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giovedì 14 aprile 2022

Ora Biden e Zelensky fanno infuriare l’Europa. - Cosimo Caridi e Luana De Micco

 

GUERRA IN UCRAINA - Macron zittisce Sleepy Joe che straparla di “genocidio”. Scholz: “Irritante il no al presidente tedesco”. Putin stringe su Mariupol: “Resa degli ucraini”. Che smentiscono. 

Al cinquantesimo giorno di guerra, il fronte Nato si divide. Al centro delle tensioni, la parola “genocidio” che Joe Biden ha utilizzato per la prima volta per descrivere i massacri dell’esercito russo in Ucraina: “Diventa sempre più chiaro che Putin cerca di cancellare persino l’idea di essere ucraini”, ha detto il presidente Usa. Il termine è rivendicato da tempo da Kiev. Lo rifiuta invece Macron, tra i leader Ue più attivi nel tentare di mantenere un dialogo con Mosca.

Già un paio di settimane fa, il capo dell’Eliseo aveva preso le distanze da Biden che, da Varsavia, aveva chiamato “macellaio” l’uomo del Cremlino. Macron è convinto che l’escalation verbale non contribuisca a raggiungere l’obiettivo principale: la pace. “È accertato che l’esercito russo ha commesso crimini di guerra – ha detto su France2 –. Ciò che sta succedendo è di una brutalità senza precedenti, ma guardo ai fatti e voglio continuare a essere in grado di fermare questa guerra”. Zelensky ha considerato “dolorosa” la riluttanza di Macron, approvando invece Biden: sono “le parole di un vero leader”, ha scritto su Twitter, chiedendo un ulteriore invio di armi. Nel nuovo pacchetto di aiuti militari che gli Usa si preparano a inviare, ci sarebbero, secondo fonti della Reuters, mezzi militari per altri 700 milioni di dollari, tra cui elicotteri Mi-17 da usare contro i blindati russi. È evidente che Washington non crede a una soluzione nel negoziato. Macron che, in piene presidenziali si prepara a sfidare Marine Le Pen al ballottaggio del 24 aprile, ha già fatto sapere invece che vuole riprendere la via della diplomazia e le telefonate con Putin e Zelensky, messe da parte durante la parentesi del primo turno. Anche il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha usato toni ben più pacati: “La massima priorità per tutte le parti interessate è mantenere la calma e la moderazione”. Altro motivo di tensione, il rifiuto del presidente Zelensky di ricevere il suo omologo tedesco, Frank- Walter Steinmeier. Il presidente federale si sarebbe dovuto recare ieri a Kiev con i capi di Stato di Polonia e Paesi baltici. Ma dopo giorni di negoziazioni e incontri per la sicurezza, gli ucraini hanno dichiarato Steinmeier persona non gradita. L’annuncio a mezzo stampa è stato lapidario. “Non è il benvenuto” ha rivelato un diplomatico ucraino al tabloid Bild. Il cancelliere Olaf Scholz ha definito “irritante” l’atteggiamento di Kiev. Enrico Letta, segretario del Pd, ha scritto su Twitter: “Un presidente della Repubblica di un Paese dell’Ue non può essere considerato persona non grata da un Paese candidato”. Le critiche di Kiev sono legate al passato di Steinmeier. Prima di arrivare a palazzo Bellevue è stato per due volte il ministro degli Esteri di Angela Merkel. Steinmeier, socialdemocratico, è considerato un simbolo della linea morbida nei confronti della Russia.

Grande sostenitore del gasdotto Nord Stream 2, fu uno dei negoziatori a Minsk tra Kiev e Mosca sulla gestione del Donbass. Dopo l’invasione russa, Steinmeier ha fatto pubblica ammenda, definendo “un grave errore” la sua propensione al dialogo con Putin. “Per continuare a difendere eroicamente il mondo dall’aggressione russa l’Ucraina ha bisogno – ha detto Zelensky – di artiglieria, mezzi corazzati, sistemi di difesa aerea”. Nelle stesse ore, Kiev tentava di riaprire il canale diplomatico con Berlino. Oleksiy Arestovych, consigliere di Zelensky, ha detto alla tv pubblica tedesca: “Il nostro presidente sta aspettando il cancelliere, in modo che possa prendere decisioni pratiche immediate, inclusa la consegna delle armi”. Scholz da una settimana ha bloccato l’invio di tank tedeschi in Ucraina e ha risposto all’invito dicendo: “Nessuna visita a Kiev è prevista per il momento”, dove ieri invece sono stati accolti come solidi alleati i presidenti di Polonia e paesi baltici.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/14/lue-dice-no-macron-sgrida-gli-usa-scholz-non-va-a-kiev/6559389/

giovedì 1 aprile 2021

31 milioni davanti alla tv per la crisi della Quinta Repubblica. - Cesare Martinetti

 

Emmanuel Macron è profondamente “désolé” per la disorganizzazione con cui è partita la campagna di vaccinazione, ora bisogna procedere con “umiltà e determinazione”. Ma non riconosce altri errori, se non per prendere atto della fiammata di contagi. E dunque, dopo giorni di attesa di una sua parola che non arrivava mai (Cosa sta aspettando?, titolava martedì a piena prima pagina Libération) ha finalmente annunciato ieri sera misure mai viste prima, che stanno dando luogo a una rivolta parlamentare e non solo delle opposizioni. Più che il merito si discute del metodo: il dibattito è stato aperto in Parlamento solo dopo la parola del monarca. 

Intanto chiuse anche le scuole (per tre settimane) per la prima volta per la prima volta dall’inizio della pandemia. Coprifuoco a partire dalle 19. No agli spostamenti tra regioni, ci si può muovere dalla propria abitazione per non più di dieci chilometri salvo motivi eccezionali. Smartworking senza eccezioni per tutti quelli che lo possono fare… Lo specifico francese è una flambée, una fiammata di contagi, quasi mezzo milione nelle ultime due settimane, 60 mila solo ieri, al 90 per cento dovuti alla temuta “variante inglese”, nome particolarmente evocativo. Ventotto mila francesi ricoverati, oltre 5 mila in rianimazione. Dunque ospedali e rianimazioni letteralmente a “bout de souffle”, senza respiro. Vaccinazioni troppo lente: a oggi 2 milioni e 700 mila, solo il 4 per cento della popolazione, hanno avuto la dose completa, l’11 per cento la prima dose. Il ministro della sanità Olivier Veran spera che con queste misure si possa arrivare al picco entro fine aprirle.

