lunedì 30 marzo 2020

GdF Brescia: maxi evasione fiscale, 22 arresti per associazione a delinquere. - 18.febb.2020

Lecco, militari della Guardia di finanza in festa: scoperti 97 ...

Scoperto un “laboratorio” di evasione fiscale a Brescia. Mezzo miliardo di euro di “false operazioni”, illeciti guadagni per circa 80 milioni. Riciclaggio internazionale dei proventi.

La Guardia di Finanza di Brescia – con il coordinamento della locale Procura della Repubblica e con il supporto del Servizio Centrale Investigativo Criminalità Organizzata (SCICO) di Roma – ha individuato, presso uno studio commercialista bresciano, una vera e propria “fabbrica” di evasione fiscale. L’indagine vede coinvolti, a vario titolo, un centinaio di persone (di varie province italiane, ovvero Brescia, Bergamo, Milano, Roma, Parma, Mantova, Perugia, Lodi, Modena, Reggio Emilia, Torino, Bari, Vicenza, Pavia, Napoli Verona) e ha per oggetto circa mezzo miliardo di euro di “false” operazioni (tra fatture per operazioni inesistenti e crediti fiscali fittizi) che hanno consentito al sodalizio di guadagnare circa 80 milioni di euro. 

Le Fiamme Gialle stanno procedendo in queste ore a dare esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Brescia: arresti nei confronti di 22 responsabili (17 in carcere e 5 ai domiciliari, dimoranti prevalentemente nelle province di Brescia, Bergamo, Milano e Roma) di svariati reati, tra cui, in particolare l’associazione per delinquere, aggravata dalla transnazionalità, finalizzata alla frode fiscale e al riciclaggio di denaro. Notificate anche 2 misure interdittive dalla qualità di imprenditore amministratore di società commerciale. Presso il citato “laboratorio” bresciano di evasione fiscale, i “colletti bianchi” – supportati da altri sodali, anch’essi prevalentemente dimoranti a Brescia e con precedenti penali specifici nei reati tributari – erano dediti a produrre “pacchetti evasivi”. Il sodalizio, schematicamente, aveva quattro finalità. La prima finalità consisteva nel “produrre” servizi tributari illeciti, attraverso centinaia di società “di comodo” (sia nazionali che estere) e prestanomi. Lo scopo prioritario era la produzione di crediti fittizi (da utilizzare indebitamente in compensazione), nonché di fatture per operazioni inesistenti. La seconda finalità era quella di vendere tali “servizi” attraverso una rete di distribuzione. I “colletti bianchi” individuavano i soggetti a cui “piazzare” i loro “prodotti” attingendo tra gli imprenditori loro clienti desiderosi di abbattere le imposte. La terza finalità consisteva nello sviare eventuali attività di controllo, attraverso il “traffico di influenze illecite” e le intimidazioni ad eventuali soggetti che volessero collaborare con la Guardia di Finanza. Nello specifico, infatti, gli indagati, percepita l’attenzione degli investigatori a fronte di acquisizioni documentali effettuate dai Finanzieri presso le società cartiere da loro gestite, si rivolgevano a “faccendieri” – conosciuti tramite “reti di relazioni” – al fine di ottenere informazioni privilegiate sui controlli in corso. Tra i “faccendieri” remunerati per la loro millantata attività di “intermediazione” – rivelatasi del tutto inefficace – emergono un (falso) appartenente alle Forze dell’ordine, nonché un (falso) appartenente ai servizi segreti nazionali. Non sono mancati i tentativi di intimidazione nei confronti di chi potesse fornire informazioni utili alle indagini. Tentativi, tuttavia, risultati vani anche grazie all’intervento preventivo degli investigatori che hanno attivato appositi dispositivi di tutela. Ultimo scopo del sodalizio era quello di ripulire il denaro frutto dell’evasione fiscale, immettendolo nel mercato e trasformandolo in “potere d’acquisto” apparentemente lecito da reinvestire in nuove attività. Lo spessore professionale dei soggetti coinvolti consentiva di ideare svariati e “raffinati” meccanismi di “lavaggio”, ovvero:

