venerdì 7 settembre 2018

C'è grossa crisi. - Marco Travaglio - FQ 07 settembre 2018

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Lungi da noi insegnare agli oppositori del governo come non si fa l’opposizione, anche perché a non farla riescono benissimo da soli. Ma, curiosi come siamo, vorremmo capire. Perché oggi – come diceva Quèlo di Corrado Guzzanti – c’è grossa crisi. Se il governo populista, sovranista, anti-Europa, anti-vaccini, anti-scienza, anti-tutto, razzista, fascista, incompetente, incapace, giacobino e malavitoso (e questi sono solo i suoi lati migliori) è un “pericolo per l’Italia” (Renzi) e l’anticamera di una “deriva sudamericana” (Martina), non ci meraviglia tanto il suo consenso al 70%: gli elettori hanno sempre torto, da quando sbagliano a votare. No, incuriosisce che, appena ne fa una giusta, il Pd lo accusi di plagio. È capitato col ripristino dell’obbligo dei vaccini e della relativa documentazione per mandare i figli a scuola e all’asilo (“Una nostra vittoria!”, come se un partito del 18% potesse mettere sotto una coalizione del 50 e rotti). Ed è riaccaduto ieri sul caso Ilva, cioè sul successone ottenuto da Di Maio e dai sindacati dopo tre mesi di braccio di ferro con Mittal e con i suoi amichetti pidini spalmati sul colosso indiano secondo il collaudato modello Benetton-Autostrade. Alla fine, ricattata da Di Maio con la minaccia di revocare la gara made in Calenda (piena di vizi, per Anac e Consiglio di Stato) per spuntare vantaggi occupazionali e ambientali, Mittal ha dovuto cedere su tutta la linea, firmando un accordo migliore di quello avallato dal mitico Calenda.
Ora chi vaticinava (“gufava”, direbbe Renzi) disastri, sfracelli e catastrofi con la fine dell’acciaio italiano e migliaia di famiglie sul lastrico a causa della nota incompetenza del ministro che “faceva lo steward allo stadio San Paolo”, “non ha mai lavorato”, sbaglia i congiuntivi e pensa che il corpo umano sia al 90% acqua, ha solo due strade: o si scusa e riconosce che Di Maio ha condotto bene la trattativa, salvando più ambiente e più posti di lavoro di quelli spuntati dal Signor SoTuttoIo; o si scava una fossa e si ficca per non uscirne più. Invece i renziani (“rosiconi”?) scelgono una terza via: dire, con grave sprezzo del ridicolo, che è tutto merito loro. Intanto persino Mattarella e i sindacati (dal calendiano Cisl Bentivogli alla Cgil) elogiano il vicepremier. E financo Calenda fa “complimenti non formali a Di Maio”, dopo aver trascorso gli ultimi tre mesi a chiamarlo “ragazzino incapace, incoerente, incompetente, confuso, dilettante”, specialista in “idiozie”, “speculazioni”, “fesserie”, “scaricabarile”. Poi però aggiunge che Di Maio ha “cambiato idea e finalmente imboccato la strada giusta”: che sarebbe la sua.
Peccato che Di Maio avesse sempre definito “insoddisfacenti” gli impegni presi da Mittal con Calenda e ne abbia spuntati di migliori. Ma vallo a spiegare a Martina, Bellanova, Morani, Picierno, Rosato (ma sì, pure lui), Anzaldi e agli altri twittatori-pappagalli, che cinguettano come una Xerox sulla “retromarcia” di Di Maio, mentre qui l’unica marcia indietro l’ha fatta Mittal, costretta a cedere proprio da lui con quella che i pidini definiscono “sceneggiata”. Poi c’è Renzi. Sentitelo: “12 decreti per salvare Ilva e oggi il nuovo Governo cambia idea e riconosce il lavoro fatto. Bene. Solo grazie a chi ci ha messo il cuore, a cominciare da Andrea Guerra, Federica Guidi, Carlo Calenda, Teresa Bellanova”. Pure la Guidi, cacciata da lui: uno spettacolo. Naturalmente i 12 decreti Salva-Ilva di B., Monti, Letta e Renzi non c’entrano nulla con l’accordo di ieri: servivano a risparmiare o rinviare alle calende greche le bonifiche ambientali dei precedenti padroni (i Riva) e poi dei commissari, mettendoli al riparo dalla magistratura. E il governo non riconosce affatto il buon lavoro di quelli precedenti: stringe un nuovo accordo più vantaggioso.
Ma facciamo finta che le cose stiano così, cioè che i 5Stelle stanno copiando il Pd, dai vaccini all’Ilva: perché allora il Pd non s’è neppure seduto al tavolo con loro, visto che vogliono e fanno le stesse cose? E come può il Pd considerare pericoloso, disastroso, catastrofico un governo che copia il Pd? Ci permettiamo di domandarlo fin dal primo giorno, quando Renzi annunciò di volersi godere “con i pop-corn” il governo giallo-verde. Poi però comunicò che era una minaccia per l’Italia, senza spiegare perché avesse fatto di tutto per propiziarlo e nulla per risparmiarcelo. In contemporanea, sfidò pure Salvini e Di Maio a “mantenere le loro folli promesse”. E lì rischiò su due piedi il Tso: se un politico sano di mente ritiene folli certe promesse, dovrebbe augurarsi che non vengano mai mantenute e fare di tutto perché restino sulla carta, non perché si realizzino. Ora i suoi eventuali fan, già piuttosto disorientati, gli sentono dire, testuale: “Vedere Salvini e Di Maio difendere gli 80 euro non ha prezzo. Sono il Governo del cambiamento, infatti cambiano idea ogni giorno. E mi copiano. Ora aboliranno un ramo del Parlamento (che lui non aboliva, ndr) e il Cnel, poi faranno il referendum costituzionale. Alla fine dovrò chiedere il copyright”. Così il sempre eventuale elettore Pd tira un bel sospiro di sollievo: ah meno male, è come se governassimo ancora noi, quindi non c’è da preoccuparsi e non c’è bisogno di scendere in piazza contro “il governo dell’odio”. Al massimo, del plagio.
Ps. A proposito di plagi. “Fanno il Daspo ai tifosi, va fatto il Daspo ai politici che prendono le tangenti: mai più”. Chi l’ha detto? L’allora premier Renzi. Era il 7 maggio 2014. Poi purtroppo se lo scordò. E ora il Daspo ai corrotti lo fa Bonafede. Se ne desume che, se Renzi manteneva le promesse di B. (Jobs Act, art. 18, Buona Scuola, attacchi ai pm, regali agli evasori ecc.), i 5Stelle mantengono quelle di Renzi. Almeno quelle buone, infatti mai mantenute.