“Abbiamo agito né troppo presto, né troppo tardi”, ha detto questa mattina all’Assemblée il primo ministro Jean Castex per fare da scudo all’accusa più forte indirizzata in questi giorni al governo e al presidente Macron, quella di non aver ascoltato gli scenari anticipati dagli epidemiologi e aver usato finora mezze misure. Sotto accusa anche per l’ostinazione a valor tenere le scuole aperte, a qualunque costo, negando che fossero anch’esse- com’è ovvio - bacino di contagio. (Detto tra parentesi, l’espressione usata dal presidente fin dal marzo 2020 era “quoi qu’il en coûte” e altro non era che la traduzione del “whatever it takes” di Mario Draghi divenuta proverbiale nelle élite europee). 

Ieri sera Emmanuel Macron ha riconosciuto che sono stati fatti degli errori nell’organizzazione delle vaccinazioni, senza però mai ammettere di aver sbagliato nelle valutazioni generali. “Non ho nessun mea culpa da fare, né rimorsi da esprimere”, aveva detto sabato. La linea presidenziale è rimasta quella : la “flambée” non è arrivata a febbraio com’era stata prevista dagli scienziati, dunque “abbiamo guadagnato tempi di vita”. Adesso però “dobbiamo prenderci le nostre responsabilità, senza cedere la panico o alla negazione”.

Mentre i francesi si contagiano e muoiono più o meno come gli italiani (a ieri i morti erano 95 mila, in media 355 al giorno nelle ultime due settimane) sotto la tenda ad ossigeno c’è un altro malato illustre, la Quinta Repubblica. Da anni politici e costituzionalisti discutono sull’attualità del sistema istituzionale che Charles de Gaulle aveva ritagliato su sé stesso alla fine degli anni Cinquanta, in piena crisi d’Algeria e quando la seconda guerra mondiale era una memoria ancora fresca.

Da allora è praticamente rimasto intatto, la modifica più significativa è stata la riduzione da sette a cinque anni del mandato presidenziale fatta nel 2000 dalla coppia Chirac-Jospin, in un afflato destra-sinistra che aveva come obiettivo eliminare la distorsione della coabitazione e cioè la compresenza forzata di un presidente gollista e un primo ministro socialista (o viceversa) com’era avvenuto varie volte nel passato: Mitterrand-Chirac o appunto Chirac-Jospin. La coincidenza di elezioni presidenziali e legislative avrebbe dovuto risolvere il problema. È così è stato. Dal 2002 nessuna coabitazione. Ma il sistema presidenziale ne è risultato rafforzato, una vera “monarchia repubblicana” come nel disegno di De Gaulle, fino al punto che il brutale Sarkozy ha potuto derubricare il suo primo ministro Fillon in semplice “collaboratore”.

Con il più pacioso e caotico François Hollande la verticalità del sistema è parsa molto attenuata. Ma tutto si è rovesciato con Macron, fin dalla sera della sue elezioni quando il giovanissimo presidente si è presentato alla nazione in una scenografia che mescolava il “nouveau” con l’ “ancien régime”, lui solo nel cortile del Louvre sotto la piramide di Mitterrand, nell’aria le note della Marsigliese e dell’europeista Inno alla gioia. Macron è stato dunque una specie di rifondatore di una presidenzialissima Quinta Repubblica, teorizzando e praticando per se un ruolo “jupiterien” alla sommità dello Stato.

Nel corso delle varie crisi che hanno caratterizzato il suo mandato, dalla rivolta popolare e populista dei gilets gialli, a quella interclassista contro la riforma delle pensioni il presidente ha teso semmai a rafforzare il suo ruolo pantocratore, catalizzando lo scontento e gestendo in proprio le soluzioni. A metà mandato si è liberato di un primo ministro come Edouard Philippe divenuto troppo autonomo (e popolare) e ha collocato a Matignon l’attuale Jean Castex (un fedele di Sarkozy, tra l’altro) che per biografia e configurazione appare davvero come un “collaboratore” del presidente.

La crisi Covid ha enfatizzato questa situazione. Quella di ieri sera è stata la settima “allocuzione solenne” del presidente, 30,8 milioni francesi hanno ascoltato la sua parola e misurato la temperatura emotiva del palazzo rispetto alla pandemia. Una temperatura che è variata più volte nel corso dei mesi. La prima volta fu con tono bonapartista: “Siamo in guerra”. Poi via via il tono è cambiato, di volta in volta paternalista, scientifico, pedagogico. Ieri sera Macron ha voluto trasmettere un messaggio di umiltà e determinazione. Ma può un paese, un sistema, un mondo - visto che ci sono ancora “territori d’oltremare” - aspettare giorni e giorni la parola del presidente? Con governo e politica apparentemente paralizzati nell’attesa? Solo oggi all’Assemblée e domani al Senato si discuterà, ma di decisioni che sono state prese e annunciate ieri sera dal presidente. “Una Waterloo”, dice Marine Le Pen, mentre il capo degli Insoumis Jean-Luc Mélenchon parla di “pesce d’aprile”. Sono i capi delle opposizioni, estrema destra ed estrema sinistra, ma è bene ricordare che al primo turno delle presidenziali 2017 hanno preso ognuno un venti per cento dei voti, che sommati fanno quaranta che disegnano con nettezza i confini di uno stato d’animo collettivo anti sistema che non si è certo attenuato in questi quattro anni. 

Il dibattito all’Assemblea è in corso, e anche i centristi dell’Udi, che sono nella maggioranza, hanno annunciato che non parteciperanno al voto: “una mascherata”. La crisi della Quinta Repubblica è aperta. 

HuffPost.italia

venerdì 21 giugno 2019

Conte: «Stime Ue fuori dalla realtà. Ogni sforzo per evitare la procedura».

