venerdì 7 settembre 2018

C'è grossa crisi. - Marco Travaglio - FQ 07 settembre 2018

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Lungi da noi insegnare agli oppositori del governo come non si fa l’opposizione, anche perché a non farla riescono benissimo da soli. Ma, curiosi come siamo, vorremmo capire. Perché oggi – come diceva Quèlo di Corrado Guzzanti – c’è grossa crisi. Se il governo populista, sovranista, anti-Europa, anti-vaccini, anti-scienza, anti-tutto, razzista, fascista, incompetente, incapace, giacobino e malavitoso (e questi sono solo i suoi lati migliori) è un “pericolo per l’Italia” (Renzi) e l’anticamera di una “deriva sudamericana” (Martina), non ci meraviglia tanto il suo consenso al 70%: gli elettori hanno sempre torto, da quando sbagliano a votare. No, incuriosisce che, appena ne fa una giusta, il Pd lo accusi di plagio. È capitato col ripristino dell’obbligo dei vaccini e della relativa documentazione per mandare i figli a scuola e all’asilo (“Una nostra vittoria!”, come se un partito del 18% potesse mettere sotto una coalizione del 50 e rotti). Ed è riaccaduto ieri sul caso Ilva, cioè sul successone ottenuto da Di Maio e dai sindacati dopo tre mesi di braccio di ferro con Mittal e con i suoi amichetti pidini spalmati sul colosso indiano secondo il collaudato modello Benetton-Autostrade. Alla fine, ricattata da Di Maio con la minaccia di revocare la gara made in Calenda (piena di vizi, per Anac e Consiglio di Stato) per spuntare vantaggi occupazionali e ambientali, Mittal ha dovuto cedere su tutta la linea, firmando un accordo migliore di quello avallato dal mitico Calenda.
Ora chi vaticinava (“gufava”, direbbe Renzi) disastri, sfracelli e catastrofi con la fine dell’acciaio italiano e migliaia di famiglie sul lastrico a causa della nota incompetenza del ministro che “faceva lo steward allo stadio San Paolo”, “non ha mai lavorato”, sbaglia i congiuntivi e pensa che il corpo umano sia al 90% acqua, ha solo due strade: o si scusa e riconosce che Di Maio ha condotto bene la trattativa, salvando più ambiente e più posti di lavoro di quelli spuntati dal Signor SoTuttoIo; o si scava una fossa e si ficca per non uscirne più. Invece i renziani (“rosiconi”?) scelgono una terza via: dire, con grave sprezzo del ridicolo, che è tutto merito loro. Intanto persino Mattarella e i sindacati (dal calendiano Cisl Bentivogli alla Cgil) elogiano il vicepremier. E financo Calenda fa “complimenti non formali a Di Maio”, dopo aver trascorso gli ultimi tre mesi a chiamarlo “ragazzino incapace, incoerente, incompetente, confuso, dilettante”, specialista in “idiozie”, “speculazioni”, “fesserie”, “scaricabarile”. Poi però aggiunge che Di Maio ha “cambiato idea e finalmente imboccato la strada giusta”: che sarebbe la sua.
Peccato che Di Maio avesse sempre definito “insoddisfacenti” gli impegni presi da Mittal con Calenda e ne abbia spuntati di migliori. Ma vallo a spiegare a Martina, Bellanova, Morani, Picierno, Rosato (ma sì, pure lui), Anzaldi e agli altri twittatori-pappagalli, che cinguettano come una Xerox sulla “retromarcia” di Di Maio, mentre qui l’unica marcia indietro l’ha fatta Mittal, costretta a cedere proprio da lui con quella che i pidini definiscono “sceneggiata”. Poi c’è Renzi. Sentitelo: “12 decreti per salvare Ilva e oggi il nuovo Governo cambia idea e riconosce il lavoro fatto. Bene. Solo grazie a chi ci ha messo il cuore, a cominciare da Andrea Guerra, Federica Guidi, Carlo Calenda, Teresa Bellanova”. Pure la Guidi, cacciata da lui: uno spettacolo. Naturalmente i 12 decreti Salva-Ilva di B., Monti, Letta e Renzi non c’entrano nulla con l’accordo di ieri: servivano a risparmiare o rinviare alle calende greche le bonifiche ambientali dei precedenti padroni (i Riva) e poi dei commissari, mettendoli al riparo dalla magistratura. E il governo non riconosce affatto il buon lavoro di quelli precedenti: stringe un nuovo accordo più vantaggioso.
Ma facciamo finta che le cose stiano così, cioè che i 5Stelle stanno copiando il Pd, dai vaccini all’Ilva: perché allora il Pd non s’è neppure seduto al tavolo con loro, visto che vogliono e fanno le stesse cose? E come può il Pd considerare pericoloso, disastroso, catastrofico un governo che copia il Pd? Ci permettiamo di domandarlo fin dal primo giorno, quando Renzi annunciò di volersi godere “con i pop-corn” il governo giallo-verde. Poi però comunicò che era una minaccia per l’Italia, senza spiegare perché avesse fatto di tutto per propiziarlo e nulla per risparmiarcelo. In contemporanea, sfidò pure Salvini e Di Maio a “mantenere le loro folli promesse”. E lì rischiò su due piedi il Tso: se un politico sano di mente ritiene folli certe promesse, dovrebbe augurarsi che non vengano mai mantenute e fare di tutto perché restino sulla carta, non perché si realizzino. Ora i suoi eventuali fan, già piuttosto disorientati, gli sentono dire, testuale: “Vedere Salvini e Di Maio difendere gli 80 euro non ha prezzo. Sono il Governo del cambiamento, infatti cambiano idea ogni giorno. E mi copiano. Ora aboliranno un ramo del Parlamento (che lui non aboliva, ndr) e il Cnel, poi faranno il referendum costituzionale. Alla fine dovrò chiedere il copyright”. Così il sempre eventuale elettore Pd tira un bel sospiro di sollievo: ah meno male, è come se governassimo ancora noi, quindi non c’è da preoccuparsi e non c’è bisogno di scendere in piazza contro “il governo dell’odio”. Al massimo, del plagio.
Ps. A proposito di plagi. “Fanno il Daspo ai tifosi, va fatto il Daspo ai politici che prendono le tangenti: mai più”. Chi l’ha detto? L’allora premier Renzi. Era il 7 maggio 2014. Poi purtroppo se lo scordò. E ora il Daspo ai corrotti lo fa Bonafede. Se ne desume che, se Renzi manteneva le promesse di B. (Jobs Act, art. 18, Buona Scuola, attacchi ai pm, regali agli evasori ecc.), i 5Stelle mantengono quelle di Renzi. Almeno quelle buone, infatti mai mantenute.

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