martedì 28 dicembre 2010

Le bande dei mona - Marco Travaglio



AGGIORNAMENTO.
Dopo la registrazione del Passaparola, il 22 dicembre la Camera dei deputati ha votato la mozione di sfiducia proposta dall'Idv contro il ministro Calderoli per lo scandalo della depenalizzazione del reato di associazione paramilitare con finalità politiche. E l'ha respinta grazie ai voti di Pdl e Lega, alle astensioni di Fli, Udc e dei 6 radicali eletti col Pd, ma anche grazie alle abbondanti assenze tra le file del Pd.
Tutti presenti i deputati della Lega (100%) e dell’Idv (100%), quasi tutti quelli del PdL (91,4%), mentre il Pd schierava solo l’82,9%, con ben 35 assenti. Eccoli: Bersani, Bobba, Bossa, Bressa, Bucchino, Causi, Cavallaro, D'Alema, De Micheli, De Torre, Duilio, Fadda, Fedi (malato), Ferrari, Fioroni, Garavini, Garofani, Gentiloni, Ginoble, Grassi, Letta Enrico, Lulli, Marini Cesare, Marroccu, Mastromauro, Mecacci, Melandri, Merloni, Mogherini (ha appena partorito), Nicolais, Piccolo, Pizzetti, Rigoni, Sanga. Altri 5 del Pd, quelli provenienti dal Partito radicale, han fatto di peggio e si sono astenuti insieme al Terzo Polo: Beltrandi, Bernardini, Coscioni, Turco, Zamparutti.
Risultato finale: presenti 545, votanti 481, astenuti 64, maggioranza 241, favorevoli (alla sfiducia) 188, contrari 293. Mozione respinta, Calderoli salvo.



Sara. Pensieri in occasione dei suoi 18 anni.

Ascolto, seduta all’ombra di un castano, il rumore della brezza lieve che accarezza i miei capelli.

E’ una tiepida giornata d’estate, siedo distesa, con l’indice della mano segno la pagina del libro che ho momentaneamente poggiato sul grembo in attesa di riprendere a leggere.

Mi sento bene, molto bene.

Un buon libro per ritemprare lo spirito, il dolce e fresco rumore del vento che muove le foglie, la vista del casolare dai vecchi tufi ricoperti da piante rampicanti, caratterizzate dal verde intenso delle foglie e dal rosso scarlatto dei fiori di loto nano, il silenzio intorno interrotto soltanto dal volo e dal cinguettìo degli uccellini, o dal frinire delle cicale.

Che pace!

Chiudo gli occhi, per un istante, per conservare e memorizzare tutto, ma li riapro subito per accarezzare di nuovo tutto il paesaggio, come per paura di vederlo svanire all’improvviso!

Era da tempo che non provavo sensazioni così soavi.

Presa come ero dalla frenetica vita di città, dal lavoro, trascorrevo la mia vita trascinata da un vortice che decideva per me.

Non me ne rendevo conto, però.

Era la mia vita. Non mi ero neanche preoccupata di soffermarmi a pensare se era quella la vita che volevo. Era un fiume in piena che trascinava, senza darti neanche il tempo di pensare o di decidere. Decidevano gli eventi per me.

Alzarsi la mattina molto presto ed iniziare il solito rituale, ordinare la casa, preparare la colazione, portare il caffè al proprio compagno, lavarsi, sopperire alle varie necessità, correre in macchina in ufficio, lavorare, riprendere la macchina e correre verso casa, cambiarsi, mettere ancora in ordine, scendere a fare la spesa, preparare la cena, cenare guardando la televisione, riordinare la cucina, andare a dormire dopo aver incrociato quattro parole in un cruciverba o dopo aver fatto l’amore senza convinzione, quasi per routine.

L’indomani le stesse cose, con qualche leggera variazione al tema, cose di poco conto, però.

In estate, per le ferie, sotto il sole cocente, immersa tra la folla assordante, trascorrevo il tempo su una spiaggia, o ai bordi di una piscina, con nelle orecchie la musica rock trasmessa da una qualche emittente locale o nazionale.

Alla fine delle vacanze ritornavo a ripetere i gesti di sempre, quasi contenta che le ferie fossero finite, ed io potevo rifugiarmi finalmente, almeno nel tempo libero, tra le sicure mura domestiche.

