venerdì 26 luglio 2019

Nuovo scandalo milionario per Armando Siri. - Lirio Abbate e Paolo Biondani

Nuovo scandalo milionario per Armando Siri

Ecco i documenti inediti dell'indagine ispettiva della Banca Centrale di San Marino sui prestiti senza garanzie al senatore della Lega. In ottobre 750 mila euro all’allora sottosegretario. E tre mesi fa altri 600 mila a una ditta presentata dal suo portaborse. Tra incontri segreti, atti cancellati, carte tenute nascoste. Ora trasmesse alla procura di Milano.


Un prestito politico, contrario a tutte le regole bancarie. Un favore economico deciso da un banchiere di San Marino con una motivazione tenuta segreta: creare un rapporto di ferro con un potente senatore della Lega, in grado di condizionare il governo italiano. Eccola qua, scritta nero su bianco, la vera ragione del mutuo estero da 750 mila euro ottenuto il 16 ottobre 2018 dall’allora sottosegretario Armando Siri, poi costretto a lasciare la poltrona di viceministro delle Infrastrutture perché indagato per una diversa storiaccia siciliana di corruzione. Un finanziamento decennale concesso dalla banca al politico senza nessuna garanzia, di nessun tipo. A cui è seguito un secondo prestito di favore, finora del tutto ignoto: altri 600 mila euro sborsati dallo stesso istituto di San Marino, appena tre mesi fa, grazie alla raccomandazione di un portaborse dello stesso senatore leghista. Un doppio intreccio tra banche, soldi e politica dove spuntano documenti cancellati, atti scomparsi, consulenze misteriose e troppe altre anomalie. Per cui il prestito di Siri, già sotto indagine a Milano, ora è sotto inchiesta pure a San Marino.
In Italia l’istruttoria penale nasce nel gennaio scorso da una segnalazione anti-riciclaggio firmata da un notaio milanese, Paolo De Martinis, che non ha esitato a denunciare le più vistose anomalie dell’affare immobiliare architettato da quel suo importante cliente, che era da poco diventato viceministro della Lega. Appena ha incamerato il prestito di San Marino, Siri ha usato 585 mila euro per comprare un palazzo di circa mille metri quadrati a Bresso, alla periferia di Milano, intestandolo però alla figlia. Un immobile che stranamente, nonostante il mutuo, non è stato ipotecato dalla banca per garantirsi la restituzione del prestito. Quando un’inchiesta giornalistica di Report ha rivelato la denuncia del notaio alle autorità anti-riciclaggio, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha difeso pubblicamente, come sempre, il suo senatore: «Siri ha fatto solo un mutuo in banca, come milioni di italiani». Ora però L’Espresso ha scoperto che il prestito di Siri è finito al centro di un’indagine ispettiva ordinata dalla Banca Centrale di San Marino, che ha confermato e allargato le accuse, scoprendo anche un’altra «operazione correlata». Un secondo prestito di favore, collegato sempre al ruolo politico di Siri. Gli atti sono stati già trasmessi per rogatoria anche alla Procura di Milano.
L’autorità di vigilanza di San Marino ha concluso la sua istruttoria proclamando che entrambi i finanziamenti risultano «in contrasto con i principi di sana e prudente gestione» che ogni banca dovrebbe rispettare, tanto da esporla a «un elevato rischio reputazionale oltre che di mancato recupero del credito». Mentre i responsabili dei controlli anti-riciclaggio (Agenzia d’informazione finanziaria, Aif) hanno denunciato tutto alla magistratura.