Ue, fumata nera su nomine commissione. Conte sulla procedura: “Situazione difficile”. E tratta con Macron e Merkel
Scontro totale tra Italia e Unione europea sui conti pubblici. La trattativa con l’Europa parte in salita, con il governo molto preoccupato per i futuri passi sulla procedura e fermo nel contestare le stime della Commissione che ritiene lontane dalla realtà. L’Italia non arriva a Bruxelles «a mani vuote», precisa il premier Giuseppe Conte appena atterrato nella capitale belga per il vertice europeo.
Ma poi, dopo i colloqui avuti a margine del Consiglio, esprime il timore sull’esito del negoziato e cerca un ultimo contatto con Merkel per cercare una via d’uscita dall’impasse.
«La situazione è molto difficile», ha detto il premier italiano nella notte tra giovedì e venerdì 21 giugno, «ma farò ogni sforzo, fino all’ultimo per evitare la procedura di infrazione». E a chi gli chiede se sia necessario fare un intervento ulteriore all’assestamento di bilancio, come una manovra correttiva, per venire incontro all’Ue, Conte risponde: «sarebbe una richiesta ingiusta, e inaccettabile». Ne ha anche per le nomine il primo ministro del primo esecutivo gialloverde: «C’è stallo, è stato dato mandato a Tusk di parlare con i rappresentanti in Parlamento Ue per vedere di superare il criterio degli Spitzenkandidaten». Nel corso della notte c’è stato un lungo colloquio tra Conte e il presidente francese Emmanuel Macron nell’albergo di Bruxelles dove entrambi alloggiano. Assieme ai due, seduti al tavolo nel bar dell’hotel, il premier lussemburghese Xavier Bettel mentre nella stessa stanza, in fondo, era seduta a un tavolo diverso la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’incontro si è tenuto dopo la cena dei leader Ue sulle nomine per i top jobs europei.
Sul tavolo i leader Ue non hanno solo il complicato risiko di nomine delle nuove istituzioni, ma anche la lettera con cui Conte assicura che l’Italia non intende «sottrarsi ai vincoli europei», e con cui annuncia che grazie a più entrate e meno spese raggiungerà gli obiettivi di deficit. Il premier porta alla Ue un tesoretto di almeno cinque miliardi, capace di frenare la corsa del deficit 2019 al 2,1%, invece del 2,5% previsto dalla Commissione Ue. Senza un compromesso politico, però, potrebbero non bastare perché Bruxelles chiede un aggiustamento più ampio. Conte gioca anche su un altro terreno, più politico, mettendo in discussione le regole che considera sbagliate e controproducenti, «come dimostra il caso della Grecia».
Ma Bruxelles non è disposta a seguire l’Italia in questa partita: «Lavoriamo per evitare la procedura, ma non lo si fa attraverso commenti sulle regole», ha avvertito il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici. Il premier spiega che nella trattativa con l’Ue c’è «un binario tecnico» e un «binario politico». Ed è su questo secondo punto che critica «un patto di stabilità e crescita che è molta stabilità e poca crescita», proponendo di «invertire» la situazione. La sua lettera «contiene un messaggio politico chiaro. Non vuole dire che non rispettiamo le regole, finché non cambiano sono queste». Ma chiede di rivederle, tanto che per l’Italia il «candidato ideale» alla presidenza della Commissione è «quello che si predispone» a rivedere un sistema «controproducente», che ha contribuito ad «allontanare le istituzioni europee dalle tante periferie».
Per ora però, chiarisce Moscovici, «non bisogna perdere tempo a parlare di modifiche a norme concordate da tutti, ma occorre lavorare per evitare la procedura per debito eccessivo». L’iter è partito, e va interrotto prima del 2 luglio possibilmente, giorno in cui la Commissione potrebbe adottare la raccomandazione di apertura della procedura che poi l’Ecofin dell’8-9 luglio dovrà approvare. I commissari e i tecnici sono al lavoro sulla lettera, e aspettano che mercoledì il Cdm approvi l’assestamento di bilancio. Non conterrà tagli di nuove risorse, assicura Conte, ma certifica «in un documento ufficiale» risparmi e maggiori entrate, rendendo «definitivo» il congelamento già programmato dei 2 miliardi che facevano già parte dell’accordo di dicembre. Ma questo tesoretto potrebbe non bastare: i due miliardi congelati dall’accordo di dicembre sono già stati incorporati nelle previsioni Ue, quindi vanno esclusi. Ne restano solo tre e, sulla carta, Bruxelles chiede un aggiustamento dello 0,4% del Pil per il 2018 e dello 0,5% per il 2019. Solo per sanare il 2018, quindi, servirebbero oltre sei miliardi. Impegnandosi a fare risparmi anche sul 2019 e assicurando l’aumento dell’Iva o misure alternative per il 2020.
https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-06-20/conte-deficit-21percento-e-non-25percento-come-prevede-ue-153724.shtml?uuid=ACEng7S



Divergenze Italia-Ue sui conti, negoziato in salita.

Colloqui informali di Conte con i leader, Roma preoccupata.

Al termine della prima giornata del Consiglio europeo restano le divergenze tra Italia e la Commissione Ue sulle stime sui conti pubblici. La trattativa del premier Giuseppe Conte, che nel corso della giornata ha avuto diversi colloqui informali con i leader Ue, resta in salita e a tarda sera resta nel governo italiano la preoccupazione per la riuscita del negoziato. Con la convinzione che le stime della Commissione sui conti e sul deficit italiano siano lontane da quelle reali sui cui si basa la posizione italiana.