Una vita impersonale, qualsiasi, uguale a tante altre. Da non sentirsi se stessi, ma un qualsiasi individuo che vive e si muove per entrare nelle chiave d’accesso di altri, senza preoccuparsi di cercare di entrare nella propria.

Il lavoro in ufficio, poi, completava l’opera. Mi piaceva molto lavorare e lavorare mi stancava anche molto, tanto da levarmi almeno metà dell’efficienza che avrei dovuto dedicare ad altre cose più importanti.

Era un giorno d’estate, (chissà poi perché tutti gli avvenimenti più importanti della mia vita si sono verificati quasi tutti durante l’estate), quando, già sulla soglia dei miei quarantacinque anni, con mio sommo rammarico, mi resi conto che avevo già saltato il mio ciclo mestruale da quindici giorni circa.

Mi sono sentita mancare il terreno sotto i piedi, atterrita, mi sentivo la vita sfuggire dalle mani e, anche se continuavo a compiere i gesti di sempre, mi ritrovavo sempre più spesso a pensare che non avevo realizzato molto di quelle che erano le mie aspettative, e che il tempo che avevo ancora a disposizione era davvero poco.

Ero convinta di essere entrata in menopausa, o che, visto che alcuni mesi prima avevo avuto un ciclo abbondante che si era protratto per un mese intero, di essere afflitta da un male incurabile. Ciò mi faceva star male e il dover consultare un medico, mi incuteva una grande paura. Paura di sentire affermare una eventualità del genere.

Trascorsi altri quindici giorni prima di decidermi a consultare un medico, il medico di famiglia.

Ricordo che mi feci accompagnare da mia figlia Laura, che all’epoca aveva quindici anni.

Seduta davanti al medico, cominciai ad elencare quelli che erano i miei disturbi: stanchezza, rigonfiamento del ventre, nausee, nervosismo, attribuendoli ad un inizio di menopausa.

Il medico di famiglia, che mi conosceva da più di venticinque anni, me la filò e mi richiese una serie di esami ed ecografie, escludendo, forse volutamente, il test di gravidanza.

L’indomani mi presentai dall’analista di fiducia, una carissima amica, alla quale, per ogni evenienza, anche per andarci per esclusione, portai l’ampollina sterile con le mie urine.

Parlammo, come del resto facevo ogni volta che ci vedevamo, del più e del meno, poi dell’argomento in questione. Lei mi disse che poteva anche trattarsi di gravidanza, e che tutto sommato sarebbe anche potuto essere piacevole provare una esperienza di tal genere. Io esclusi a priori tale eventualità, rafforzando la mia tesi adducendo come prova l’età avanzata e la cura che mettevamo nell’evitare che si potesse verificare una situazione del genere.

Come a voler allontanare dalla mia mente un pericolo del genere. Lo rifiutavo, non lo prendevo neanche in considerazione.

Tornai in ufficio e mi tuffai nel lavoro.

Verso le undici circa, squilla il telefono (questo è uno dei momenti più importanti di tutta la storia), rispondo. E’ la mia amica analista:

- Ciao, sono Anna, ho già pronta una delle analisi che mi hai richiesto. Congratulazioni! Esito positivo, ti auguro che sia femmina.-

Un brivido mi percorse la schiena. Esitai prima di farmi uscire un solo suono dalla bocca. Non avevo preso in considerazione tale eventualità neanche ipoteticamente, almeno consciamente, inconsciamente forse sì con lo stesso atto di chiedere ugualmente tale tipo di analisi.

  • Si? Non me lo aspettavo! Non avevo preso in esame una tale situazione……

  • Ti ringrazio, ciao

Riattaccai subito. Anna non insistette. Capì che ero in difficoltà, financo con me stessa:

Telefonai subito a Paolo, mio marito:

  • Ciao, sono io…. Mi volevo congratulare con te……sei padre per la terza volta! –

  • Ah! …bene! ……Ne parliamo più tardi. –

Capii che anche lui era stato colto di sorpresa. Ci salutammo e riattaccammo.

Un turbinio di pensieri incominciarono ad affollarmi la mente. Ricominciare daccapo con pannolini, biberon, culle, bagnetti, camiciole microscopiche da lavare e stirare.