§ monetizzazione di denaro contante con prelievi da conti correnti esteri. Il sodalizio si avvaleva di una squadra di “cash courier” specializzati nel trasporto, su autovettura, di denaro contante in vari Paesi europei (Slovenia, Croazia, Ungheria, ecc.). Le indagini hanno permesso di sequestrare, ad oggi, banconote “cash” per un valore complessivo di 2,1 milioni di euro, attraverso operazioni internazionali di polizia, anche con interventi effettuati direttamente in territorio estero, grazie alla diretta collaborazione della locale Autorità giudiziaria e delle forze di polizia straniere. Particolare rilievo, infatti, assumono i sequestri effettuati oltreconfine, con la presenza dei Finanzieri in territorio estero (Umago, Croazia). Oltre 1 milione di euro in contante è stato rinvenuto presso le cassette di sicurezza di una filiale di una banca croata. L’operazione è stata possibile grazie alla tempestiva predisposizione di più Ordini di Indagine Europei emessi dalla Procura di Brescia che hanno consentito di attivare prontamente le Autorità estere. Altri sequestri sono stati effettuati dai Finanzieri in ingresso Stato, controllando le autovetture, all’atto della “reimportazione” dei profitti illeciti da altri Paesi europei, ove erano stati appositamente occultati;

§ contributo di un “colletto bianco” estero. Un professionista estero (ungherese) aveva lo specifico compito di occultare il denaro proveniente dall’evasione fiscale, aprendo e gestendo – per conto dei promotori del sodalizio – conti correnti accesi in Ungheria e in altri Paesi;

§ reimpiego del profitto nelle proprie attività economiche. L’attività di indagine ha permesso di rilevare come i sodali abbiano reimpiegato parte degli illeciti proventi nelle loro attività economiche, capitalizzandole ed acquisendo asset patrimoniali;

§ conti correnti nello Stato del Vaticano presso l’Istituto per le Opere di Religione (I.O.R.). Sono stati individuati tentativi, da parte dei principali professionisti indagati, di aprire conti correnti presso lo IOR, istituto di credito vaticano, ove depositare il profitto del reato. La cooperazione con la Polizia vaticana – coordinata dal II Reparto (“Coordinamento informativo e relazioni internazionali”) del Comando Generale della Guardia di Finanza – ha consentito di ricostruire tutti i passaggi dei tentativi di “pulizia” del denaro sporco, scongiurando il travaso dei profitti oltre confine;

§ utilizzo di trust simulati. Al fine di occultare parte dei “fondi neri”, i promotori del sodalizio hanno costituito un trust simulato. Tra gli asset nascosti all’interno del trust anche beni immobili situati fuori dal territorio dello Stato.

L’indagine ha, dunque, consentito di ricostruire le fasi, i ruoli, i trasferimenti e i passaggi di denaro dell’associazione per delinquere, permettendo di smantellare il gruppo criminale e di recuperare i patrimoni illeciti con il sequestro del “maltolto”.

https://www.liberoreporter.it/2020/02/cronaca/gdf-brescia-maxi-evasione-fiscale-22-arresti-per-associazione-a-delinquere.html?fbclid=IwAR3qxSqAkK5IWfxV5Ix9f0ycPCv2eXFIlm_Czo3zLNLLTTDMBWEJYjyYgxs

