domenica 31 maggio 2020

Ogni paziente costa 1.425 euro al giorno. - Maria Rita Gismondo


Coronavirus, aziende del Sud unite per produrre ventilatori polmonari
Le lezioni per il futuro, ci auguriamo non lontano, arrivano anche dai conti economici. Mi riferisco alle spese del Servizio Sanitario Nazionale durante l’emergenza. È di questi giorni un primo bilancio. I 144.658 ricoveri effettuati e conclusi sono costati 1,7 miliardi di euro, di cui 1,4 miliardi per i ricoveri ordinari e 250 milioni per i ricoveri in terapia intensiva. Sono dati tratti dall’Istant Report Covid-19 dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Servizi Sanitari dell’Università Cattolica. Nello stesso documento viene evidenziato che il 33% si riferisce alla Lombardia. La valutazione è fatta in base ai cosiddetti Drg (costo medio di degenza) con una stima di 1.425 euro al giorno per singolo paziente. Non bisogna però dimenticare che le spese sono anche quelle per l’assistenza ambulatoriale, per l’attività nel territorio, per l’acquisto di strumenti medicali e per le assunzioni di medici e infermieri.
A questo conto già molto salato, dovrà aggiungersi la spesa sanitaria indiretta, cioè quella che verrà affrontata per curare patologie che si presenteranno o diventeranno più gravi a causa di mancata o scarsa assistenza sanitaria nel periodo Covid. La spesa sanitaria annuale del 2019 è stata di 116,331 miliardi di euro per 8.339286 ricoveri. Chi ha vissuto e sta ancora vivendo dentro questa tempesta perfetta sa che i disagi e gli stress per rispondere all’emergenza in una sanità pubblica così carente sono stati sovrumani. Abbiamo dovuto addestrare personale in tempi ridotti, ci siamo sottoposti a turni massacranti. Ci hanno chiamati eroi e ringraziamo, ma vorremmo non doverlo essere più. Vogliamo una sanità pronta all’emergenza, non un servizio da attrezzare improvvisamente, con tanti morti che avremmo potuto risparmiare. Vogliamo che tutti siano assistiti nel migliore dei modi senza mai dover scegliere chi abbia prioritariamente il diritto alla cura: e in tutta Italia, a prescindere dai confini regionali. Solo se avremo appreso questa lezione, quell’”eroismo” sarà ripagato.

