dell’universo”. Penrose ha lavorato a lungo con il cosmologo Stephen Hawking, morto due anni fa.



Penrose (a sinistra nella foto), che è anche matematico e filosofo, ha ottenuto il dottorato a Cambridge University e ha svolto ricerca a Princeton e Syracuse. È stato ricercatore al King’s College (1961-63) e poi professore di matematica applicata al Birkbeck College di Londra, ha insegnato a Oxford. Nel corso della sua carriera ha ottenuto premi e riconoscimenti, tra i quali: la Eddington Medal insieme a Hawking, la Royal Medal, la Dirac Medal , la Einstein Medal, il Naylor Prize e la De Morgan Medal (2004). Ordine al merito nel 2000, ha ricevuto lauree honoris causa da varie università.

Genzel è nato nel 1952 in Germania, a Bad Homburg vor der Höhe. Si è laureato nel 1978 nell’Università tedesca di Bonn e in seguito ha diretto l’Istituto Max Planck per la Fisica Extraterrestre. In seguito si è trasferito negli Stati Uniti per insegnare nell’Università della California a Berkeley. La più giovane dei premiati, Andrea Ghez, è nata nel 1965 negli Stati Uniti, a New York, e nel 1992 si è laureata presso il California Institute of Technology (Caltech). Attualmente insegna nell’Università della California a Los Angeles.

Il prestigioso premio è stato assegnato a coloro che studiano “i fenomeni più esotici dell’Universo”: Penrose ha mostrato che la Teoria generale della relatività porta alla formazione di buchi neri, e mentre Genzel e Ghez hanno scoperto che un oggetto invisibile ed estremamente pesante governa le orbite delle stelle al centro della nostra galassia. Un buco nero supermassiccio è l’unica spiegazione attualmente nota, sottolinea l’Accademia reale svedese delle Scienze che quest’anno ha dovuto annunciare il più prestigioso riconoscimento scientifico online a causa della pandemia di coronavirus. L’Accademia reale svedese delle Scienze ha assegnato il riconoscimento da 10 milioni di corone svedesi metà a “Roger Penrose che ha utilizzato metodi matematici ingegnosi per dimostrare che i buchi neri sono una diretta conseguenza della teoria della relatività generale di Albert Einstein. Lo stesso Einstein non credeva che i buchi neri esistessero davvero, questi mostri super-pesanti che catturano tutto ciò che li entra. Niente può sfuggire, nemmeno la luce” sottolinea l’Accademia.

“Nel gennaio 1965, dieci anni dopo la morte di Einstein, Roger Penrose dimostrò che i buchi neri possono davvero formarsi e li descrisse in dettaglio; nel loro cuore, i buchi neri nascondono una singolarità in cui tutte le leggi conosciute della natura cessano. Il suo articolo innovativo è ancora considerato il contributo più importante alla teoria della relatività generale dai tempi di Einstein” riferisce l’Accademia reale svedese delle Scienze. Gli altri due scienziati insigniti del Nobel, a cui è andata pari merito l’altra metà, gli altri 5 milioni di corone di svedesi, a Reinhard Genzel e Andrea Ghez, che “guidano ciascuno un gruppo di astronomi che, dall’inizio degli anni ’90, si è concentrato su una regione chiamata Sagittarius A * al centro della nostra galassia”. “Le orbite delle stelle più luminose più vicine al centro della Via Lattea sono state mappate con crescente precisione. Le misurazioni di questi due gruppi concordano, trovando entrambi un oggetto estremamente pesante e invisibile che attira l’accozzaglia di stelle, facendole correre a velocità vertiginose. Circa quattro milioni di masse solari sono raggruppate in una regione non più grande del nostro sistema solare”.

Un buco nero, che ‘pesa’ circa 4 milioni di masse solari, tutte concentrate in una sola regione non più grande del nostro sistema solare. “Il loro lavoro è pionieristico, ci ha dato la maggiore prova mai raccolta di un buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea”. Grazie ai telescopi più grandi del mondo, Genzel e Ghez hanno potuto vedere attraverso le enormi nuvole di gas e polvere interstellare, creato nuove tecniche per compensare la distorsione causata dalla nostra atmosfera e costruito strumenti unici, dedicandosi completamente a questa ricerca a lungo termine. “Ho provato dubbio, ma anche eccitazione” ha detto la professoressa Ghez, la quarta donna a ricevere il Premio Nobel per la Fisica, alla domanda su cosa avesse provato nel notare un oggetto sconosciuto nella Via Lattea. “Mai come adesso si può comprendere l’importanza dello studio della scienza e dei fenomeni del mondo. Sono onorata di aver ricevuto il premio, accetto con piacere la responsabilità di ispirare altre donne a studiare nel campo”.