Il premier Giuseppe Conte è a Bruxelles per il Consiglio Europeo. Ieri l'invio della lettera sui conti pubblici italiani all'Europa. "La Commissione Ue ha ricevuto la lettera del premier Conte, e la sta ora analizzando", fa sapere un portavoce della Commissione Ue.
"Prenderemo anche in considerazione la risposta di Conte ieri - ha detto agli Affari economici Pierre Moscovici rispondendo ai giornalisti entrando al summit del Pse - ma in questo momento una procedura per debito è giustificata, quindi andiamo a lavorare, in maniera costruttiva, per evitarla. Ma non lo si fa attraverso scambi, commenti sulle regole: lo si fa sul rispetto delle regole che sono intelligenti e favoriscono la crescita".
"La lettera - ha detto il premier prima del Consiglio conmmentando le parole di Moscovici - contiene un messaggio politico chiaro. Non vuole dire che non rispettiamo le regole, finché non cambiano le regole sono queste". 
"Il nostro candidato ideale alla presidenza della Commissione Ue è quello che si predispone a cambiare le regole" europee, ha detto replicando a un'altra domanda.
"Se siamo in un sistema integrato - ha evidenziato - dobbiamo competere con le sfide globali ma all'interno dell'Ue le regole devono essere uguali per tutti. Io voglio competere, ma a parità di armi".
 "Mercoledì in Cdm - ha fatto sapere Conte - faremo definitivamente l'assestamento di bilancio per certificare che i conti vanno meglio del previsto". Mercoledì in Cdm, "noi potremo certificare che siamo attorno al 2,1% del deficit e non al 2,5 come prevede la commissione Ue", ha detto ancora sottolineando come, nella trattativa con l'Ue c'è "un binario tecnico" e un "binario politico". Su quest'ultimo punto Conte ribadisce che l'Ue ha "un patto di stabilità e crescita che è molta stabilità e poca crescita, dobbiamo invertire un attimo queste regole".
"Qualche giornalista - è andato all'attacco Conte - scrive che sarei venuto a Bruxelles con le mani vuote: io rappresento un Paese del G7, il terzo Paese dell'Eurozona, la seconda Azienda manifatturiera d'Europa: come si può pensare che io venga a mani vuote? Io rappresento tutte le migliaia di realtà imprenditoriali italiani che esportano in tutto il mondo con punte di assoluta eccellenza".
Prima del Consiglio il premier italiano ha avuto un colloquio con la Cancelliera Angela Merkel.

Un "tesoretto" stimato all'incirca sui 5 miliardi, composti da maggiori entrate rispetto alle previsioni, risparmi da reddito di cittadinanza e quota 100 e i due miliardi congelati nella legge di bilancio. E' questa la cifra a cui, spiegano fonti governative, l'esecutivo giallo-verde è al lavoro in queste ore di trattativa con l'Ue e in vista del Consiglio dei ministri di mercoledì chiamato a varare l'assestamento di bilancio. Non c'è alcuna manovra correttiva, l'assestamento certifica come procedono i conti, spiegano le stesse fonti.


Ue, fumata nera su nomine commissione. Conte sulla procedura: “Situazione difficile”. E tratta con Macron e Merkel.

I leader europei non hanno trovato l'accordo sui posti chiave a Bruxelles: sarà necessario un nuovo vertice convocato per il 30 giugno. E' stata una notte di trattative anche per il premier: "La situazione è molto difficile ma farò ogni sforzo, fino all’ultimo", ha detto. "Non vorrei che prevalesse un'interpretazione irragionevole" delle regole.

L’Europa non trova l’accordo sulle nomine per i posti chiave a Bruxelles. Dopo una notte di trattative il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha annunciato un nuovo summit per il 30 giugno: “Nessun candidato ha ottenuto la maggioranza”. Ma è stata una notte complicata anche sul fronte italiano, con Giuseppe Conte impegnato a sondare il terreno e le posizioni degli altri leader europei sulla possibile procedura d’infrazione per debito eccessivo. “La situazione è molto difficile ma farò ogni sforzo, fino all’ultimo“, ha detto il premier nell’albergo di Bruxelles dove alloggia parlando con i cronisti che lo hanno descritto “infuriato“. Conte ha poi incontrato il presidente francese Emmanuel Macron: un lungo faccia a faccia tra le 2 e le 3 della notte, a cui si è aggiunto il premier lussemburghese Xavier Bettel e poi anche la cancelliera tedesca Angela Merkel.

“Serve un pacchetto che rispecchi la diversità dell’Unione europea e serve tempo per trovarlo. Ci incontreremo di nuovo il 30 giugno”, ha annunciato Tusk. Il vertice dei 28 leader è stato un flop: si dovranno rivedere appena due giorni prima dell’elezione del presidente del Parlamento Ue. Le discussioni nel frattempo andranno avanti anche in occasione della loro partecipazione al G20 di Osaka. Decisamente destinata a tramontare anche l’ipotesi degli Spitzenkandidat: Tusk ha ricevuto il mandato dei leader a convincere il Parlamento a mettere da parte il sostegno ai candidati di punta scelte dalle varie formazioni su cui comunque non è stata trovata una maggioranza parlamentare. Sembrano essere usciti di scena il capo negoziatore della Ue sulla Brexit Michel Barnier, che non godrebbe del gradimento della cancelliera Merkel, ed il premier e la presidente croati Andrej Plenkovic e Kolinda Grabar Kitarovic, dato anche il contenzioso della Croazia con la Slovenia. Altrettanto fuori dai giochi appare la presidente della Banca mondiale, la bulgaraKristalina Georgieva.

A dare il senso delle difficoltà era stato sempre Tusk che poco prima dell’inizio del vertice aveva twittato: “Più cauto che ottimista”. Una sintesi dell’incontro con Merkel e Macron che non hanno allentato di un centimetro la morsa del loro braccio di ferro. Merkel, col Ppe, è tornata a fare quadrato sul candidato di punta Manfred Weber, rivendicando ancora una volta la presidenza della Commissione europea per il bavarese. Macron – col sostegno di Liberali e Socialisti – ha ribadito, dal canto suo, un netto no all’opzione, avvertendo. Mentre il premier Conte ha indicato quale candidato ideale dell’Italia per la presidenza della Commissione Ue, chi sarà pronto “a cambiare le regole” europee.
Conte nella notte di Bruxelles si è impegnato però soprattutto sulla partita per evitare l’apertura della procedura di infrazione per debito eccessivo. In teoria deve discutere di nomine, del futuro commissario italiano, in pratica sonda gli umori degli altri leader sull’argomento. Secondo il Corriere della Sera, ha già ottenuto una promessa da Malta, Spagna, Portogallo e Francia: nel colloquio al tavolo del bar dell’albergo con Macron si è aggiunta poi anche la cancelliera Merkel. Si sono visti sorrisi e un clima cordiale. Il premier però avverte: “È una situazione davvero molto complicata”. È infastidito dalle parole dette giovedì dal commissario agli Affari economici Pierre Moscovici e teme che possano prevalere “interpretazioni troppo rigide” delle regole, come spiega in un’intervista a Repubblica. “Le regole si interpretano e non vorrei che prevalesse un’interpretazione irragionevole“, spiega Conte, o peggio “punitiva“: “Sarebbe molto grave”.

