domenica 11 settembre 2011

Quanti tentacoli ha la Lega. - di Tommaso Cerno e Luca Piana



Bossi e Calderoli


Su una cosa Umberto Bossi ha ragione: l'acronimo Spqr è superato. Sono Padani Questi Romani, ormai, e sempre più numerose le poltrone che portano il vessillo del Sole delle Alpi. Mentre il Senatùr suona il solito disco contro la capitale ladrona, alzando il dito medio o etichettando come porci i suoi abitanti, il peso politico del Carroccio aumenta in Parlamento. E silenziosa avanza la discesa leghista oltre il Rubicone. Fino al Tevere: consigli di amministrazione, posti chiave in Rai e nei grandi enti pubblici, presidenze e nomine continue allargano la ragnatela verde passando per banche, fondazioni, aeroporti, autostrade, multiutilities, Asl e partecipate milionarie di Comuni e Province.

E' la versione padana del "divide et impera", l'allievo che sta superando perfino i maestri della vecchia Democrazia cristiana. Quella Lega che divide il Paese invocando il federalismo e poi impera grazie a un esercito di parenti, amici, trombati e ripescati. Sono loro, i nuovi boiardi del Carroccio lanciato nella battaglia fra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, i veri vincitori. Perché fra i due litiganti, premier e presidente della Camera, entrambi sfiancati dalla bufera mediatica e dalla guerra politica, è l'Umberto che gode.

Il caso Unicredit, la banca decapitata grazie alla rivolta delle Fondazioni azioniste, è solo la punta di un iceberg. Forse il segnale del salto di qualità della "reconquista" leghista, che oggi può contare su una rete da far invidia a De Mita, Craxi e Fanfani. E' tutto annotato a matita nelle agende dei big. Gli uomini nuovi, che tanto nuovi nei metodi non sono. Dal governatore veneto Luca Zaia a quello piemontese Roberto Cota, fino a Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti, passando per Roberto Maroni.

VOGLIAMO CREDITO. Tra banche e dintorni, il debutto della Lega era stato disastroso, con il dissesto della Credieuronord, che contava fra i soci anche Bossi e la moglie: andò a rotoli fra prestiti allegri e indagini per riciclaggio. A dispetto di questi inizi, sulle banche ora la Lega Nord ha addirittura alzato il tiro. Ha potuto farlo grazie a due fattori: i successi elettorali e la posizione di forza dell'alleato di sempre, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Quando la posta è importante, quando sono in ballo i colossi pubblici come Eni o Enel, è Tremonti a condurre il gioco. Quando si tratta di poltrone lombarde, il ministro lavora di concerto con Giorgetti, braccio destro di Bossi per le questioni finanziarie. L'hanno fatto per la nomina di Massimo Ponzellini alla presidenza della Popolare di Milano. E si sono ripetuti nella spartizione dei posti nella Fondazione Cariplo, uno dei principali azionisti di Banca Intesa (ha il 4,68 per cento).



Appena si superano i confini della Lombardia, c'è spazio invece per altri padrini politici. Lo ha mostrato Gianna Gancia, presidente della Provincia di Cuneo, compagna di Calderoli. Appena si è liberato un posto nel consiglio generale della Fondazione CariCuneo (socia di un altro big del credito, Ubi Banca), vi ha piazzato una sua collaboratrice, Giovanna Tealdi, bruciando Guido Crosetto, uno dei boss del Pdl nel basso Piemonte. Il caso più eclatante è, però, quello della Fondazione Cariverona protagonista del licenziamento del numero uno di Unicredit, Alessandro Profumo.

OBIETTIVO FIERA. Più che all'interno, i nemici della Lega nella guerra delle poltrone si trovano fra gli alleati. Lo mostra l'assedio al presidente lombardo, Roberto Formigoni, costretto a cedere importanti porzioni di potere in vari settori, un tempo feudo esclusivo del movimento di Comunione e liberazione. I primi siluri al "presidente a vita", come lo chiamano, sono arrivati sulla Fiera di Milano, dove oggi avanza Attilio Fontana, vicepresidente in quota Lega. Dopo le ultime elezioni regionali, poi, i successi leghisti si sono intensificati. A Lombardia Informatica, un colosso da 230 milioni di euro di ricavi, è arrivato come presidente Lorenzo Demartini, ex consigliere regionale con laurea in Scienze delle professioni sanitarie tecniche diagnostiche. Un altro leghista della prima ora, Paolo Besozzi, ha ottenuto la vice presidenza della Milano Serravalle, la società che gestisce l'autostrada per Genova, fulcro di appalti miliardari.