La sentenza preventiva. - Marco Travaglio

Coronavirus, la Procura di Bergamo e le indagini sull'epidemia ...
In oltre trent’anni di indagini e processi ne abbiamo viste tante, ma questa ci mancava: un pm che, appena avviata un’inchiesta, emette già la sentenza, per giunta sballata, per giunta in tv. È accaduto l’altroieri con l’incredibile dichiarazione rilasciata al Tg3 dalla pm di Bergamo Maria Cristina Rota subito dopo aver sentito come testimoni il presidente della Regione Attilio Fontana, l’assessore alla Sanità Giulio Gallera e il presidente della Confindustria lombarda Marco Bonometti, a proposito della mancata istituzione della “zona rossa” nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nella bassa Val Seriana. Questa: “Da quello che ci risulta, è una decisione governativa”. Purtroppo alla signora risulta male. La legge 883 del 1978 (“Istituzione del sistema sanitario nazionale”) stabilisce che la competenza è tanto del ministro della Salute (“può emettere ordinanze di carattere contenibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica”) quanto delle Regioni e dei Comuni (“Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale o dal sindaco ordinanze di carattere contenibile e urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più Comuni, e al territorio comunale”).
La logica della norma è chiara: su territori che investono più regioni, decide il governo; su territori estesi in più comuni nella stessa regione, provvede la Regione; su territori rientranti in un solo comune, interviene il Comune. Infatti il 22 febbraio, all’indomani dell’esplosione dei primi due focolai italiani a Codogno (Lodi, Lombardia) e Vo’ Euganeo (Padova, Veneto), il governo centrale sigilla Vo’, Codogno e altri 10 comuni del Lodigiano. Lo stesso giorno scoppia il contagio all’ospedale di Alzano (Bergamo, Lombardia), ma né la Regione né il Comune fanno nulla. Anzi l’Ats (della Regione) fa chiudere e riaprire dopo tre ore l’ospedale, senza sanificarlo. E senza dire nulla né al ministero della Sanità né ai malati e ai parenti, che entrano ed escono ignari di tutto. Così la bomba deflagra anche sui comuni vicini (Nembro ecc.). Oggi Fontana e Gallera, i Ric e Gian della cosiddetta sanità lombarda, raccontano la favola della Regione che voleva chiudere la Val Seriana ma non poteva, mentre il governo poteva ma non voleva. Tutte balle. Il 26 febbraio Gallera dichiara: “In Val Seriana i numeri sono non trascurabili, ma è presto per dire se siano tutti legati al contagio di un medico del pronto soccorso di Alzano. Situazione, questa, che abbiamo già individuato e sottoscritto” (o “circoscritto”?). Intanto, in perfetta corrispondenza di amorosi silenzi, la Confindustria bergamasca lancia la campagna “Bergamo is running”.
Running verso la morte: i contagiati salgono del 100% in 24 ore. Il 29 febbraio riecco Gallera: “Nuove zone rosse non sono all’ordine del giorno nell’ordinanza che abbiamo preso, Alzano compreso”. Il 2 marzo, col record nazionale dei contagi in Val Seriana, la Regione è sempre zitta e immobile al servizio degli industriali, mentre a Roma si muove l’Istituto superiore di sanità, raccomandando al Comitato tecnico-scientifico la zona rossa a Nembro e Alzano. Il 3 marzo il documento giunge sul tavolo del premier Conte, che chiede un approfondimento al ministro Speranza e al Comitato. Il 6 marzo centinaia di poliziotti, carabinieri e militari perlustrano la Val Seriana in vista della zona rossa. Ma vengono richiamati, probabilmente dal Viminale, perché Conte ha ormai deciso di chiudere l’Italia intera in “zona arancione”: cosa che fa la sera del 7 marzo. A quel punto Fontana comincia a raccontare di aver “chiesto a Conte la zona rossa” perché “io non ho titoli a (sic, ndr) bloccare un diritto costituzionalmente protetto”. E invece li ha in base alla legge 833/1978, come dovrebbero sapere lui (così geloso dell’autonomia lombarda) e a maggior ragione Gallera, visto che quella legge disciplina i poteri degli assessori regionali alla Sanità rispetto allo Stato.
Quando poi Conte, stufo delle balle di Ric e Gian, osserva che i due potevano disporre tutte le zone rosse che volevano, Gallera va a leggersi la legge (peraltro richiamata in vari Dpcm) e gli si apre un mondo. Tant’è che il 7 aprile si arrende: “Avremmo potuto fare noi la zona rossa? Ho approfondito e effettivamente c’è una legge che lo consente”. Meglio tardi che mai. Avesse approfondito prima, avrebbe potuto chiudere anche altre zone ad altissimo contagio (tipo il Bresciano) evitando altre stragi. Invece, incredibilmente, la Regione col record mondiale dei contagi, non ha disposto una sola zona rossa in tre mesi. Intanto, fra marzo e aprile, Regioni infinitamente meno a rischio ne disponevano ben 47: una l’Umbria, 2 l’Emilia Romagna (più 70 zone arancioni, esclusa purtroppo Piacenza), 5 il Lazio, 3 la Campania, 12 l’Abruzzo, 5 il Molise, 4 la Basilicata, 11 la Calabria, 4 la Sicilia (l’elenco l’ha pubblicato Selvaggia Lucarelli su Tpi). Gli unici a non sapere di poterlo fare erano Fontana e Gallera. Che poi hanno scoperto di poterlo fare, ma dinanzi alla pm hanno ricominciato a negarlo. E la pm – a sentire la sua dichiarazione al Tg3, che in un paese serio indurrebbe la Procura generale ad avocare il fascicolo – se l’è bevuta. Salvo poi precisare che “si tratta di indagini lunghe e complesse”. Se poi, durante l’indagine lunga e complessa, qualcuno desse un’occhiata alle leggi, potrebbe aprirne un’altra per falsa testimonianza.

