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lunedì 24 gennaio 2022

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, LA COSTITUZIONE E L’UNITÀ NAZIONALE. - GUSTAVO ZAGREBELSKY

 

“Non divisivo”: Il presidente della Repubblica non deve essere divisivo: è ovvio, siamo tutti d’accordo. È il rappresentante dell’unità nazionale. Ma, detta così senza precisare di chi e di che cosa non si deve essere divisivi, la parola è insensata. Serve solo a scambiarsi accuse: tu sei divisivo – no, divisivo sarai tu. Berlusconi è divisivo – no, sei tu il divisivo, nel momento stesso in cui lo dici di un altro. Non fermiamoci alla superficie e cerchiamo di guardare un poco che cosa c’è dentro questa parola. La politica è una sequenza di decisioni, cioè di scelte tra possibilità. Decidere significa per l’appunto dividere, tagliare, separare. Se non c’è nulla da decidere, come accade di fronte alle cose che dipendono non da noi ma dalla necessità, dal caso o dal destino, non si è, né si può essere divisivi.

Ma, fuori di questi casi, cioè nel campo delle scelte d’ogni giorno, non si può accontentare tutti. Si è divisivi per necessità, prima che per volontà. Chi volesse o promettesse di accontentare tutti sarebbe un illuso o, peggio, un ipocrita, un impostore. In politica, essere divisivi è giocoforza. Non si può piacere a tutti. C’è un momento storico in cui si concentra la summa divisio politica. È il momento in cui si stabilisce una costituzione. Per quanto si desideri ch’essa sia inclusiva, soprattutto dopo una guerra civile, quando la pacificazione è il primo imperativo, la costituzione non può includere tutto. Ogni costituzione è una differenziazione e una decisione. Non si può costituzionalizzare tutto e il suo contrario.

Si vuole la pacificazione e, quindi, non si può ammettere la violenza. Si può credere nella dignità delle persone e dare spazio al razzismo? Si vuole uguaglianza, libertà e solidarietà e ammettere l’egoismo dei più forti e dei più ricchi. Si vuole la tolleranza, che è una virtù reciproca, e si può tollerare l’intolleranza? A tutto questo e a molto altro la prima e fondamentale decisione costituzionale dà risposte chiare e nette, a incominciare dall’antifascismo che la permea in tutte le sue parti. Questa è l’unità nazionale, una nozione non neutra, amorfa, ma piena di contenuti. Non equivale a dire: tutti hanno un po’ di ragione e un po’ di torto. Non si può, per esempio, essere equidistanti tra i ladri e le guardie, tra gli evasori fiscali e i contribuenti onesti. Non decidere significa essere dalla parte dei ladri e degli evasori.

C’è, dunque, una dimensione superiore della vita pubblica, collocata nella decisione costituzionale presa una volta per tutte all’inizio di un ciclo politico, che è unitiva e divisiva, per l’un verso e per l’altro. Al di sotto, nella dinamica politica d’ogni giorno, si vota per il Parlamento, si fanno leggi, si formano e si disfano maggioranze e governi. Quella è, per così dire, la dimensione non inferiore, ma quotidiana della vita politica dove stanno divisioni e decisioni senza le quali non ci sarebbe democrazia. Chi, invece, è chiamato a operare nell’anzidetta dimensione superiore e vi opera effettivamente entro i suoi limiti intrinseci, come esecutore e garante della decisione costituzionale, non potrà mai essere accusato di “divisività”, se non da parte di chi, più che contestare lui, contesta la costituzione e le si pone contro. Anche quando, per l’eccezionalità delle situazioni, dovesse fare uso non consueto dei suoi poteri, per difendere gli amici della costituzione dai suoi nemici.

Questo breve profilo del presidente della Repubblica non sarebbe completo se non si aggiungesse ciò che è già ovvio: non gli spetta sostituirsi alla libera dinamica delle forze politiche né interferirvi, né governare anche se non direttamente ma per interposta persona, né, infine, creare attorno a sé “partiti del presidente” o giri di potere più o meno ramificati, quale che ne sia il genere: affaristico, burocratico, politico, eccetera. La provenienza dalla militanza in un partito politico può considerarsi, alla stregua di ciò che si è detto, un impedimento? Non è né un ostacolo né una preferenza.