Furbetti del cartellino, 26 arresti alla Provincia di Massa Carrara: ci sono anche capo della polizia e autista del presidente.

Furbetti del cartellino, 26 arresti alla Provincia di Massa Carrara: ci sono anche capo della polizia e autista del presidente

Gli indagati sono in tutto 70. Il gip: "Spiccato senso di impunità". Dopo una fuga di notizie sull'installazione di telecamere da parte dei carabinieri, infatti, in molti avrebbero continuato a fare assenze ingiustificate. Nelle carte si trova di tutto: da chi svolgeva un altro lavoro a chi partecipava a messe e funerali fino a chi fingeva di rientrare ma usciva di nuovo.

“Una lunga, consolidata e diffusa prassi di assenteismo ingiustificato, realizzato attraverso un sistematico ed ingegnoso aggiramento delle regole che disciplinano il rapporto di pubblico impiego”. Con questa motivazione il gip di Massa Alessandro Trinci ha deliberato l’arresto per 26 dipendenti della provincia di Massa Carrara e del Genio Civile di Massa, mentre per altri 3 è scattata la misura cautelare del divieto di dimora. In tutto sono 70 gli indagati dal procuratore capo di Massa Aldo Giubilaro e dal sostituto Roberta Moramarco: impiegati pubblici che in un arco di tempo molto lungo (da ottobre 2016 a maggio 2018) sono stati monitorati mentre “sottraevano 2600 ore di lavoro alla pubblica amministrazione, cagionando un esorbitante danno erariale nonché disservizi ai cittadini e nocumento al corretto andamento e buon funzionamento” degli uffici pubblici. In tutto si tratta di almeno 5mila episodi di assenze. E non solo: gli indagati avrebbero manifestato “uno spiccato senso di impunità tanto che, nonostante i chiari segni di una inchiesta penale in corso, “dopo una iniziale limitazione o interruzione dell’attività delittuosa, hanno ripreso con regolarità le loro condotte decettive e truffaldine nei confronti dell’Ente di riferimento”.

