lunedì 8 aprile 2019

Le 4 balle che ci raccontano sulla crisi dell’economia italiana. - Paolo Becchi e Giovanni Zibordi



Ci sono una serie di balle che continuano a circolare su un giornalone di cui non vogliamo fare il nome, perché non è certo nostra intenzione fargli pubblicità. Con tanto di grafici vorremmo smontare tutte queste balle una vota per tutte.

1 balla. Il primo, e forse il più micidiale di questi luoghi comuni riguarda la nostra moneta unica. Il M5Stelle e la Lega hanno vinto le elezioni con una piattaforma “no euro”. La realtà delle cose e il buon senso degli italiani, primo fra tutti il presidente della Repubblica, si sono poi fatti carico di smorzare i loro entusiasmi isolazionisti. Ma questo governo continua a comportarsi come se l’euro fosse una gabbia dalla quale non si può liberare.
Trascuriamo le cosiderazioni politiche. Sono irrilevanti. Ognuno è libero di scrivere le cazzate che vuole. Passiamo però ai fatti. La produzione industriale, che in un paese senza materie prime è quello che da da mangiare, prima dell’euro cresceva in linea con quella degli altri maggiori paesi. Dall’introduzione dell’euro è collassata.
Difficile che sia una mera coincidenza perché la stessa cosa, anche se in misura minore, è accaduta per la produzione industriale della Francia.
Ancora oggi in Italia è del -22% sotto il livello del 2008 e neanche negli anni ‘30 della Grande Depressione è successo, perchè nel giro di tre anni la produzione tornò sopra i livelli del 1930. L’unico crollo di oltre il -20% della produzione mai verificatosi è tra il 1942 e il 1946 causa una guerra persa.
A cosa è dovuto il crollo, avvenuto soprattutto tra il 2008 e il 2013 ?
In Italia, la domanda interna, cioè la spesa dei cittadini è sprofondata del -12% in questi cinque anni e quindi nonostante un ottimo andamento dell’export, dato che la domanda interna è ¾ del totale della domanda, la spesa totale si è ridotta di colpo. In Germania e Francia ad esempio la domanda interna non si è ridotta.
GOVERNO MONTI
Il motivo? L’austerità ovviamente, il blocco della spesa pubblica e l’aumento delle tasse, soprattutto sotto il governo Monti. L’Italia è stato l’unico paese a ridurre i deficit pubblici dopo il 2009, per cui mentre tutti facevano deficit tra il 5 e l’8% del PIL noi siamo stati gli unici a riportarli sotto al 3%. Abbiamo dovuto causa lo “spread” ? Come mai prima dell’Euro non si sentiva mai parlare dello “spread” ? Perchè Bot, CCT e BTP erano in mano a famiglie italiane le quali se il rendimento cresceva non vendevano i titoli solo perchè il prezzo oscillava in basso. Solo le banche e i fondi esteri liquidano di colpo i BTP e però lo facevano per motivi loro, nel 2008 liquidavano titoli di ogni genere perchè stavano fallendo causa derivati su mutui in altre parti del mondo. Le Banche estere con l’euro erano arrivate a detenere 1,300 mld di titoli italiani e li hanno liquidati di colpo.
Con la crisi globale del 2008, dovuta ad una “bolla” dei mutui e dei derivati sul debito immobiliare in USA, Spagna, Irlanda ecc.. le banche in tutto il mondo sono andate in crisi, molte hanno dovuto essere salvate dai loro Stati e di conseguenza si è creato panico sui mercati del debito e le banche maggiori hanno venduto di colpo titoli di ogni genere, tra cui anche i nostri BTP di cui con l’euro si erano riempite arrivano ad averne per 1,300 miliardi.
L’effetto dell’euro è stato di far uscire le famiglie italiane e far entrare al loro posto massicciamente le banche estere come acquirenti di BTP, con i danni che sono ben noti a tutti.