Preliminari, questi, che lasciano intuire come si giocherà la partita delle partite, la sanità, entro l'anno, quando verranno assegnati 45 posti da dirigente tra Asl e Aziende ospedaliere. Tre anni fa, al Carroccio ne andarono circa un quarto, mentre il Pdl - e la componente ciellina in particolare - intascò la maggioranza delle poltrone. Ora c'è la resa dei conti e la Lega che punta al raddoppio. Stesso clima in Piemonte. Cota ha lasciato all'assessore alla Salute, Caterina Ferrero (Pdl), solo l'ordinaria amministrazione, fatta oggi soprattutto dei tagli imposti da Tremonti. Per sé invece, si è tenuto la regia della Città della Salute, come viene chiamato il previsto raddoppio dell'Ospedale Molinette. E si è dotato persino di un consulente ad hoc: Claudio Zanon, un dirigente del reparto di chirurgia della stessa struttura.

LA CARICA DEGLI ZAIA BOYS. Cosette di paese, fanno eco dal Veneto, dove ai vertici delle principali autostrade ci sono due presidenti di quelle province che Bossi sbraita da anni di voler abolire. E che invece sono ormai collaudati nominifici. Attilio Schnek guida la ricca provincia di Vicenza, quella che sui giornali finì più volte perché faceva, da sola, il prodotto interno lordo della Grecia. Caso vuole che sieda anche sulla poltrona più alta della Serenissima, la Brescia-Verona-Vicenza. Stessa sorte al trevigiano Leonardo Muraro, che da impiegato dell'Enel si buttò in politica e che oggi colleziona incarichi (è vicepresidente di Veneto Strade).Va così nel feudo di Zaia, l'ex ministro delle Politiche agricole lanciato da Bossi per strappare il trono di Doge a Giancarlo Galan. E lui non s'è limitato a stravincere. Ha fatto in poche settimane piazza pulita dell'intera corte dogale, piazzando i suoi uomini nei posti di vertice della Regione.

Da quelle parti c'è poi un assessore che fa sul serio. Nicola Cecconato, commercialista e tesoriere della Lega, ha festeggiato da poco la quattordicesima poltrona in contemporanea: è sindaco di Rai Trade e di Veneto Acque, supplente di Coniservizi, presidente del collegio sindacale di Ater Treviso e di AscoTlc, nonché revisore unico di Veneto Infrastrutture Servizi srl e dei comuni di San Biagio e Paese, presidente del collegio di revisori a Mogliano e chi più ne ha più ne metta. Gli è riuscito il gran colpo di strappare il record a un altro leghista, Leonardo Ambrogio Carioni, presidente della provincia di Como, dell'Unione delle province lombarde e di Sviluppo Sistema Fiere. E che se mai gli avanzasse tempo, non si preoccupa: ha pure un posto nel cda della Pedemontana veneta tanto cara a Bossi. 



Che la rete padana funzioni, lo dimostrano perfino i concorsi. A Brescia, la Provincia guidata da Daniele Molgora, padano di nascita e di tessera, cercava otto funzionari a tempo indeterminato. E sei dei vincitori sono, caso vuole, di simpatie leghiste. Si passa da Sara Grumi, figlia di quel Guido assessore al Comune di Gavardo, a Katia Peli, nipote dell'assessore provinciale Aristide, bossiano di ferro. Silvia Ranieri, invece, non ha avuto bisogno di raccomandazioni da parenti. E' direttamente lei la leghista: capogruppo al consiglio di Concesio.

VOGLIA D'AUTONOMIA. 
Il villaggio di Asterix, poi, si chiama Friuli Venezia Giulia. Là, nella terra autonomista dove il Carroccio piazzò il primo governatore della storia d'Italia, Piero Fontanini nel 1993, è ancora costui il luogotenente del Senatùr. E ha le idee chiare. Alla vicepresidenza della ricca concessionaria autostradale Autovie Venete ha sistemato Enzo Bortolotti, il sindaco sospeso dal municipio della piccola Azzano Decimo perché non pagava le multe al suo Comune. Oggi intasca lo stipendio della Spa che sta costruendo la terza corsia sull'A4, un lavoretto da 2 miliardi di euro, se basteranno. Alla Promotur, che promuove i pacchetti turistici è fresco di nomina Stefano Mazzolini, rampante leghista che in curriculum elenca una trombatura alle regionali e una dichiarazione falsa dei titoli di studio quando occupò, per pochi giorni, il vertice dell'Aiat di Tarvisio, a ridosso dei mondiali di sci. Rispunta pure Loreto Mestroni, l'ex assessore all'Ambiente che a un convegno spiegò che forse era meglio costruire due termovalorizzatori, perché così ci sarebbe stato un posto anche per Forza Italia. Oggi è, appunto, al vertice dell'Agenzia per l'energia.



