venerdì 1 ottobre 2021

Amaro Lucano. - Marco Travaglio

 

Se giudichiamo la sentenza Lucano col senso comune, magari paragonandola alle pene molto inferiori inflitte a grandi corrotti come Formigoni, frodatori come B., bancarottieri come Verdini, complici della mafia come Dell’Utri, per non parlare della Trattativa, possiamo tranquillamente dire che 13 anni e 2 mesi (sia pure in primo grado) sono un’enormità. Se però leggiamo il dispositivo della sentenza del Tribunale di Locri, comprendiamo che quei 13 anni e 2 mesi sono il cumulo delle pene per i singoli reati – quasi tutti molto gravi – per cui è stato condannato l’ex sindaco di Riace. Sgombriamo subito il campo dalle falsità.

1) Lucano non è stato condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: per la violazione della legge Turco-Napolitano è stato assolto, come per aver fatto carte false per far entrare illegalmente clandestini in Italia o munirli di documenti farlocchi. La sua battaglia contro le leggi sull’immigrazione – ammesso e non concesso che sia ammissibile da parte di un sindaco – non c’entra nulla. E nemmeno il “modello Riace”, cioè il meritorio ripopolamento di un comune depresso con l’integrazione dei migranti.

2) Difficile immaginare che i tre giudici del Tribunale nutrissero intenti persecutorii, come già si era detto dei pm (ora quasi rimpianti perché hanno chiesto la metà della pena poi inflitta dal Tribunale). Al netto di quelli contestati ai suoi 26 coimputati, Lucano rispondeva di 16 capi di imputazione. È stato assolto per 5, condannato per 10 (in parte alleggeriti di diversi fatti, per cui è stato pure assolto) e prescritto per uno.

3) La condanna riguarda non gli aiuti ai migranti, ma una serie impressionante di pasticci finanziari con denaro pubblico. Il primo è l’associazione a delinquere per commettere “un numero indeterminato di delitti contro la Pa, la fede pubblica e il patrimonio” e “soddisfare gli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative” create e controllate da Lucano e dai suoi amici come “enti gestori dei progetti Sprar, Cas e Msna” (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, Centri accoglienza straordinaria, Minori stranieri non accompagnati), con “indebite rendicontazioni delle presenze degli immigrati”, “derrate alimentari falsamente indicate come destinate agli immigrati ma sistematicamente utilizzate per fini privati”, “costi fittizi per spese carburante”, “numerose false fatturazioni”, nessun “controllo delle spese” né “documentazione dei costi sostenuti dalle associazioni”, “prelievi di denaro contante e assegni bancari dai conti correnti senza alcuna giustificazione”, “indebita destinazione di fondi ottenuti per fini diversi” dall’accoglienza.

L’altro – che forse spiega la discrepanza tra pena richiesta e pena inflitta – è la truffa aggravata allo Stato, cioè alla Prefettura e al Viminale (prima era “solo” abuso d’ufficio) per far versare 2,3 milioni indebiti o ingiustificati alle varie associazioni. Poi c’è un’altra truffa allo Stato da 281mila euro per una miriade di “costi fittizi o non giustificati”, “false fatture”, false annotazioni sui registri Inail di ore lavorate, “fittizi acquisti di bombole, materiale di cancelleria, mobili e schede carburante false”. Ne consegue l’accusa di falso ideologico in atto pubblico per ben 56 determine “propedeutiche al rimborso dei costi di gestione dei progetti Cas e Sprar” in cui Lucano “attestava falsamente di aver effettuato controlli sui rendiconti di spese” fantasiosi.

Un altro reato che porta alle stelle la pena è il peculato, per essersi “appropriato in modo sistematico” di “ingenti fondi ottenuti dallo Stato per l’accoglienza dei rifugiati”, “non meno di 2,4 milioni, distraendoli alle predette finalità” per l’“acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio non rendicontati”, più “prelievi in contanti per 531.752 euro”, in parte usati “per il viaggio in Argentina di Lucano”, in parte per “i concerti estivi organizzati dal Comune di Riace”. Concerti che poi il sindaco “attestava falsamente” non essersi svolti “al fine di non pagare i diritti Siae”: altro falso.

