martedì 8 dicembre 2020

Ma guarda un po’ questo Conte. - Andrea Scanzi

 

Ma guarda un po’ questo Conte.
Questo Presidente del Consiglio trattato come il Poro Schifoso da larga parte dei media,
dai fascisti, dai razzisti, dai casi umani.

Ma guarda un po’ questo incapace patentato. Questo parvenu, questo tontolone, questo “dittatore”.
Questo disastro ambulante.

Giuseppe Conte è primo tra i “Doers”, ovvero i politici più credibili perché hanno concretamente fatto le cose promesse, nella classifica delle personalità europee che saranno più influenti nel 2021 secondo Politico Europe.

Proprio un incapace, ‘sto Conte. Vuoi mettere con Salvini, Meloni e quel che resta di Renzi?

Andrea Scanzi 

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Open, le motivazioni dei pm: “Milioni a Renzi e non al Pd”.- Antonio Massari e Valeria Pacelli

 

I benefici dell’attività di fundraising della Fondazione Open sono ricaduti non sul Partito democratico, ma “in via esclusiva sulla componente renziana dello stesso e in particolare sui parlamentari” Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Non ha alcun dubbio la Procura di Firenze che nei mesi scorsi ha iscritto nel registro degli indagati l’ex premier Renzi, insieme agli ex ministri Lotti e Boschi e all’ex presidente della Fondazione Open Alberto Bianchi, tutti accusati di finanziamento illecito.

Al centro dell’inchiesta ci sono 7,2 milioni di euro di contributi finiti dal 2014 al 2018 nelle casse di quella che era la cassaforte del renzismo e che secondo i magistrati sono stati ricevuti violando la normativa sul finanziamento ai partiti. Per i pm, infatti, la Open non era una Fondazione a se stante, ma era un’articolazione politico-organizzativa della componente renziana del Pd.

Che quei contributi siano serviti quindi per sostenere l’attività politica dei parlamentari, i magistrati lo ribadiscono nelle cinque pagine di motivazioni con le quali hanno rigettato l’istanza dei legali di Renzi e Boschi che chiedevano di trasferire l’indagine altrove, in prima istanza a Roma o, in subordine, a Pistoia o Velletri. Sono tesi che la Procura ha rigettato rispondendo punto per punto alle questioni sollevate dagli avvocati.

I magistrati fiorentini fin da subito hanno quindi chiarito un aspetto molto importante: non stanno indagando solo per finanziamento illecito, bensì stanno lavorando anche su una contestazione più grave, quella di corruzione, il che radica la competenza a Firenze. La corruzione però non viene contestata né a Renzi né a Boschi. “Deve rilevarsi – scrivono i pm – che sebbene non nei confronti degli odierni istanti (Renzi e Boschi, ndr), bensì a carico di altri soggetti indagati del medesimo delitto di finanziamento illecito, dagli atti del procedimento emergono indizi di reità per il più grave delitto di corruzione”. I nomi degli indagati per corruzione però sono al momento coperti dal segreto istruttorio.

Ma al di là della nuova contestazione, i pm non hanno dubbi: anche per il solo finanziamento illecito la competenza è Firenze. In questo caso, scrivono i magistrati, “il reato si è consumato con la ricezione del finanziamento su un conto corrente bancario fiorentino, in assenza di delibera idonea a indicarne specificatamente l’effettiva causale e il soggetto effettivamente percettore”.

Il punto è il solito: la Open, per i pm, era una copertura e quei soldi servivano per sostenere l’attività politica dei renziani.

Nell’atto in cui si rigetta l’istanza di Renzi e Boschi, i pm rispondono punto per punto alle tesi delle difese che hanno sollevato la questione della competenza territoriale. In una delle loro argomentazioni, i legali spiegano che qualora “si riconoscesse pieno credito alla tesi accusatoria, secondo la quale la Open sarebbe un’articolazione del Pd, il beneficiario effettivo dei vantaggi derivanti dall’attività della Fondazione non potrebbe altro che essere” il Partito democratico.