A San Marino, dopo anni di scandali bancari sempre più gravi, con indagini anche italiane contro masse di evasori fiscali e accuse di riciclaggio di tangenti e soldi sporchi di tesorieri mafiosi, l’intero sistema dei controlli è stato commissariato. I nuovi vertici della Banca Centrale e dell’Aif lavorano da mesi su inchieste molto delicate, che mettono in allarme i potentati politici ed economici, tra minacce, contro-denunce e forti pressioni interne e internazionali. Nonostante queste manovre, l’istruttoria sul prestito di Siri è molto approfondita e dettagliata. Le carte degli ispettori ricostruiscono tutte le anomalie e identificano protagonisti e comprimari dei due finanziamenti collegati a Siri, con vari personaggi sorprendenti. Una specie di allegra brigata del mutuo facile, che comprende un banchiere di Verona, un «esponente istituzionale» di San Marino, un’affascinante consulente, un barista del metrò di Milano, una società del Delaware e naturalmente lui, il senatore della Lega.
La prima sorpresa è la cifra. Siri ha ottenuto un prestito di 750 mila euro: un valore più alto del prezzo dell’immobile. Dopo aver girato alla figlia i soldi per l’acquisto della palazzina, le tasse e tutte le altre spese, a conti fatti gli sono rimasti in tasca almeno 110 mila euro. Eppure la banca non gli ha chiesto «nessuna garanzia, né reale né personale», come annotano gli ispettori: il politico non ha dovuto ipotecare l’immobile oggetto del mutuo e nemmeno firmare una fideiussione. Un finanziamento al buio, insomma, che risulta deciso il 16 ottobre 2018, come «prestito personale», da un singolo manager: il direttore generale della Banca agricola commerciale (Bac) di San Marino, Marco Perotti. Un banchiere di Verona, che era stato capo-area per il Veneto di un istituto italiano. La durata del prestito a Siri è di dieci anni: il doppio del limite massimo (5 anni) previsto dalle normative interne. E per i primi tre anni gli viene concesso il beneficio del «pre-ammortamento»: il politico potrà pagare solo gli interessi, per iniziare a restituire il capitale solo a partire dal 2022. Il senatore senza garanzie ha ottenuto anche un tasso di straordinario favore: un interesse fisso del 2,125 per cento, meno di metà della media (4,90) applicata ai normali clienti negli stessi mesi. Gli ispettori hanno esaminato tutti gli altri «prestiti personali» erogati dalla Bac dall’ottobre 2018 al maggio 2019, accertando che «a parte il finanziamento concesso a Siri, quello di importo più elevato è di 12 mila euro e la durata più lunga è di quattro anni».
Le anomalie più gravi riguardano documenti bancari che risultano spariti, cancellati o alterati. I computer della Bac, in particolare, registrano che la banca aveva ottenuto le visure della società Meditalia srl: l’impresa di Siri che è andata in fallimento, con una procedura giudiziaria durata dal 2007 al 2015, che ha provocato un’inchiesta penale per bancarotta fraudolenta. Questa informazione però è stata «omessa» nelle carte del mutuo. La banca registra il fallimento dell’azienda del politico solo il 17 ottobre 2018, il giorno dopo l’approvazione del prestito, quando Siri è ormai diventato un suo debitore (senza garanzie), aggiungendo solo allora che «da Wikipedia emerge pena patteggiata per bancarotta fraudolenta». Si tratta della condanna di Siri che era stata già rivelata pubblicamente da L’Espresso.