Ciò che conta è la consapevolezza, la determinazione e l’indipendenza necessarie a chi sia chiamato a ricoprire con le sue forze una così importante e difficile carica. La consapevolezza implica la conoscenza e l’adesione alla costituzione, non ai suoi singoli, freddi articoli, ma a ciò di cui sono espressione e testimonianza: cioè alla storia, alla cultura e ai sacrifici che sono venuti a consolidarsi in questo testo, di certo uno dei più alti e significativi venuti alla luce nel tempo che ci sta alle spalle. La determinazione può essere testimoniata nelle esperienze precedenti e, certamente, è incompatibile con l’opportunismo, il trasformismo, il grigiore e l’ossequio nei confronti del potente di turno.

La presidenza della Repubblica non è per i cortigiani, anche perché essi spesso, quando le occasioni lo permettono, trasformano la debolezza del passato in prepotenza nel futuro. L’indipendenza non è l’ultima caratteristica. Anzi, forse è la prima. Chi assume il compito affascinante e tremendo di dare la rappresentazione dell’unità della nazione può farlo solo a patto di liberarsi dai vincoli che, più o meno legittimamente, lo condizionavano in precedenza.

I vincoli sono tanti e vari. Possono determinare ciò che impropriamente si chiama conflitto d’interessi e che, più propriamente, sarebbe da definire non conflitto ma coesistenza di interessi contraddittori. Se non ci si spoglia della dipendenza dal partito da cui si proviene, dalla appartenenza a gruppi di potere che chiedono di restituire i favori in precedenza elargiti e accettati, dal vincolo di ubbidienza che si assume entrando in chiese e associazioni più o meno segrete, dai propri interessi economici la cui difesa diventa spesso un’irresistibile coercizione, dall’adesione faziosa a una ideologia politica: se non ci si spoglia da tutto questo, l’alta carica viene trascinata nella bassura del tornaconto personale o del gruppo, della cerchia, del “giro” di appartenenza.

Peggio del peggio sarebbe se proprio questo tornaconto fosse la molla delle ambizioni di chi mira al Quirinale. Questa sarebbe la massima divisività, il massimo allarme costituzionale. Non solo la persona influisce sulla carica ricoperta. Spesso, avviene il contrario e i pronostici possono essere smentiti dai bilanci. Tuttavia, i trascorsi sono pur sempre dei prodromi e i prodromi possono trasformarsi in eventi e gli eventi possono determinare conseguenze. Guardandoci intorno e cercando di capire che cosa succede in questi giorni di vigilia, vien voglia di unirsi a coloro – i realisti – che ridono di tutto ciò che non è puro interesse, puro potere, pura spregiudicatezza.

È vero, c’è questa voglia. O anche, la voglia di dire: non sono fatti miei, alla malora. Ma più crescono queste voglie, più cresce, insieme, anche la rivolta.

la Repubblica, 18 gennaio 2022


http://www.libertaegiustizia.it/2022/01/23/il-presidente-della-repubblica-la-costituzione-e-lunita-nazionale/

venerdì 26 febbraio 2021

Nel “sottogoverno dei migliori” i cani da guardia di B. e Salvini. - Barbacetto, Palombi, Rodano e Salvini

 

Benvenuto “sottogoverno dei migliori”. Il decantato metodo Draghi sui sottosegretari è lo stesso per la nomina dei ministri: un’orgia partitica e una spartizione con il bilancino di “cencelliana” memoria. E così 11 per i 5Stelle, 9 per la Lega, 6 a testa per Pd e Forza Italia, 2 per Italia Viva (gli stessi, guarda caso, che avevano rinunciato alle poltrone), 1 per Liberi e Uguali. Fin qui il metodo, appunto. E il merito? Draghi ha scelto i più competenti? Difficile sostenerlo. A essere premiati sono stati molti degli ex sottosegretari del Conte-1 e del Conte-2, non proprio un inno alla discontinuità. Di fianco a loro, soprattutto a destra, un’infornata di fedelissimi dei leader di partito. Silvio Berlusconi li piazza nei settori più delicati per lui: Editoria e Giustizia (con Francesco Paolo Sisto, il suo avvocato nel caso escort, che trova la poltrona in via Arenula). Matteo Salvini rilancia Stefania Pucciarelli e tira fuori dal cilindro Rossano Sasso, due che hanno avuto uscite imbarazzanti su migranti e rom. E riporta alla Cultura Lucia Borgonzoni, quella che “non leggo un libro da tre anni”. Ecco i ritratti dei “migliori” di Draghi.