“Noi albanesi non siamo i vostri stupidi, ministro Salvini”. - Sonila Alushi*



Una coraggiosa blogger albanese, Sonila Alushi, ha reso pubblica questa lettera a Salvini. Una denuncia sull’oggi ma senza dimenticare un recente passato di emigrazione e delle sue tragedie come l’affondamento della nave Kater i Rades nel 1997.
“L’Albania si è mostrata solidale a questo Paese non a lei Signor Ministro. L’Albania è un popolo di migranti, è un popolo generoso e ospitale nonostante ancora povero. E sopratutto l’Albania non dimentica di essere stata aiutata dai suoi vicini italiani, ma non dimentica anche le sue dichiarazioni disprezzanti. O le becere frasi dei suoi seguaci scritte nei muri della Lombardia come ad esempio: ‘Albanesi tutti appesi!’
Oh no, noi non dimentichiamo la dichiarazione della vostra deputata (ai tempi Lega Nord) e allora Presidente della Camera, Irene Pivetti, che senza il minimo pudore e sensibilità, disse che gli albanesi ANDAVANO BUTTATI A MARE! E a mare ci finimmo davvero pochi giorni dopo: si chiamava Katër i Radës quella piccola nave affondata a Otranto. Ci morirono 81 di noi tra bambini, donne, uomini giovani e vecchi.
Chiamarono quel naufragio ‘La Tragedia del Venerdì Santo’ (28 Marzo 1997). Piangemmo quei morti da nord a sud e un intero Paese si vestì di nero. Ma poi i barconi ripartirono, era questione di sopravvivenza e lei lo sa bene anche se fa finta di non sapere. Lei fa finta di non capire perché la gente lascia casa e rischia la vita in mare.
Lei fa finta Ministro, fa finta su molte cose, anche sul fatto che il più grande problema di questo Paese, a sentir lei, sembra siano gli immigrati. Non abbiamo avuto il tempo di asciugarci le lacrime per i morti di Genova e Civita, che ecco che arriva lei con le sue crudeli decisioni per farci piangere e vergognare di altre vittime!
Non siamo riusciti a consumare qualche giorno di lutto per quelle perdite e capirci qualcosa sulle responsabilità di quel crollo, che ecco che rispuntano le sue lagne puntando il dito solo verso gli immigrati! Per non parlare della fuga dei capitali, della disoccupazione, della Mafia, del degrado sociale, della povertà in crescita, ecc. Tutto in ombra!
Oggi dice nei suoi comizi, quelli dove i suoi fan si divertono con il suo triste sarcasmo, che l’Albania si è comportata meglio della Francia!! Suvvia Ministro, sappiamo bene che la Francia non si farà il minimo problema per questo suo ridicolo paragone.
E sappiamo bene anche come la pensa su di noi: fosse stato per lei e i suoi, noi albanesi non saremmo stati accolti allora e non saremmo ben accettati nemmeno oggi.
L’Albania, posizionandosi al fianco dell’Italia, si è dimostrata riconoscente e generosa perché questo Paese se lo merita e questo Paese non è rappresentato solo da lei.
Non usi questo bel gesto a suo favore personale, non ci tratti da stupidi. Grazie”!
*Sonila Alushi vive in Italia e scrive su Albania news. L’articolo lo abbiamo ripreso da facebook dove sta circolando.
traduzione di Simona Forte.

Regione Calabria, le spese folli del Consiglio. Dirigenti pagati a peso d’oro e 351 dipendenti. - Riccardo Tripepi

Palazzo Campanella
Palazzo Campanella

Il segretario generale percepisce quasi 300mila euro l’anno, il presidente dell’Assemblea 165mila, i direttori di settore 137mila. In più c’è una pletora infinita di impiegati, con un rapporto di 12 unità per ogni consigliere.


Si apre il prossimo 9 marzo la legislatura regionale. Palazzo Campanella i suoi dipendenti si preparano dunque a intensificare il proprio impegno in attesa di capire quali saranno le decisioni, o le eventuali riforme, che la nuova Assemblea sul loro futuro. Mentre sono ancora in corso di svolgimento le procedure per alcuni concorsi, l’organico sembra essere sovradimensionato e ipercostoso.

Al momento, il personale interno del Consiglio, nel quale troveranno spazio i 30 consiglieri appena eletti, è composto da 351 unità a tempo indeterminato, con un’invidiabile media di 11,7 dipendenti per consigliere regionale. Nel numero sono compresi i nuovi assunti per carenza di organico nel 2010, che nella misura del 20% viene applicato nelle strutture speciali dei politici, lasciando spesso sotto organico gli uffici.