L’ultimo reato grave è l’abuso per aver “affidato il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti nel comune di Riace alle cooperative sociali Ecoriace e l’Aquilone, prive dei necessari requisiti richiesti” dalla legge, “dell’iscrizione all’Albo regionale delle cooperative sociali” e “di autorizzazioni alla gestione ambientale”, senza l’ombra di una gara (la turbativa d’asta è prescritta). Infine Lucano rilasciò a Tesfahun Lemlem, sua compagna etiope, un certificato falso: “lo stato civile di nubile anziché di coniugata, a lui noto”.

Fin qui il giudizio penale di primo grado, che potrà essere rivisto in appello. Sul piano politico e morale, a parte qualche spesa privata con soldi pubblici, non si può dire che Lucano sia un corrotto o che agisse per interessi propri, anche se quel sistema di soldi allegri a pioggia drogava certamente i suoi consensi.

È possibile che agisse con le migliori intenzioni. Ma questo incommensurabile pasticcione era pur sempre un sindaco, cioè un pubblico ufficiale tenuto a rispettare e a far rispettare le regole. L’impressione è che la nobile missione del “modello Riace” gli abbia dato alla testa, convincendolo di essere al di sopra, anzi al di fuori della legge. Che si può sempre contestare e persino, per obiezione di coscienza, violare. Ma senza la fascia tricolore a tracolla. E affrontando poi le conseguenze delle proprie azioni.

ILFQ

Nero e più nero. Inchiesta Fanpage inguaia Carlo Fidanza (FdI).

 

"Lavatrici per fare il black" e battute razziste. Richiesta di dimissioni dell'europarlamentare.


“C’hai la svastica sulla schiena”, “Bravo camerata”, “l’allegra brigata nera”. Sono solo alcune delle frasi captate da una telecamera nascosta nell’inchiesta lunga tre anni, realizzata da Fanpage sulla campagna elettorale di Fratelli d’Italia. Negli incontri registrati ci sono riferimenti al nero del fascismo, ma anche al nero dei soldi. Che si possono lavare. Perché questo emerge dall’inchiesta: lavatrici per pulire finanziamenti in nero, incontri con esplicite battute razziste, fasciste e sessiste: questo lo spaccato che emerge, con il sistema dell’insider, da un giornalista sotto copertura, tra esponenti di Fdi a Milano. Il giornalista, tre anni fa, si è finto un uomo d’affari a cui interessava finanziare un gruppo politico italiano al fine di ottenere vantaggi per il proprio business e ha iniziato a frequentare un gruppo di personaggi di estrema destra a Milano.

Il capo, secondo l’inchiesta, è Roberto Jonghi Lavarini, detto il “Barone nero”, condannato a due anni per apologia del fascismo.  “Abbiamo un gruppo trasversale, diciamo esoterici, ci sono massoni...ammiratori di Hitler...più abbiamo il nostro informale servizio di sicurezza, dove ci sono ex militari”, dice, senza sapere di essere registrato. “Abbiamo contatti politici nel centro destra. Nella Lega ma anche in Forza Italia e Fratelli d’Italia”. E il riferimento del partito di Giorgia Meloni è Carlo Fidanza, europarlamentare. “Lo sento tutti i giorni”, dice Lavarini, che lo presenta al giornalista di Fanpage. Si stabilisce così un rapporto che consente all’insider di frequentare il gruppo di esponenti di Fdi durante eventi e riunioni della campagna elettorale per le elezioni comunali a Milano per la quale sostengono la candidatura al consiglio comunale dell’avvocato Chiara Valcepina “patriota tra i patrioti”, la definiscono precisando che “potremmo usare un altro termine”. Nelle registrazioni la si vede ridere mentre un uomo fa allusioni sulla fine che farebbe fare alle barche dei migranti. Ma non sono solo gli stranieri nel mirino: “Come cazzo fai a Milano a eleggere un sindaco siciliano”, il riferimento è al candidato di centrodestra, Luca Bernardo. E giù le risate. 