Il premier continua a ribadire di voler “contestare i numeri” e non i vincoli nella trattativa sulla procedura. “Riteniamo di avere i conti in ordine, siamo sicuri delle nostre ragioni e non siamo disponibili a inseguire delle stime che non rispondono alla realtà“, spiega ancora a Repubblica. E a chi gli chiede se per venire incontro all’Ue sia necessario fare un intervento ulteriore sui conti, dopo l’assestamento di bilancio, come una manovra correttiva, Conte risponde: “Sarebbe una richiesta ingiusta e inaccettabile“.

lunedì 8 aprile 2019

Brexit, perché Macron è così intransigente con Londra. - Riccardo Sorrentino



Su Brexit è il più rigido, insieme agli spagnoli e ai belgi. Il presidente francese Emmanuel Macron si è contraddistinto, in questa fase, per la severità con cui risponde alle continue, e spesso confuse, richieste di rinvio da parte britannica. Al punto da mostrare di non temere una Brexit dura. I media d’oltremanica – il Financial Time in testa – lo hanno addirittura paragonato a Charles De Gaulle, che nel 1963 pose il veto all'ingresso del Regno Unito nella Cee, rievocando la storica – ma in realtà relativa, soprattutto nell'ultimo secolo – rivalità tra Parigi e Londra. Perché tutta questa intransigenza?
Calais collo di bottiglia.La risposta non è semplice. La Francia, insieme all’Irlanda, rischia di essere una delle economie più colpite dall'uscita del Regno Unito dall’Unione europea. I rapporti sono molto stretti, Parigi gode con il partner di un surplus commerciale che non può vantare con molti altri paesi (l’economia è cronicamente in deficit). La transizione da un regime di libera circolazione a uno ‘doganale’ rischia inoltre – soprattutto in caso di Brexit senza accordo – di bloccare temporaneamente l’intero nord del Paese: Calais, e pochi altri porti sulla Manica, potrebbero diventare uno strettissimo collo di bottiglia. Malgrado tutti i preparativi e tutte le precauzioni che il governo ha preso da tempo alla luce di simulazioni catastrofiche.
Brexit «troppo» a ridosso del voto europeo.Un primo motivo dell’intransigenza è proprio qui, nel caos, probabilmente inevitabile in ogni caso, della transizione. Macron ha tutto l’interesse di evitare che accada a ridosso delle elezioni europee, previste il 26 maggio. Non è nei suoi interessi – e forse non lo è nell’interesse di una sana formazione del consenso popolare, libera da elementi emotivi transitori – far votare i francesi mentre la situazione del traffico diventa temporaneamente insostenibile in una regione meno fortunata di altre e molto vicina alla destra del Rassemblement (ex Front) national. Come dimenticare che la protesta dei Gilets gialli è scoppiata attorno al tema dell’auto: caro benzina, costi delle revisioni, nuovi limiti di velocità?...
Il consenso di Macron.Ecco perché Macron ha insistito molto, il 22 marzo, sulla data del 7 maggio per l'uscita con accordo, mentre il Consiglio Ue ha optato per quella del 22 maggio, molto vicina al giorno delle elezioni (previste in Francia per il 26). Se il parlamento di Londra avesse approvato l’intesa firmata con Michel Barnier, Macron avrebbe sicuramente avuto problemi di consenso, di fronte agli inevitabili intoppi doganali dei primi giorni. Al momento, il suo partito gode nei sondaggi del 23% – piuttosto stabile – delle intenzioni di voto (in forte calo dal 32% delle politiche), contro il 21-22% – più volatile – della destra di Fn (in flessione dal 24,9% delle ultime europee ma in rialzo dal 13,2% delle politiche).
Un no anche al rinvio lungo.La questione elettorale, però, è anche più complessa. Macron ha anche respinto l’ipotesi del presidente del consiglio Ue, Donal Tusk, di un’estensione flessibile di Brexit di un anno. Eppure questa soluzione avrebbe consentito al presidente francese di affrontare le ricadute del nuovo regime dopo il voto europeo. Non si può però pensare che il presidente voglia usare le difficoltà della Gran Bretagna – che emergeranno in realtà nel medio periodo – per la sua campagna elettorale, tutta europeista. Qualcos’altro è in gioco.
La redistribuzione dei seggi.Un’estensione lunga imporrebbe alla Gran Bretagna di partecipare alle elezioni. I 73 seggi destinati a Londra non verrebbero redistribuiti. In caso di Brexit, invece, la Francia otterrebbe cinque seggi in più (79 in totale) come la Spagna contro i tre in più di Italia e Olanda, i due dell’Irlanda e l’uno in più di Polonia, Romania, Svezia, Austria, Danimarca, Finlandia, Slovacchia, Croazia ed Estonia (gli altri, Germania compresa, resterebbero al livello del 2014). La redistribuzione è una ’leva’ importante per i voti francesi (e spagnoli)
Macron come ago della bilancia.Anche se il sistema elettorale è proporzionale – per le legislative in Francia è invece previsto l’uninominale a doppio turno – il partito di Macron, La République en Marche (Lrem) punta ad avere una presenza importante nel parlamento europeo: forse più dei 24 deputati ottenuti da Fn nel 2014 con il 24% dei voti. In un momento in cui le forze tradizionali, socialisti e popolari, sono previsti in flessione – anche se probabilmente non ci sarà la valanga populista che gli euroscettici si aspettano – il ruolo di Lrem come "ago della bilancia" potrebbe diventare decisivo, sia pure nel limitato ambito delle competenze del Parlamento europeo.
Le ambizioni europee dei francesi.La Francia, nel mosaico delle istituzioni e degli incarichi europei, è molto ambiziosa. Da attribuire c’è la presidenza della Commissione e quella della Bce e non è un mistero che Parigi punti soprattutto alla prima (col candidato ‘naturale' Michel Barnier, il negoziatore di Brexit).
La Francia e l’export energetico.È dunque una strategia di breve periodo, quella di Macron. Parigi, in un orizzonte temporale più lungo, ha poco da temere da Brexit. I rapporti con Londra sono solidi e, nei limiti (ristrettissimi) in cui è possibile adottare una logica mercantilista, la Gran Bretagna ha più bisogno della Francia di quanto la Francia abbia bisogno della Gran Bretagna. Il Regno Unito – per fare un solo esempio – ha bisogno delle importazioni di energia della Francia, soprattutto d’inverno. Al punto che i ritardi nella transizione energetica dal nucleare e dai combustibili fossili – che pure hanno pesato sul consenso di Macron – sono legati anche alla necessità di mantenere stabile l’offerta di elettricità da esportare oltre Manica.
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martedì 5 marzo 2019