Quindi le autorità di vigilanza scoprono un altro rischio ignorato. In aprile l’Aif segnala agli ispettori della Banca Centrale che «il signor Siri risulta indagato dalle Procure di Roma e Palermo per il reato di corruzione, con riferimento ad agevolazioni in favore di imprese considerate vicine all’imprenditore pregiudicato Vito Nicastri, che secondo gli investigatori avrebbe finanziato la latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro». È la famosa tangente di 30 mila euro che l’avvocato siciliano Paolo Arata, ex parlamentare di Forza Italia e presunto socio occulto di Nicastri, avrebbe promesso al sottosegretario della Lega in cambio di un emendamento, per far incassare soldi pubblici al “re dell’eolico” arrestato per mafia. Nella stessa lettera riservata, l’Anti-riciclaggio avverte di aver acquisito il contratto di acquisto del palazzo al centro del mutuo, da cui risulta che «il compratore non è Armando Siri, ma la figlia Giulia, studentessa di 24 anni». Che ha ricevuto i soldi dal padre «a titolo di liberalità». Il risultato, scrivono gli inquirenti, è che «il finanziamento non garantito è stato erogato a una persona diversa dall’intestataria dell’immobile, rendendo ancora più difficoltosa un’eventuale rivalsa della banca in caso di mancata restituzione del prestito». A quel punto il vicedirettore della Bac convoca «d’urgenza» la figlia di Siri, per farle firmare almeno una fideiussione. Ma all’incontro, fissato il primo giugno, la ragazza non si presenta, probabilmente «a causa dell’opposizione della madre», che non sembra aver gradito la scelta di usare la figlia come unica garante del mutuo di famiglia.
Nel verbale finale gli ispettori, dopo aver elencato queste e molte altre anomalie del prestito di Siri, esaminano la delibera del consiglio di amministrazione della Bac, che il 31 ottobre 2018 ha ratificato il finanziamento al politico italiano. Davanti ai superiori il manager Perotti informa che alla riunione decisiva con Siri, «tenutasi il 22 settembre 2018 a San Marino», erano presenti, oltre a lui, il vicedirettore, il responsabile di una filiale e una consulente esterna, che «ha organizzato l’incontro per il tramite della conoscenza con lo stesso direttore generale». Ed è proprio quella «consulente conosciuta da Perotti» ad aver «presentato», cioè segnalato alla banca, il senatore Siri. La mediatrice vive a Verona, la città del banchiere, e pubblica su Internet, oltre alle foto, le sue preferenze politiche: è una donna molto bella, bionda, occhi azzurri, è figlia di un industriale veronese e ha simpatie dichiarate per Matteo Salvini, Giorgia Meloni, vari consiglieri comunali dalla Lega a CasaPound e, guarda caso, Armando Siri. Il finanziamento al senatore risulta caldeggiato anche da un «esponente istituzionale» di cui la Bac non fa il nome: probabilmente è un politico di San Marino.
Il verbale degli ispettori documenta che solo di fronte al consiglio d’amministrazione il banchiere Perotti rivela la reale motivazione del prestito al senatore della Lega: «Il tema di principale interesse, considerata l’importante posizione del sottosegretario, è di avere degli scambi per creare una relazione di lunga durata».
Il direttore chiude l’intervento «senza riferire di aver già deliberato il finanziamento di 750 mila euro», una cifra superiore, secondo gli ispettori, al limite massimo dei suoi poteri personali. Ma il consiglio della Bac non obietta nulla, né sulla mancanza di garanzie né sulla motivazione politica del prestito: creare un rapporto duraturo all’insegna degli «scambi» di cortesie tra il senatore della Lega e la banca di San Marino.
Anche le verifiche della Bac sulla capacità di Siri di restituire il prestito si basano sul suo stipendio politico. L’esperto di economia della Lega ha infatti presentato una dichiarazione dei redditi da cui risulta che le sue attività di imprenditore, quelle sopravvissute alla bancarotta, gli rendono solo duemila euro al mese. Alla banca deve però restituire 8 mila euro al semestre per il primo triennio e ben 9.167 euro al mese per i successivi sette anni. Quindi Siri manda a San Marino la sua busta paga di senatore: tra stipendio e indennità parlamentare, 15 mila euro al mese. Che si aggiungono ad altri 5 mila euro previsti come affitti futuri della palazzina di Bresso. Gli inquirenti però osservano che la paga del parlamentare è legata all’effettiva durata della carica, che è sempre «incerta»: il politico può perdere la poltrona alle elezioni successive, magari anticipate. Mentre gli affitti della palazzina non spettano a lui, ma alla figlia. Conclusione degli ispettori: il mutuo di Siri è fuorilegge sotto tutti i profili.