2 balla. Bisognerebbe allora ricordare che solo grazie alla moneta unica l’Italia ha potuto in questi anni sostenere il peso di un debito pubblico che avrebbe schiantato qualsiasi altra valuta. Nel 2001, quando c’era ancora la lira, gli interessi sul debito pubblico ci sono costati l’equivalente di 79 miliardi di euro. Nel 2018, nonostante il debito sia passato da 1.400 a 2.300 miliardi, gli interessi sono scesi a 65 miliardi.
L’Italia come Stato ha pagato dal 1980 quasi 4 mila miliardi di interessi sui titoli di stato (in euro di oggi), cioè due volte e mezzo il PIL attuale che è di 1,700 miliardi e quasi il doppio del debito pubblico che 2,340 miliardi. Il debito pubblico è dovuto all’accumulo degli interessi che si sono cumulati su debiti contratti in molti anni.
Nessuno ha pagato quanto lo stato e quindi i contribuenti italiani di interessi, più di qualunque altra nazione al mondo dopo gli Stati Uniti. E in percentuale del reddito nazionale più di chiunque. Abbiamo arricchito le banche e i fondi esteri che si sono riempiti di BTP quando grazie all’euro sono stati garantiti che il tasso di cambio non sarebbe sceso. Per un cittadino italiano con in tasca le lire se il tasso di cambio della lira scendeva non importava, comprava lo stesso BTP o CCT se rendevano più dell’inflazione. Ma per gli stranieri era importante non perdere sul cambio e con l’euro hanno potuto garantirsi da quel rischio. Il risultato è stato che gli interessi che prima rimanevano in Italia sono finiti all’estero. Non importa pagare 65 miliardi invece di 79 se questi soldi poi vanno a banche francesi, fondi del Qatar o fondi pensione giapponesi! Sono soldi delle tasse degli italiani che con l’euro sono andati ad arricchire i ricchi di tutto il mondo (azionisti e proprietari di banche e fondi).
L’EXPORT
3 balla. Lo stesso discorso vale per le esportazioni: nonostante l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, l’Italia registra da anni un forte attivo della bilancia commerciale.
Il saldo delle bilancia commerciale è fatto di esportazioni meno importazioni. Con l’euro il cambio era forte, le importazioni erano meno care e il risultato è che l’Italia è andata in deficit con l’estero fino al 2011, grazie al boom delle importazioni.
Come di vede dal grafico però l’austerità imposta dall’euro ha fermato le importazioni per cui il saldo con l’estero è migliorato, ma grazie alla perdita di reddito e quindi di spesa e poi anche di importazioni. Se deprimi l’economia, spendi meno e importi di meno certamente migliora il saldo della bilancia commerciale. Ma hai mandato in rovina il paese.
4 balla. Se tutto questo non si è tradotto in crescita economica, come è avvenuto in tutti gli altri Paesi della Ue, la colpa non è dell’euro, ma dei governi che hanno lasciato declinare la produttività e la competitività del Paese. Fino ad arrivare all’attuale governo anti-europeo: il primo che sia riuscito ad imporre all’Italia, unica in Europa, una recessione le cui cause sono essenzialmente politiche e non economiche.
La produttività in Giappone e Corea è più bassa che in Italia (se si cercano le statistiche del PIL diviso ore lavorate, si scopre che siamo meglio noi). Nel Regno Unito la produttività negli ultimi dieci anni è piatta, non cresce, come in Italia. Ma in Giappone, Corea e nel Regno Unito il reddito ha continuato a crescere e la disoccupazione è tra il 3 e il 4% mentre in italia è l’11%. Quello che invece differenzia l’Italia da tutti gli altri è il crollo della domanda interna, della spesa, dovuto al taglio indiscriminato del credito da parte delle banche italiane nei confronti delle imprese e all’austerità con l’aumento continuo delle tasse.