Impietoso il confronto con gli altri Consigli regionali italiani. A partire, ad esempio, da quello della Lombardia che risulta composto da 80 consiglieri e conta 268 unità a tempo indeterminato, con la media di 3,35 dipendente per consigliere regionale.

Alla spesa per i dipendenti già analizzata in precedenza, si aggiunge quella per i dirigenti che presenta alcuni tratti del tutto singolari.

Il segretario generale di palazzo Campanella percepisce un compenso pari ad euro 282.358,71 all’anno, così per come stabilito dalla legge regionale la n. 8 del 1996. Praticamente guadagna più dello stesso presidente del Consiglio che si ferma ad euro 165.600,00. La figura omologa alla giunta guadagna euro 160.217,66, ben 45.831,05 in meno di competenze stipendiali fisse.

Eppure diversa sembrerebbe la mole di lavoro per i due segretari: mentre in giunta regionale vi sono 13 dirigenti generali e circa 2.500 dipendenti, al Consiglio vi è 1 solo direttore generale e circa 351 dipendenti.

Le differenze tra palazzo Campanella e Cittadella proseguono anche per il capo di gabinetto: al Consiglio si prevede uno stipendio da Euro 202.437,39 mentre quello della Giunta soltanto Euro 140.578,68.
Le stesse differenze si riscontrano anche in ordine ai dirigenti di settore che sono 9 per 351 dipendenti in Consiglio per uno stipendio annuo da euro 137.478,07, un compenso superiore di circa 25.000 euro rispetto a quanto percepito dai circa 120 dirigenti di Settore della Giunta regionale.

Costi della politica necessari al funzionamento della macchina amministrativa e gestionale si dirà. Eppure un’operazione trasparenza all’interno dei palazzi del potere potrebbe essere un invidiabile biglietto da visita per la nuova Amministrazione regionale che potrebbe censire nel dettagli i costi e spiegare ai calabresi come vengono spesi i denari pubblici e per ottenere quali risultati.

Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità. - Paolo Bionadani e Andrea Tornago

Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità

Un'indagine finora inedita svela i retroscena della carriera di Domenico Mantoan, il super direttore degli ospedali veneti ora nominato al vertice dell'Aifa.


Auto blu e favori politici: tutti i segreti dello zar leghista della sanità.
Maledetta auto blu. Più che un privilegio, sembra una disgrazia per Domenico Mantoan, potentissimo neo-presidente dell’Aifa, l’agenzia che gestisce l’intera spesa farmaceutica e controlla il mercato miliardario dei medicinali. Perché sono proprio due infortuni con l’auto di servizio a insidiare la sua irresistibile carriera di super-dirigente della sanità nel ricco Veneto e ora in tutta Italia. Una nomina, decisa dalla conferenza delle Regioni, che sancisce il passaggio alla Lega di questo cruciale centro di potere sanitario, economico e politico.
Mantoan, 62 anni, vicentino di Brendola, occupa da un decennio, ininterrottamente, la poltrona di direttore generale della sanità veneta: è il capo indiscusso di un apparato regionale che muove ogni anno dieci miliardi di euro di spesa pubblica.

A Venezia è considerato un tecnico molto preparato e capace, con un carattere duro: una sorta di Richelieu, riverito e temuto anche ai piani alti di Palazzo Balbi, sede della Regione. Laureato in medicina a Padova, specializzato in endocrinologia a Verona, il super-manager ha la gerarchia nel sangue: inizia la sua carriera nel 1984 come ufficiale medico dei Carabinieri di Udine e del distretto militare di Verona, dove lavora fino al 1993. Nella sanità regionale entra nel 1995, quando il Veneto, dopo Tangentopoli e la fine della Dc, diventa un feudo del centrodestra. Da allora Mantoan continua a fare carriera sotto tutte le giunte.