Quindi arriva il bis. Tra maggio e giugno scorsi, l’Aif denuncia alla Banca Centrale «una ulteriore operazione di finanziamento accordata dalla Bac senza le normali garanzie e al di fuori delle procedure», che risulta «correlata» con il prestito a favore di Siri. Si tratta di un secondo mutuo «anomalo» di durata decennale: altri 600 mila euro, concessi anche in questo caso senza alcuna ipoteca. Il beneficiario è una società italiana, Tf Holding srl, che risulta controllata da due «baristi milanesi». Il legame con il senatore della Lega emerge dalle deposizioni dei dirigenti della Bac: quella società è stata «presentata» alla banca di San Marino da «Marco Luca Perini, capo segreteria del sottosegretario e senatore Armando Siri». Il braccio destro del politico leghista, annotano a questo punto gli ispettori, è «figlio di Policarpo Perini, titolare dell’agenzia immobiliare che ha gestito la vendita della palazzina di Bresso al senatore Siri». Il capo della sua segretaria risulta anche «acquirente in proprio di una mansarda nello stesso edificio, con rogito stipulato il 31 gennaio 2019 dal notaio De Martinis»: «medesimo giorno, medesimo notaio, medesimo venditore e medesima palazzina», evidenziano i controllori, dell’affare che Siri ha intestato alla figlia.
Il rapporto finale degli ispettori della Banca Centrale sottolinea un’ulteriore anomalia: il nome di Perini come «presentatore» della società non è stato mai registrato nelle carte e nei computer della Bac, anche se viene confermato dallo stesso direttore generale dell’istituto.
Per appoggiare il prestito ai fortunati baristi, il segretario politico di Siri è andato di persona nella banca di San Marino, il primo marzo 2019, lo stesso giorno del deposito della domanda di mutuo firmata dall’amministratore e azionista di maggioranza della Tf Holding, Fiore Turchiarulo. La società, che prende nome dalle sue iniziali, non offre il massimo delle garanzie: gli ispettori segnalano che «ha iniziato l’attività solo il 7 aprile 2018», ha un capitale sociale di 80 mila euro, si limita a incassare gli affitti da un bar che appartiene allo stesso titolare ed è proprietaria di un unico immobile, che però risulta già ipotecato a favore di una banca diversa (italiana), a garanzia di un altro mutuo di 300 mila euro. Nonostante questi problemi, la Bac di San Marino non chiede «nemmeno un’ipoteca di secondo grado» alla società presentata dal capo della segretaria di Siri. Si accontenta delle fideiussioni personali dei due soci del bar e di una loro familiare, che però non hanno altre proprietà. Vivono del loro lavoro: Turchiarulo ha un reddito annuo netto di 7.307 euro, il suo socio minore (con il 3 per cento), che fa il barista a tempo pieno, guadagna 1.300 euro al mese, versatigli dallo stesso patron della Tf Holding.
Nelle carte della banca, Turchiarulo è indicato come titolare del noto Marilyn Cafè di Milano, dove però esistono diversi locali omonimi. Una verifica nella sede mostra che quello giusto è il bar del mezzanino della metropolitana di Rogoredo. Vende panini, pizzette, brioche, cappuccini, gelati: un locale di pochi metri quadrati, sotto la stazione dei treni, in mezzo ai corridoi di accesso alla linea gialla del metrò. All’uscita della stazione, in via Cassinis, c’è un altro bar, più grande, fresco di ristrutturazione: si chiama Post Office, in omaggio al vecchio ufficio postale di Rogoredo, e appartiene sempre a Turchiarulo, che lo gestisce tramite un’omonima società controllata. La sua Tf Holding ha comprato quell’immobile nell’ottobre 2017 per 350 mila euro. Con un mutuo normale di una banca italiana, quella che ha ottenuto una regolare ipoteca per il debito residuo, quantificato dagli ispettori in 293 mila euro. È proprio il Post Office a pagare l’affitto alla neonata Tf. Offre hamburger con patatine, pizze e piatti caldi per la pausa pranzo, oltre a ottimi aperitivi, ma la sera, nonostante la bravura dei baristi, soffre i problemi di questa periferia: dietro il locale c’è il famigerato «bosco dell’eroina», la centrale dello spaccio per i disperati. Accanto, c’è una bella palazzina d’epoca, su due piani, tutta transennata: è l’ex “alberghetto di Rogoredo”.