Giuseppe Moles - Le mani di Silvio sull’editoria.

Più che il nome,contava la carica. Sì, perché non risulta che Giuseppe Moles, 54 anni, nato a Potenza, abbia qualche competenza in materia di editoria, escludendo la sua breve esperienza da docente di Sociologia dei processi culturali all’Università degli Studi Internazionali di Roma (Luspio). Ma a Silvio Berlusconi non interessava il curriculum, ma che il sottosegretario all’Editoria di stanza a Palazzo Chigi fosse uno dei suoi fedelissimi: non accadeva da quando su quella poltrona sedeva il suo portavoce, Paolo Bonaiuti. Il prescelto era l’uomo Mediaset e per un decennio direttore di Panorama Giorgio Mulè, ma sul suo nome, nel Cdm di mercoledì sera, si è scontrata la maggioranza che sostiene il governo Draghi: Pd e M5S non potevano accettare che un uomo così legato al Biscione potesse finire a gestire l’informazione e a dispensare i fondi pubblici ai giornali. Così Mulè è passato alla Difesa e Moles, inizialmente indicato per andare alla Salute con Roberto Speranza, è stato scelto per l’Editoria sostituendo il dem Andrea Martella. Berlusconiano doc, tra i fondatori di Forza Italia nel 1994, Moles è stato l’assistente e il portavoce del ministro della Difesa Antonio Martino, uno degli intellettuali di casa ad Arcore. Dopo la fine del terzo governo Berlusconi, Moles insegna Relazioni Internazionali alla Luiss e poi Sociologia delle Relazioni Internazionali e Terrorismo alla Luspio. Viene eletto deputato del Pdl nel 2008 e nel 2011 è tra gli esponenti più critici nei confronti del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Da senatore, nel 2019 è tra i 41 parlamentari di FI (su 64) a firmare per chiedere il referendum contro il taglio dei parlamentari. A maggio scorso lo si ricorda per un attacco sessista nei confronti del ministro della Scuola, Lucia Azzolina, in un question time in Senato: “La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare” disse Moles che poi si dovette scusare. Con questa pedina, Berlusconi ha in mano tutta la filiera dell’editoria e delle telecomunicazioni: Alberto Barachini alla Vigilanza Rai, Gilberto Pichetto Fratin viceministro al Mise dove Giancarlo Giorgetti si occupa di telecomunicazioni e Moles all’Editoria.
Giacomo Salvini

Francesco Paolo Sisto - L’avvocato anti-inchieste.

“Il presidente Berlusconi per noi è come Fidel Castro, è il Líder Máximo. Si è rivelato uno statista vero, soprattutto nell’ultimo periodo”. Così dice del suo capo Francesco Paolo Sisto, avvocato, deputato di Forza Italia dal 2008, ora sottosegretario alla Giustizia. E proprio di giustizia si è prevalentemente occupato nella sua attività politica, attaccando a ogni occasione i magistrati e l’indipendenza della magistratura dalla politica. “La cacciata di Giuseppe Conte è avvenuta in nome della giustizia”, dichiara, “perché la giustizia è stata quella più giustiziata, in questo eccidio delle competenze e della democrazia. Per fortuna però, come si dice dalle mie parti in Puglia, dal guasto viene l’aggiusto”. Cioè Draghi.
Il suo Líder Máximo l’ha sempre difeso: in Parlamento, opponendosi alla legge sul conflitto d’interessi; e in Tribunale, come avvocato difensore nel processo escort in corso a Bari, dove Silvio Berlusconi è accusato di aver pagato l’imprenditore Gianpaolo Tarantini per indurlo a mentire sulle feste a Palazzo Grazioli. A gennaio, l’avvocato Sisto è riuscito a far slittare il processo escort al 30 aprile, adducendo motivi di salute che impedivano a Berlusconi di presentarsi in aula. Non gli hanno impedito di andare da Draghi a trattare il suo appoggio al nuovo governo: “È stata una festa!”, riferisce l’avvocato difensore di Berlusconi, diventato ora sottosegretario proprio nel delicatissimo ministero della Giustizia. Sisto è tra gli autori della legge elettorale dell’Italicum e della riforma costituzionale del Senato (poi bocciata nel referendum del 2016) scritta con Maria Elena Boschi e nata dall’accordo tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Contrario invece (in dissenso dalla posizione ufficiale di Forza Italia) alla riforma costituzionale del 2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari.
Gianni Barbacetto

Rossano Sasso - Il leghista che scambia Dante e Topolino.

