domenica 23 giugno 2019

Braccianti, arrestato Infante (Pd) 19 marzo 2019 „Braccianti ridotti in schiavitù: arrestato Pasquale Infante di Eboli“.

Risultati immagini per pasquale infante

Braccianti, arrestato Infante (Pd) 19 marzo 2019
Il capogruppo del Pd al Comune, di professione commercialista, è stato condotto agli arresti domiciliari. Nei guai anche la sorella che lavora con lui come consulente.


Nell’inchiesta contro il caporalato, che vede indagate 40 persone (35 destinatari di misure cautelari di cui 27 arresti domiciliari e otto obblighi di dimora e contestuale presentazione alla polizia giudiziaria), condotta dalla Procura Antimafia di Salerno con il supporto dei carabinieri del comando provinciale, spunta anche il nome di un politico salernitano.

L'identikit.

Si tratta di Pasquale Infante, capogruppo del Partito Democratico al Comune di Eboli. Quest’ultimo – insieme al marocchino Hassan Amezghal – è considerato dagli inquirenti al vertice dell’organizzazione “specializzata” nel traffico umano di braccianti agricoli dall’Africa alla Piana del Sele. A Infante, di professione commercialista, vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione  clandestina oltre all’elusione delle norme in materia di braccianti agricoli e caporalato. Secondo gli inquirenti sarebbe stato affidato a lui il compito di mettere in ordine le carte riguardanti lo sfruttamento dei migranti. Nel mirino sarebbe finita anche la sorella, Maria Infante, che lavora nello stesso studio di consulenza. Il gip non ha accolto la richiesta del pm di restrizione in carcere modificandola in arresti domiciliari ritenendo che non ci fosse il pericolo di inquinamento probatorio. Ovviamente, Infante si difenderà dalle accuse attraverso il suo legale di fiducia.


http://www.salernotoday.it/cronaca/inchiesta-braccianti-arresto-pasquale-infante-eboli-19-marzo-2019.html

Terremoto, il senatore Michele Pazzaglini indagato. "Donazioni dirottate". - POLA pAGNANELLI

L’ex sindaco e attuale senatore della Lega Giuliano Pazzaglini

La procura: somme inviate a due società controllate dall’ex sindaco di Visso. Ma lui non ci sta: "Agito in buona fede con massima trasparenza".

Macerata, 22 giugno 2019 - Un'ipotesi di peculato, sei di abuso d’ufficio e una di truffa. Queste le accuse mosse all’ex sindaco e attuale senatore della Lega Giuliano Pazzaglini, in concorso con l’ex presidente della Croce Rossa di Visso Giovanni Casoni. Per la procura, Pazzaglini avrebbe dirottato circa 120mila euro di donazioni su due società, costituite ad hoc per intercettare la generosità arrivata da tutta Italia verso i terremotati. Il procuratore capo Giovanni Giorgio ha chiesto alla Finanza di riesaminare le donazioni, e nei giorni scorsi ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini.

Una contestazione, relativa all’accusa di peculato, riguarda una raccolta di denaro a favore dei commercianti del Comune fatta dal maceratese Vincenzo Cittadini con Moto Nardi, e dai motoclub Amici di strada di Civitanova e New Riders; 10.300 euro vennero consegnati al sindaco, che però non avrebbe versato quei soldi sul conto del Comune. Dopo le indagini, quella somma è stata messa sotto sequestro dal tribunale.

I casi di abuso d’ufficio riguardano invece altre donazioni, che Pazzaglini avrebbe dirottato su due società: la Sibil Projetc, di cui era socio, e la Sibil Iniziative, amministrata da Giovanni Casoni. A chi contattava il Comune per devolvere qualcosa, il sindaco avrebbe detto che se i soldi fossero finiti nel bilancio comunale sarebbe stato complicato utilizzarli per i terremotati. Era più semplice, avrebbe detto, girarli alle due società che si occupavano di iniziative in favore di chi aveva perso tutto. In realtà per la procura l’intenzione di Pazzaglini sarebbe stata quella di avvantaggiare le società.

Nella maggior parte dei casi si tratta di somme modeste. Una eccezione è la donazione della Emilbanca, a luglio del 2017: 91mila euro. Pazzaglini avrebbe chiesto alla banca di versare i soldi alla Pro loco. Poi all’inizio di settembre avrebbe convocato il direttivo della Pro loco per riaprire la collaborazione. In un secondo incontro avrebbe parlato della donazione in arrivo, specificando che parte dei soldi dovevano servire per le casette temporanee per i commercianti, un’altra parte per digitalizzare l’archivio storico, seimila per la Pedalata della Sibilla, e almeno 12mila però dovevano andare alla Sibil Iniziative come rimborso per l’organizzazione delle varie manifestazioni. L’ipotesi di truffa infine riguarda il fatto che un assegno, da duemila euro, sarebbe stato incassato in banca dalla compagna di Casoni.

