domenica 11 settembre 2011

E Silvio risparmiò 300 milioni di tasse. - di Lirio Abbate e Gianluca Di Feo






Gli atti dell'inchiesta  svelano le trame, a tutti i livelli, per evitare la super-causa fiscale sulla Mondadori. Dal presidente della Cassazione al sottosegretario Caliendo, ecco chi si è mosso per salvare il premier dalla maxi-multa.


Il capo degli ispettori Arcibaldo Miller che si vanta dei suoi "rapporti personali" con il vertice del Pdl, Silvio Berlusconi incluso. Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo che cerca notizie sulla causa fiscale da 300 milioni di euro che pende sulla Mondadori "perché poteva avere conseguenze gravi sulla parte privata". L'avvocato generale dello Stato Oscar Fiumara che riceve Niccolò Ghedini "con il quale ci diamo del tu" e subito si adegua alla sua linea sulla questione Mondadori.

Il primo presidente della Cassazione Vincenzo Carbone che accoglie l'istanza dell'azienda berlusconiana e così il procedimento - aperto da 15 anni - viene rinviato di un altro anno. E nel frattempo una leggina permette alla Mondadori di sanare il tutto con soli 8 milioni e mezzo di euro. O gli interventi sull'allora presidente del Tribunale dei ministri Giovanni Fargnoli, spesso al tavolo degli arrestati, per far archiviare l'istruttoria sui voli di Stato con cui il Cavaliere portava amiche e ballerine in Sardegna a spese dei contribuenti. Solo una parte delle decine di magistrati che venivano avvicinati dagli emissari della P3: ricevevano richieste di favori, piccoli o grandi, e offerte di gratificazioni, sponsorizzazioni per la carriera o incarichi ben remunerati per parenti e amici. Una rete di contatti che secondo l'accusa aveva referenti alti e alcuni ostinati peones, come il geometra irpino Pasqualino Lombardi, tanto folcloristico nello storpiare i nomi quanto caparbio nell'infilarsi nelle stanze del potere.

Gli atti della grande inchiesta romana condotta da Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli hanno radiografato questo sistema di relazioni, considerato pericoloso e illecito come una loggia segreta. E pronto ad attivarsi negli uffici giudiziari di tutta Italia per esaudire i desideri del premier: il loro imperatore per questo chiamato "Cesare". 

LE TENTAZIONI DELL'ISPETTORE
Arcibaldo Miller, pm napoletano di lungo corso, ha l'incarico più delicato di tutta l'amministrazione della Giustizia: vigilare sull'opera dei magistrati. In questi giorni, ad esempio, deve pronunciarsi sull'ispezione nella procura di Bari: dalle intercettazioni del caso Tarantini-Lavitola è emerso il sospetto che l'indagine sulle escort del Cavaliere sia stata insabbiata per evitare la diffusione di documenti imbarazzanti per il premier. Nella sua testimonianza Miller dichiara di conoscere "Denis Verdini personalmente, alla pari di molti esponenti di rilievo del Pdl incluso Berlusconi". L'interrogatorio ruota intorno a una riunione del settembre 2009 a casa di Verdini dove c'erano anche il sottosegretario Caliendo, il senatore Dell'Utri, il faccendiere Flavio Carboni, l'avvocato generale della Cassazione Antonio Martone  e Lombardi.

Giacomo CaliendoGiacomo CaliendoLì - secondo l'accusa - si sarebbe discusso di come agire sulla Consulta per evitare la bocciatura del Lodo Alfano, che garantiva l'immunità del premier: "Escludo che in mia presenza si sia parlato di interventi sui giudici della Corte costituzionale, non posso escludere che si sia parlato in termini generici del Lodo Alfano", replica Miller. Ma l'argomento chiave per lui è un altro: "Dell'Utri e Verdini mi proposero di valutare la possibilità di una mia candidatura alla presidenza della Regione Campania. Io però lasciai cadere il discorso. Parlando in particolare con Verdini feci intendere, anche se in modo non perentorio, la mia indisponibilità". Partita chiusa? No. Per mesi il capo degli ispettori resta candidato in pectore del Pdl: "Nel dicembre 2009 Cosentino mi chiamò e mi disse che Berlusconi era entusiasta della proposta, che lui stesso aveva fatto, di una mia candidatura alla presidenza della Campania. Io risposi che non ero intenzionato". Piccolo dettaglio: al momento della telefonata, contro Cosentino era già stato emesso un ordine di cattura per camorra. Nel verbale Miller ricorda poi come nel 2005 "Berlusconi mi precisò la proposta di una candidatura al Senato, preliminare a quella di sindaco di Napoli. Io però rifiutai in quanto posi la condizione, ovviamente inaccettabile, che in caso di elezione volevo per la formazione della squadra piene autonomia rispetto ai partiti. Preciso che sin da allora conoscevo bene Berlusconi...".



EDITORIA E PIZZINI
Gli atti dell'indagine romana fanno emergere aspetti discutibili anche nell'operato di Giacomo Caliendo, sottosegretario della Giustizia e senatore pdl dopo avere passato trent'anni nel palazzo di giustizia di Milano. Gli investigatori capitolini hanno individuato conti con oltre un milione di euro intestati a lui e alla moglie nella Banca Arner (leggi).