MI MANDA COTA. A Torino un berlusconiano della stazza di Galan non esiste, ma lo scontro Lega-Pdl non è certo meno aspro. L'uomo forte da quelle parti è il governatore Cota, che a spese dei contribuenti piemontesi s'è dotato di ben due portavoce, dal costo complessivo di oltre 200 mila euro l'anno: uno a Torino, uno nella capitale, per avere visibilità in quella "Roma ladrona" che i leghisti contestano, ma solo a parole. Cota si è così dimostrato un vero tattico delle poltrone. Cercando alleanze, come ha scritto il quotidiano on line "Lo Spiffero", persino con l'opposizione, pur di non lasciare spazio agli altri. Ha lasciato al Pdl la presidenza della Finpiemonte, la finanziaria deputata a fare da intermediario per i mutui agevolati. A un suo simpatizzante, Paolo Marchioni, ha invece riservato la guida della Finpiemonte Partecipazioni, la vera macchina da soldi, una holding che possiede ben 33 partecipazioni diverse e che tiene i delicati rapporti con i privati, che spesso figurano come azionisti delle controllate.

BOIARDI DI PADANIA. Pure mamma Rai, da un bel pezzo, si sposa con rito celtico. Senza scomodare il potente vicedirettore generale Antonio Marano, di cui le cronache padane sono zeppe, nell'odiata televisione di Stato spicca un conduttore (e vicedirettore di RaiDue) come Gianluigi Paragone. In squadra anche Milo Infante e il capo del centro produzioni milanese, Massimo Ferrario. Posticini, come ai bei tempi, che segnano il sorgere del sole delle Alpi sempre più presto al mattino.
Non di solo etere vive Bossi, però. Né la lottizzazione si ferma certo a spa locali e aziende sanitarie. E' nei colossi di Stato che il Carroccio entra sempre più a gamba tesa.
Gianfrancesco Tosi, ingegnere meccanico, è il presidente del Centro della Cultura Lombarda istituito dalla Regione, ma è anche seduto nel cda dell'Enel dal 2002. All'Inail c'è invece un altro leghista doc, Mario Fabio Sartori, mentre Zaia, già nella precedente vita da ministro, ha portato Dario Fruscio al vertice dell'Agea, l'agenzia che vigila sull'erogazione dei fondi comunitari per l'agricoltura. Risponde colpo su colpo Giorgetti, il quale ha sistemato quel Dario Galli che, non bastando la presidenza della provincia di Varese, siede anche in Finmeccanica. O ancora lo psicoterapeuta Roberto Cadonati, dottore esperto di dinamiche di coppia, finito nel cda di Cinecittà. Peccato che stavolta la trama sia: poltrone arraffate e cda lottizzati. Un film già visto.

ha collaborato Mariaveronica Orrigoni.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quanti-tentacoli-ha-la-lega/2135261//2




Le Regioni? Chiuse per ferie. - di Primo Di Nicola








Alla faccia delle polemiche sui privilegi della politica, i consiglieri si sono concessi vacanze da record. Il primato spetta al Trentino: 76 giorni.


A chi spetta il record delle vacanze più lunghe d'Italia? Dopo studenti, maestri e poche altre fortunate categorie, sicuramente ai consiglieri regionali. Alla faccia delle polemiche sui privilegi dei politici che hanno imperversato per tutta l'estate, i consiglieri si sono concesse ferie così lunghe da battere persino deputati e senatori, tradizionalmente indicati come i "fannulloni" della Casta. Provare per credere. L'assemblea di Palazzo Madama ha chiuso i battenti il 3 agosto e li ha riaperti il 5 settembre: in tutto, 32 giorni di vacanza (con l'eccezione dei senatori della commissione Bilancio rientrati in anticipo per esaminare la manovra). Alla Camera i deputati si sono salutati anch'essi il 3 agosto per rivedersi il 6 settembre. E fanno 33 giorni di ferie. Vacanze di tutto riguardo, considerando che con la crisi pochi possono permettersele così lunghe. Eppure il trattamento che si sono riservato i parlamentari impallidisce davanti alle performance degli eletti nelle Regioni. In Trentino Alto Adige, i consiglieri a statuto speciale primatisti in materia si sono concessi 76 giorni di ferie, dal 6 luglio al 20 settembre; in Friuli Venezia Giulia non sono stati da meno: 62 giorni, per due mesi esatti di vacanza, dal 27 luglio al 27 settembre; staccati, ma felicemente terzi in graduatoria i consiglieri della Basilicata, che di giorni di ferie se ne sono concessi 56 spremendo sino in fondo le delizie della bella stagione: si rivedranno infatti il 20 settembre, proprio al finire dell'estate.