La società di Turchiarulo ha chiesto il prestito a San Marino proprio per ristrutturare quell’immobile storico, vincolato dalla Soprintendenza. Sul cartello del cantiere c’è scritto «manutenzione ordinaria». I dipendenti spiegano che i lavori sono quasi finiti: ospiterà negozi, che apriranno «in autunno». Mentre i clienti augurano buona fortuna alla nuova impresa di Turchiarulo, gli ispettori si preoccupano della mancanza di garanzie reali per la banca di San Marino. E segnalano l’intera serie di anomalie del mutuo di 600 mila euro intermediato dal segretario di Siri: la durata decennale, il debito già esistente, l’ipoteca a favore di una banca concorrente. E una bruttissima storia di carte alterate, che non dipende certo dai due ignari baristi milanesi.
Il 12 aprile 2019 la filiale della Bac chiude la verifica sulla Tf Holding con un parere negativo, motivato dalla «mancanza di garanzie reali» e dall’insufficienza delle fideiussioni dei baristi, segnalando che hanno redditi limitati, versati proprio dalla società da finanziare, e «non hanno proprietà immobiliari personali». Il 16 aprile l’ufficio crediti conferma il verdetto: mutuo bocciato. La richiesta di prestito viene però trasmessa comunque ai vertici della banca «vista la conoscenza e la buona relazione della società con la direzione generale». Nel secondo parere il rapporto viene precisato: è una «relazione diretta» con un manager della Bac. Nella versione cartacea degli atti, gli ispettori trovano solo il secondo parere, che però «non riporta le frasi sulla conoscenza diretta del cliente da parte della direzione generale». Una cancellazione scoperta dopo uno scontro con la banca: gli ispettori sentono subito puzza di bruciato, ma non possono accedere all’archivio informatico completo. Quindi insistono per sbloccare i computer, dove trovano le versioni originali di entrambi i pareri negativi. Con la conferma del ruolo decisivo della «direzione generale», che è stato «eliminato nella versione cartacea, l’unica trasmessa alla Banca Centrale».
Il mutuo di 600 mila euro raccomandato dal segretario di Siri risulta approvato, proprio il 16 aprile 2019, dal vicedirettore generale della banca di San Marino. Senza spiegare perché ha deciso di ignorare i due pareri tecnici negativi. L’esame delle informative anti-riciclaggio documentano un’ulteriore «soppressione» di dati. Tra marzo e aprile, i computer della Bac registrano sei versioni delle informative, sempre più ricche di notizie sulla società che chiede il mutuo. L’unica frase scomparsa riguarda il direttore generale. Nella prima versione dell’informativa, il cliente Tf Holding risulta «presentato da Perotti Marco». Dalla seconda versione in poi, il dato viene cancellato. Nell’apposito spazio “cliente presentato”, si legge “no”.
Di fronte alla massa di anomalie dei due prestiti collegati a Siri, gli inquirenti dell’Aif comunicano alla Banca Centrale di aver «denunciato all’autorità giudiziaria un sospetto misfatto di amministrazione infedele», addebitabile al banchiere Perotti e in parte al suo vice, «con potenziale danno per il patrimonio della banca e per i risparmi della clientela».