Chi finanzia Macron – George Soros: 2.365.910,16 €, David Rothschild: 976.126,87 €, Goldman-Sachs: 2.145.100 €. - Maurizio Blondet

Risultati immagini per Macron, finanziamenti, Soros, Rothschild, Goldman-Sachs

Pubblicato il contenuto di Macronleaks, una montagna di documenti archiviata nelle caselle di posta elettronica dello staff di Emmanuel Macrone che l’elettorato francese aveva il diritto di conoscere prima della consultazione per le presidenziali.
La stampa d’oltralpe e in particolare Le Monde ha rilasciato un comunicato stampa nel quale afferma espressamente di non aver voluto rivelare il contenuto dei file, per i timori di “influenzare il ballottaggio”: alla faccia del “cane da guardia della democrazia”, interessi oligarchici anteposti a quelli del popolo.
Al solito certi mezzucci hanno le gambe corte e i file sono stati in qualche modo recuperati da altri organi d’informazione e resi pubblici.
Spicca un prestito di otto milioni in favore dell’AFCPEM, l’associazione del candidato di En Marche! per il finanziamento della sua campagna elettorale.
Il finanziamento è stato erogato da Credit Agricole.
Questi soldi dovranno essere restituiti entro il marzo 2019 ed  è curioso l’articolo 1415 del contratto: in caso di inadempienza il patrimonio personale di Brigitte, la moglie di Macron, non verrà intaccato.
E’doveroso sottolineare che nessuna banca francese si è detta disposta a finanziare la campagna elettorale di Marine Le Pen, mentre il neo-eletto presidente della Repubblica francese non ha incontrato alcuna difficoltà in tal senso.
E’ il Boston Consulting Group uno dei gruppi che ha manifestato maggior sostegno nei confronti di Emmanuel Macron, viene indicato dal presidente di AFCPEM, Christian Dargnat in una e mail  come “ uno dei maggiori sostenitori” e desidera metterlo al corrente “dell’evoluzione del movimento e per scambiare pareri sulle prospettive delle sue azioni”.
Grande è l’interesse del BCG all’attività di Macron, infatti in direttore marketing del gruppo contatta Stephane Charbit, direttore della banca Rothschild a Parigi, per chiedergli di “essere messo in contatto con la persona per organizzare un incontro”.
La presenza del colosso bancario Rothschild è una costante nella campagna elettorale di En Marche, partecipando attivamente a diversi meeting organizzati dallo staff di Emmanuel Macron.
In attesa delle puntate successive un po’ di nomi e cifre intorno a Emmanuel Macron: George Soros: 2.365.910,16 €, David Rothschild: 976.126,87 €, Goldman-Sachs: 2.145.100 €.