Una pacchia, insomma, e al diavolo le insidie della manovra. Il governo taglia le risorse delle Regioni mettendo a rischio i servizi essenziali? Si accomodi pure, i consiglieri hanno altro a cui pensare. Come quelli della Val d'Aosta, in vacanza dal 29 luglio al 21 settembre, cioè la bellezza di 55 giorni; o come gli eletti dell'Emilia Romagna, che di giornate di ferie se ne sono assegnate 51, della Toscana, delle Marche e della Calabria, attestati invece a 49, un solo giorno in più degli abruzzesi forti e gentili che si sono messi in panciolle per 48 giorni. Insomma, davvero niente male, considerando che lo stipendio corre lo stesso. E che stipendio, visto che, conteggiando indennità e rimborsi vari, i consiglieri si portano a casa in alcuni casi anche più di 10 mila euro netti al mese. Sarà per questo che in Abruzzo si sono messi la mano sulla coscienza. Magari pungolati anche dai problemi del post terremoto (gli sfollati a L'Aquila sono ancora circa 30 mila). Sta di fatto che, di fronte alle critiche feroci per la scandalosa lunghezza delle ferie, il presidente dell'assemblea regionale Nazario Pagano (Pdl), con la scusa di un fumoso piano per il Sud da discutere, ha convocato il Consiglio addirittura per il giorno di Ferragosto. Con il risultato di indisporre ancor di più l'opposizione che, attraverso il consigliere Giuseppe Di Pangrazio, ha presentato un'interrogazione per conoscere i costi aggiuntivi per le casse pubbliche provocati dalla convocazione della seduta in un giorno festivo.



E non sono casi isolati. Anche le altre regioni brillano per la tendenza agli ozi estivi prolungati. A cominciare dall'operoso Veneto, dove i consiglieri si sono concessi 47 giorni; dal Piemonte, dove di giornate di ferie se ne sono fatte 46 e dalla Lombardia, dove i giorni di riposo sono stati 44. Con una spiccata corsa al presenzialismo pur di tamponare le accuse di essere fannulloni. Come è accaduto nel feudo lombardo del governatore Roberto Formigoni (secondo l'opposizione il più assenteista alla Regione), dove qualche irriducibile come Aldo Reschigna (Pd) ha cercato di presidiare il territorio anche ad agosto (il 24 era a Stresa per il fondamentale corso di Felicità e cultura dell'anima), imitato in Piemonte dal pidiellino Giampiero Leo, che ha inaugurato l'imperdibile congresso di Esperanto a Villa Gualino, e dal collega Mino Tarrico (Pd) scomodatosi per benedire la 57esima Sagra della Nocciola di Cortemilia.

Ma anche queste spinte all'attivismo riparatore sono servite a poco. La protesta contro i privilegi e gli agi dei politici è montata lo stesso. Come nel caso delle 10 mila firme raccolte dai quotidiani "Alto Adige" e "Trentino" per la riduzione delle indennità dei consiglieri vacanzieri, non solo di quelli regionali ma anche di quelli delle province autonome di Bolzano (61 giorni di ferie) e Trento (per loro addirittura 68). Una iniziativa che ha costretto i presidenti delle tre assemblee a incontrarsi per mettere in calendario i rituali tagli ai costi della politica. Arriveranno mai? Non si sa, nel frattempo i cittadini apprezzerebbero tanto se i loro consiglieri cominciassero a lavorare di più. Magari tagliandosi le ferie per evitare le pause regali che si sono concessi anche in Umbria (43 giorni), Sicilia (41) e Liguria (39). Per non parlare di Puglia, Campania e Lazio (i molisani si sono riuniti anche d'agosto, ma ad ottobre avranno le elezioni), dove i consiglieri sono andati in ferie rispettivamente il 27 luglio, il 4 e il 6 agosto. Ebbene, sino a qualche giorno fa, costoro erano ancora così presi dalle loro lunghe vacanze da non aver trovato neanche il tempo per fissare la data della loro prossima riunione.

 
hanno collaborato: Paolo Cagnan, Cristina Cucciniello, Fabrizio Geremicca, Marco Guzzetti, Mario Lancisi, Thomas Mackinson, Matteo Muzio, Francesco Paolucci, Maurizio Porcu.





http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-regioni-chiuse-per-ferie/2160107



Toghe in Costiera.



Alfonso Papa


Misteri e dubbi sul Centro Studi giuridici presieduto per anni da Caliendo.


E' un'organizzazione dubbia fin dall'origine: quando i carabinieri sono andati a sequestrarne lo statuto, hanno trovato solo copia di quello di un'altra associazione. Un mistero che nemmeno Giacomo Caliendo, presidente per anni dell'Associazione Centro Studi per l'integrazione europea diritti e libertà, ha saputo spiegare. Tra i fondatori il primo nome è quello di Corrado Calabrò, presidente dell'Authority per le comunicazioni, seguito da Giovanni Fargnoli, ex presidente del Tribunale dei ministri, mentre come aderenti sono indicati un centinaio di magistrati e qualche politico, tra cui Franco Frattini. 

Ma Caliendo precisa che il Centro si limitava "all'organizzazione di convegni su temi giuridici di alto livello". Arcangelo Martino, l'imprenditore considerato uno dei pilastri della P3, sostiene che come organizzatore gli venne presentato Carlo Mainetto "persona che mi diceva essere un collaboratore di Dell'Utri". Mainetto non ha il profilo del giurista: è stato produttore di film come "Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia" ma riesce a raccogliere intorno al suo tavolo folle di giudici.

