giovedì 18 giugno 2009

Lezione di giornalismo: le 5W. I Tg italiani nascondono lo scandalo D'Addario



Clicca per vedere il video (da youtube)
Questo intervento è un piccola e umilissima lezione di base di giornalismo, che dovrebbe essere compresa da tutti i nostri lettori. Senza addendrarci in concetti complessi come il valore-notizia, l'apertura, la retorica tipica di ogni settore del giornalismo e le mille sfaccettature che differenziano un buon cronista da un ottimo giornalista, vogliamo fare semplicemente riferimento alla famosa "regola delle 5W".
Dall'inglese, le 5W stanno per: Who, When, What, Where, Why. Ovvero, in italiano: Chi, Quando, Cosa, Dove, Perché. Se un articolo risponde (magari nella parte iniziale) a tutte queste domande allora è stato un redatto un buon servizio.
Chiaro? Bene, a scardinare e umiliare questa regola valida in tutto il mondo ci pensa il giornalismo italiano, in particolare televisivo, che ormai ha raggiunto un livello davvero infimo nel modo di esporre gli eventi, i fatti e i temi dell'agenda del giorno.
Come ben sappiamo, i direttori dei Telegiornali sono tutti (escluso il Tg3) manovalanza informativa al soldo di Silvio Berlusconi. Ma fin qui nulla di strano: è il semplicissimo conflitto di interessi che rende l'Italia un paese
semi-libero dal punto di vista dell'informazione.
Ieri,
come abbiamo riportato, è scoppiato lo scandalo (più etico-morale, che politico-giudiziario almeno al momento) legato all'intervista di Patrizia D'Addario, la ragazza che ha dichiarato di essere stata più volte invitata a pagamento a casa del premier Berlusconi ("utilizzatore finale" secondo l'avvocato Ghedini di un'eventuale induzione della prostituzione al vaglio della magistratura, e quindi non perseguibile penalmente). La notizia è una bomba al punto che i telegiornali avrebbero dovuto occuparsene per almeno metà del tempo disponibile svicerando tutti gli aspetti della vicenda. In tutti i paesi occidentali il premier (come accadde per Cosimo Mele, l'onorevole Udc beccato qualche tempo fa a sniffare in camera d'albergo con due "ragazze a pagamento") si sarebbe dimesso all'istante. Ma qui siamo in Italia e quindi non fa nulla, si può far passare tutto...
Quello che non deve passare è invece il modo grottesco di descrivere la notizia da parte dei principali Tg. In
questo ottimo video, che giustamente esclude per palese servilismo Tg4 e Studio Aperto, notiamo che questi giornalisti (che vengono pagati dai cittadini con le pubblicità e/o con il canone Rai) di servizi sono abituati a farne ben altri.
La regola delle 5W è completamente dimenticata: nel riportare la notizia, manca Chi ha provocato tutto questo tam tam, Perché l'ha fatto, Quando ciò è accaduto e in che circostanze ma, soprattutto, Cosa riportano i fatti. In qualche caso si sa Dove si sono consumati gli eventi (tra Bari, la Sardegna e Roma) ma questo è evidentemente il lato meno piccante delle vicende.
In apertura di servizio del Tg1, senza che sia stata data la notizia, la giornalista riporta il duro commento del premier alla solita spazzatura pubblicata dai giornali. Impossibile per il telespettatore capire perché tanta rabbia verso i giornali. Neppure Nostradamus potrebbe capire perché il centro destra insorge compatto alla notizia che non c'è, che non viene spiegata. Fantastico il Tg1 di Minzolini, che sottende l'intero servizio a una tesi mirabolante: è colpa di D'Alema, che manipola la magistratura. Da lacrimare dalle risate.
Ma in fondo anche l'attività di nascondere una notizia (di cui anche Tg5 e Tg2 sono maestri) è giornalismo. O no?

Condannati i diffamatori di Piergiorgio Welby.

di Maurizio Turco e Marco Cappato

Iniziano a giungere le prime condanne per diffamazione sul caso Welby, che, come il caso Englaro, ha visto scendere in campo una portentosa opera di disinformazione e manipolazione della verità a danno, anzitutto, dei cittadini che vengono ritenuti ‘popolo bue’ al quale dare a credere qualsiasi ciarpame pur di evitare che si formi una coscienza collettiva, basata sulla conoscenza, su temi quali il fine vita.

E così l’opera volta a ristabilire la verità ed a restituire l’onore e la reputazione ai diffamati deve giungere attraverso i Tribunali Italiani.

E’ recente, difatti, la condanna per il reato di diffamazione inflitta in sede penale, in primo grado, dal Tribunale di Desio, Sezione distaccata del Tribunale di Monza, a Maurizio Belpietro, 800,00 Euro di multa – all’epoca direttore de Il Giornale – ed al giornalista Stefano Lorenzetto, 1.200,00 Euro di Multa. Diffamato il dott. Mario Riccio, difeso dall’avv. Giuseppe Rossodivita, al quale il Tribunale ha riconosciuto tra risarcimento e riparazione pecuniaria la somma di 53.000,00 Euro, oltre la riparazione specifica della pubblicazione della sentenza su Il Giornale.

L’articolo, pubblicato in prima pagina il 23.12.2006, titolava in riferimento a Piergiorgio Welby “Nessun rispetto nemmeno per la sua volontà” ed ‘illuminava’ i lettori su come “il dr. Mario Riccio, il medico venuto da Cremona”, che ha adottato il metodo “dei boia aguzzini che eseguono le sentenze capitali negli USA”, se ne fosse “fregato della volontà di Welby.”

Ricorda il Tribunale che la critica per essere socialmente utile e dunque legittima, anche quando lesiva della reputazione di terzi, deve avere come presupposto dei fatti veri; in caso contrario è un mero pretesto per diffamare.

Ed è di oggi, ancora, la sentenza del Tribunale Civile di Roma, resa in primo grado, con la quale il Movimento Politico Cattolico Militia Christi, è stato condannato con sentenza immediatamente esecutiva a risarcire la somma totale di 60.000 Euro, pari a 20.000,00 Euro ciascuno, a favore dell’Associazione per la Libertà della ricerca scientifica Luca Coscioni, dell’Associazione La Rosa nel Pugno e del dr. Mario Riccio, tutti difesi dall’Avv. Giuseppe Rossodivita.
Il Tribunale ha anche ordinato la definitiva rimozione dal sito internet dell’Associazione Cattolica del comunicato stampa dal titolo “Profanatori ed assassini”.

La senatrice Binetti, anch’ella convenuta in giudizio dal dr. Mario Riccio, dall’Associazione Coscioni e da Radicali Italiani, davanti al Tribunale di Roma, come anche per altra diversa causa l’on. Luca Volontè convenuto in giudizio da Marco Pannella, Emma Bonino e Marco Cappato, si sono invece trincerati dietro l’immunità parlamentare e l’insindacabilità delle opinioni espresse da parlamentari attraverso i giornali ed i comunicati. Parlano, scrivono comunicati, rilasciano interviste, ma poi non ci pensano neppure – o forse ci pensano sin troppo bene - a difendere le loro affermazioni in Tribunale.

(17 giugno 2009)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/condannati-i-diffamatori-di-piergiorgio-welby/