Con il berlusconiano Galan, viene chiamato a replicare il modello sanitario lombardo dell’era Formigoni (tagli agli ospedali pubblici, soldi alle cliniche private), che riesce ad applicare senza troppi danni sociali. Il Veneto diventa la terza regione italiana per spesa sanitaria privata (41 per cento del totale, secondo la Corte dei Conti) restando in vetta alla classifica dei livelli di assistenza. Dal 2010 ad oggi Mantoan resiste a tutti i cambiamenti di pelle della Lega: mentre il partito passa da Bossi a Maroni per arrivare a Salvini, e nell’assessorato alla sanità la cerchia del veronese Tosi è sostituita dai fedelissimi del trevigiano Zaia, il super-tecnico resta al suo posto, dove è riconfermato almeno fino alla primavera prossima. Ed è proprio l’attuale governatore Luca Zaia a candidarlo con successo alla presidenza dell’Aifa.

A rovinare la festa per la nomina, il 31 ottobre scorso, arriva un’interrogazione dei Cinquestelle, che chiede al neo-ministro Roberto Speranza di chiarire una bruttissima storia di malasanità e malagiustizia che coinvolge l’auto blu di Mantoan. A Padova, il 13 settembre 2016, la vettura pubblica che trasporta il direttore, guidata dal suo autista di fiducia, fa una manovra vietata e uccide un motociclista. A effettuare l’autopsia si precipita il professor Massimo Montisci, direttore dell’istituto di medicina legale di Padova, che scagiona l’autista con una tesi incredibile: il motociclista, Cesare Tiveron, sarebbe morto d’infarto un attimo prima di essere travolto dall’auto blu. I familiari della vittima insorgono, denunciano un conflitto d’interessi (l’istituto di Padova dipende dal grande capo della sanità veneta) e ottengono una nuova perizia, affidata a una squadra di luminari, che capovolge il verdetto: ora il professor Montisci è accusato di falso, l’autista di Mantoan di omicidio stradale.

La stessa auto blu è finita al centro di un’altra indagine, finora tenuta segreta. Un procedimento aperto nel 2014 e chiuso pochi mesi fa, nell’aprile 2019. Mantoan non è accusato di alcun reato, ma i fatti accertati documentano rapporti, metodi di lavoro e incontri di potere finora sconosciuti: una specie di biografia non autorizzata. Tutto nasce da un fascicolo minore. La Procura di Vicenza ipotizza un «peculato d’uso»: Mantoan ha diritto di usare la vettura regionale con l’autista pubblico per gli spostamenti tra casa e ufficio, cioè tra Venezia e Vicenza, mentre è sospettato di servirsene anche per trasferte private. Quindi la Guardia di Finanza comincia a seguire la sua auto blu, segnalando una serie di anomalie. Il 26 settembre 2014, in particolare, la macchina pagata dalla Regione effettua una deviazione: esce dall’autostrada a Padova Est e si ferma in un hotel a quattro stelle dove lui rimane fino all’alba successiva. Qui il super manager pubblico incontra una imprenditrice della sanità, che ha una ditta a Padova e vende prodotti ospedalieri. Un incontro riservato tra controllore e controllata.

L’indagine si chiude con un’archiviazione chiesta dal pm Giovanni Parolin: il giudice Massimo Gerace certifica che il peculato «non sussiste», perché i «singoli episodi» si riducono a «deviazioni di pochi chilometri», che «non hanno provocato danni apprezzabili alle casse pubbliche». Anzi, nella notte in hotel c’è stato «un considerevole risparmio», perché l’autista lo ha lasciato a Padova anziché portarlo a casa nel Vicentino. Un proscioglimento pieno, che però riconferma l’incontro notturno tra il dirigente pubblico e l’imprenditrice privata «per ragioni comprovatamente personali».