I controllori di San Marino non sanno spiegarsi cosa ha spinto il braccio destro di un senatore della Lega a raccomandare al banchiere della Bac la società dei baristi milanesi. L’Espresso ha scoperto un legame politico: Turchiarulo è stato candidato nella lista «Italia nuova», fondata da Siri prima di entrare nella Lega di Salvini. Ma negli atti societari c’è anche una traccia di rapporti d’affari. La ditta di Turchiarulo ha comprato il bar del metrò di Rogoredo nel 2008, con la vecchia insegna “Marilyn pizza”, da una società chiamata Metropolitan coffee and food srl. Che pochi mesi dopo ha lasciato l’Italia e si è trasferita nel Delaware, un paradiso fiscale interno agli Stati Uniti, famoso per garantire l’anonimato. Almeno fino a quando era ancora italiana, però, la società del bar di Rogoredo era gestita da Armando Siri. Che ha rinunciato alla carica di «amministratore unico» nel 2007, proprio mentre falliva l’altra sua società italiana, quella che ha spinto lo stratega economico e fiscale della Lega a patteggiare una condanna, a sua dire ingiusta, per bancarotta fraudolenta.

http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/07/25/news/un-milioneper-siri-1.337285

Sozzani & zozzoni. - Marco Travaglio -

Sozzani salvato da Pd, Lega e Forza Italia: no all’uso di intercettazioni del deputato forzista indagato per finanziamento illecito e corruzione

Cari lettori, quando vedete un esponente del Pd stracciarsi le vesti per le presunte tangenti alla Lega, quella di 30mila euro di Arata&Nicastri a Siri e quella di 65 milioni di dollari dai russi a Savoini, non credetegli. É tutta commedia, sceneggiata, ammuina. L’altroieri, mentre i pidini gonfiavano le giugulari per inveire in diretta tv alla Camera e al Senato contro il vicepremier Salvini e il premier Conte che lo sbugiardava, in Giunta per le autorizzazioni a procedere i loro compagni di partito votavano lontano da occhi indiscreti a braccetto con Lega e FI per negare ai giudici di Milano il permesso di usare le intercettazioni a carico di Diego Sozzani, deputato forzista indagato per finanziamento illecito, corruzione, traffico d’influenze e turbativa d’asta. 
Gli unici sì ai giudici sono arrivati dai 5Stelle. É la regola aurea della Casta, anzi della Cosca: cane non morde cane, ladro non disturba ladro. Lo scandalo Sozzani, rispetto a quelli leghisti, è illuminante perchè tutto fa pensare che il deputato forzista abbia intascato soldi illeciti, mentre Siri e Savoini pare di no: penalmente fa poca differenza, essendo reato anche la tentata corruzione. Ma politicamente chi si indigna per le mazzette promesse ma non incassate dovrebbe farlo, a maggior ragione, per chi i soldi li ha presi. Invece Sozzani è stato salvato dalle intercettazioni e quasi certamente anche dal processo, visto che le conversazioni sono la prova regina dell’accusa. Motivo: “fumus persecutionis”. E allora vediamolo, questo perseguitato dai giudici (e dal trojan).
Il 6 febbraio 2018 manca un mese alle elezioni del 4 marzo. Sozzani, ex presidente della Provincia di Novara, coordinatore piemontese di FI, consigliere regionale e candidato alla Camera, ha bisogno di soldi per la campagna elettorale. I pm dell’Antimafia di Milano lo ascoltano nell’inchiesta “Mensa dei poveri” mentre batte cassa da un imprenditore che gli sgancerà 10 mila euro in nero. É Daniele D’Alfonso, titolare di Ecol-Service srl, ora accusato di aver corrotto politici e amministratori, ma anche agevolato il clan ‘ndranghetista dei Molluso di Buccinasco: secondo il gip, è il tipico “rampante” la cui “avidità di soldi e di potere imprenditoriale lo spinge ad ampliare la sua rete di relazioni per svilupparsi ulteriormente”. Sozzani non sa che il galantuomo ha il trojan nel cellulare, che registra tutto quel che dice e fa. Per convincerlo dell’utilità della mazzetta-investimento, precisa all’imprenditore di avere “il seggio sicuro“, grazie al Rosatellum che consente ai capipartito di nominarsi i parlamentari che vogliono.