In particolare, spiegano gli inquirenti, gli stratagemmi adottati per assentarsi dal luogo di lavoro consistevano in timbrature omesse simulate, effettuate in luoghi non autorizzati o tramite familiari o colleghi compiacenti, e false certificazioni. L’operazione di questa mattina ha visto impiegati 110 militari e ha portato anche a una serie di perquisizioni nelle abitazioni degli arrestati, a Massa, a Carrara, Montignoso, Sarzana, Viareggio e Pisa. Tra i colpiti dalle misure cautelari il comandante della Polizia provinciale, l’autista del presidente della Provincia e un messo notificatore dello stesso ente.
L’inchiesta è partita due anni fa dopo la segnalazione di un dipendente a un carabiniere sul doppio lavoro di un collega, finendo per scoprire un fenomeno più esteso e che le ragioni per le assenze era le più varie come andare a fare la spesa o al mercato,accompagnare i figli a scuola, partecipare a messe e funerali e in due casi per svolgere un altro lavoro: uno degli arrestati avrebbe aiutato la moglie nella tabaccheria di famiglia, un altro nel bar (sempre di proprietà) a pochi passi dallo stesso palazzo della Provincia. E’ emerso anche che le auto di servizio, anche quelle della polizia provinciale, venivano usate per spostamenti privati e commissioni di ogni genere. Quanto alle modalità delle assenze, succedeva che le missioni realmente commissionate dagli enti, anche fuori provincia, come sopralluoghi e riunioni, duravano sempre molte ore più del tempo effettivamente trascorso fuori per lavoro. Oppure i dipendenti coinvolti timbravano il cartellino per uscire a prendere un caffè, rimanevano nei paraggi pochi minuti poi timbravano nuovamente fingendo di essere tornati in ufficio mentre uscivano ancora, anche passando da porte secondarie, per stare fuori ore. Nel corso dell’inchiesta c’è stata anche una fuga di notizie, dopo un anno di indagini, sulle telecamere piazzate dai carabinieri negli uffici pubblici: alcuni dipendenti si sarebbero spaventati interrompendo le assenze (sono gli indagati non raggiunti da misura cautelare), altri avrebbero invece reiterato il reato per quasi un altro anno.

La Regione Toscana ha deliberato in una riunione tenuta questo pomeriggio che saranno licenziati senza preavviso i dipendenti regionali per i quali risultasse accertata la falsa attestazione della presenza in ufficio. Alcuni tra gli indagati, infatti, con il trasferimento di competenze dalle Province alle Regioni erano passati alle dipendenze dell’amministrazione regionale. I sindacati del pubblico impiego esprimono fiducia nella magistratura e affermano che si tratta di comportamenti, se confermati, “intollerabili” e “da condannare“.

Voti in cambio case: arrestati ex amministratori Lecce.





Sono 46 le persone indagate.


Ex amministratori comunali, consiglieri comunali, alcuni dei quali ancora in carica, e dirigenti del Comune di Lecce vengono arrestati in queste ore dai militari della Guardia di Finanza. Gli arresti sono stati richiesti dai Pm Massimiliano Carducci e Roberta Licci. Sono 46 le persone indagate, tutte a vario titolo accusate per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, abuso d'ufficio e falso ideologico. Voti elettorali sarebbero stati 'scambiati' con alloggi popolari.
Compare anche il nome del senatore leccese della Lega Roberto Marti tra i 34 indagati che non sono stati raggiunti da alcun provvedimento restrittivo. Marti, dal 2004 al 2010, è stato assessore a Lecce ai Servizi sociali, ai progetti mirati e alle pari opportunità. Il reato contestato é abuso d'ufficio e falso ideologico.
http://www.ansa.it/puglia/notizie/2018/09/07/voti-in-cambio-case-arrestati-ex-amministratori-lecce-_6bfe9c42-0126-461d-af94-ed7994ee2904.html

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Lecce, voti in cambio di case popolari: arrestati ex amministratori e consiglieri comunali. Indagato senatore della Lega.