Come si vede dal grafico la forza della Germania è che ha continuato a spendere, la “domanda aggregata” tedesca (il termine che si usa per indicare la spesa totale all’interno di un economia di beni e servizi) ha continuato a salire. La differenza l’ha fatta la spesa, che in Italia è collassata. Noi abbiamo avuto meno soldi da spendere, perchè sono state aumentate le tasse di circa 40 miliardi e perchè le banche hanno tagliato il credito alle imprese di oltre 200 miliardi. Se avessimo avuto la nostra Banca Centrale al posto della BCE questa avrebbe garantito le banche per non spingerle a tagliare il credito e avrebbe finanziato i deficit pubblici per non far aumentare le tasse.

Brexit, perché Macron è così intransigente con Londra. - Riccardo Sorrentino



Su Brexit è il più rigido, insieme agli spagnoli e ai belgi. Il presidente francese Emmanuel Macron si è contraddistinto, in questa fase, per la severità con cui risponde alle continue, e spesso confuse, richieste di rinvio da parte britannica. Al punto da mostrare di non temere una Brexit dura. I media d’oltremanica – il Financial Time in testa – lo hanno addirittura paragonato a Charles De Gaulle, che nel 1963 pose il veto all'ingresso del Regno Unito nella Cee, rievocando la storica – ma in realtà relativa, soprattutto nell'ultimo secolo – rivalità tra Parigi e Londra. Perché tutta questa intransigenza?
Calais collo di bottiglia.La risposta non è semplice. La Francia, insieme all’Irlanda, rischia di essere una delle economie più colpite dall'uscita del Regno Unito dall’Unione europea. I rapporti sono molto stretti, Parigi gode con il partner di un surplus commerciale che non può vantare con molti altri paesi (l’economia è cronicamente in deficit). La transizione da un regime di libera circolazione a uno ‘doganale’ rischia inoltre – soprattutto in caso di Brexit senza accordo – di bloccare temporaneamente l’intero nord del Paese: Calais, e pochi altri porti sulla Manica, potrebbero diventare uno strettissimo collo di bottiglia. Malgrado tutti i preparativi e tutte le precauzioni che il governo ha preso da tempo alla luce di simulazioni catastrofiche.
Brexit «troppo» a ridosso del voto europeo.Un primo motivo dell’intransigenza è proprio qui, nel caos, probabilmente inevitabile in ogni caso, della transizione. Macron ha tutto l’interesse di evitare che accada a ridosso delle elezioni europee, previste il 26 maggio. Non è nei suoi interessi – e forse non lo è nell’interesse di una sana formazione del consenso popolare, libera da elementi emotivi transitori – far votare i francesi mentre la situazione del traffico diventa temporaneamente insostenibile in una regione meno fortunata di altre e molto vicina alla destra del Rassemblement (ex Front) national. Come dimenticare che la protesta dei Gilets gialli è scoppiata attorno al tema dell’auto: caro benzina, costi delle revisioni, nuovi limiti di velocità?...
Il consenso di Macron.Ecco perché Macron ha insistito molto, il 22 marzo, sulla data del 7 maggio per l'uscita con accordo, mentre il Consiglio Ue ha optato per quella del 22 maggio, molto vicina al giorno delle elezioni (previste in Francia per il 26). Se il parlamento di Londra avesse approvato l’intesa firmata con Michel Barnier, Macron avrebbe sicuramente avuto problemi di consenso, di fronte agli inevitabili intoppi doganali dei primi giorni. Al momento, il suo partito gode nei sondaggi del 23% – piuttosto stabile – delle intenzioni di voto (in forte calo dal 32% delle politiche), contro il 21-22% – più volatile – della destra di Fn (in flessione dal 24,9% delle ultime europee ma in rialzo dal 13,2% delle politiche).
Un no anche al rinvio lungo.La questione elettorale, però, è anche più complessa. Macron ha anche respinto l’ipotesi del presidente del consiglio Ue, Donal Tusk, di un’estensione flessibile di Brexit di un anno. Eppure questa soluzione avrebbe consentito al presidente francese di affrontare le ricadute del nuovo regime dopo il voto europeo. Non si può però pensare che il presidente voglia usare le difficoltà della Gran Bretagna – che emergeranno in realtà nel medio periodo – per la sua campagna elettorale, tutta europeista. Qualcos’altro è in gioco.