E si dice interessato ad approfondire i rapporti con Ecol-Service, dandogli il nome di Mauro Tolbar, collaboratore di Greenline Srl, la società di Sozzani e del fratello Stefano, che seguirà gli aspetti pratici della faccenda. Poi viene al dunque: “L’eventuale tuo aiuto quanto potrebbe essere? La cifra finale”. D’Alfonso risponde che glielo dirà di persona a Novara. Il 5 marzo, giorno dopo il voto, Tolbar chiama D’Afonso per il lieto annuncio: “Siamo dentro, Diego è passato!”. Eletto deputato. Il 9 marzo Tolbar gli illustra il percorso della mazzetta per il neoeletto. Cioè -scrive il gip- tramite l’amministratore della E.s.t.r.o. Ingegneria di Milano, “il quale invierà via mail una fattura per operazioni inesistenti a D’Alfonso – che quest’ultimo pagherà come concordato con bonifico bancario – al preciso fine di celare l’illecito finanziamento promesso al neo parlamentare”. La fattura è datata 8 marzo. Il 22 marzo D’Alfonso bonifica 12.688 euro: 10mila per Sozzani, 2.500 per il mediatore E.s.t.r.o e gli altri 188 “aggiunti per non indicare una cifra tonda e rendere credibile il pagamento per la fatturazione di un’operazione aziendale”. Il titolare di E.s.t.r.o “monetizza l’incasso e lo consegna, in contanti e in diverse tranche, a Tolbar che provvederà alla consegna al destinatario finale”: il neodeputato. Che, secondo il gip, ha promesso di “far ottenere alla società di D’Alfonso agevolazioni nell’ottenimento di appalti in provincia di Novara”.
Però sperava di raccattare ben di più, infatti il 12 aprile piagnucola al ristorante con Nino Caianiello, ras forzista a Varese e gran manovratore della nuova Tangentopoli lombarda: “Sto cercando i soldi perché è una fatica, credimi! 15 anni fa qualcuno veniva lui di sua sponte da me, a dirmi ‘se entri in quel partito, che posso fare?’. Adesso non si può più mettere le mani… mi inginocchio per chiedere tre lire! Tremila, cinquemila, diecimila, quando avevo bisogno centomila!”. Poi, quando scatta il blitz dell’Antimafia, giura di non aver mai saputo nulla della tangente e assicura: “Se scoprissi anche solo un’ombra mi dimetterei immediatamente da deputato”. Ma pm e gip escludono che chi parla con la sua voce sia un bravo imitatore che vuole incastrarlo. Anche perchè ritengono di aver trovato pure “un riscontro agli indizi del sistema illecito di incarichi pilotati a favore della società Greenline srl riconducibile al deputato, da parte delle società in-house operanti in provincia di Varese eterodirette da Caianiello”. Così chiedono alla Camera l’autorizzazione a usare le intercettazioni indirette di Sozzani e poi ad arrestarlo, come han già fatto per altri 43 indagati sfortunatamente senza scudo. Ma non hanno fatto i conti con Lega, Pd e FI, che a favore di telecamere se le danno di santa ragione, ma nel chiuso della giunta si salvano i rispettivi inquisiti.
No ai giudici, anche per le conversazioni registrate prima che Sozzani agguantasse il seggio e l’immunità. Vano il sì dei 5Stelle. Che hanno mille difetti, commettono mille errori e forse si sono persino scordati perchè esistono. Poi però provvedono sempre gli altri a ricordarglielo. E a ricordarcelo.
Marco Travaglio FQ 26 luglio