Sette le misure di custodia cautelare, anche nei confronti dell'ex assessore e attuale consigliere comunale Attilio Monosi (centrodestra), del consigliere comunale Pd Antonio Torricelli e dell'ex assessore della giunta Perrone Luca Pasqualini (centrodestra). Tutti gli indagati sono accusati di associazione a delinquere, peculato, corruzione, corruzione elettorale, abuso d’ufficio, falso, occupazione abusiva, violenza privata e lesioni. Sotto inchiesta anche il senatore leghista Roberto Marti.

Sette persone arrestate e 46 indagati a Lecce. Sono ex amministratori comunali, consiglieri – alcuni dei quali ancora in carica – e dirigenti, tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, abuso d’ufficio e falso ideologico. Scambiavano voti per alloggi popolari. Sono finiti ai domiciliari l’ex assessore e attuale consigliere comunale Attilio Monosi (centrodestra), il consigliere comunale Pd Antonio Torricelli, l’ex assessore della giunta Perrone Luca Pasqualini (oggi consigliere di centrodestra), il dirigente comunale Lillino Gorgoni e il 27enne Andrea Santoro. Interdittiva invece per i dirigenti e funzionari dell’ufficio casa Piera Perulli, Giovanni Puce, Paolo Rollo e Luisa FracassoTra gli indagati c’è anche il senatore della Lega, Roberto Marti, ex assessore leccese, il cui nome era emerso già oltre un anno fa in un altro filone dell’inchiesta sulle case popolari. Gli arresti sono stati richiesti dai pm Massimiliano Carducci e Roberta Licci. Il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, è sostenuto da una maggioranza di centrosinistra ed è stato eletto nel 2017, dopo 20 anni di amministrazione di centrodestra.

I finanzieri del Comando Provinciale di Lecce, al termine di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica, hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 9 persone (di cui due in carcere, cinque agli arresti domiciliari e due con obblighi di dimora), indagati a vario titolo per reati di associazione a delinquere, peculato, corruzione, corruzione elettorale, abuso d’ufficio, falso, occupazione abusiva, violenza privata e lesioni. Secondo quanto riporta il Nuovo Quotidiano di Puglia, a Pasqualini viene contestata anche l’accusa “di avere approfittato delle prestazioni di una donna” che “sarebbe la moglie di un uomo residente nel Quartiere Stadio che sarebbe stato particolarmente raccomandato all’assessore per avere una casa parcheggio“. Le indagini, scrive il quotidiano leccese, hanno documentato uno scambio di telefonate e messaggi con questa donna con cui ci sarebbero stati due incontri.

L’ordinanza di 800 pagine, che ha interessato, tra gli altri, amministratori pubblici pro-tempore e dipendenti della amministrazione comunale, è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Giovanni Gallo, in seguito a richiesta avanzata dalla Procura nel mese di dicembre dello scorso anno nell’ambito di indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Lecce. Secondo l’ipotesi di reato formulata dai magistrati, è stata accertata l’assegnazione indebita di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica in favore di persone non collocati in graduatoria in posizione utile, l’occupazione abusiva di alloggi resisi disponibili per l’assegnazione nonché l’accesso illegittimo a forme di sanatoria di cui alla Legge Regionale 10 del 2014 concesse in assenza dei requisiti richiesti. Si tratta di comportamenti che al momento non vedono coinvolti ulteriori soggetti oltre a quelli colpiti dalla misura cautelare di oggi. Secondo i magistrati la finalità era quella di acquisire consenso elettorale dei potenziali beneficiari di alloggi pubblici.
Dalle intercettazioni telefoniche e dai capi di imputazione che compaiono nella corposa ordinanza, ci sono anche nomi di vari big della politica locale e nazionale, ma il loro coinvolgimento nel mercato illecito dello scambio di voti in cambio di alloggi popolari è stato escluso dagli investigatori. Le indagini a loro carico non hanno prodotto alcun elemento che ne attestasse il coinvolgimento. Nell’ordinanza vengono ricostruiti su fonti di prova, concrete, episodi e modalità con cui avveniva il giro del mercato illecito legato all’assegnazione degli alloggi popolari in cambio di voti elettorali.

