Non è tutto finito, non dobbiamo
commettere lo stesso errore della scorsa estate. I vaccini stanno mettendo in
protezione gli over 60, dove si concentrava la maggioranza dei casi gravi e dei
decessi, ma resta molta strada da fare. Il secondo obiettivo da centrare è la
riduzione della circolazione del virus in tutta la popolazione: e non sarà
facile, come dimostra il caso inglese dove i contagi, nonostante le
vaccinazioni, si sono di fatto stabilizzati da oltre un mese. Alcuni dei risultati finora
raggiunti possono essere valutati con una doppia chiave di lettura, positiva o
negativa, a seconda di quale punto di riferimento si voglia utilizzare: il
picco delle fasi epidemiche, oppure l’obiettivo ideale da raggiungere per
mettere la Covid-19 davvero sotto controllo. Insomma, le cose vanno meglio, anzi molto meglio rispetto al
passato. Ma sarebbe un errore imperdonabile affidarsi solo ai
vaccini, trascurando le altre misure che restano indispensabili per arrivare
all'obiettivo finale: tornare a una vita davvero normale, senza colori o
limitazioni di sorta.
La fase attuale dell'epidemia.
Iniziamo come sempre la nostra
analisi facendo il punto sulla situazione della Covid-19 in Italia.
Utilizzeremo i dati dell'ultima settimana epidemiologica completa (15-21
maggio) per assorbire le oscillazioni giornaliere che spesso dipendono da fattori
che si ripetono ciclicamente: per esempio il calo dei test e di conseguenza dei
positivi rilevati durante i weekend. A livello nazionale i nuovi casi sono
stati 36.754, con un calo di 17.244 unità (-31,9%) rispetto ai 53.998 del
periodo precedente (8-14 maggio). La media giornaliera dei positivi
rilevati scende da 7.714 a 5.250, e si avvicina sensibilmente al valore soglia
indicato dall'Istituto superiore di Sanità (4.311, ovvero 50 casi alla
settimana per 100.000 abitanti) come punto di svolta per la ripresa in piena
efficienza delle attività di tracciamento sul territorio. Si tratta del primo
obiettivo da centrare senza indugi, perché un'epidemia viene messa sotto
controllo solo quando il contact tracing riesce a gestire il numero dei casi
rilevati: ovvero quando, oltre a rilevare il maggior numero possibile di
individui infettati, riesce a ricostruire i contatti (e possibilmente i
contatti dei contatti) isolandoli per il necessario periodo di osservazione
(per la Covid-19 due settimane). Che si stia avvicinando questo
importante traguardo è testimoniato anche dall'ultimo Report esteso dell'Iss, che rileva come
nell'ultima settimana il 33,7% dei positivi sia stato rilevato grazie alle
attività di contact tracing, superando il 31,2% dei positivi individuati e
testati perché sintomatici. Questa inversione dei valori si verifica dopo mesi
nei quali si osservava una chiara prevalenza dei test eseguiti sui soggetti con
sintomi: una condizione che riflette non solo l'alta circolazione del virus sul
territorio, ma anche l’impossibilità di avere un approccio mirato al
tracciamento dei contatti. Quando invece prevalgono le positività riscontrate
grazie al contact tracing significa che la rete di sorveglianza può lavorare al
meglio, individuando i soggetti infettati e impedendo al virus di sfruttare il
classico effetto moltiplicatore riflesso da valori crescenti di Rt. Tornando ai dati dell'ultima
settimana epidemiologica è anche importante rilevare come stia scendendo in
modo consistente il numero dei nuovi ingressi in terapia intensiva: 468 tra il
15 e il 21 maggio, con un calo del 29,5% dai 664 della settimana precedente, ma
soprattutto del 75,2% rispetto al massimo di 1.892 registrato nella settimana
epidemiologica 13-19 marzo, nel corso della terza fase espansiva del contagio. I dati inducono a un attento, se non
cauto, ottimismo anche se valutati a livello regionale. In particolare
considerando le Regioni che abbiamo monitorato in modo costante negli ultimi
mesi in quanto “motore” principale della fase di crescita delle infezioni:
sempre nel periodo 15-21 maggio in Lombardia, della quale occorre valutare i
numeri considerando che rappresenta da sola un sesto della popolazione
italiana, i nuovi casi sono stati 6.009, in calo del 25,2% sugli 8.035 della
settimana precedente; in Campania 5.001 (-37,9% da 8.055); in Veneto 1.999
(-34,0% da 3.031) e in Emilia Romagna 2.859 (-30,7% da 4.130). Oltre ai valori assoluti, che non
permettono una valutazione comparata tra aree geografiche diversamente
popolate, è importante considerare i numeri visti in precedenza in rapporto
alla popolazione residente: al primo posto si trova la Campania con 87,7 nuovi
casi per 100.000 abitanti, seguita da Emilia Romagna (64,9 casi per 100.000),
Lombardia (60,0) e Veneto (41,6).