(foto ilFQ)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/06/nobel-per-la-fisica-2020-premiati-gli-scienziati-che-studiano-i-buchi-neri-roger-penrose-reinhard-genzel-e-andrea-ghez/5956165/

lunedì 5 ottobre 2020

Nobel Medicina a scienziati per scoperta virus epatite C.

 

   Nobelel Medicina a Alter, Houghton e Rice.

Il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2020 va a Harvey J. Alter, Michael Houghton e Charles M. Rice "per la scoperta del virus dell'epatite C". L'annuncio è stato dato come da tradizione dal Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, in diretta via Internet e social network. Il riconoscimento è salito a 10 milioni di corone svedesi, al cambio odierno circa 950mila euro.

I vincitori del premio 2020, due americani e un inglese, "hanno dato un contributo decisivo alla lotta contro l'epatite trasmessa attraverso il sangue - si legge nella motivazione dell'Assemblea dei Nobel - un grave problema di salute globale che causa cirrosi e cancro al fegato nelle persone di tutto il mondo".

In particolare, gli studi di Alter, Houghton e Rice hanno portato all'identificazione di un nuovo virus, il virus dell'epatite C (Hcv). Prima del loro lavoro, infatti, "la scoperta dei virus dell'epatite A e dell'epatite B era stata un passo avanti fondamentale, ma la maggior parte dei casi di epatite trasmessa per via ematica restava inspiegabile. La scoperta del virus dell'epatite C ha rivelato la causa dei rimanenti casi di epatite cronica e ha reso possibili test del sangue e nuovi farmaci che hanno salvato milioni di vite". Anche per merito di questi studi pionieristici, dunque, grazie ai nuovi super-farmaci, "per la prima volta nella storia il virus dell'epatite C ora può essere curato".

Alter, con le sue ricerche sull'epatite associata alle trasfusioni, ha dimostrato che un virus sconosciuto era una causa comune di epatite cronica. Houghton ha utilizzato una strategia inedita per isolare il genoma del nuovo virus, battezzato appunto virus dell'epatite C. Rice ha fornito le prove definitive che dimostrano che questo virus, da solo, può causare epatite.

L'epatite, ricordano gli esperti dell'Assemblea dei Nobel, è provocata principalmente da infezioni virali, benché anche altri fattori quali l'abuso di alcol, tossine ambientali o malattie autoimmunitarie possano rappresentare una causa importante. Negli anni '40 del secolo scorso divenne chiaro che esistevano due forme di epatite infettiva: la prima, denominata A, veicolata da cibo o acqua contaminati e con un impatto a lungo termine generalmente limitato in chi la contrae; la seconda, tramessa attraverso il sangue e i fluidi corporei, che costituisce invece una minaccia molto più seria perché può portare a una patologia cronica con lo sviluppo di cirrosi epatica e tumori al fegato.

Era dunque cruciale identificare il microrganismo responsabile dell'epatite trasmessa per via ematica: un'infezione silenziosa da oltre 1 milione di vittime all'anno nel pianeta, una minaccia globale paragonabile all'Hiv o alla tubercolosi. A compiere il primo passo fu Baruch Blumberg, che negli anni '60 scoprì come una delle forme di epatite trasmessa dal sangue fosse provocata da un virus che venne chiamato virus dell'epatite B. I suoi studi gli valsero il Nobel per la Medicina nel 1976 e fu proprio con Blumberg che Alter, allora giovane ricercatore, mise a segno alcune delle sue scoperte.

Rimaneva infatti un grande interrogativo al quale rispondere: capire quale fosse la causa di una quota preoccupante di epatiti croniche correlate a trasfusione, ma non collegate né al virus A né a quello B. A trovare la tessera mancante del puzzle furono Alter, Houghton e Rice, che riuscirono a dare un nome alle epatiti 'non A-non B', svelando appunto l'esistenza di un nuovo virus a Rna appartenente alla famiglia dei Flavivirus, che da solo poteva causare epatite e che spiegava le infezioni rimaste fino ad allora misteriose. Era l'Hcv, il virus dell'epatite C.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/10/05/nobel-per-medicina-scienziati-per-scoperta-virus-epatite_JpygNbnIHjjXLoy3TQ89eJ.html


venerdì 11 ottobre 2019

Premio Nobel per la pace al premier etiope Abiy Ahmed Ali.