Fase 2: Dalle mascherine ai cinema, ecco cosa non si potrà ancora fare dopo il 3 giugno.


Un cameriere serve da bare con la mascherina e la visiera in un locale a Torino.

Niente baci e abbracci: resta l'obbligo di distanziamento sociale. E non si può uscire di casa con la febbre se si ha una infiammazione respiratoria con febbre sopra 37.5.

Via la (vituperata) autocertificazione ma non le mascherine o l'obbligo di consumare ai tavoli entro una certa ora. La 'Fase 3' delle misure anti-pandemia non è certo un 'tana libera tutti' e permangono una serie ben precisa di divieti da rispettare.
Ecco cosa non si potrà fare anche dopo il via libera della circolazione tra le regioni:
TOGLIERE MASCHERINE - Non ci si potrà togliere la mascherina nei luoghi al chiuso accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto.
NIENTE BACI E ABBRACCI - L'arrivo della Fase 3 non prevede allentamenti per quanto riguarda i contatti fisici: restano le norme previste del Dpcm in vigore che prevede l'obbligo del distanziamento sociale a un metro.
LA QUARANTENA RESTA OBBLIGATORIA - Non può uscire di casa chi ha una infezione respiratoria con febbre superiore ai 37,5 gradi.
ANCHE LA MOVIDA RESTA OFF LIMITS - Niente assembramenti che restano vietati su tutto il territorio nazionale. 
NIENTE CONSUMAZIONI 'A TUTTE LE ORE' - Restano 'sorvegliati speciali' i luoghi delle città più frequentati per la presenza di bar e ristoranti e rimane l'obbligo di consumare ai tavoli entro una certa ora.
NIENTE CENTRI ESTIVI, MA ANCORA PER POCO - Non riaprono ancora i centri estivi per i minori che potranno, però, ripartire dal 15 giugno.
NO AGLI SPETTACOLI (PER ORA), NEMMENO SE ALL'APERTO - Stessa data di riapertura per cinema e teatri  mantenendo però il rispetto della distanza di almeno un metro sia per il personale, sia per gli spettatori, con il numero massimo di 1.000 spettatori per spettacoli all'aperto e di 200 persone per spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala.

La sergente Patty Baffi incastrerà Gallera a suon di selfie coi Vip. - Selvaggia Lucarelli