Test in calo, un errore da non ripetere.
Ai dati positivi che abbiamo appena
visto si accostano, purtroppo, quelli negativi sul fronte dei test eseguiti: il
massimo è stato registrato nella settimana epidemiologica 10-16 aprile, con il
numero record di 2.051.720 tamponi. Da lì è iniziata una fase di riduzione:
dapprima moderata (-0,9% sia nella settimana 17-23 aprile, sia in quella 24-30 aprile),
poi via via più consistente con il -3,0% del periodo 1-7maggio e il -4,0% di
quello 8-14 maggio. Per arrivare fino al -9,9% dell'ultima settimana. Il calo
cumulato, dal momento di picco, raggiunge ormai il 17,7%.La strategia di riduzione dei test eseguiti,
che implica una parallela e ovvia riduzione dei positivi individuati,
costituisce una fin troppo intuibile scorciatoia per ottenere (o mantenere nel
tempo) gli allentamenti legati al cambio di colore e della relativa fascia di
rischio. E non è per nulla nuova, come abbiamo visto alla fine dello scorso anno:
quando fu propedeutica non alla soluzione del problema, ma a una ripresa del contagio
che sarebbe esploso tre mesi più tardi.Attualmente la situazione è diversa,
grazie alla disponibilità dei vaccini: è difficile ipotizzare una nuova ondata
epidemica come quelle vissute in passato (primavera ed autunno 2021, fine
inverno 2021) ma non dobbiamo dimenticare che la maggior parte della
popolazione è ancora priva di protezione e costituisce un bacino importante nel
quale il virus può circolare in modo efficace. Ne vedremo più avanti i
possibili rischi.Un altro elemento negativo, per quanto
riguarda l'esecuzione dei test, è costituito dal basso numero di tamponi
molecolari: che ormai rappresentano solo il 53,9% del totale a fronte di una
progressiva crescita dei tamponi rapidi. Che non solo individuano meno positivi
rispetto a quelli molecolari, ma in più sono del tutto inutilizzabili per il
sequenziamento del materiale virale e il riconoscimento delle varianti.Per capire il rischio collegato a
questa diminuzione dei test usiamo volutamente un parallelo con il Regno Unito,
che entra spesso nei confronti per quanto riguarda gli allentamenti e la
ripresa delle attività, molto meno in quelli sulle misure adottate per
fronteggiare l'epidemia. Se utilizziamo i rispettivi dati aggregati, con i dati
disponibili e consolidati possiamo confrontare la nostra ultima settimana
epidemiologica con quella 14-20 maggio del Regno Unito, pur tenendo conto della
differenza di popolazione (peraltro non eclatante, 66 milioni contro 60 milioni
in Italia). I test totali eseguiti in Uk sono stati 6.083.150 contro 1.687.084
in Italia; i tamponi molecolari 1.800.560 contro 909.550 in Italia (le medie
giornaliere sono rispettivamente 257.222 e 129.935).L'effettuazione dei test durante le
fasi di allentamento delle restrizioni è una delle regole fondamentali
dell'epidemiologia, e segue precise logiche che proveremo a sintetizzare di
seguito. Secondo l'ultimo Report esteso dell'Iss il 16,8% dei
nuovi positivi, nel periodo 3-16 maggio, è stato individuato proprio grazie
alle attività di screening: in pratica 1 caso su 6, dato che pone l'accento
sull'importanza di mantenere il più possibile elevato il numero dei test
tampone, e non di diminuirne progressivamente il numero come invece si sta
verificando da qualche settimana, in coincidenza con gli allentamenti delle
restrizioni.Come abbiamo visto si tratta di una
situazione purtroppo già vissuta in passato, perché meno test hanno come logica
ricaduta meno positivi individuati, e quindi minori restrizioni. E ignorare i
positivi è la cosa peggiore che si possa fare perché restano liberi di
circolare e trasmettere il contagio.Inoltre, quando si attraversa una fase di
riduzione dei casi, in assenza di numeri elevati di soggetti sintomatici da
testare sono proprio le attività di screening a consentire l'individuazione
(magari in modo del tutto casuale) dei soggetti positivi e asintomatici,
prevenendo la formazione di focolai e cluster importanti.Esattamente come accade per altri
indicatori che abbiamo imparato a conoscere, anche per i test esistono curve
che si esprimono in modo differente a seconda della fase epidemica: quando il
numero dei casi è molto (troppo) alto prevalgono i positivi individuati perché
sintomatici; quando i contagi iniziano a calare (come in questo momento)
prevalgono quelli rilevati con il contact tracing; quando i valori scendono a
livelli molto bassi quelli individuati grazie alle attività di screening, sulle
quali bisogna spingere al massimo per ripulire il territorio da soggetti non
individuabili diversamente.Per questo motivo la riduzione in
corso dei test eseguiti è un non senso dal punto di vista epidemiologico: il
numero dei test dovrebbe essere almeno mantenuto costante, spostando
l'attenzione dalle verifiche sui soggetti con sintomi (ora in calo) alla
verifica di gruppi di popolazione individuati su base statistica e in grado di
restituire una visione corretta della diffusione del contagio sul territorio.