Un altro dato certo è che, nei mesi successivi, l’amica di Mantoan fa un grande salto di carriera. Prima era solo una rappresentante di commercio, con una ditta individuale di «prodotti medicali, chirurgici e ortopedici». Dal gennaio 2017 diventa amministratrice unica di una società con 100 mila euro di capitale, che gestisce un centro radiologico in provincia di Padova, di cui è anche socia con il 20%. Il primo azionista, con il 40%, è un soggetto misterioso, che vuole restare anonimo: la sua quota è intestata a una fiduciaria del Montepaschi. Il restante 40%, invece, fa capo al gruppo Hfc, che controlla diverse società importanti, con fatturati milionari. Una di queste, F.R. Engineering, negli ultimi anni si è aggiudicata decine di grandi contratti per la sanità veneta: dal ciclotrone dell’ospedale di Castelfranco, a sofisticati macchinari come la Pet di Padova, alla rete di condizionatori dell’Istituto oncologico veneto, di cui Mantoan è stato commissario fino al 2016. Intanto l’imprenditrice padovana ha trovato altri partner d’affari importanti, come la società milanese Adexte, che si è fatta rappresentare proprio da lei, come risulta dalla sua firma in un documento del giugno 2018, in almeno una gara d’appalto da 64 mila euro: forniture per la medicina nucleare dell’ospedale di Vicenza, aggiudicate alla Adexte.

Dagli atti giudiziari emerge che il fascicolo sull’auto blu era nato da un’indagine molto più ampia: pressioni politiche per nominare primari ospedalieri fedeli alla Lega. Mantoan viene intercettato, nello stesso periodo della notte in hotel, mentre incontra segretamente, in un bar vicino a un altro casello, il direttore sanitario di un ospedale di Vicenza e il responsabile di una Usl veronese, entrambi leghisti. Il primo, riassume la Finanza, «si adopera attivamente per indirizzare e determinare le nomine di due primari, a Verona e Vicenza». E incontra Mantoan perché «ne conosce il potere di interferenza nelle decisioni sulla sanità veneta». Il procedimento si chiude nel 2018 per la morte del dirigente vicentino inquisito. Mentre Mantoan non viene neppure indagato: in quell’incontro «certamente anomalo» ha subito pressioni politiche, ma non risulta che sia mai arrivato a truccare i concorsi dei primari.

Il 7 novembre anche il ministro Speranza ha ratificato la sua nomina all’Aifa. Per il direttore della sanità veneta, la presidenza di un’agenzia così strategica segna anche una rivincita personale su Roma, dopo le polemiche con l’ex ministro Beatrice Lorenzin sull’obbligatorietà dei vaccini. Nel settembre 2017, infatti, era stato un decreto firmato proprio da Mantoan a sospendere per due anni l’obbligo di presentare i certificati di vaccinazione come requisito per l’ammissione nelle scuole. La Regione Veneto è arrivata a impugnare le norme statali davanti alla Corte Costituzionale, senza successo. Quindi il governatore Zaia ha dovuto sospendere il decreto Mantoan. Ora il burocrate torna a Roma, nello stesso ministero, da vincitore: come numero uno dell’Aifa, sarà lui a rappresentare lo Stato negli incontri e scontri con le potenti multinazionali dei farmaci. Non in un hotel vicino all’austostrada, si spera.

https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/11/15/news/auto-blu-sanita-lega-1.340848

Le mani della Lega sul business dei farmaci. - Gloria Riva


Le mani della Lega sul business dei farmaci

Il partito di Salvini conquista la presidenza dell'Aifa, l'agenzia statale per i medicinali. Tra sprechi miliardari, riforme insabbiate e pressioni delle multinazionali.

Uno scontro sotterraneo di potere, all’ombra della politica, scuote i vertici dell’Aifa, la potente Agenzia italiana del farmaco, che muove ben 28 miliardi di euro l’anno e decide quali medicinali possono entrare nel mercato italiano ed essere rimborsati dalle casse pubbliche.

L’ente, con le proprie decisioni, non solo è responsabile della buona salute dei cittadini, ma indirettamente svolge un importante ruolo a garanzia di ben 70 mila posti di lavoro, tanti sono gli addetti del settore. Il direttore e i comitati tecnici di Aifa hanno il delicato compito di selezionare e valorizzare i prodotti più efficaci nel debellare le malattie, senza dimenticare gli investimenti industriali ed economici che ciascuna multinazionale del farmaco ha in programma nel territorio italiano.