La sergente Patty Baffi incastrerà Gallera a suon di selfie coi Vip

Non so cosa abbiamo fatto qui in Lombardia per meritarci tutto questo. Dev’essere ancora per quel rito dell’ampolla con l’acqua del Po o quella colletta pro Formigoni o Fedez&Ferragni che si lanciano la frutta al supermercato o l’indimenticato stand “Choco Kebab” (il kebab al cioccolato all’Expo). Di sicuro, per spiegare quel che ci sta capitando, c’è un peccato originale, una colpa atavica, un’eredità karmica da scontare. “Ve li siete votati voi”, potreste replicare. Ma in un mondo giusto la pena dev’essere proporzionata alla colpa: i lombardi non si meriterebbero Gallera, Fontana, la pm che dice che la Val Seriana doveva chiuderla il governo e Patrizia Baffi presidente della commissione d’inchiesta, neppure se fossero colpevoli del genocidio di tutti i milanesi mezzosangue pugliesi. Ed è proprio della Baffi che mi tocca parlare perché la sua nomina a presidente della commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza coronavirus è un altro tassello nel mosaico del malinconico disastro lombardo. Se il Covid nasce da un pipistrello che trasmette il virus al pangolino che lo trasmette all’uomo, qui Italia Viva è il pipistrello e la Baffi il pangolino, il serbatoio, il vettore tra passato e disastro futuro. La Baffi, va detto, era partita bene: non aveva votato la mozione di sfiducia del Pd contro l’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Considerato che, secondo l’indice R0 locale, ci vogliono almeno 2 milioni di lombardi per trovarne uno che abbia una flebile fiducia in Gallera (come podista, non come assessore), la Baffi destava già qualche sospetto. Il fatto che all’ultimo momento si sia candidata a presidente della commissione e sia stata votata solo dal centrodestra e da sé stessa, genera un ulteriore sospetto, ma di quelli vaghi, appena accennati. In realtà il centrodestra l’ha votata perché, forte della sua onestà intellettuale, sa che troverà nel sergente Baffi un irriducibile, spietato rottweiler che azzannerà Gallera e Fontana alla giugulare finché non ammetteranno i loro inciampi.
Non è da Instagram che si giudica un giocatore, lo so, ma già dalle sue pagine social la Baffi rivela il suo distaccato rigore, quella freddezza istituzionale che fa sentire noi lombardi in una botte di ferro. Rassicurante quella foto sorridente con Fontana e la scritta “Noi ci fidiamo di te”. Scritta profetica almeno quanto “Grillo faccia un partito poi vediamo quanti voti prende!” di fassiniana memoria. Rassicuranti anche le numerose foto con Gallera (lei e Gallera in Regione che sorridono al fotografo, lei e Gallera che inaugurano la nuova cardiologia a Codogno, lei e Gallera al festival delle eccellenze agroalimentari, lei e Gallera alla Cooperativa Amicizia di Codogno), giusto a ribadire il concetto da lei stessa espresso di essere stata votata dal centrodestra “perché la mia persona è stata considerata un elemento di garanzia”. E in effetti elemento di garanzia lo è eccome. Più garanzia di così! Che poi sia un presidente di commissione, lo si intuisce dalla coerenza con cui giudicava la Regione in tempi non sospetti. “La Lombardia non utilizzi le Rsa per i pazienti Covid. Ritengo opportuno modificare in tempi brevi la delibera che indica le case di riposo tra le strutture abilitate a ricevere i pazienti positivi!”, scriveva infervorata il 6 aprile su Instagram. “Con onestà intellettuale, non è stato quella delibera a causare tutti quei morti”, dichiarava invece il 27 maggio con onestà intellettuale dopo che con onestà intellettuale era stata eletta presidente della commissione per indagare con onestà intellettuale anche sulla gestione delle Rsa. Ma noi ci fidiamo del sergente Baffi. Quella stessa Baffi che il 29 febbraio, con onestà intellettuale, commentava su Instagram un articolo sui contagi a Codogno: “Sulla base di quanto sostiene anche Repubblica, l’esistenza di un contagio sfuggito al controllo e alla prevenzione delle autorità è la vera ragione dell’attuale crisi”. Insomma, sono almeno tre mesi che è consapevole delle origini del disastro lombardo: ora, con onestà intellettuale, non dimenticherà le sue intime convinzioni. In attesa della sua aspra, fiscale, rigorosa inchiesta, coltiviamo certezze sulla sua austera gravità scorrendo i suoi selfie mentre scruta l’orizzonte dal Pirellone, i suoi selfie allo specchio in abiti di pizzo nero, i sui selfie con Renzi, Gori, Sala, financo Guerini, nonché il selfie alle sue gambe e la foto a uno schermo tv col suo primo piano ad Antenna3, tanto per fermare i momenti che contano. Ma ciò che più di tutto mi ha rassicurata sulla solidità intellettuale e culturale della Baffi è la foto col presidente Conte corredata dal commento lapidario, solenne, autorevole: “Siamo nati lo stesso giorno, 8 agosto, non potevo non dirglielo”. Seguono emoticon sorridente e tag a Conte, che ovviamente avrà subito chiesto un consulto a Branko per approfondire le affinità astrologiche con la Baffi. Cosa avremo fatto di male noi lombardi per meritarci tutto questo, resta mistero fitto. Mi sa che chiedo anch’io a Branko.