Senza trascurare l'importanza di avere a disposizione, grazie ai soli test
molecolari, materiale genetico virale da esaminare per l'individuazione delle
varianti: meglio se costante, sistematica e giornaliera, come accade nel Regno
Unito, piuttosto che affidata a flash survey come
avviene in Italia restituendo al massimo un'immagine istantanea della
situazione.
Obiettivi raggiunti da raggiungere.
Il primo importante traguardo è
stato quasi raggiunto, con la messa in sicurezza di una larga parte della
popolazione più anziana con “almeno” una dose di vaccino: mentre scriviamo il
63,6% tra i 60 e 69 anni; il 79,5% tra 70 e 79 anni; il 90,3% tra 80 e 89 anni
e il 92,7% degli over 90. Buono anche il risultato ottenuto con le doppie
somministrazioni, che ormai superano l'80% nella popolazione over 80. Una
situazione che ha permesso di centrare un secondo obiettivo, la forte riduzione
dei ricoverati, dimezzati dal 3 al 23 maggio, e un terzo con la parallela
discesa dei decessi: che nell'ultima settimana hanno registrato una media
giornaliera di 152, contro i 237 della prima settimana di maggio. I vaccini
agiscono in questo momento proprio sui soggetti più esposti a forme gravi della
Covid-19, con oltre il 96% dei decessi concentrato tra gli over 60 da inizio
epidemia. Considerando però gli obiettivi da
raggiungere dobbiamo guardare le due facce della medaglia: non solo quella che
ci porta a essere soddisfatti per aver già vaccinato il 35,4% della popolazione
generale, un dato che non sembrava alla nostra portata solo un paio di mesi fa;
ma anche l'altra, quella che ci dice come il 64,6% della popolazione sia ancora
da vaccinare. Includiamo in questo numero anche le persone che hanno contratto
la malattia e sviluppato anticorpi per via naturale, perché non sappiamo
esattamente quanto duri la protezione indotta dall'infezione (in via
cautelativa si pone un limite di circa sei mesi). Allo stesso modo possiamo guardare
con molta soddisfazione alla riduzione dei nuovi casi, come abbiamo visto in
precedenza ormai vicini alla soglia che permette la ripresa del tracciamento;
ma non possiamo dimenticare che la circolazione del virus è tutt'ora molto
sostenuta. Lo vediamo chiaramente dal confronto con i dati del maggio 2020,
quando l'Italia stava attraversando una fase epidemica molto simile a quella
attuale fatta di allentamenti e di una rapida riduzione delle infezioni. Un
anno fa (settimana epidemiologica 18-24 maggio) i nuovi positivi erano stati
4.423, con una media giornaliera di 631; in quella 15-21 maggio 2021 sono stati
36.754, con una media giornaliera di 5.250. I vantaggi innegabili del vaccino
non impediscono quindi una circolazione del virus quasi 9 volte superiore a
quella dello scorso anno: lasciando spazio a una ancora possibile ripresa del
contagio, anche se probabilmente non a una nuova ondata epidemica come quelle
vissute in passato, ma piuttosto a una crescita progressiva soprattutto nelle
fasce più giovani della popolazione. Motivo che dovrebbe consigliare, come del
resto viene raccomandato (ma sempre meno rispettato) il mantenimento delle
misure di prevenzione personali: prime fra tutte l'uso delle mascherine e il distanziamento
interpersonale. Parlare di togliere le mascherine in
questa fase non solo è prematuro, ma rischia di generare una percezione di
eccessiva confidenza e sicurezza che potrebbe portare ad allentare
ulteriormente le precauzioni quotidiane. Non dobbiamo inoltre dimenticare che
più il virus circola, più si replica, più commette errori (mutazioni) nel
farlo, più aumenta la probabilità che venga selezionata una variante in grado
di eludere (in quel caso si spera solo parzialmente) la risposta immunitaria
indotta dal vaccino. In questa fase, dove gran parte della popolazione è
protetta con una singola dose, aumenta il rischio che venga selezionata proprio
una variante venuta a contatto con la risposta anticorpale dei soggetti
parzialmente protetti, e sopravvissuta ad essa. Ed è quindi fondamentale
abbattere il più possibile il numero dei nuovi casi, riducendolo a livelli
prossimi allo zero: come non siamo riusciti a fare la scorsa estate.