Di conseguenza, “gli effetti della condotta posta in essere dagli indagati si sarebbero prodotti nel luogo dove il partito ha sede”, ossia a Roma e non a Firenze.

Su questo, i pm rispondono: “L’assunto è puramente teorico” perché “smentito dalle acquisizioni investigative secondo cui i beneficiari dell’attività di fundraising sono ricaduti non già sul Partito, ma in via esclusiva sulla componente renziana dello stesso” e in particolare sui parlamentari indagati.

Esclusa Roma, si prova con Pistoia. Secondo i legali la competenza potrebbe essere nell’altra città toscana perché lì si trova la sede legale della Open. Anche questa tesi per i magistrati è smentita dalle indagini già fatte. Le “acquisizioni investigative – scrivono – dimostrano che la sede legale della Fondazione ha avuto un rilievo meramente formale”. Per i pm tutto veniva gestito nell’ufficio dell’avvocato Alberto Bianchi. “Dall’analisi della documentazione sottoposta a sequestro – riporta l’atto – emerge che l’operatività della Open si è svolta presso la sede dello studio professionale di Alberto Bianchi”. È qui, spiegano i magistrati, che “si sono tenute la gran parte delle riunioni del consiglio direttivo (13 su 17), e altri incontri organizzativi”, ma anche dove “sono stati custoditi i libri e le scritture contabili” e dove si “è concretamente realizzata la direzione dell’attività di fundraising e della programmazione dell’attività di impiego dei finanziamenti”.

Sono queste le motivazioni con le quale i magistrati di Firenze hanno chiuso il primo round, stabilendo che l’indagine resta nelle loro mani. Decisione contro la quale i legali degli indagati potrebbero fare ricorso in Cassazione. Ma la partita è tutta da giocare, con un’inchiesta che, anche alla luce del nuovo filone sulla corruzione, potrà riservare altri colpi di scena.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/08/open-le-motivazioni-dei-pm-milioni-a-renzi-e-non-al-pd/6029772/

Prese i 600 euro, Salvini premia la Murelli. - Stefano Vergine

La deputata guiderà l’“Accademia Federale-Emilia”. Il segretario diceva: “La sospendo”.

“Pur non avendo violato alcuna legge, è inopportuno che i parlamentari abbiano aderito a tale misura e per questa ragione abbiamo deciso e condiviso con i diretti interessati il provvedimento della sospensione”. Così parlò il 12 agosto Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e fedelissimo di Matteo Salvini. Il quale, subito dopo, aggiunse: “Ho dato indicazione che chiunque abbia preso o fatto richiesta del bonus venga sospeso e in caso di elezioni non ricandidato”. Qualche giorno prima il Fatto aveva rivelato i nomi dei due parlamentari leghisti che avevano richiesto il bonus da 600 euro mensili elargito dall’Inps per i titolari di partita Iva: Andrea Dara ed Elena Murelli. “Sospensione”, aveva garantito il partito di Salvini nel tentativo di far rientrare le polemiche. Com’è andata a finire lo racconta un manifesto diffuso online nei giorni scorsi proprio dalla Lega. Ieri, alle ore 16.30, il partito ha presentato in streaming l’Accademia Federale Lega Emilia. “Un’iniziativa – si legge sul sito aperto per l’occorrenza – nata per chi intende arricchire le proprie conoscenze politiche e istituzionali partecipando al progetto di alternativa di governo proposto da Matteo Salvini”. Obiettivo: trasmettere a tutti gli interessati, “in modo approfondito e articolato, la conoscenza del nostro sistema politico, amministrativo, economico e sociale”. Chi ha scelto Salvini per insegnare ai suoi sostenitori tutto questo? Proprio la deputata Murelli, nominata addirittura responsabile dell’Accademia Federale in Emilia-Romagna, la sua regione natale.