'Per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea'.


"Il premio Nobel per la pace 2019 è stato assegnato al premier etiope Abiy Ahmed Ali "per i suoi sforzi  - si legge nella motivazione - per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea".

Il premio Nobel per la pace 2019 - ha poi precisato il Comitato in un tweet - intende anche riconoscere tutte le parti interessate che lavorano per la pace e la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni dell'Africa orientale e nordorientale". "In stretta collaborazione con Isaias Afwerki, il presidente dell'Eritrea, il premiato di quest'anno ha rapidamente elaborato i principi di un accordo di pace per porre fine alla lunga situazione di stallo 'nessuna pace, nessuna guerra' tra Etiopia ed Eritrea". "In Etiopia - ricorda il Comitato - anche se rimane molto lavoro da fare, Abiy Ahmed ha avviato importanti riforme per dare a molti cittadini la speranza per una vita migliore e un futuro più luminoso. Come primo ministro, Abiy Ahmed ha cercato di promuovere la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale".
L'Etiopia "è fiera in quanto nazione" dell'assegnazione del premio Nobel per la Pace al premier Abiy Ahmed Ali, fa sapere l'ufficio del primo ministro.
Il premio Nobel per la pace al primo ministro dell'Etiopia Abiy Ahmed Ali riconosce il lavoro importante che ha fatto sul percorso di riforme nel campo dei diritti umani  - commenta Amnesty International - dopo decenni di repressione, "ma il suo lavoro è lontano dall'essere concluso". Dopo aver ricordato la riforma delle forze di sicurezza, il cambiamento della legge sulle organizzazioni di volontariato, l'accordo di pace con l'Eritrea e il suo contributo all'accordo tra i leader militari del Sudan e l'opposizione civile, Amnesty afferma che "questo premio dovrebbe spingerlo e motivarlo a intraprendere le sfide sui diritti umani che minacciano di disperdere quanto ottenuto fino ad ora. Deve con urgenza assicurare che il suo governo affronti le tensioni etniche che rischiano di provocare instabilità e ulteriori abusi nel campo dei diritti umani" Amnesty aggiunge che dovrebbe rivedere la legislazione "antiterrorismo che continua ad essere usata come uno strumento di repressione". Ora più che mai il primo ministro Abiy deve sposare pienamente i principi e i valori del premio Nobel per la pace per lasciare un eredità durevole nei diritti umani al suo paese alla regione e al mondo".

giovedì 10 ottobre 2019

Nobel per la letteratura premia Olga Tokarczuk e Peter Handke.



Scrittrice polacca per il 2018, l'autore austriaco per il 2019.

Conferito il doppio premio Nobel per la Letteratura. L'Accademia svedese ha tributato il riconoscimento per l'anno 2018 alla scrittrice polacca Olga Tokarczuk, nata nel 1962. All'autore austriaco Peter Handke, nato nel 1942, è stato assegnato il Nobel per l'anno 2019.
 L'ultimo Nobel per la Letteratura era stato assegnato nel 2017 a Kazuo IshiguroDopo lo scandalo per molestie che nel 2018 aveva colpito il marito di una giurata, il fotografo e regista Jean Claude Arnault e travolto l'Accademia di Svezia portando a una serie di dimissioni, il premio era stato sospeso e rimandato al 2019.

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/2019/10/10/nobel-per-la-letteratura-dopo-lo-scandalo-molestie-ne-verranno-assegnati-due_608297c8-13d7-4790-9775-d1c795b0013b.html

martedì 8 ottobre 2019

Nobel per la Medicina a Kailin, Ratcliffe e Semenza.


Il premio è per la scoperta del modo in cui le cellule utilizzano l'ossigeno. Questo meccanismo ha un'importanza cruciale per mantenere le cellule in buona salute e averlo scoperto ha aperto la strada alla comprensione di molte malattie, prime fra anemia e tumori.