La versione di Giuliano Pazzaglini.
«Eravamo rimasti in quattro gatti a Visso dopo il sisma, e in quattro gatti siamo riusciti a far ripartire il Comune. A questo punto, ha avuto ragione chi non ha fatto nulla e si è limitato a lamentarsi». C’è amarezza nella voce del senatore leghista Giuliano Pazzaglini, ma anche la fermezza di chi è sicuro di poter dimostrare «di aver agito in buona fede e nell’interesse della collettività». «La costituzione delle società era una cosa nota, fin da subito sono stato trasparente nel dire che in quella fase di necessità avrei contribuito in quel modo, l’ho detto in consiglio comunale. La nostra contabilità non ha utili, perché abbiamo solo fatto in modo che le donazioni fossero impegnate fino all’ultimo euro per lo scopo per cui erano state donate. Oltretutto, ho un parere del consigliere giuridico del commissario speciale alla ricostruzione che mi dà ragione: lo avevamo consultato per un’altra fattispecie, che però si attaglia benissimo anche a questa. Per il Comune e per i commercianti era stato escluso che ci fossero due ipotesi di delocalizzazione, e la nostra unica ipotesi era l’area del Parco Hotel da demolire, la nuova piazza. Allora ho pensato di scendere in campo come soggetto terzo, per dare modo ai commercianti di lavorare fino a quando non fosse stata pronta la nuova piazza».

Il senatore assicura di aver sempre avuto la massima trasparenza, «ma anziché motivo di linearità e correttezza è sembrato che volessi perseguire chissà quale intento. Se avessi voluto fare imbrogli non avrei usato la mia società, è evidente. La Sibil Iniziative tra l’altro ha quattro soci, io ho partecipato alla realizzazione della Pedalata per la Sibilla che ha consentito al Comune di avere un finanziamento da un milione di mezzo, gestendo tre operazioni per diecimila euro, tutte rendicontate. Dai bilanci risulta che le società a cui ho partecipato non hanno avuto un euro».

«Vivevamo nella situazione più disperata – ricorda l’ex sindaco –, l’80 per cento della popolazione era evacuata. Ho rinunciato all’aumento dell’indennità, mi hanno accusato per i rimborsi delle spese che avevo muovendomi con la mia auto ed è venuto fuori che avevo preso meno di quello che mi spettava. Non so cosa mi si contesti». Ieri Pazzaglini ha incontrato l’avvocato Giuseppe Villa, che lo difende con l’avvocato Giancarlo Giulianelli: «Abbiamo visto una parte degli atti, e preso atto che si tratta di un enorme malinteso, oppure ci sono aspetti da approfondire. Lunedì decideremo se presentare una memoria o chiedere di essere sentito per dare la mia versione».


https://www.ilrestodelcarlino.it/macerata/cronaca/michele-pazzaglini-indagato-1.4658346