Ricorda Martino: "Maietto mi propose di partecipare al convegno chiedendomi 6 mila euro, dicendo che era un'iniziativa prestigiosa, riferibile al Pdl. Tutti i convegni del Centro studi giuridici erano coorganizzati da Maietto e Lombardi che si impegnava a chiedere contribuiti a molti dei partecipanti, esclusi i magistrati".

Poderosa la lista dei giudici presenti ai convegni, con i capi di corti e procure ospitati in costiera amalfitana: tra loro Augusta Iannini; Franco Ionta; Alfonso Papa, ora in cella per la P4, e Achille Toro travolto dall'inchiesta sulle grandi opere.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/toghe-in-costiera/2160180

Il giudice con il conto alla Arner. - di Paolo Biondani



Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e sua moglie Raffaella hanno affidato più di un milione di euro a uno degli istituti più chiacchierati del mondo.


Due conti al di sopra di ogni sospetto in una banca al centro dei peggiori sospetti. Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo e sua moglie Raffaella hanno affidato più di un milione di euro a uno degli istituti più chiacchierati del mondo: la filiale italiana della Banca Arner, pluri-inquisita da Milano a Palermo e addirittura commissariata nel 2008 da Bankitalia per violazione delle norme antiriciclaggio. Magistrato dal 1971 al 2010, Caliendo è stato uno dei leader della corrente di centrodestra (Terzo Potere, poi confluita in Unicost), che ha rappresentato anche al Csm. Nel 2008 è diventato senatore e vice-ministro di Berlusconi. Ora si scopre che nel 2005 , quando era ancora togato, ha aperto un conto alla Arner, "conferendo" una somma di tutto rispetto, per un magistrato: 570 mila euro. Negli stessi giorni anche sua moglie, Raffaella Ruggiero, avvocata civilista con lussuoso studio a Milano, la città dove il marito era magistrato penale, ha dato in gestione alla banca una somma di poco superiore: 580 mila euro.

Già allora la Arner era ampiamente citata nei processi milanesi sulla montagna di fondi neri imputati a Silvio Berlusconi: almeno un miliardo di euro nascosti in Svizzera per non pagare le tasse, secondo le sentenze definitive di prescrizione dei reati. Paolo Del Bue, uno dei fondatori della banca di Lugano, è coimputato nel dibattimento tuttora aperto contro il premier e l'avvocato Mills.

Garantisti di ferro, i coniugi Caliendo hanno riconfermato fiducia alla Arner anche nel 2008, quando il banchiere italo-svizzero Nicola Bravetti si è visto arrestare come presunto gestore di capitali mafiosi alle Bahamas: 13 milioni intestati alla consorte di un costruttore siciliano condannato dal giudice Falcone. Dopo il commissariamento, nel febbraio 2009 la Arner Italia è stata perquisita anche dai pm milanesi per sospetto riciclaggio. In quel momento al sottosegretario, dopo tre grosse uscite, restavano sul conto circa 90 mila euro, a sua moglie più di 430 mila. 



Questo è quanto risulta dagli atti trasmessi dalla Procura di Milano, il 3 dicembre 2010, su richiesta dei pm romani che indagano sulla cosiddetta P3 e sul geometra-giurista Pasquale Lombardi, vecchio amico di Caliendo. Nella comunicazione gli inquirenti milanesi avvertono i colleghi di aver potuto esaminare solo "una documentazione incompleta", perché la Arner ha sostenuto di non riuscire più a trovare interi trimestri di carte bancarie di vari clienti, compresi i coniugi Caliendo.

La Arner, una finanziaria diventata banca, ha la centrale in Svizzera e filiali a Dubai e Bahamas. La controllata italiana è nata attorno a un selezionato gruppo di clienti berlusconiani: il conto numero uno l'ha aperto il premier nel luglio 2004.

Nel febbraio 2005 sono arrivate le holding che controllano la Fininvest e il socio Ennio Doris; in luglio Stefano Previti, figlio dell'ex ministro Cesare condannato per le maxi-corruzioni Mondadori e Imi-Sir; e nel febbraio 2006 l'altro condannato, Giovanni Acampora. Dal giugno 2005 anche l'allora magistrato Caliendo ha aperto un conto e delegato alla banca la gestione dei soldi. Con investimenti a rischio: la signora, stando ai "documenti incompleti" della Arner, sembra averci rimesso centomila euro.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Il%20giudice%20con%20il%20conto%20alla%20Arner/2160175

E Silvio risparmiò 300 milioni di tasse. - di Lirio Abbate e Gianluca Di Feo






Gli atti dell'inchiesta  svelano le trame, a tutti i livelli, per evitare la super-causa fiscale sulla Mondadori. Dal presidente della Cassazione al sottosegretario Caliendo, ecco chi si è mosso per salvare il premier dalla maxi-multa.