La pagina wikipedia di Rossano Sasso, nuovo sottosegretario leghista all’Istruzione, è stata creata solo ieri. Ma i social e il web non si sono scordati del suo passato. Nel 2018 il deputato barese postò una foto della adunata in piazza Duomo a Milano con Matteo Salvini, ma poi si accorse che nell’immagine campeggiava una bandiera contraria alle sue origini pugliesi: “Prima il nord!”. Così Sasso la fece photoshoppare facendo arrabbiare non poco l’ex governatore Bobo Maroni. Nell’estate del 2018, poi, il coordinatore pugliese della Lega organizzò un flash mob sulla spiaggia di Castellaneta Marina (Taranto) dopo l’arresto di un marocchino di 31 anni, Mohamed Chajar, accusato di aver violentato una 17enne. Sasso lo definì un “bastardo irregolare sul nostro territorio”, ma il Tribunale di Taranto pochi mesi dopo assolse il giovane con formula piena: non aveva violentato nessuno. Ma è l’istruzione il tema principale su cui si concentra Sasso, con un potenziale conflitto d’interessi tutto in famiglia. La moglie è l’avvocato e presidente dell’Associazione Libera Scuola, Grazia Berloco: da deputato leghista della commissione Scuola, Sasso ha portato avanti le battaglie della moglie, che infatti ne ricondivide discorsi e proposte sui social. Un esempio: il leghista in un post del 2 settembre scorso si vantava di aver chiesto il rinvio di un anno delle Graduatorie Provinciali Supplenze. Ma senza successo: “Risultato – scriveva Sasso – caos graduatorie, punteggi sballati, nomine bloccate e ricorsi in tribunale. Qualche studio legale vicino al governo si sta già preparando. Che spudoratezza”. Peccato che, come si legge sul sito di ALS, fosse proprio l’associazione della moglie a proporsi per i ricorsi dei docenti. Ora che è diventato sottosegretario, Sasso rischia di doversi occupare di quei ricorsi di cui si fa carico proprio la moglie avvocato. Il 13 febbraio, Berloco su Fb ringraziava l’onorevole Sasso e il leghista Pittoni per “le loro battaglie”. Pochi giorni prima di essere nominato sottosegretario, Sasso ha deliziato i social pubblicando un selfie con annessa citazione da lui attribuita a Dante: “Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto”. Peccato che la fonte della citazione fosse un’altra: Topolino.
Gia.Sal.

Deborah Bergamini  - La berlusconiana “delta”.

In un suo vecchio blog si presentava come Cartimandua, regina dei Celti. Come si sentirà ora nel governo dei Migliori, dell’Europa, della concorrenza e del libero mercato, Deborah Bergamini da Viareggio, la donna che abolì la concorrenza tra Rai e Mediaset? Studi in Italia e negli Stati Uniti, esperienze di lavoro a Parigi e Londra. Poi le capita di intervistare Silvio Berlusconi per Bloomberg e da allora non lo molla più. Lui la riporta in Italia, la fa entrare nel suo staff, la nomina assistente personale. Poi nel 2002 la trapianta in Rai: vicedirettrice, direttrice del marketing strategico, consigliera d’amministrazione di Rai Trade, poi di Rai International. Diventa la donna più potente della tv pubblica, decide quali “generi” trasmettere sulle tre reti, tiene le relazioni con le tv estere, si occupa di Auditel, Televideo, Internet. Ma intanto resta sempre fedele a Berlusconi e a Mediaset, come diventerà noto a causa delle intercettazioni disposte dalla magistratura sulla crisi dell’azienda Hdc e sul sondaggista Luigi Crespi. Questi, intercettato, si rivolge a lei per chiedere a Mediaset soldi (che in effetti poi ottiene). Ma le intercettazioni, più in generale, rivelano il suo vero ruolo di infiltrata Mediaset dentro la Rai e il patto occulto di consultazione permanente tra le due aziende per mettersi d’accordo, in barba al libero mercato, e per risollevare, a reti unificate, l’immagine in affanno di Berlusconi. L’intera tv italiana viene pilotata dalla “struttura Delta”: Deborah controlla tutto, anche le inquadrature di Silvio al funerale di papa Wojtyla. Pianifica i programmi, in accordo con Mediaset, per “dare un senso di normalità alla gente” ed evitare così che la morte del papa distragga gli elettori e faccia aumentare l’astensionismo che penalizzerebbe Forza Italia. Ordina il ritardo nella comunicazione in tv della sconfitta elettorale alle amministrative del 2005. Chiede a Bruno Vespa di non confrontare i risultati con quelli delle precedenti elezioni regionali. Ora è nel governo dei Migliori.
G. B.