PUBBLICARE TUTTO. - Marco Travaglio



L’altro ieri il cosiddetto ministro dell’Interno Matteo Salvini si sentiva tanto ministro della Giustizia. Partecipando a Milano al Festival del Lavoro (per farsene un’idea, si suppone), ha proposto di mettere “in galera chi fa uscire dalle procure e chi pubblica sui giornali intercettazioni senza rilevanza penale e sulla vita privata”.
E l’ha detto con l’aria di chi ha fatto una pensata originale, come se centrodestra e centrosinistra non ci provassero da 25 anni.
Nelle stesse ore, al Csm, Sergio Mattarella teneva il discorso più severo e drammatico mai pronunciato da un presidente della Repubblica in quell’organo costituzionale, che nell’ultimo mese ha perso per strada 5 dei suoi 16 membri togati elettivi per avere partecipato (4 da svegli, uno nel sonno) ai conciliaboli notturni con il capo di Unicost Luca Palamara e con i deputati Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri su chi nominare procuratore capo della Capitale e come sputtanare chi intralciava quelle manovre.
L’aspetto tragicomico della faccenda è che lo scandalo che ha terremotato e decimato il Csm si basa proprio su intercettazioni coperte da segreto e prive di rilevanza penale: quelle chieste dalla Procura di Perugia nell’inchiesta su presunte corruzioni di Palamara, disposte dal Gip, gestite dal Gico della Guardia di Finanza di Roma e trasmesse per la loro valenza disciplinare ad alcuni membri del Csm con l’obbligo di riservatezza, ma pubblicate parzialmente e in comode rate dai tre o quattro giornaloni ammessi al sancta sanctorum.
Trattandosi di atti segreti, chiunque ne abbia pubblicato anche un rigo ha commesso reato. Ma, diversamente che per altri scandali, non risultano indagini sui giornalisti e sulle loro fonti giudiziarie o investigative, di cui dovrebbero occuparsi le Procure di Firenze (competente su eventuali reati dei magistrati umbri) e/o di Roma (competente su eventuali reati di finanzieri romani o di membri del Csm).
Noi, che appena possiamo violiamo il segreto e ci battiamo per depenalizzare quel reato idiota sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non chiediamo certo di punire i nostri fortunati colleghi.
Solo ci domandiamo perché noi siamo indagati da 3 anni a Roma per aver fatto sull’inchiesta Consip molto meno di quel che stanno facendo da un mese i giornaloni sull’inchiesta Palamara-Csm.
L’aspetto paradossale della vicenda è che, senza fughe di notizie sulle intercettazioni, nessuno saprebbe nulla dello scandalo Csm: assisteremmo ogni giorno alle fughe con tante scuse di membri togati, alle vibranti denunce di Mattarella e del suo vice David Ermini.
E tutti ci domanderemmo perché gli uni se ne vanno e di che parlano gli altri. Perché, in base al Codice penale, nulla di ciò che è stato pubblicato avrebbe dovuto esserlo. E, siccome i pochi fortunati giornalisti in possesso dei faldoni segreti inviati da Perugia al Csm non li divulgano integralmente, ma vi colgono ogni giorno fior da fiore secondo i loro gusti personali, nessuno conosce il quadro d’insieme.
Un domani, quando sarà troppo tardi, si potrebbe scoprire che, accanto a una frase sputtanante per Tizio, ce n’era un’altra che lo riabilitava, ma è rimasta nelle penne dei depositari; o che chi oggi pare un santo è in realtà un diavolo, ma è stato graziato dagli omissis giornalistici; o viceversa.
Se, sugli scandali di pubblico interesse, il divieto di pubblicazione di atti segreti viene spesso violato, è perché non viene quasi mai perseguito e comunque le pene sono molto basse: il carcere è finto, facilmente sostituibile con un’“oblazione” (una multa di poche centinaia di euro).
Ora invece Salvini torna alla carica per alzare le pene e mandare in galera per davvero chi pubblica segreti “non penalmente rilevanti” e sulla “vita privata”.
Ma – come quasi sempre gli accade – non sa quel che dice.
Qui di vita privata non se n’è vista l’ombra, a meno di confondere i traffici per pilotare nomine giudiziarie, anche da parte del deputato imputato Lotti, col gossip sulle relazioni sentimentali o sulla salute. Ma tutte, diconsi tutte, le notizie fin qui uscite sullo scandalo Csm erano prive di rilevanza penale: infatti i togati che in base a quelle hanno lasciato il Csm non risultano indagati per quei traffici, e nemmeno i magistrati e politici loro interlocutori.
L’hanno fatto per questioni di etica e di opportunità e risponderanno eventualmente in sede disciplinare, non penale. Perché, almeno nella magistratura, non basta non commettere reati: si può finire nei guai anche per condotte inopportune, conflitti d’interessi, violazioni moral-deontologiche.
Quindi – paradosso dei paradossi – Salvini usa lo scandalo del Csm, che ha appreso solo grazie alle fughe di notizie non penalmente rilevanti, per chiedere la galera per chi le ha pubblicate.
“Non è civile – dice – che i giornali siano pieni di pezzi di intercettazioni senza nessuna rilevanza penale. È una cosa da quarto mondo”. Ma senza quei pezzi di intercettazioni penalmente irrilevanti né noi né lui né altri sapremmo nulla.
Se c’è una lezione da trarre dallo scandalo che sta travolgendo il Csm come ai tempi della P2, è che ne sappiamo troppo poco, mentre tutti i cittadini dovrebbero sapere tutto.
Per chiarire una volta per tutte chi ha fatto cosa. Il capo dello Stato, come presidente del Csm, dovrebbe chiedere la desecretazione integrale degli atti che hanno indotto i 5 consiglieri a dimettersi o ad autosospendersi e lui a pronunciare il severo discorso dell’altroieri. E metterli a disposizione di tutta la stampa. Così che nessuno sospetti l’esistenza di altri nomi e di altri comportamenti indecenti rimasti coperti.
Altro che galera. Come diceva il giurista americano Louis Brandeis, “la luce del sole è sempre il migliore dei disinfettanti”.