L’inchiesta principale, aperta tre anni fa, aveva conosciuto un primo momento di svolta nel pieno della campagna elettorale 2017, quando emerse il nome dell’allora sindaco Paolo Perrone, l’ex primo cittadino Adriana Poli Bortone, gli ex assessori alle Politiche giovanili e al Welfare, Damiano D’Autilia e Nunzia Brandi; i due ultimi segretari comunali Domenico Maresca e Vincenzo Specchia; il capo di Gabinetto Maria Luisa De Salvo; i dirigenti Luigi ManiglioNicola Elia e Raffaele Attisani; l’ex consigliere regionale di Azzurro Popolare Aldo Aloisi. Intere palazzine di via Potenza, via Pistoia, Piazzale Cuneo e Piazzale Genova sarebbero state assegnate con criteri poco trasparenti, tra il 2006 e il 2016. Per almeno 28 appartamenti, cioè, si sospettano attribuzioni senza requisiti, a colpi di sanatorie di occupazioni abusive, semplici delibere, passaggi indebiti dalle case parcheggio agli alloggi. Il tutto con la presunta influenza degli amministratori e commistione dei dipendenti di Palazzo Carafa, per agevolare precisi gruppi di inquilini. Tra questi ci sono anche persone ritenute vicine ai clan della Scu.

Cdm approva ddl Anticorruzione. Daspo a vita per reati sopra i due anni. - Vittorio Nuti