Il capo degli ispettori Arcibaldo Miller che si vanta dei suoi "rapporti personali" con il vertice del Pdl, Silvio Berlusconi incluso. Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo che cerca notizie sulla causa fiscale da 300 milioni di euro che pende sulla Mondadori "perché poteva avere conseguenze gravi sulla parte privata". L'avvocato generale dello Stato Oscar Fiumara che riceve Niccolò Ghedini "con il quale ci diamo del tu" e subito si adegua alla sua linea sulla questione Mondadori.

Il primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone che accoglie l'istanza dell'azienda berlusconiana e così il procedimento - aperto da 15 anni - viene rinviato di un altro anno. E nel frattempo una leggina permette alla Mondadori di sanare il tutto con soli 8 milioni e mezzo di euro. O gli interventi sull'allora presidente del Tribunale dei ministri Giovanni Fargnoli, spesso al tavolo degli arrestati, per far archiviare l'istruttoria sui voli di Stato con cui il Cavaliere portava amiche e ballerine in Sardegna a spese dei contribuenti. Solo una parte delle decine di magistrati che venivano avvicinati dagli emissari della P3: ricevevano richieste di favori, piccoli o grandi, e offerte di gratificazioni, sponsorizzazioni per la carriera o incarichi ben remunerati per parenti e amici. Una rete di contatti che secondo l'accusa aveva referenti alti e alcuni ostinati peones, come il geometra irpino Pasqualino Lombardi, tanto folcloristico nello storpiare i nomi quanto caparbio nell'infilarsi nelle stanze del potere.

Gli atti della grande inchiesta romana condotta da Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli hanno radiografato questo sistema di relazioni, considerato pericoloso e illecito come una loggia segreta. E pronto ad attivarsi negli uffici giudiziari di tutta Italia per esaudire i desideri del premier: il loro imperatore per questo chiamato "Cesare". 

LE TENTAZIONI DELL'ISPETTORE
Arcibaldo Miller, pm napoletano di lungo corso, ha l'incarico più delicato di tutta l'amministrazione della Giustizia: vigilare sull'opera dei magistrati. In questi giorni, ad esempio, deve pronunciarsi sull'ispezione nella procura di Bari: dalle intercettazioni del caso Tarantini-Lavitola è emerso il sospetto che l'indagine sulle escort del Cavaliere sia stata insabbiata per evitare la diffusione di documenti imbarazzanti per il premier. Nella sua testimonianza Miller dichiara di conoscere "Denis Verdini personalmente, alla pari di molti esponenti di rilievo del Pdl incluso Berlusconi". L'interrogatorio ruota intorno a una riunione del settembre 2009 a casa di Verdini dove c'erano anche il sottosegretario Caliendo, il senatore Dell'Utri, il faccendiere Flavio Carboni, l'avvocato generale della Cassazione Antonio Martone  e Lombardi.

Giacomo CaliendoGiacomo CaliendoLì - secondo l'accusa - si sarebbe discusso di come agire sulla Consulta per evitare la bocciatura del Lodo Alfano, che garantiva l'immunità del premier: "Escludo che in mia presenza si sia parlato di interventi sui giudici della Corte costituzionale, non posso escludere che si sia parlato in termini generici del Lodo Alfano", replica Miller. Ma l'argomento chiave per lui è un altro: "Dell'Utri e Verdini mi proposero di valutare la possibilità di una mia candidatura alla presidenza della Regione Campania. Io però lasciai cadere il discorso. Parlando in particolare con Verdini feci intendere, anche se in modo non perentorio, la mia indisponibilità". Partita chiusa? No. Per mesi il capo degli ispettori resta candidato in pectore del Pdl: "Nel dicembre 2009 Cosentino mi chiamò e mi disse che Berlusconi era entusiasta della proposta, che lui stesso aveva fatto, di una mia candidatura alla presidenza della Campania. Io risposi che non ero intenzionato". Piccolo dettaglio: al momento della telefonata, contro Cosentino era già stato emesso un ordine di cattura per camorra. Nel verbale Miller ricorda poi come nel 2005 "Berlusconi mi precisò la proposta di una candidatura al Senato, preliminare a quella di sindaco di Napoli. Io però rifiutai in quanto posi la condizione, ovviamente inaccettabile, che in caso di elezione volevo per la formazione della squadra piene autonomia rispetto ai partiti. Preciso che sin da allora conoscevo bene Berlusconi...".



EDITORIA E PIZZINI
Gli atti dell'indagine romana fanno emergere aspetti discutibili anche nell'operato di Giacomo Caliendo, sottosegretario della Giustizia e senatore pdl dopo avere passato trent'anni nel palazzo di giustizia di Milano. Gli investigatori capitolini hanno individuato conti con oltre un milione di euro intestati a lui e alla moglie nella Banca Arner (leggi).