Il sottosegretario - che da un anno è sotto inchiesta - ha partecipato al pranzo in casa Verdini ma nega che in sua presenza si sia discusso del Lodo Alfano. "Quella sera stessa io chiesi telefonicamente a Lombardi di cosa altro si era parlato nella riunione e lui mi disse che si era parlato del Lodo Alfano. Aggiungo che in quarant'anni né ho mai fatto né ho mai ricevuto segnalazioni su processi". In questo viene smentito da un ex alto magistrato, Enrico Altieri, che due mesi fa si è presentato al procuratore Capaldo. Altieri era il presidente della sezione della Cassazione che si sarebbe dovuta occupare della causa sulle tasse eluse dalla Mondadori. Dichiara di essere stato colpito da un articolo firmato dal direttore del quotidiano "Milano Finanza" in cui lo si contestava per "avere prodotto una giurisprudenza troppo favorevole al fisco". E spiega di essersi chiesto il perché di quell'attacco: "In seguito a quell'articolo mi è venuto in mente di avere ricevuto un biglietto manoscritto da Caliendo. In una pausa di un convegno dell'ottobre 2009 Caliendo mi avvicinò ed effettuò un sondaggio circa le mie opinioni sulla causa pendente in Cassazione relativa alla Mondadori. Mi disse che quella causa era molto importante e che le conseguenze potevano essere assai pesanti per la parte privata. Quindi cercò di sondare il mio orientamento. Io ovviamente risposi in modo evasivo. A questo punto Caliendo mi diede un foglio su cui erano scritti la data dell'udienza, la causa e il suo numero al quale mi pregò di chiamarlo dopo che avessi terminato lo studio. Effettivamente due giorni dopo sentii Caliendo al quale dissi che la questione era complessa". 



Altieri aveva fama di giudice duro ma non si è mai pronunciato sulla Mondadori: la causa è stata trasferita alle sezioni unite - la massima istanza della Cassazione - con un provvedimento voluto dal presidente Vincenzo Carbone. Il rinvio - riconosce lo stesso Carbone, ora finito sotto inchiesta - significa un altro anno di attesa. La vertenza Mondadori - nata da una verifica fiscale della Finanza del 1995 - era ferma dal maggio 2000: fino ad allora lo studio di Giulio Tremonti aveva vinto nei primi due gradi di giudizio. Il verdetto era previsto per ottobre 2009: la contestazione di 173 milioni con interessi e multe rischiava di lievitare fino a 300 milioni di euro. Ma l'avvocatura dello Stato si allinea alla richiesta di rinvio della difesa prima ancora che l'istanza venga presentata. Lo ammette Oscar Fiumara, al vertice dell'organismo che dovrebbe tutelare gli interessi dello Stato: "La persona che mi ha parlato della prossima presentazione dell'istanza è stato probabilmente l'avvocato Ghedini. Conosco bene Ghedini, con il quale ci diamo del tu; credo che sia venuto a trovarmi come ha fatto in qualche occasione. Della vicenda ne ho parlato, credo successivamente, al sottosegretario Gianni Letta".

MISSIONE 'NDRANGHETA

Quando Pasqualino Lombardi, il geometra irpino diventato giudice tributario, si presentava alla loro porta tutti i magistrati lo accoglievano: lui spendeva il nome di Gianni Letta, ma di sicuro era amico del presidente della Cassazione ed aveva ottimi rapporti con l'allora vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Tutti sostenevano di fornirgli solo informazioni fasulle, mai nessuno lo buttava fuori. Nemmeno quando sollecitava raccomandazioni o prometteva regalie. A Nicola Cerrato, procuratore aggiunto di Milano, prospetta "un arbitrato per il figlio" ossia un ricco incarico professionale: "Io gli feci una lavata di testa dicendogli che non scivolavo su queste cose", ha messo a verbale il magistrato, sentito come teste. Lombardi gli chiede poi di incontrare Roberto Formigoni, che era indagato in un procedimento condotto proprio da Cerrato: "Disse che poteva essere utile ai fini di un mio impegno politico in Regione e potevo fare anche l'assessore, tanto che risposi "Ma che sciocchezze dici..."".



Molto più singolare la richiesta presentata per conto di Formigoni nel marzo 2010. Lombardi ha cinque nomi e vuole sapere se sono sotto inchiesta per 'ndrangheta, sostenendo che al governatore interessava valutare la loro onestà per inserirli o meno nelle liste. Cerrato dichiara: "Io risposi che non avevo nessun titolo istituzionale a dare quelle informazioni e Lombardi mi chiese se si poteva, a quello scopo, contattare la Boccassini. Io esclusi una simile eventualità. Gli dissi di rivolgersi a due giornalisti autori di un libro sulla 'ndrangheta. Fra i nomi che mi fece ricordo che vi era quello di un certo Ponzoni... Io lì per lì dissi soltanto che Ponzoni era notoriamente indagato. Poi chiesi a uno dei giornalisti notizie su quei nomi e le riferii a Lombardi in occasione di una successiva visita". La lista che preoccupava Formigoni - sequestrata dagli inquirenti romani - comprendeva "Ponzoni, Maullo, Pozzi Giorgio, Boni, Abelli". Ossia alcuni degli uomini chiave del centrodestra lombardo. Ma le intercettazioni per 'ndrangheta che li hanno coinvolti in quella data erano ancora segrete. Eppure Lombardi sapeva già.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-silvio-risparmio-300-milioni-di-tasse/2160132//2

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