Piacentina, 45 anni, laureata in Economia e specializzata in Finanziamenti europei per la ricerca e l’innovazione, Murelli è nella Lega dal 2001, e dopo anni di esperienza in consiglio comunale nella sua cittadina, Podenzano, nel 2018 è stata candidata da Salvini alla Camera. A dispetto dell’annunciata e non meglio specificata sospensione, Murelli è ancora oggi una parlamentare della Lega e continua a rappresentare il partito in Commissione Lavoro. Nonostante uno stipendio da 12mila euro al mese, l’economista emiliana ha richiesto e ottenuto il bonus Inps per le partite Iva. Prima che la notizia diventasse pubblica si era anche espressa pubblicamente sul tema: il 23 luglio 2020, in un intervento alla Camera, aveva accusato il governo Conte di “importare il Covid con i migranti per tenersi le poltrone”, definendo poi il bonus Inps “un’elemosina”. Ne parlava – si scoprì un mese dopo – per esperienza personale. Dopo lo scandalo dei furbastri dei 600 euro e l’annunciata sospensione, Murelli si è inabissata per un po’. Nessuna dichiarazione pubblica, nemmeno una risposta a chi (come il nostro giornale) le chiedeva un chiarimento sulla vicenda del bonus Inps. Ma la memoria è corta, si sa, e dopo nemmeno sei mesi riecco la salviniana all’attacco. “Convertire i permessi per la protezione speciali in permessi per motivi di lavoro, come prevede il decreto immigrazione, è una sanatoria mascherata che non avrebbe alcun impatto positivo sull’occupazione”, ha detto il 2 dicembre. Aggiungendo che “la Lega nulla ha contro chi viene in Italia regolarmente per lavorare e per contribuire alla crescita del nostro Paese. Siamo, invece, pienamente contrari a chi usa l’Italia, il suo sistema sanitario, il suo sistema assistenziale solo per delinquere o lavorare in nero”. Ieri sul web ha spiegato lei ai sostenitori della Lega come ci si comporta correttamente.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/08/prese-i-600-euro-salvini-premia-la-murelli/6029788/

I nuovi Bertinotti. - Marco Travaglio

C’era una volta un buon governo di centrosinistra molto più apprezzato dei partiti che lo sostenevano, con un premier onesto e capace e vari ministri coraggiosi e stimati anche all’estero. Portò l’Italia in Europa, riformò la sanità privilegiando il pubblico e non il privato, si oppose alle spinte inciuciste col centrodestra. Ma durò solo due anni. Poi un leader che si credeva il più puro e intransigente del bigoncio lo sfiduciò sventolando la decisiva battaglia per l’orario di lavoro a 35 ore. Il governo cadde alla Camera per un voto, il premier andò a casa, indisponibile ad ammucchiate. E quattro giorni dopo il suo rivale, che fino ad allora giurava “o questo governo o elezioni”, era già pronto a formarne uno nuovo con un plotone di parlamentari eletti col centrodestra. Il premier abbattuto era Romano Prodi, il suo killer Fausto Bertinotti, il successore e utilizzatore finale di cotanta intransigenza Massimo D’Alema, i voltagabbana suoi compagni di strada Mastella e Buttiglione, fondatori con Cossiga della leggendaria Udr. Nato sotto i peggiori auspici, il governo D’Alema si distinse per quattro scelte sciagurate: i bombardamenti sulla Serbia nella guerra del Kosovo, ordinati da Usa e Nato ma senza l’Onu; l’abolizione dell’ergastolo per le stragi; le privatizzazioni di due galline dalle uova d’oro come Autostrade e Telecom, praticamente regalate ai Benetton e ai “capitani coraggiosi” Colaninno, Gnutti e Consorte. Risultato: crollo dei consensi del centrosinistra, caduta di D’Alema dopo un anno e mezzo, nascita del secondo governo Amato e resurrezione di B. Che nel 2001 rivinse le elezioni e tornò al governo come nuovo. Il copione stava per ripetersi nel 2008 ai danni del governo Prodi-2, se le manovre dei compagni Rossi e Turigliatto, anch’essi purissimi e intransigentissimi, non fossero state anticipate dal ritorno di Mastella alla casa del Papi.