No! Non me la sentivo. Anche se ero stata sempre contraria all’aborto ed ero felice di non aver mai dovuto affrontare una così tremenda decisione, ora dovevo farlo. Dovevo affrontare quella che era divenuta una realtà, che forse già conoscevo, anche se non volevo ammetterlo.

Odiai mio marito, mi sentii ridicola nei confronti di Massimo e Laura. Che cosa avrebbero pensato di me i miei figli di ventuno e quindici anni?

Come avrebbero reagito venendo a conoscenza di un avvenimento del genere?

No. Non potevo portare avanti quella gravidanza. Dovevo abortire.

A casa, quella sera, approfittando dell’assenza dei ragazzi, usciti dopo cena, affrontammo l’argomento con Paolo.

Lui, come immaginavo, lasciava a me la decisione. Aveva capito che non avevo nessuna intenzione di portare avanti quella gravidanza che non avevo programmato e che non mi trovava preparata.

L’indomani fissammo un appuntamento con il ginecologo di fiducia, del quale mi fidavo molto e che era anche primario presso l’Ospedale oncologico.

Ci riceve nel pomeriggio. Gli spiego che non si tratta della solita visita di controllo, ma di un problema diverso. Gli spiego il problema, e gli confesso che non mi sento assolutamente in grado di portare avanti la gravidanza.

La sua faccia si fa seria e con calma, con molta calma mi dice:

  • Gentile Signora, il mio lavoro consiste nell’aiutare le donne sterili ad avere bambini, non nel contrario. Lei, mi dispiace doverglielo dire, ha sbagliato persona. In ogni caso ci ripensi, rifletta. Potrebbe anche risultare piacevole provare una tale esperienza. Io, di certo non posso aiutarla.

Ci congedammo freddamente.

Scendendo le scale del palazzo nel quale era situato lo studio del professionista, rivolgendomi a Paolo gli dissi:

  • Sarà molto difficile trovare un medico che acconsenta a farmi abortire. Incontreremo molte difficoltà. Io mi sentivo già un verme, ora sto ancora peggio. Tu che ne pensi? –

  • Io cosa penso? Il solo pensiero di poter avere un altro bambino che mi corra per la casa, che mi riempia di gioia il ritorno a casa, mi rende felice! – e mentre lo diceva due lacrime gli solcavano il volto.

Mi resi conto che non avevo mai voluto veramente abortire e che, anzi, desideravo portare avanti la gravidanza, e che, inconsciamente, da tempo desideravo avere un bimbetto tra le braccia. Sostenevo il contrario perché avevo paura di affrontare il resto del mondo. Il resto del mondo? E chi era il resto del mondo? Niente, nessuno.

Io dovevo ricominciare a prendere possesso della mia vita che io stessa avevo prestato a chi o a che cosa non si sa.

Mentre pensavo, piangevo, singhiozzavo, mi stavo liberando di quel grande peso che mi portavo appresso da più giorni, il peso sulla mia coscienza.

Mi vergognavo di aver solo pensato, senza pensare veramente, di aver rifiutato anche se per pochi giorni, che potesse nascere la creaturina che portavo in grembo.

Decidemmo, felici, che avremmo affrontato tutto e tutti, mano nella mano, con un amore ritrovato, complici come non lo eravamo più da tempo. Più tardi avremmo affrontato Massimo e Laura, comunicando loro la novità.

Mi sentivo più leggera, mi resi conto che tutti i problemi ed i sintomi avvertiti nel periodo precedente erano esattamente i sintomi di una gravidanza, ed io lo sapevo, ma non lo ammettevo. Ora che avevo ripreso le redini della mia mente e del mio corpo, me ne rendevo conto. Non ero più cieca.

Suonammo alla porta di casa, aprì Laura.

Cominciai io:

  • Ragazzi, Vi dobbiamo parlare –

  • Scommetti che so di che si tratta? – risponde Laura.

  • Di che si tratta? –

  • Aspettiamo un bambino! – ribadisce ancora Laura.

  • Allora è vero? – sbuca dalla sua stanza Massimo e mi prende in braccio baciandomi –

L’”Aspettiamo un bambino” detto da Laura e l’abbraccio di Massimo mi fecero capire che non solo avevano intuito tutto, ma che ne erano felici.