Via libera del Consiglio dei ministri al Ddl Bonafede con “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione”, ribattezzato dal M5S “Spazzacorrotti”. Alla riunione era assente il vicepremier Matteo Salvini, scettico sulle misure fortemente volute dall’alleato di governo. Tra le novità, il cosiddetto “Daspo” a vita per corrotti e corruttori con condanne superiori a due anni con interdizione dai pubblici uffici e incapacità a contrarre con la Pa e l'introduzione dell'agente sotto copertura nelle operazioni di polizia anche per i reati conto la Pa. Previste anche agevolazioni a chi collabora con gli inquirenti ma solo a rigide condizioni. In apertura di conferenza stampa il premier Giuseppe Conte sottolinea come il ddl «si inquadra nell'ambito delle riforme strutturali che servono al Paese». Con esso il governo punta a «restituire al nostro Paese competitività. L'Italia ha risorse culturali, economiche e sociali: bisogna cercare di realizzare le condizioni perchè queste potenzialità si sviluppino».
Stop alla privacy per chi finanzia partiti e fondazioni.
A sorpresa spunta anche lo stop alla privacy e al segreto sui nomi di chi finanzia anonimamente i partiti politici e le fondazioni che a questi fanno riferimento. Questo, spiega il vicepremier Luigi Di Maio ai giornalisti, «consentirà di capire come mai negli anni abbiamo visto spesso comportamenti contro i cittadini», con la politica sempre capace «di trovare miliardi di euro per i gruppi di potere e non per le esigenze dei cittadini». La lotta alla corruzione, conclude, «farà risparmiare miliardi di euro allo stato che potremo utilizzare per le imprese e per le persone senza lavoro, per la scuola, la sanità e i servizi pubblici».
Daspo a largo raggio.
L’elemento di maggiore novità sottolineato dal Guardasigilli Alfonso Bonafede nel suo intervento riguarda il cosiddetto “Daspo” (in pratica, il divieto di avere rapporti con la Pa associato all’intedizione dai pubblici uffici ) per corrotti e corruttori, anche nei casi considerati meno gravi. In pratica, chi corrompe o si fa corrompere non potrà avere alcun rapporto con lo Stato per almeno cinque anni. Il Ddl prevede poi il “Daspo” a vita per i corrotti condannati oltre i due anni di reclusione, con l’allontanamento dai pubblici uffici anche se si ottengono la sospensione condizionale (o patteggiamento) e la riabilitazione decretata da un giudice. In quest'ultimo caso gli effetti del Daspo cessano solo dopo 15 anni da quando la pena è stata espiata e sempre in caso di buona condotta.
I dubbi su Daspo “perpetuo” e riabilitazione.
La modifica mirata delle nuove norme anticorruzione messe a punto questa estate dal Guardasigilli Alfonso Bonafede era nell'aria. Nonostante il pressing del vicepremier Luigi Di Maio e la campagna sui social avviata dal M5S, la prima versione del provvedimento “spazza-corrotti” aveva fatto storcere il naso al leader della Lega Matteo Salvini, che ieri metteva in guardia dal permettere «processi sommari» contro gli accusati di corruzione, pur confermando la necessità di combattere senza quartiere il fenomeno. A pesare anche i dubbi di incostituzionalità di diversi giuristi per le pene accessorie “senza scadenza” come appunto l’interdizione dai pubblici uffici e l'incapacità a contrarre con la Pa. Dubbi che sarebbero stati sottolineati tra gli altri anche dal premier Giuseppe Conte, di professione avvocato.
Ddl atteso alla Camera. Le critiche dell’opposizione.
Dopo il via libera del governo, il ddl Bonafede verrà incardinato alla Camera, in commissione Giustizia, guidata dalla pentastellata Giulia Sarti. L’opposizione preannuncia una lotta senza quartiere al provvedimento, definito senza mezzi termini «mostro giuridico» da Enrico Costa, capogruppo di FI nella stessa commisisone. L’accusa è di stravolgere «i principi su cui si fonda il sistema penale. 
Le argomentazioni del Governo sono agghiaccianti : ci sono pochi processi per corruzione, allora, per migliorare le statistiche, lo Stato diventa regista della commissione di reati. La corruzione non si combatte violando la Costituzione ed i principi su cui si fonda lo Stato di diritto». «Non si combatte la corruzione violando i principi costituzionali», taglia corto un altro deputato azzurro, Franceso Paolo Sisto. La proposta varata da palazzo Chigi « è inutile, perché si limita ai soliti aumenti di pena, e dannoso, perché richiama il peggio delle norme di Mani pulite e delle terapie degli anni di piombo contro i brigatisti». Il responsabile Giustizia del Pd, Valter Verini, liquida invece il ddl come «uno spot, con aspetti, purtroppo, di dubbia costituzionalità ed efficacia».
Sì all’agente sotto copertura.
Tra le misure di rilievo del ddl spicca poi la possibilità di ricorrere nelle indagini anticorruzione e reati contro la Pa all'agente sotto copertura (cosa diversa dall'agente provocatore) già previsto nelle attività di contrasto alla criminalità organizzata, al traffico di droga e al terrorismo (e citato anche al punto 15 del contratto di governo M5S-Lega).
Non punibile chi denuncia per tempo la corruzione.
Con il Ddl debutta poi la figura del “pentito della corruzione”: chi si pente (in tempo utile) dei propri comportamenti, si autodenuncia e aiuta concretamente la giustizia - spiega una nota di via Arenula - «non sarà punibile, a patto che rispetti regole molto severe: confessione spontanea su fatti non già oggetto d'indagine e comunque entro 6 mesi dalla commissione del reato». Le informazioni rese ai magistrati dovranno poi « essere davvero utili», e accompagnate «dalla restituzione del denaro intascato». Si interviene anche sul fronte della vendita di influenze, vere o inventate. Il “millantato credito” viene infatti assorbito dal reato di “traffico illecito di influenze”, «delitto che punisce sia chi vende, sia chi acquista influenze vere e false».
Inasprimento delle pene.
La riforma delle norme contro la corruzione non dimentica un generale inasprimento delle pene per i pubblici ufficiali, con la reclusione da 3 a 8 anni per chi corrompe e si lascia corrompere nell'esercizio delle proprie funzioni pubbliche. Lunga la lista dei reati per cui si rischia il Daspo per i rapporti con la Pa: malversazione aggravata dal danno patrimoniale di rilevante gravità, corruzione per l'esercizio della funzione, corruzione propria aggravata dal fatto di avere ad oggetto il conferimento di pubblici impieghi, istigazione alla corruzione, peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, traffico di influenze illecite, abuso d'ufficio aggravato dal vantaggio o dal danno di rilevante gravità.
Procedibilità d’ufficio per la corruzione tra privati.
Il provvedimento elaborato dai tecnici della Giustizia introduce poi la procedibilità d’ufficio, senza la necessità di denuncia da parte della vittima, in caso di corruzione tra privati e istigazione alla corruzione tra privati. I cittadini italiani o stranieri che commettono alcuni reati contro la pubblica amministrazione all'estero «potranno sempre essere perseguiti senza una richiesta del ministro della Giustizia e in assenza di una denuncia di parte». In caso di condanna, privati e funzionari pubblici saranno soggetti a sanzioni economiche più alte, proporzionate alla gravità del reato commesso e, comunque, mai al di sotto dei 10mila euro.