Vannia Gava - L’ambientalismo dei danè.

Figlia dell’operoso Nord-est, classe 1974, una carriera da rappresentante di mobili e dirigente politico locale della Lega (fino alla poltrona di vicesindaco della sua Sacile in Friuli-Venezia Giulia), la sottosegretaria Vannia Gava torna al ministero dell’Ambiente, trasfigurato in Transizione ecologica, portando con sé la sua idea produttivista, per così dire, dell’ambiente: se proprio se ne deve parlare, almeno lo si faccia fruttare. Come ha detto lei stessa recentemente alla Camera (dal 2018 è deputata), le piace del governo Draghi “la declinazione non catastrofista delle tematiche ambientali e l’approccio pragmatico”, a cui la Lega mette a disposizione il suo green dei danè (“meno vincoli e più opportunità, più decentramento e meno burocrazia”). Non di solo alto convincimento intellettuale vive però l’impegno della sottosegretaria Gava: i suoi interessi più terreni l’hanno portata a una guerra feroce con l’ex ministro Sergio Costa, cui non furono estranee le sue conoscenze sul territorio. Grande fan del biometano, aveva come collaboratore al ministero un dipendente di alcune aziende venete del settore, peraltro vicine alla Lega (anche sotto forma di donazioni) e a cui Gava aveva dedicato visite ufficiali: il collaboratore dovette dimettersi dopo aver offerto al sito Fanpage investimenti pubblicitari per addomesticare un’inchiesta. Lei stessa fu censurata per “non aver adempiuto ai suoi obblighi sulla trasparenza”: in sostanza si dimenticò di rendere pubblici – come invece prescriveva un regolamento del ministero dell’Ambiente – i suoi incontri con i cosiddetti “portatori di interessi”. L’infortunio non le impedì di ottenere, dopo le Europee 2019, più poteri per le Regioni in materia di rifiuti, novità che ovviamente interessava anche chi produce biometano, specie nel verde Veneto. Ora – al netto di inceneritori, micro-idroelettrico e altre materie care ai salviniani – Gava potrà occuparsi degli incentivi al biometano, in scadenza nel 2021: “Stiamo lavorando affinché il processo di riconversione degli impianti possa essere accompagnato da nuovi incentivi”, disse prima del Papeete. Ora si ricomincia.
Ma. Pa.

Stefania Pucciarelli - dai “forni” alla Difesa.

Non è chiaro quali siano le competenze che hanno fatto nominare la 53enne leghista Stefania Pucciarelli sottosegretario alla Difesa del nuovo governo Draghi. Ma d’altra parte erano ancora meno evidenti le qualità che l’avevano fatta indicare da Matteo Salvini come presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, durante il primo governo Conte. Un indirizzo – i diritti umani – che sembrava una provocazione per una senatrice che si era fatta pizzicare a mettere “mi piace” su Facebook a un post che suggeriva l’uso dei “forni” per i migranti: “Certe persone andrebbero eliminate dalla graduatoria. E poi vogliono la casa popolare. Un forno gli darei”. Pucciarelli si difese sostenendo che non aveva letto bene (e se aveva letto non aveva capito). Quando commise quella “leggerezza” era consigliera regionale in Liguria: l’incidente le diede notorietà presso il popolo leghista, che quelle cose magari non le dice ma le pensa assai spesso. Le costò pure una denuncia dall’Associazione 21 luglio (che si occupa dei diritti delle minoranze rom) e una convocazione al Tribunale di La Spezia per propaganda di idee “fondate sull’odio razziale” (è stata archiviata). Poca roba in confronto della rapida ascesa della sua carriera politica. Prima di entrare in Parlamento, Pucciarelli ha contribuito a edificare la nuova Lega sovranista in Liguria tra Sarzana e La Spezia, terre ex rosse, dove è diventata il punto di riferimento di una giovane classe dirigente nazionalista. Nei ruggenti anni liguri ha indossato il burqa per protesta, ha fatto decine di campagne sui migranti, ha solidarizzato con CasaPound, ha esultato ogni volta che le ruspe hanno spianato un campo nomadi.
Una populista di destra, barricadera, radicale: negli anni del salvinismo spinto è tra le più apprezzate dal capo del Carroccio, che l’ha fatta eleggere in Senato nel 2018. Ora che la retorica di Matteo su Europa e immigrazione s’è un po’ addolcita, s’è un po’ addolcita anche lei. E la carriera continua.
Tommaso Rodano