Le mie paure, le ultime residue, svanirono d’incanto. Tirai un sospiro di sollievo. Che stupida ero stata, avevo sottovalutato l’affetto dei miei, avevo persino dubitato di ciò che io stessa avevo loro insegnato: l’importanza dei valori morali.

Li avevo messi in discussione io stessa andando contro quelli che erano i miei concetti fondamentali.

Cominciò per me una nuova vita. Non tornai dallo stesso ginecologo, mi vergognavo troppo.

Presi a frequentarne un altro, anch’egli molto bravo. Mi impose alcune regole da rispettare: non dovevo andare al lavoro, non dovevo fumare, dovevo rispettare una dieta particolare da lui prescritta.

E’ stata, ricordo, la gravidanza più serena della mia vita. Ero coccolata, vezzeggiata da Paolo e dai ragazzi.

La mattina mi alzavo con tranquillità, dopo aver fatto colazione, indossavo un camicione ed uscivo con Laura a fare la mia passeggiata distensiva, preparavamo il pranzo assieme, e pranzavamo tutti e quattro seduti al nostro tavolo.

Avevo ripreso il gusto a cucinare, a lavorare ai ferri e all’uncinetto, a leggere, cosa che non facevo più da tempo, e, finalmente mi ero nuovamente innamorata …..di Paolo. Provavo per Lui le stesse sensazioni di quando ci eravamo conosciuti e me ne ero innamorata. Ero felice.

Mi sottoposi all’esame dell’amniocentesi, per avere una maggiore sicurezza, anche se in cuor mio avevo già deciso che qualunque fosse stato l’esito delle analisi avrei tenuto con me l’esserino che custodivo in grembo. Lo avrei amato in egual misura sia sano che Down.

L’esito ce lo comunicarono che eravamo in vacanza in Umbria: negativo – sesso femminile.

Ho pianto di gioia. Che fosse femmina, non so spiegarlo, anche se non avevo manifestato preferenze in tal senso, mi rese felice.

La proprietaria del campeggio, Angela Rosa, ha voluto festeggiare la notizia con noi offrendoci una bottiglia di champagne.

A dicembre dello stesso anno, con parto cesareo, nacque Sara.

In clinica a turno restarono a dormire con me Laura, Massimo, Paolo e mia cognata Rita, che avrebbe battezzato Sara.

Mai come in quel periodo la mia famiglia mi era stata così vicina, o era stata così unita.

Seduta sotto il castagno, rivisito col pensiero il momento della mia rinascita, Sara ora ha sei anni è bellissima, intelligentissima, dolcissima. Mi ha riportata alla vita. Lei con la sua prepotente voglia di nascere mi ha riavvicinata ai veri valori della vita, e mai, mai più ricascherò nel limbo.

Sono più vecchia di anni, ma mi sento più giovane nell’anima.

Sara mi viene incontro, prorompente come al solito, mi abbraccia, mi bacia e mi chiede se può prendere un altro ghiacciolo, magari al limone, perché quello al ribes non le è tanto piaciuto. Le rispondo che sì, lo può prendere. Me lo mostra dicendo che tanto sapeva già che le avrei detto di si, potevo, quindi, aprirglierlo.

E’ un po’ viziata, lo ammetto, ma non solo da me. Siamo in tanti a viziarla. Ma sono sicura, e lo dico con obiettività, che non risulta, ciononostante, assolutamente antipatica. E’ amabilissima, affettuosissima. Cresce con una fretta incredibile, impara tutto con una fretta altrettanto incredibile.

Come ho potuto pensare di non farla nascere? E se mi fossi liberata di lei, mi domando spesso, come sarebbe stata la mia, la nostra vita? Il solo pensiero mi fa star male. Quanti bambini non sono nati? Come sarebbero ora? Belli come Sara? Dove saranno ora?

Sara c’è ed è uno dei più bei doni che la vita mi ha riservato assieme a Paolo, Laura e Massimo. Soddisfatta guardo Sara intenta a giocare con Shira, il suo cagnone, e mi rituffo nuovamente nella lettura del libro che avevo momentaneamente posato.

(Scritto qualche anno fa, quando Sara aveva ancora 7 anni ed io mi beavo a guardarla giocare con i suoi amici.)