A questo punto dalle risate si passa ai soldi. Sia Fidanza che Valcepina chiedono finanziamenti al presunto uomo d’affari col quale sono ormai in confidenza. Lui si dimostra disponibile a fornire aiuto in cambio di sostegno a questa società. “Le modalità sono: versare nel conto corrente dedicato. Se invece voi avete l’esigenza del contrario e vi è più comodo fare del black, lei si paga il bar e col black poi coprirà altre spese”, dice Fidanza al finto imprenditore, che è deputato a queste operazioni, entra più nei dettagli: Il “barone nero” spiega di avere “una serie di lavatrici” per il finanziamento alla campagna elettorale che sostiene di avere usato più volte. La procedura è già rodata, insomma.

Durante alcune riunioni del gruppo, inoltre, con la telecamera nascosta si riprende anche altro. E c’è anche un momento in cui si prende in giro Paolo Berizzi, giornalista sotto scorta perché minacciato dai neonazisti. Mentre scattavano una foto, Fidanza invece del tipico “cheeeese”, urla il cognome del giornalista, sottoscorta perché minacciato dai neofascisti.

HuffPost.

Mimmo Lucano e la parabola del 'modello Riace'. - Alessandro Sgherri

 

Per Fortune era tra i politici più influenti. Poi l'arresto e la condanna.


Dal quarantesimo posto nella classifica 2016 dei 50 leader più influenti del mondo della rivista americana "Fortune" alla condanna a 13 anni e due mesi di reclusione. E' la parabola che ha travolto e stravolto la vita di Domenico "Mimmo" Lucano e di Riace, borgo che ha guidato come sindaco per anni facendolo diventare famoso nel mondo come modello di accoglienza e integrazione per i migranti giunti nel nostro Paese.

Una storia, quella di Lucano e di Riace, cominciata quasi per caso nel 1998, con lo sbarco di duecento profughi dal Kurdistan a Riace Marina. Lucano e l'associazione Città Futura decisero che dovevano fare qualcosa. E così aprirono le porte delle tante case lasciate vuote da un'emigrazione che stava condannando Riace a diventare un paese fantasma, ai nuovi arrivati. Ma Lucano capì che la semplice accoglienza non era sufficiente. E così anno dopo anno "Mimmo", come tutti lo chiamano, ha orientato l'attività della sua amministrazione all'integrazione dei rifugiati e degli immigrati irregolari. Ha aperto scuole, finanziando micro attività, ha realizzato laboratori, bar, panetterie ed ha messo in piedi anche la raccolta differenziata porta a porta, che era garantita da due ragazzi extracomunitari che la trasportavano sul dorso di asini. Nasce anche una moneta speciale per aiutare gli immigrati nelle spese giornaliere in attesa dell'arrivo dei fondi europei. E nella parte storica del paese nasce quello che era il fiore all'occhiello di Riace, quel "villaggio globale" fortemente voluto da Lucano e diventato famoso nel mondo, dove l'integrazione si toccava con mano. Si calcola che in 17 anni siano passati almeno 6mila richiedenti asilo provenienti da oltre 20 Paesi del mondo. E molti di loro hanno deciso di rimanere in questo piccolo borgo arroccato sulle pendici a 7 chilometri dal mare Ionio.