Alessandro Morelli - L’ombra del commercialista.

Giovane leghista di Vizzolo Predabissi, alle porte di Milano, non ha mai messo a frutto il suo diploma di perito agrario, né ha avuto tempo di laurearsi in Scienze delle produzioni animali, facoltà dell’Università Statale di Milano cui si era iscritto dopo l’istituto tecnico. Ma la sua passione politica lo ha portato a diventare direttore di Radio Padania, l’emittente della Lega, e del Populista, il combattivo blog di Matteo Salvini (prima della conversione europeista). Ora, a 43 anni, è nientemeno che viceministro nel cruciale dicastero delle Infrastrutture e dei trasporti, dopo una carriera politica partita dal basso. Uomo di lotta e di governo: consigliere di zona a vent’anni, poi assessore al Turismo nella giunta del sindaco Letizia Moratti, poi ancora consigliere comunale, fiero oppositore di Giuseppe Sala e di Expo. Nel 2013 si candida alla Camera, ma non riesce a essere eletto. Ci riprova, con successo, nel 2018. Oggi arriva al governo con un’ombra: è stato lui a far nominare nelle società partecipate del Comune di Milano il commercialista Andrea Manzoni, ora imputato nel processo per l’immobile di Cormano diventato sede della Lombardia Film Commission, comprato a 400 mila euro e rivenduto alla Regione Lombardia al doppio, 800 mila euro. Un’operazione, secondo i magistrati, per far entrare soldi nelle casse della Lega. Operazione realizzata in ambito regionale, quando presidente della Lombardia era Roberto Maroni. Ma intanto Manzoni era presente e attivo anche a livello comunale: entrava anche nel collegio sindacale di Sea (la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa), di Arexpo (proprietaria dei terreni Expo su cui si svilupperà il progetto Mind) e di Amiacque (società operativa del Gruppo Cap che fornisce l’acqua a molti Comuni dell’area milanese). A indicare il nome di Manzoni per quelle delicate poltrone di controllo è stato proprio Morelli, che aveva da riempire le caselle assegnate dal Comune di Giuseppe Sala all’opposizione, dunque alla Lega.
G. B.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/26/nel-sottogoverno-dei-migliori-i-cani-da-guardia-di-b-e-salvini/6114130/

domenica 31 maggio 2020

La sergente Patty Baffi incastrerà Gallera a suon di selfie coi Vip. - Selvaggia Lucarelli