Il processo che permette alle cellule di adattarsi al livello di ossigeno è fondamentale sia per capire molti processi fisiologici (a sinistra) sia per affrontare molte malattie (fonte: Fondazione Nobel)

CHI SONO I PREMIATI
Sir Peter J. Ratcliffe, ha 65 anni, nato in Gran Bretagna, a Lancashire nel 1954, ha studiato a Cambridge e poi si è specializzato in nefrologia a Oxford. In questa università ha dato vita a un gruppo di ricerca ed ha avuto una cattedra nel 1996. Attualmente dirige il Centro per la ricerca clinica dell'Istituto Francis Crick di Londra ed è membro dell'Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro.
L'americano Gregg L. Semenza, 63 anni, è nato a New York nel 1956 e ha studiato biologia ad Harvard e poi nell'Università della Pennsylvania. Si è specializzato in pediatria nella Duke University e dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, dove dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare.
William G. Kaelin, 62 anni, è nato a New York nel 1957 e, dopo gli studi nelle Duke University, si è specializzato in Medicina interna e oncologia nella Johns Hopkins University. Dal 2002 insegna a Harvard.
LA SCOPERTA
Il merito di Kaelin, Ratcliffe e Semenza è nell'avere scoperto il meccanismo molecolare che, all'interno delle cellule, regola l'attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno. Il loro è stato un traguardo inseguito per decenni. La posta in gioco era infatti altissima perché l'ossigeno è l'elemento fondamentale che permette a ogni essere vivente di convertire il cibo in energia, e che è alla base di processi fisiologici fondamentali, dallo sviluppo embrionale alle difese immunitarie.
E' infatti nella capacità delle cellule di 'dialogare' con l'ambiente uno dei segreti della loro capacità di adattarsi, regolando il loro metabolismo e ogni loro funzione fisiologica. Il primo passo in questa direzione risale a 88 anni fa, quando il fisiologo tedesco Otto Warburg dimostrò che la conversione dell'ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico, aggiudicandosi il Nobel per la Medicina nel 1931. Un altro passo in avanti è stato fatto dal fisiologo belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, con la scoperta che nella carotide esistono cellule che si comportano come sensori dell'ossigeno.
Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene chiamato Epo e ha dimostrato il suo legame con la carenza di questo elemento (ipossia) con esperimenti su topi geneticamente modificati. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l'attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti dell'organismo. E' cominciata così la caccia agli altri protagonisti che aiutano le cellule ad adattarsi a diversi livelli di ossigeno e, nel 1995, studiando le cellule del fegato, Semenza ha scoperto il fattore che induce l'ipossia (Hif).
A trovare una risposta ulteriore è stato William Kaelin, che studiando una malattia ereditaria ha scoperto il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l'ipossia. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire l'intero processo che regola la risposta delle cellule all'ossigeno, e contemporaneamente hanno lasciato intravedere l'importanza che poter controllare questo meccanismo può avere per capire molti processi fisiologici, come metabolismo, sistema immunitario, sviluppo embrionale, respirazione e adattamento all'alta quota, e per affrontare molte malattie, come anemia, tumori, infarto, ictus, riparazione delle ferite.
L'incontro con ricerca italiana sulle piante
Non solo cellule animali: le piante percepiscono l'ossigeno con un meccanismo molto simile a quello che ha valso il Nobel per la Medicina al britannico Peter Ratcliffe e agli americani William Kaelin e Gregg Semenza. "Abbiamo voluto collaborare con Ratcliffe per verificare se il meccanismo con cui le piante percepiscono l'ossigeno, da noi scoperto, è simile a quello al quale stava lavorando sulle cellule animali lo studioso premiato oggi con il Nobel", ha osservato il ricercatore che ha coordinato lo studio nella Scuola Sant'Anna di Pisa, Pierdomenico Perata, in collaborazione con Francesco Licausi e Beatrice Giuntoli, ora entrambi nell'Università di Pisa.
Pubblicata sulla rivista Science nel luglio 2019, la ricerca è stata condotta negli ultimi tre anni in collaborazione fra il PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant'Anna, del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e il gruppo di Ratcliffe a Oxford. "Da sempre - ha detto Perata - il meccanismo di percezione dell'ossigeno negli animali e nelle piante era considerato diverso, così come da sempre si è guardato a piante e animali come a due mondi diversi". Oggi, ha aggiunto, "sappiamo che il meccanismo è molto simile e che è condiviso da piante e animali: é un esempio esempio molto bello di come la ricerca di base nelle piante può essere tradotta in applicazioni importanti, anche nell'uomo"

Nobel per la Fisica a Peebles, Mayor e Queloz, cacciatori di mondi alieni.




Sono un canadese e due svizzeri.