Il nome di Riace comincia a circolare nel mondo non più o non solo come il luogo dove furono trovati i famosi Bronzi, ma per l'efficacia delle politiche di integrazione messe in atto dal suo sindaco. Nasce il "modello Riace". I riflettori si accendono sul borgo, Lucano viene preso ad esempio di un modo nuovo ed efficace di fare accoglienza. Non mancano, ovviamente, le voci critiche, soprattutto dall'area di centrodestra, ma Lucano va avanti per la sua strada. Che si interrompe improvvisamente la mattina del 2 ottobre 2018, quando la Guardia di finanza gli notifica un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa su richiesta della Procura di Locri proprio per la gestione del "Modello Riace". Pesanti le accuse che gli vengono contestate alle quali in tanti non credono. Il paese inizia a svuotarsi dei migranti, le botteghe artigiane tirano giù le serrande. Il turismo, che il "modello Riace" aveva incentivato, viene meno. Che la parabola di Lucano, adesso, sia orientata verso il basso lo si capisce anche alle comunali del maggio 2019, quando l'ex sindaco non riesce a farsi eleggere come consigliere comunale.

Nonostante le vicissitudini giudiziarie e politiche, la fiducia riposta da molti in Lucano non viene meno e tanti sono convinti che il processo, intanto istruito dalla Procura di Locri sulle presunte irregolarità nella gestione dei migranti a Riace, finirà con un'assoluzione. Certezze che si sono infrante alla lettura del dispositivo della sentenza che condanna l'ex sindaco ad un pena che è quasi il doppio di quella chiesta dalla Procura. Una condanna che tuttavia non convince i sostenitori di Lucano, la cui parabola, in ogni caso e in attesa del processo di appello, segna adesso il punto più basso. 

ANSA

Il leader e il vangelo secondo Luca. - Antonio Padellaro

 

Auguriamo, naturalmente, a Luca Morisi di rialzarsi quanto prima dalla “caduta come uomo” che egli ammette di avere avuto, e ciò al di là dell’indagine per cessione e detenzione di droga che lo riguarda. “Un amico che sbaglia e che può contare su di me”, ha detto Matteo Salvini, parole anche queste che esigono comprensione. Ma quando Morisi saprà riprendere il controllo della sua vita sarebbe importante conoscere una sua riflessione sullo spaventoso e inarrestabile potere di chi usa ossessivamente la Rete per colpire gli avversari, seminare l’odio e rovinare la vita al prossimo. Del resto, difficile saperne più di lui, creatore e gestore della Bestia social, il formidabile sistema di propaganda al servizio della Lega di Salvini, strumento di una strategia comunicativa che ha contribuito alla impetuosa crescita dei consensi a favore del cosiddetto Capitano (ora ex). Con una potenza di fuoco invidiata, temuta e quanto mai ustionante.

Come potrebbe testimoniare Laura Boldrini per anni simbolo dell’odiato “buonismo” di sinistra. Additata al pubblico ludibrio come sponsor dell’“invasione clandestina incontrollata” (anche se non ha mai detto nulla del genere) è stata quotidianamente messa alla gogna dal sito bestiale per aizzarle contro la micidiale armata invisibile degli odiatori. Se per storia personale e ruolo istituzionale Boldrini rappresenta l’esempio più eclatante di questo modo di fare contrasto politico, non si calcolano invece i danni della implacabile pioggia di fango (per non dire peggio) che si è abbattuta su chi individuato come nemico non sapeva difendersi. Lordandone così l’immagine pubblica, e sempre a maggior gloria del Capitano (ex).

Ecco, poiché la Bestia non può essere semplicemente liquidata come l’arma di distruzione reputazionale di una stagione (forse tramontata con la Lega di governo a guida Giorgetti), ascoltare le riflessioni di Morisi sulla violenza social, se e quando ne avesse voglia, ci aiuterebbe a difenderci meglio dai fetidi schizzi. Mentre, nelle presenti circostanze, a Luca (e al suo amico Matteo, spesso con il rosario tra le dita) non farebbe male meditare sul precetto evangelico del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te (ma forse non farebbe abbastanza like).

ILFQ