lunedì 25 febbraio 2019

Di Maio, Macron o il PD? Chi fa l’europeo col c..o degli altri? - Marco Giannini



Marcucci (PD) imputa il recente smottamento dell’industria italiana al Reddito di Cittadinanza che ancora deve entrare in vigore. Allo stesso tempo, come fanno anche molti altri del monopartito PD-FI, afferma che a causa dello spread gli italiani dilapidano soldi pubblici.
In realtà se la BCE svolgesse il suo lavoro in modo efficace e non nazionalista (Aquisgrana), ma onesto, lo spread non dovrebbe proprio esistere, ma questo ai poveri cittadini non viene detto.
Non viene detto nemmeno che quando Di Battista ha informato sul doping con cui la Francia riesce a resistere nella moneta unica (cioè lo sfruttamento dei paesi africani che ancora colonizza e che paghiamo anche noi italiani, economicamente e socialmente), lo spread si è impennato e questo perché molto probabilmente soggetti finanziari francesi amici di “Didì” Macron hanno venduto titoli decennali italiani (magari comprandone di tedeschi). Una ritorsione quindi di nazionalista oltre che, ovviamente, di stampo speculativo. Sarebbe interessante che in questo splendido contesto di identità europea “spinelliana” (spero si colga l’ironia) nell’Europarlamento qualcuno si incaricasse di chiedere una indagine su come si sono mossi i capitali in questione.
Adesso autorevoli figure politiche francesi affermano che la recessione italiana mette in pericolo la Francia (www.italiaoggi.it/news/le-maire-altro-che-brexit-il-pericolo-e-la-recessione-in-italia-201902202030577987), restituisco tanta gentilezza e tanto spirito “europeo” informandoli che “spread” è un termine anglosassone che significa “ampiezza” nel senso di “dislivello” e ricordo loro che senza quel rifornimento immorale chiamato neocolonialismo la Francia nell’euro sarebbe forte quanto la sua nazionale di calcio senza giocatori oriundi africani.
Sono sicuro che anche i non addetti all’economia possono farsi una idea in questo modo.
Vorrei anche tranquillizzare Marcucci informandolo che lo spread si alza e si abbassa e che, nel secondo caso, gli italiani risparmiano, cosa che stranamente non rimarca quando avviene, come se, restando sul concetto di “dislivello”, fosse un geografo che riuscisse a leggere le isoipse (cioè linee con la stessa altitudine) solo in un senso.
A tal proposito mi chiedo cosa aspetti il Governo a vietare la truffa, a spese dei contribuenti, delle “aste marginali”.
Se l’Industria italiana è “finalmente” (ironia) franata (deindustrializzazione), le ragioni risiedono in questi 8 anni di austerity targata PD-FI-Sindacati (cui il Governo Conte ha cercato di porre un freno in modo stoico ma parziale) e ad una valuta che sul finire degli anni ’90 (Ecofin) fu imperniata su un rapporto di cambio Marco-Lira per noi devastante, con effetti che agiscono in modo irreversibile (quello di cui sto parlando è il “doping tedesco”unitamente alla violazione del TFUE sulla bilancia commerciale che gonfia peraltro il Target-2, paradossalmente e falsamente imputato a noi “romani” dai “teutoni”!).
A questo punto avendoci preso gusto con le questioni finanziarie voglio dare qualche dritta ai lettori: noi italiani siamo i legittimi proprietari della terza riserva d’oro più grande al mondo (circa 100 miliardi di euro). Tale riserva è gestita dalla Banca d’Italia e qualcuno sta cercando di sfruttare questa situazione per trasferire il “malloppo” nelle tasche della finanza privata e sarebbe il più grande scippo della storia.
Siccome il Governo sta cercando di legiferare per rendere trasparente il campo cercando di impedire che con qualche interpretazione di comodo questo “esproprio proletario al contrario” avvenga (anche se il Presidente Conte non mi risulta abbia ancora dichiarato “l’oro è degli italiani”, mi auguro per una svista) il PD e la Bonino, fieri difensori della finanza internazionale, stanno già starnazzando gridando alla lesione dell’Indipendenza di Bankitalia manco se una banca di natura opposta (non indipendente cioè socialdemocratica) equivalesse a qualcosa di sovietico, fascista o mafioso. A proposito la Bonino di speculazione se ne intende essendo legata a Soros.
Ricordo che per valutare l’indipendenza di una BC si devono utilizzare dei coefficienti teorici che tengono conto di variabili politiche (responsabilità finale della politica economica, presenza di un funzionario governativo nel Consiglio, facoltà di nominare Consiglieri indipendentemente dal Governo) e finanziarie (autonomia di bilancio, autodeterminazione delle retribuzioni dei Consiglieri, potere decisionale sulla redistribuzione degli utili, responsabilità formale in materia di politica monetaria) e che ci sono fior fior di BC occidentali poco indipendenti (Regno Unito, Usa ecc vedasi www.rspi.uniroma1.it/index.php/monetaecredito/article/viewFile/10961/10836 …).
Ciò che non vi dicono è che la “indipendentissima” BCE ha emesso quantità folli di danaro (stampa) e l’inflazione non si è mossa dal suo stato quasi deflattivo (ma anzi la BCE ha creato le condizioni per una immane bolla finanziaria che pagheremo noi “cittadini del mondo”) perché il QE è stato una forma di finanziamento verso le banche private in difficoltà (il denaro non è percolato nell’economia reale come ampiamente prevedibile). In pratica Robin Hood al contrario (cioè francese o tedesco).
Per portare a livelli “fisiologici” l’inflazione bastava emettere quantità relativamente modeste di moneta unica per finanziare la costruzione di nuovi ospedali con posti letto disponibili, per acquistare TAC e RSM e ridurre le file (e il cancro negli italiani), per costruire scuole, assumere insegnanti e ricercatori, per l’S&I (Sviluppo & Innovazione) e per riportare l’IVA italiana al 20%. (Capito Beppe cosa deve fare il MoVimento?).
L’inflazione sarebbe salita perché sarebbero cresciuti i salari e l’occupazione (benessere) e con essi l’economia avrebbe ripreso a girare (consumi e crescita) senza contraccolpi “friedmaniani”. Ma l’Europa è dei ricchi!
A proposito di ricchezza e di Robin Hood non deve stupire che oggi la UE abbia attaccato il Reddito di Cittadinanza (misura notoriamente rivolta a persone altolocate).
Ironia a parte mi ha reso felice constatare il ritiro di quell’emendamento leghista (che avevo segnalato nel mio precedente articolo) che voleva trasformare il RDC in un mero sussidio (perché lo avrebbe reso limitato nei rinnovi); questo significa che il 5s sta cercando con le poche risorse a disposizione (scellerato vincolo esterno europeo che sta ammazzando il Movimento) di fare il massimo.
Sono felice altresì di apprendere l’approvazione di alcuni emendamenti: quello che impone il vagliare che gli stranieri non abbiano beni incompatibili col RDC nei paesi di origine, quello che non esclude dall’erogazione i coniugi con un partner che si è licenziato, quello inerente l’invalidità di parenti stretti e quello riguardante la vigilanza sulle separazioni “strategiche”.
Come di buona abitudine quindi, per sostenere il M5s in vista delle Europee, propongo alcuni approcci programmatici sui quali, a partire dalle sedi europee, i futuri europarlamentari mi auguro interverranno:
Il primo è di stampo mediatico i successivi no:
  • Il M5s dovrebbe comunicare pubblicamente che è lieto (positività che non appaia però forzata) di lavorare per il paese e con la Lega, che deve lealtà alla Lega e che la Lega si è dimostrata a sua volta leale con il MoVimento, che le sconfitte ci stanno ma che si va OLTRE le polemiche, consapevoli del proprio impegno che è nell’interesse del paese e degli italiani; aggiungendo infine che quando si perde significa che il cittadino ha comunicato di pretendere di più, magari un rinnovamento (affinché l’innamoramento non diventi amore (Cit.Alberoni) ed infine minestra riscaldata, ma questo non va detto).
  • Riformare Bankitalia come espresso nel pezzo (l’oro). Lo so, lo scrissi anche nei miei due pezzi precedenti ma a quanto pare è servito!
  • Questione “aste marginali”.
  • L’abolizione dei Senatori a vita.
  • Lo scioglimento ed il divieto di formazione di correnti politiche interne alla Magistratura. E’ conflitto di interesse bello e buono il solo sentir citare “Magistratura Democratica”, “Magistratura Azzurra” ecc; queste concrezioni non sono nell’interesse dei cittadini.
  • Legiferare affinché la retroattività riguardante le pensioni, i vitalizi dei politici, in futuro non rappresenti un precedente per incidere sulle pensioni dei cittadini comuni.
  • Ristrutturare totalmente gli acquedotti italiani (che perdono 1/3 della risorsa e non sono sicuri) ed assumere tecnici, chimici, geologi, naturalisti per i controlli al fine di porre fine al business dell’acqua in bottiglia che costa agli italiani parecchi soldi.
  • Ristrutturare le decine e decine di ospedali abbandonati sparsi sul territorio italiano trasformandoli ove possibile in carceri (magari per i detenuti non pericolosi) o in…Ospedali, o altro.
Concludo riferendomi ad una vicenda su cui non sono praticamente intervenuto dato che lo facevano anche in troppi: la vicenda Salvini.
Dobbiamo chiederci quale sia stato il criterio che il Legislatore ha seguito quando creò la garanzia dell’immunità parlamentare. Voleva per caso permettere a corrotti, mafiosi, “fiscalmente fraudolenti” di farla franca o piuttosto, grazie alle conoscenze che la storia ha trasmesso (conflitti secolari tra politica e giustizia), è stato visto come un peso-contrappeso creato affinché la Magistratura non invadesse il campo, minacciasse, si sostituisse alla Democrazia elettiva? Non creasse cioè forzature?
C’è una certa differenza tra la legalità e l’eccesso di zelo (legalismo) cioè la negazione della legge utilizzando le trappole presenti nei meandri dei commi e nelle interpretazioni. Salvini sequestratore e che magari chiede pure riscatti è talmente una cazzata che solo menti Magistralmente Democratiche potevano partorire. Menti perbeniste, superiori intellettualmente, menti così umaniste da essere…reazionarie. Se mi chiamassi Matteo d’estate eviterei di mettere il VAPE anti zanzare in camera per non essere querelato per maltrattamento animali.
Anche se non mi chiamo così e ragiono con serenità, ho come la sensazione (e mi sa l’abbia avuta pure lui…) che se Salvini si fosse fatto processare lo avrebbero condannato ed avrebbero gettato la chiave e con lui sarebbe sparito dalle cronache pure… il 5s.
Con buona pace di Soros, di Fico, di Nugnes, di Fattori, di Raggi e di Nogarin (si ricordino chi erano prima del MoVimento) che sono costati molti voti, il MoVimento ha sbagliato ma non in modo letale.
Lunga vita al MoVimento, lunga vita a Di Maio (meriteresti una birra).