All'indomani dell'annuncio dei vincitori del Nobel per Medicina, il cosmologo James Peebles e i planetologi Michel Mayor e Didier Queloz sono stati premiati con il Nobel per la Fisica 2019 per le loro scoperte relative alla radiazione cosmologica di fondo e ai primi pianeti esterni al Sistema Solare: scoperte che hanno cambiato la nostra immagine dell'universo. 
Chi sono i vincitori.
Il Nobel per la Fisica 2019 è andato al canadese James Peebles, 84 anni, per il suo contributo alla radiazione cosmica di fondo, ossia l'eco del Big Bang che ha dato origine all'universo. Nato a Winnipeg nel 1935, ha lavorato nell'Università americana di Princeton. A lui è assegnata la metà del premio.
Gli svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz dividono l'altra metà del premio per la scoperta dei primi pianeti esterni al Sistema Solare. Michel Mayor, 77 anni, è nato a Losanna nel 1942 e ha insegnato nell'Università di Ginevra. Con il collega Didier Queloz, che ha lavorato fra le università di Ginevra e Cambridge, ha scoperto nel 1995 il primo pianeta estero al Sistema Solare intorno a una stella simile al nostro Sole.
DUE RICERCHE DIVERSE, ENTRAMBE RIVOLUZIONARIE.Sono due ricerche molto diverse, quelle che si dividono i tre premiati, ma entrambe hanno il merito di avere aperto strade nuove, capaci di portare a una nuova visione dell'universo. La scoperta di Peebles ha avuto il merito di avere osservato le tracce dell'evoluzione dell'universo dall'epoca del Big Bang, interpretandole al punto da proporre un'immagine completamente nuova, nella quale l'universo non era fatto soltanto di stelle, galassie e pianeti. 
La nuova immagine dell'universoLa materia visibile, anzi, lo occuperebbe solo per una minima parte, pari al 5% e il restante 95% sarebbe costituita dalla materia oscura, fatta di particelle invisibili e finora mai viste, e dall'energia oscura, anche questa dalla natura misteriosa. Scoprire la natura di questi oggetti misteriosi è la grande scommessa della fisica contemporanea, sulla quale stanno indagando centinaia di ricercatori in tutto il mondo e grandi progetti, come quelli condotti dal più grande acceleratore del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra.

Localizzazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale ruota il primo pianeta esterno al Sistema Solare mai scoperto, individuato da Michel Mayor e Didier Queloz (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”) 
Infiniti mondi.Mayor e Queloz hanno aperto un'altra porta sull'universo, altrettanto sorprendente, dimostrando che il nostro Sistema Solare non è affatto unico né un'eccezione nell'universo. Nel 1995 i due astronomi svizzeri hanno scoperto infatti il primo pianeta esterno al Sistema Solare, in orbita intorno alla stella 51 Pegasi e chiamato 51 Pegasi b. Era un gigante gassoso simile a Giove.

Localizzazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale ruota il primo pianeta esterno al Sistema Solare mai scoperto, individuato da Michel Mayor e Didier Queloz (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”)
Da allora nuovi pianeti sono stati scoperti con i telescopi basati a Terra e poi con i telescopi spaziali, come Hubble e i cacciatori di pianeti Kepler e Tess, entrambi della Nasa: è stata una vera e propria esplosione di scoperte che in poco più di 20 anni ha permesso di scoprire oltre 4.000 pianeti extrasolari. Molti di questi sono giganti gassosi come 51 Pegasi b, ma stanno diventando sempre più numerosi i pianeti rocciosi simili alla Terra.

L'area nella quale si è andati ginora in cerca di pianeti esterni al Sistema Solare, localizzata nella Via Lattea (fonte: © Johan Jarnestad/The Royal Swedish Academy of Sciences”) 
Fioramonti, studiare il cosmo aiuta lo sviluppo
Un premio che ricorda come studiare il cosmo possa diventare un motore per lo sviluppo: è anche questo, per il ministro per l'Istruzione, Università e Ricerca Lorenzo Fioramonti, il Nobel per la Fisica assegnato oggi a James Peebles, Michel Mayor e Didier Queloz.
 "E' un modo per ricordarci che la ricerca sull'universo non è importante solo dal punto di vista scientifico, ma può avere anche un impatto sul miglioramento dell'economia e dello sviluppo industriale", ha detto ancora il ministro a margine della presentazione dell'Expoforum europeo dedicato alla Space economy. Per il ministro un esempio dell'impatto che la ricerca sull'universo può avere sull'economia e lo sviluppo è la costruzione della più grande rete di radiotelescopi del mondo, chiamata Ska (Square Kilometre Array), "di cui l'Italia è capofila". 
Saccoccia (Asi), Italia protagonista della ricerca sull'universo.
"Il Nobel assegnato oggi - ha osservato - è un altro risultato straordinario che premia la ricerca sull'universo: un settore nel quale l'Italia è da sempre impegnata da protagonista. È fondamentale continuare a impegnarsi in questo campo".