All’attenzione per i pazienti si aggiunge dunque l’interesse a mantenere buoni rapporti con un settore industriale da 32 miliardi di giro d’affari e tre miliardi di investimenti all’anno. Quei posti di comando dell’Aifa scottano così tanto che il direttore uscente, il chirurgo milanese Luca Li Bassi, esperto di management sanitario, con una lunga e comprovata esperienza internazionale in materia di gestione e rimborsabilità dei farmaci, è rimasto in sella poco più di un anno, per poi essere travolto dal più tipico degli spoil system: al cambio del ministro della Salute, avvenuto a settembre - quando la pentastellata Giulia Grillo è stata sostituita da Roberto Speranza, ex Pd ora in Leu - è seguita la pubblicazione di un nuovo bando per l’incarico di dirigere l’Aifa. Il successore di Li Bassi, oltre a saperne di farmaci, dovrà avere eccezionali doti politiche e di mediazione, visto lo scontro di potere che sta lacerando l’Agenzia pubblica.

Ma procediamo con ordine. Proprio l’ex ministra Grillo a fine 2018 aveva lanciato una sorta di rivoluzione della governance farmaceutica, con l’obiettivo di spostare l’attenzione di Aifa sul benessere del paziente, ridurre sprechi e alleviare le casse del Sistema Sanitario Nazionale dai costi inutili. Lo aveva fatto seguendo le indicazioni di un luminare di fama internazionale, Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, parecchio critico rispetto alla sostenibilità del sistema italiano: «I medicinali servono per curare le persone e se non sono davvero utili, perdono la loro funzione. Una banalità che molti hanno dimenticato», racconta all’Espresso il professore.

Dati alla mano, Garattini dice che il 60 per cento dei farmaci in commercio è perfettamente inutile «perché si tratta dell’ennesimo prodotto fotocopia che, sotto un nome diverso ma con identica molecola, va ad intasare un mercato già saturo di miliardi di scatolette che allo Stato costa 20 miliardi». E aggiunge: «I farmaci fotocopia servono a logiche altre, rispetto alla cura dei pazienti: il sistema va razionalizzato e aggiornato». E quali sarebbero le logiche altre? «Il consumismo più sfrenato. L’Aifa deve decidere se la spesa farmaceutica serve a guarire i pazienti o a garantire i posti di lavoro».

Eccola, la prima vera grana di Aifa. Le multinazionali hanno già delocalizzato all’estero tutti i più importanti centri di ricerca, perché non trovavano alcuna convenienza nell’investire in un Paese a scarso ritorno economico in termini di vendite. Meglio spostare i laboratori scientifici in Inghilterra o in Germania dove il business è più profittevole. Hanno invece mantenuto qui in Italia gran parte dell’industria produttiva, garantendo migliaia di posti di lavoro, ed è con questa leva che le aziende siedono ai tavoli di Aifa e fanno valere il proprio peso sulle Regioni, che hanno in gestione gran parte della spesa sanitaria pubblica. In questo quadro i governatori, che non vogliono ritrovarsi con ulteriori crisi industriali da gestire, meno di un mese fa hanno scelto il nuovo presidente di Aifa: è il super direttore generale della sanità veneta, Domenico Mantoan, un tecnico in quota Lega .

Il suo predecessore, Stefano Vella, se n’era andato in aperto contrasto con l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Vella, durante gli anni di lavoro all’Istituto superiore di sanità, si è occupato dell’epidemia di Aids e dal 2000, insieme a figure carismatiche come Nelson Mandela, ha aperto la strada alla produzione in Sudafrica dei medicinali generici antiretrovirali, per combattere a costi più ridotti la piaga dell’Hiv nel continente nero. Vella è noto perché vinse le battaglie legali, fatte di numerosi ricorsi, avviate da ben 39 multinazionali farmaceutiche contro la diffusione dei farmaci a basso costo.

https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/11/15/news/lega-sanita-farmaci-1.340849?fbclid=IwAR2keYizics0COOWWW-vi60EUMioH1WNDqznMt2oTDSJK-ABbd5ZkBxkDAE