La sergente Patty Baffi incastrerà Gallera a suon di selfie coi Vip

Non so cosa abbiamo fatto qui in Lombardia per meritarci tutto questo. Dev’essere ancora per quel rito dell’ampolla con l’acqua del Po o quella colletta pro Formigoni o Fedez&Ferragni che si lanciano la frutta al supermercato o l’indimenticato stand “Choco Kebab” (il kebab al cioccolato all’Expo). Di sicuro, per spiegare quel che ci sta capitando, c’è un peccato originale, una colpa atavica, un’eredità karmica da scontare. “Ve li siete votati voi”, potreste replicare. Ma in un mondo giusto la pena dev’essere proporzionata alla colpa: i lombardi non si meriterebbero Gallera, Fontana, la pm che dice che la Val Seriana doveva chiuderla il governo e Patrizia Baffi presidente della commissione d’inchiesta, neppure se fossero colpevoli del genocidio di tutti i milanesi mezzosangue pugliesi. Ed è proprio della Baffi che mi tocca parlare perché la sua nomina a presidente della commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza coronavirus è un altro tassello nel mosaico del malinconico disastro lombardo. Se il Covid nasce da un pipistrello che trasmette il virus al pangolino che lo trasmette all’uomo, qui Italia Viva è il pipistrello e la Baffi il pangolino, il serbatoio, il vettore tra passato e disastro futuro. La Baffi, va detto, era partita bene: non aveva votato la mozione di sfiducia del Pd contro l’assessore al Welfare, Giulio Gallera. Considerato che, secondo l’indice R0 locale, ci vogliono almeno 2 milioni di lombardi per trovarne uno che abbia una flebile fiducia in Gallera (come podista, non come assessore), la Baffi destava già qualche sospetto. Il fatto che all’ultimo momento si sia candidata a presidente della commissione e sia stata votata solo dal centrodestra e da sé stessa, genera un ulteriore sospetto, ma di quelli vaghi, appena accennati. In realtà il centrodestra l’ha votata perché, forte della sua onestà intellettuale, sa che troverà nel sergente Baffi un irriducibile, spietato rottweiler che azzannerà Gallera e Fontana alla giugulare finché non ammetteranno i loro inciampi.
Non è da Instagram che si giudica un giocatore, lo so, ma già dalle sue pagine social la Baffi rivela il suo distaccato rigore, quella freddezza istituzionale che fa sentire noi lombardi in una botte di ferro. Rassicurante quella foto sorridente con Fontana e la scritta “Noi ci fidiamo di te”. Scritta profetica almeno quanto “Grillo faccia un partito poi vediamo quanti voti prende!” di fassiniana memoria. Rassicuranti anche le numerose foto con Gallera (lei e Gallera in Regione che sorridono al fotografo, lei e Gallera che inaugurano la nuova cardiologia a Codogno, lei e Gallera al festival delle eccellenze agroalimentari, lei e Gallera alla Cooperativa Amicizia di Codogno), giusto a ribadire il concetto da lei stessa espresso di essere stata votata dal centrodestra “perché la mia persona è stata considerata un elemento di garanzia”. E in effetti elemento di garanzia lo è eccome. Più garanzia di così! Che poi sia un presidente di commissione, lo si intuisce dalla coerenza con cui giudicava la Regione in tempi non sospetti. “La Lombardia non utilizzi le Rsa per i pazienti Covid. Ritengo opportuno modificare in tempi brevi la delibera che indica le case di riposo tra le strutture abilitate a ricevere i pazienti positivi!”, scriveva infervorata il 6 aprile su Instagram. “Con onestà intellettuale, non è stato quella delibera a causare tutti quei morti”, dichiarava invece il 27 maggio con onestà intellettuale dopo che con onestà intellettuale era stata eletta presidente della commissione per indagare con onestà intellettuale anche sulla gestione delle Rsa. Ma noi ci fidiamo del sergente Baffi. Quella stessa Baffi che il 29 febbraio, con onestà intellettuale, commentava su Instagram un articolo sui contagi a Codogno: “Sulla base di quanto sostiene anche Repubblica, l’esistenza di un contagio sfuggito al controllo e alla prevenzione delle autorità è la vera ragione dell’attuale crisi”. Insomma, sono almeno tre mesi che è consapevole delle origini del disastro lombardo: ora, con onestà intellettuale, non dimenticherà le sue intime convinzioni. In attesa della sua aspra, fiscale, rigorosa inchiesta, coltiviamo certezze sulla sua austera gravità scorrendo i suoi selfie mentre scruta l’orizzonte dal Pirellone, i suoi selfie allo specchio in abiti di pizzo nero, i sui selfie con Renzi, Gori, Sala, financo Guerini, nonché il selfie alle sue gambe e la foto a uno schermo tv col suo primo piano ad Antenna3, tanto per fermare i momenti che contano. Ma ciò che più di tutto mi ha rassicurata sulla solidità intellettuale e culturale della Baffi è la foto col presidente Conte corredata dal commento lapidario, solenne, autorevole: “Siamo nati lo stesso giorno, 8 agosto, non potevo non dirglielo”. Seguono emoticon sorridente e tag a Conte, che ovviamente avrà subito chiesto un consulto a Branko per approfondire le affinità astrologiche con la Baffi. Cosa avremo fatto di male noi lombardi per meritarci tutto questo, resta mistero fitto. Mi sa che chiedo anch’io a Branko.