Ma domani il bis potrebbe arrivare al Senato con Conte al posto di Prodi, i dissidenti 5Stelle al posto di Bertinotti&C., la risoluzione sul Mes al posto delle 35 ore, pezzi di FI e pulviscoli centristi al posto dell’Udr, la moglie di Mastella al posto di Mastella, Cottarelli o Cassese o un altro tecnico uscito dal cilindro dell’Innominabile e degl’inciucisti Pd al posto di D’Alema e, come utilizzatore finale, il solito centrodestra. Naturalmente, della risoluzione sul Mes che rischia di mandare in mille pezzi M5S e maggioranza, da giovedì se ne sbatteranno tutti allegramente. Così come delle 35 ore non è mai più fregato nulla a nessuno. Ciò che resterà saranno i risultati nefasti della geniale Operazione Morra, Lezzi &C., talmente puri e intransigenti da non vedere al di là del proprio naso.

Cioè da immaginare l’eterogenesi dei fini sempre ottenuta dagli estremisti miopi, vanesii e irresponsabili, altrimenti detti “utili idioti”, che diventano regolarmente i migliori amici dei loro peggiori nemici in cambio di qualche ora di visibilità. Gli effetti di uno scisma a 5Stelle mercoledì al Senato si vedranno già da giovedì e potranno essere soltanto tre. Meglio pensarci prima che pentirsi dopo. Dunque eccoli. 1) I no dei dissidenti bastano a mandar sotto Conte e la maggioranza: così si va a votare in piena pandemia e campagna vaccinale, con la probabilissima mancata ricandidatura dei dissidenti medesimi e l’immancabile vittoria del centrodestra, che si pappa i 209 miliardi del Recovery. 2) Oppure, caduto Conte, nasce un nuovo governo-ammucchiata tecnico che smantella le principali conquiste fatte dai 5Stelle in questi due anni e mezzo e chiede il Mes sanitario: l’unico premier che non voleva chiederlo è andato a casa. 3) I frondisti non bastano a rovesciare Conte, ma fanno da cavallo di Troia al soccorso forzista-centrista, che salva il governo: così la maggioranza muta e si sposta a destra; il rimpasto, oltre al Pd e al Iv, lo chiedono pure i nuovi arrivati; i 5Stelle contano meno di prima e devono ingoiare non solo la riforma del Mes, ma pure l’accesso al Mes sanitario.

In tutti e tre i casi, la riforma del Mes va avanti spedita, visto che non dipende dai dissidenti grillini, ma dall’Unione europea. E non è all’ordine del giorno domani o dopodomani, ma a 2021 inoltrato, quando passerà per i Parlamenti degli Stati membri e tutto può accadere (del resto, un anno fa nessuno avrebbe immaginato una Ue che vara il debito comune con gli eurobond del Recovery). Intanto, finché dura la legislatura, l’Italia non chiederà mai né il Mes sanitario né quello ordinario riformato, che in questo Parlamento non hanno i numeri per passare. Tantopiù che nel 2021 l’Italia inizierà a incassare il Recovery e di tutto avrà bisogno fuorché di un premier azzoppato o ricattato da chi non sa distinguere una risoluzione parlamentare dalla riforma di un trattato e sogna un veto italiano all’Ue senza calcolare le ritorsioni che ci pioverebbero in capo. Già, perché i giochetti di queste teste calde (o vuote) danneggerebbero anzitutto gli italiani. I nuovi Bertinotti e Turigliatto, invece, diventerebbero (anzi già sono) gli idoli dei giornaloni e delle tv Mediaset. I padroni del vapore cercavano giusto un grimaldello per scassinare Palazzo Chigi, introdursi nel caveau del Recovery e levarsi dai piedi i 5Stelle e il loro premier senza lasciarci le impronte digitali. Ma nemmeno loro osavano sognare che, a servirgli il pacco dono su un piatto d’argento, fossero proprio dei 5 Stelle.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/08/i-nuovi-bertinotti/6029763/