Il sottosegretario - che da un anno è sotto inchiesta - ha partecipato al pranzo in casa Verdini ma nega che in sua presenza si sia discusso del Lodo Alfano. "Quella sera stessa io chiesi telefonicamente a Lombardi di cosa altro si era parlato nella riunione e lui mi disse che si era parlato del Lodo Alfano. Aggiungo che in quarant'anni né ho mai fatto né ho mai ricevuto segnalazioni su processi". In questo viene smentito da un ex alto magistrato, Enrico Altieri, che due mesi fa si è presentato al procuratore Capaldo. Altieri era il presidente della sezione della Cassazione che si sarebbe dovuta occupare della causa sulle tasse eluse dalla Mondadori. Dichiara di essere stato colpito da un articolo firmato dal direttore del quotidiano "Milano Finanza" in cui lo si contestava per "avere prodotto una giurisprudenza troppo favorevole al fisco". E spiega di essersi chiesto il perché di quell'attacco: "In seguito a quell'articolo mi è venuto in mente di avere ricevuto un biglietto manoscritto da Caliendo. In una pausa di un convegno dell'ottobre 2009 Caliendo mi avvicinò ed effettuò un sondaggio circa le mie opinioni sulla causa pendente in Cassazione relativa alla Mondadori. Mi disse che quella causa era molto importante e che le conseguenze potevano essere assai pesanti per la parte privata. Quindi cercò di sondare il mio orientamento. Io ovviamente risposi in modo evasivo. A questo punto Caliendo mi diede un foglio su cui erano scritti la data dell'udienza, la causa e il suo numero al quale mi pregò di chiamarlo dopo che avessi terminato lo studio. Effettivamente due giorni dopo sentii Caliendo al quale dissi che la questione era complessa". 



Altieri aveva fama di giudice duro ma non si è mai pronunciato sulla Mondadori: la causa è stata trasferita alle sezioni unite - la massima istanza della Cassazione - con un provvedimento voluto dal presidente Vincenzo Carbone. Il rinvio - riconosce lo stesso Carbone, ora finito sotto inchiesta - significa un altro anno di attesa. La vertenza Mondadori - nata da una verifica fiscale della Finanza del 1995 - era ferma dal maggio 2000: fino ad allora lo studio di Giulio Tremonti aveva vinto nei primi due gradi di giudizio. Il verdetto era previsto per ottobre 2009: la contestazione di 173 milioni con interessi e multe rischiava di lievitare fino a 300 milioni di euro. Ma l'avvocatura dello Stato si allinea alla richiesta di rinvio della difesa prima ancora che l'istanza venga presentata. Lo ammette Oscar Fiumara, al vertice dell'organismo che dovrebbe tutelare gli interessi dello Stato: "La persona che mi ha parlato della prossima presentazione dell'istanza è stato probabilmente l'avvocato Ghedini. Conosco bene Ghedini, con il quale ci diamo del tu; credo che sia venuto a trovarmi come ha fatto in qualche occasione. Della vicenda ne ho parlato, credo successivamente, al sottosegretario Gianni Letta".

MISSIONE 'NDRANGHETA

Quando Pasqualino Lombardi, il geometra irpino diventato giudice tributario, si presentava alla loro porta tutti i magistrati lo accoglievano: lui spendeva il nome di Gianni Letta, ma di sicuro era amico del presidente della Cassazione ed aveva ottimi rapporti con l'allora vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Tutti sostenevano di fornirgli solo informazioni fasulle, mai nessuno lo buttava fuori. Nemmeno quando sollecitava raccomandazioni o prometteva regalie. A Nicola Cerrato, procuratore aggiunto di Milano, prospetta "un arbitrato per il figlio" ossia un ricco incarico professionale: "Io gli feci una lavata di testa dicendogli che non scivolavo su queste cose", ha messo a verbale il magistrato, sentito come teste. Lombardi gli chiede poi di incontrare Roberto Formigoni, che era indagato in un procedimento condotto proprio da Cerrato: "Disse che poteva essere utile ai fini di un mio impegno politico in Regione e potevo fare anche l'assessore, tanto che risposi "Ma che sciocchezze dici..."".



Molto più singolare la richiesta presentata per conto di Formigoni nel marzo 2010. Lombardi ha cinque nomi e vuole sapere se sono sotto inchiesta per 'ndrangheta, sostenendo che al governatore interessava valutare la loro onestà per inserirli o meno nelle liste. Cerrato dichiara: "Io risposi che non avevo nessun titolo istituzionale a dare quelle informazioni e Lombardi mi chiese se si poteva, a quello scopo, contattare la Boccassini. Io esclusi una simile eventualità. Gli dissi di rivolgersi a due giornalisti autori di un libro sulla 'ndrangheta. Fra i nomi che mi fece ricordo che vi era quello di un certo Ponzoni... Io lì per lì dissi soltanto che Ponzoni era notoriamente indagato. Poi chiesi a uno dei giornalisti notizie su quei nomi e le riferii a Lombardi in occasione di una successiva visita". La lista che preoccupava Formigoni - sequestrata dagli inquirenti romani - comprendeva "Ponzoni, Maullo, Pozzi Giorgio, Boni, Abelli". Ossia alcuni degli uomini chiave del centrodestra lombardo. Ma le intercettazioni per 'ndrangheta che li hanno coinvolti in quella data erano ancora segrete. Eppure Lombardi sapeva già.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-silvio-risparmio-300-milioni-di-tasse/2160132//2