La redistribuzione dei seggi.Un’estensione lunga imporrebbe alla Gran Bretagna di partecipare alle elezioni. I 73 seggi destinati a Londra non verrebbero redistribuiti. In caso di Brexit, invece, la Francia otterrebbe cinque seggi in più (79 in totale) come la Spagna contro i tre in più di Italia e Olanda, i due dell’Irlanda e l’uno in più di Polonia, Romania, Svezia, Austria, Danimarca, Finlandia, Slovacchia, Croazia ed Estonia (gli altri, Germania compresa, resterebbero al livello del 2014). La redistribuzione è una ’leva’ importante per i voti francesi (e spagnoli)
Macron come ago della bilancia.Anche se il sistema elettorale è proporzionale – per le legislative in Francia è invece previsto l’uninominale a doppio turno – il partito di Macron, La République en Marche (Lrem) punta ad avere una presenza importante nel parlamento europeo: forse più dei 24 deputati ottenuti da Fn nel 2014 con il 24% dei voti. In un momento in cui le forze tradizionali, socialisti e popolari, sono previsti in flessione – anche se probabilmente non ci sarà la valanga populista che gli euroscettici si aspettano – il ruolo di Lrem come "ago della bilancia" potrebbe diventare decisivo, sia pure nel limitato ambito delle competenze del Parlamento europeo.
Le ambizioni europee dei francesi.La Francia, nel mosaico delle istituzioni e degli incarichi europei, è molto ambiziosa. Da attribuire c’è la presidenza della Commissione e quella della Bce e non è un mistero che Parigi punti soprattutto alla prima (col candidato ‘naturale' Michel Barnier, il negoziatore di Brexit).
La Francia e l’export energetico.È dunque una strategia di breve periodo, quella di Macron. Parigi, in un orizzonte temporale più lungo, ha poco da temere da Brexit. I rapporti con Londra sono solidi e, nei limiti (ristrettissimi) in cui è possibile adottare una logica mercantilista, la Gran Bretagna ha più bisogno della Francia di quanto la Francia abbia bisogno della Gran Bretagna. Il Regno Unito – per fare un solo esempio – ha bisogno delle importazioni di energia della Francia, soprattutto d’inverno. Al punto che i ritardi nella transizione energetica dal nucleare e dai combustibili fossili – che pure hanno pesato sul consenso di Macron – sono legati anche alla necessità di mantenere stabile l’offerta di elettricità da esportare oltre Manica.
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MA MI FACCIA IL PIACERE - Marco Travaglio

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I Serenissimi. “Tria deve stare sereno” (Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, 5.4). E chiedere a Enrico Letta come si fa.
Nuovi martiri. “Caro Mattarella, liberi Formigoni. Ponga fine a questo strazio” (Vittorio Feltri, Libero, 6.4). “Assurdo tenere in cella Formigoni. Dovrebbe essere senatore a vita” (Luigi Amicone, Libero, 7.4). E solo perchè ha rubato appena 6 milioni di euro. Se arrivava a 10, presidente della Repubblica.
Giornalismo investigativo. “Roma, la sindaca Raggi parcheggia l’auto di servizio in divieto di sosta. L’auto elettrica del Campidoglio lasciata davanti al segnale per due ore. Niente multa. L’ironia sui social: ‘Ma non criticava pesantemente Marino per lo stesso motivo?’” (Corriere.it, seconda notizia del giorno in homepage, 7.4). A parte il fatto che la Raggi non parcheggia perché non può guidare, avendo la tutela obbligatoria della Polizia municipale per ordine del Viminale dal 2016, il cartello indica la fine del divieto di sosta: dunque l’auto del Comune che trasporta la sindaca poteva parcheggiare. Però, dài, sui giornaloni conta il pensiero.