Il caso inglese: i nuovi positivi hanno smesso di scendere.
Che i vaccini siano una delle armi,
anche se la migliore e più importante, ma non l'unica contro il Sars-CoV-2 lo
possiamo vedere utilizzando di nuovo i dati del Regno Unito. Anche in questo
caso non per dire che tutto va bene a prescindere, ma per prendere atto di una
situazione che sta creando qualche preoccupazione oltre Manica. Nonostante il procedere rapidissimo
della campagna vaccinale (il 24 maggio risultava protetto con almeno una dose
il 72,3% della popolazione, con doppia dose il 43,5%) da metà aprile il numero
dei nuovi casi ha smesso di scendere, passando a una fase stabile con numeri
oscillanti tra 1.800 e 2.300 positivi giornalieri. Questa difficoltà
nell'abbattere ulteriormente la circolazione virale, in presenza della variante
indiana che è ancora allo studio per quanto riguarda le principali
caratteristiche, inclusa la risposta al vaccino, ha portato alla decisione di
abbreviare l'intervallo tra prima e seconda dose: dopo che proprio il Regno
Unito aveva fatto da apripista nell'aumentare l'intervallo di tempo tra le due
somministrazioni.
In conclusione.
1) Finalmente abbiamo a portata di
mano la possibilità di controllare l'epidemia, ovvero di costringerla a
muoversi secondo i nostri obiettivi invece di inseguirla come abbiamo fatto
finora.
2) Abbiamo quasi raggiunto l'obiettivo di rendere la Covid-19 una patologia con
effetti clinici gestibili grazie alla protezione, per quanto ancora parziale,
della popolazione più anziana e quindi più esposta a forme gravi della
malattia.
3) Allentare le misure di precauzione in questa fase potrebbe comportare il
doppio rischio di permettere una circolazione virale sostenuta tra i giovani e
di selezionare nuove varianti resistenti al vaccino grazie ai ceppi
sopravvissuti a una risposta immunitaria ancora incompleta (nell'intervallo tra
prima e seconda dose).
4) Il periodo estivo, con l'auspicato e auspicabile da un punto di vista
economico arrivo di decine di milioni di turisti provenienti dall'estero,
concentrerà ulteriormente la popolazione in alcune aree del Paese (mare,
montagna, città d'arte) aumentando il problema dei controlli e la possibilità
di diffusione del virus.
5) La prosecuzione di una strategia di estrema attenzione, oltre a consentire
la messa in protezione di tutta la popolazione ad alto rischio, è fondamentale
per abbattere la circolazione sul territorio del Sars-CoV-2. Un tema non
trascurabile, come abbiamo visto dall'esempio inglese.
6) In questa fase deve essere assolutamente evitata una riduzione delle
attività di tracciamento, mantenendo un alto numero di test effettuati: già
oggi insufficiente, in particolare per quanto riguarda i tamponi molecolari e
il conseguente sequenziamento del materiale genetico virale. Nessun liberi tutti, quindi, per
almeno un po' di mesi. Dare al virus nuove opportunità proprio mentre lo stiamo
battendo non sarebbe accettabile, né giustificabile. Senza dimenticare che
sentirsi al sicuro perché abbiamo risolto il problema in Italia, senza curarsi
degli oltre 7 miliardi di persone che abitano il pianeta, significa attuare con
precisione matematica la strategia dello struzzo.
IlSole24Ore