L'arte della fuga di CONCITA DE GREGORIO



L'arte della fuga


NON può ricevere i pm a palazzo Chigi, perché deve andare a Strasburgo. È stata una ricerca frenetica, venerdì sera, a Palazzo Grazioli: tutti lì a cercare fra la posta già buttata le mail cancellate gli inviti nemmeno aperti.  Ci sarà pure un invito istituzionale, no? Trovatelo, guardate anche nel cestino. Eccolo presidente, ci sarebbero Barroso e Van Rompuy disponibili. Chi? Van Rompuy, il presidente del Consiglio europeo. Va bene, funziona. Prendete appuntamento con questo. Preparatemi una scheda personale. "Van Rompuy, fiammingo, cultore di poesia ed esperto di Haiku giapponesi, amante dell'ornitologia, nel tempo libero solito ritirarsi in preghiera in un'abbazia benedettina". Sarebbe bello assistere al colloquio riservato, sì. Caldamente sconsigliate battute ornitologiche. Meglio, nel caso, la zia suora.

Meglio improvvisare un haiku piuttosto che spiegare ai due magistrati napoletani perché tiene a libro paga due ceffi del calibro di Lavitola e Tarantini. Parte offesa, certo. In questo caso Silvio B. è la vittima: ricattato, si suppone. Ma la figura del ricattato in giurisprudenza, glielo avrà spiegato Ghedini, è diversa da quella del concusso. È una tipologia precisa e di confine. Un ricatto si esercita su qualcuno che sa di essere ricattabile: si chiede a chi si sa che dovrà dare, per qualche motivo noto ad entrambi. Infatti il ricattato dà: paga. In caso contrario, se non ha niente da temere, denuncia il tentativo e fa arrestare i malfattori proclamando la sue estraneità al motivo del 
ricatto. Questo non è avvenuto, assolutamente no. Al contrario: i due stipendiati avevano con lui un filo diretto, accesso continuo al suo numero di telefono privato del resto in possesso di moltitudini di transessuali brasiliane e giovani bisognose di aiuto di varie nazionalità. Al contrario, all'impressionante direttore dell'Avanti! già visto in azione nel reperimento di carte sul conto di Fini e assai spesso in viaggio di lavoro per conto della vittima del ricatto medesimo, ha detto proprio al telefono: "Resta dove sei". Non tornare in Italia, ti stanno per arrestare, non hai letto Panorama? Te lo dico io: resta lì, lontano da questo "Paese di merda". 


Il telefono, che dannazione. Si convochi subito una riunione a Palazzo per scrivere questa maledetta legge bavaglio. Presto, Verdini. Presto Lupi, Alfano, che vi ho nominati a fare? Vogliamo smetterla di leggere sui giornali quel che dico? Sono due anni che ve lo chiedo, e allora? Perché vedete, se uno è parte lesa  -  vittima di un ricatto, appunto  -  non rischia nulla in teoria ma c'è sempre la possibilità che cada in contraddizione durante il racconto, che so?, che non sappia spiegare bene perché Marinella dava i soldi a quel tipo o perché gli ha detto di non tornare, appunto, se era vittima di un sopruso. E allora, in flagranza di reato, ti arrestano. Scoprono che menti, e non ci sono immunità che tengano. E' automatico, proprio. Meglio non rischiare. Meglio gli uccelli di Van Rompuy.

Sarebbe grottesco, tutto questo, se non fosse tragico. Tragica l'indifferenza degli italiani cullati nel sonno dagli editoriali del Tg1 per cui l'arte della fuga si declina solo in musica, altrimenti è una parola tabù. Silvio B. è un uomo in fuga, invece. L'Italia ha un presidente del consiglio che molto probabilmente un giorno sparirà. Se falliranno scudi, legittimi impedimenti, lasciapassare concordati con le opposizioni  -  sottovoce da tempo se ne parla  -  un giorno fuggirà. Il referendum di maggio è stato un segnale ignorato. C'è una parte del Paese che lo sa. Come diciamo da tempo, oltre e prima che politico il danno devastante di questo esempio di condotta è culturale. Noi qui a convincere i nostri figli che la decisione dei professori non si discute, che se in greco o in disegno ti bocciano non si fa ricorso ma si studia di più, che se ti fanno la multa perché hai parcheggiato in terza fila la devi pagare, che le regole si rispettano, che non si salta la coda con un trucco e non importa se gli altri lo fanno. Che le decisioni delle autorità si rispettano. Un lavoro di resistenza improbo, nel mondo dei Lavitola. Facciamolo per i nostri figli, per il tempo che verrà: resterà traccia, sappiatelo, di chi ha detto di no. Mandiamo una mail a Van Rompuy, che a Berlusconi martedì una domanda la faccia anche lui: what about Tarantini, mr. president?