Levategli il vino. “Invito Di Maio a non venire a Verona nemmeno tra pochi giorni, quando ha in programma la visita a Vinitaly. Può andare da un’altra parte a fare passerella elettorale, visto che è la stessa città che ha insultato. Se esistesse il Daspo urbano per le offese, Di Maio lo rischierebbe” (Federico Sboarina, sindaco di centrodestra di Verona, 2.4 mattina). “Invito tutti, compreso Di Maio, per scoprire che Verona è la città più bella del mondo” (Sboarina, 2.4 pomeriggio). Ha già iniziato a bere.
Colpa di Virginia/1. “Lo Stato tappa il miliardario buco della Raggi” (Libero, 5.4). “Il governo si accolla i maxi-debiti di Roma e salva la Raggi” (La Stampa, 5.4). “Debito, arriva il ‘soccorso amico’. Esulta Raggi” (Repubblica, 5.4). Trattasi dei 12,8 miliardi di debiti accumulati dalle giunte di sinistra e destra fino al 2008, quando furono commissariati da B. e Alemanno 8 anni prima che la Raggi diventasse sindaca. Ma, anche qui, conta il pensiero.
Colpa di Virginia/2. “Roma, nel disastro grillino, nuove manette per le coop. Il business dell’accoglienza non è finito. Arresti per la onlus che intascava soldi e faceva fuggire i minori” (il Giornale, 4.4). Siccome la onlus ruba, è colpa della Raggi.
Carfagna in castagna. “Marco Travaglio ha indicato in un editoriale Silvio Berlusconi come colpevole dell’omicidio della signora Fadil” (Mara Carfagna, deputata FI, Otto e mezzo, La7, 4.4). “Il cui prodest, una volta tanto, allontana i sospetti da B., che tutto poteva augurarsi fuorché il ritorno dei bungabunga sui giornaloni, che li avevano rimossi per riabilitarlo come leader moderato e argine al populismo. Non solo: da viva Imane poteva essere contestata al processo Ruby-ter da Ghedini&C.; da morta, i suoi verbali dinanzi ai pm valgono come prova inconfutabile” “Sicuramente Silvio Berlusconi non ha ordinato il probabile avvelenamento di Imane Fadil… I testimoni B. di solito li compra, non li ammazza” (Marco Travaglio, Il Fatto quotidiano, 17 e 19.3). Secondo voi, così, a naso, chi è il bugiardo?
In fondo a sinistra. “La sinistra si divide sulla patrimoniale. Il no di Zingaretti alla proposta lanciata da Landini: ‘Non è una mia proposta’” (Repubblica, 4.4). Sennò poi scambiano il Pd per un partito di sinistra.
Amorosi Sensi. “Basterebbe il voluminoso apparato bibliografico, le note e le fonti dell’Esecuzione per ringraziare @jacopo_iacoboni del suo cuore di tenebra” (Filippo Sensi, deputato Pd, Twitter, 3.4). C’è chi legge i libri e chi guarda le figure. Sensi lecca le note.
Best killer. “Stop all’ultimo libro noir di Battisti: l’editor francese congela l’uscita” (Repubblica, 1.4). Teme che sia un libro d’evasione.
Il titolo della settimana/1. “Stefano Boeri: ‘Pure i poveri avranno il Bosco Verticale. Il grattacielo ecologico da ricchi può essere replicato per le case popolari in tutte le città’” (Libero, 4.4). È la risposta del Pd al reddito di cittadinanza: il bosco di cittadinanza.
Il titolo della settimana/2. “Il livello record del debito, come ai tempi di guerra” (Federico Fubini, Corriere della sera, 6.4). L’Apocalisse, ormai, è questione di ore. Penitenziagite!
Il titolo della settimana/3. “L’appello al governo per Radio Radicale: ‘Non tolga i fondi, è una voce da salvare’” (Corriere della sera, 5.4). Per sapere: ma questa voce non potrebbe parlare gratis, o almeno non a nostre spese?