mercoledì 12 dicembre 2018

EN RETROMARCHE-MACRON SI TRAVESTE DA POPULISTA ALLA RENZI.

Risultati immagini per macron

Per placare la Francia in rivolta Macron aumenta i salari minimi di 100 euro al mese (vedi bene come gli 80 euro di Renzi hanno fatto scuola!). A partire da gennaio parte un aumento di 1,8 per tutti. Si annulla la contribuzione sociale generalizzata (CSG) per i pensionati che guadagnano meno di 2.000 euro al mese. Si detassano gli straordinari in busta paga dal gennaio. Si chiede alle imprese che sono andate bene di dare un bonus fine anno ai dipendenti esentasse. Anche i dirigenti di grandi imprese francesi dovranno versare le imposte in Francia e così pure i giganti che fanno profitti in Francia. Nelle elezioni si terrà conto anche delle schede bianche (?). Se tutto ciò sarà approvato dall'Assemblea, lo Stato avrà 10 miliardi di spese in più. Il deficit al 2,8% nel 2019 appare “fuori portata” e anche il tetto del 3% “non è più garantito”, ma Macron dice che “superare il 3% non è più un tabù“.
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Marcus.
E la cosiddetta "Europa"? Non grida al disatro?
E la cosiddetta "Onu"? Quando chiederà alla Francia di smettere di saccheggiare l'Africa?
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Camacho.
Simpatico invece che per prevedere una procedura di infrazione verso la Francia ha bisogno che le misure vengano "formalmente annunciate e dettagliate", mentre per l'Italia è sufficiente considerare solo i saldi finali preannunciati, visto che una legge finanziaria dettagliata non è ancora presente. Vediamo ora se lui insieme a Moscovici si muoveranno da subito con le minacce e l'intransigenza preventive in modo da far salire lo spread francese, per portare Macron al rispetto delle norme fiscali (e stiamo parlando del deficit nominale sopra al 3%).
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Luciano.
Ora stiamo a vedere cosa diranno Bruxelles e il prode Moscovici sullo sforamento del Debito,
ma dopo le performance della grande Germania e di Deutsche Bank, ovviamente passato in sordina dai ns leccapiedi giornalai, ci si puo aspettare di tutto !!!!
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Allertasto.
Si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania ".
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.E il debito francese è di 2300 miliardi, superiore al nostro..
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Bassettoni.
Povero Macron, da una parte cerca di non fare la fine del suo compare Renzi dall'altra deve obbedire agli ordini del potere finanziario nella speranza che il popolo ("che brutta gente, signora mia...") non se ne accorga. Se poi ci mettiamo la ridicola figura che sta facendo la disperata signora May in Inghilterra il quadro è completo.
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Erina Bavetta.
Ah ecco... mi stavo proprio chiedendo come, con tutte quelle promesse, la Francia riuscirà a stare nei parametri europei..... per la Francia "si vigilerà" per l'Italia "la procedura di infrazione".. Senza contare gli introiti osceni e la speculazione sulle ex colonie!!!
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LEUCISCUS.
Per i francesi "passare oltre il 3% non è un tabù" mentre per noi si scatenano le sanzioni già facendo una manovra al 2,4%.
Usciamo dalla follia dell'€uro.
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Daniels.
La Francia ha gia' piu' volte violato i limiti imposti dallo stesso patto europeo di stabilita'.In questo momento l'attuale governo italiano ha le carte piu' in regola di Macron per centrare gli obbiettivi che si e' prefissato, la nostra economia non e' piu' debole ma è diversa. Allego uno stralcio da un link autorevole 
https://www.google.it/a…/amp.ilsole24ore.com/pagina/AE2nIVKC
"se si amplia lo sguardo al debito aggregato, ovvero ai livelli di indebitamento di tutti gli attori economici (Stato, imprese, banche e famiglie) l’Italia si rivela d'emblée un Paese nella media, senza grossi problemi di debito.
Sempre seguendo questa classifica - che però al momento non fa parte delle griglie con cui l’Unione europea giudica l’operato dei suoi membri - si scopre che è la Francia il Paese più esposto finanziariamente; il Paese che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani. È vero, il debito pubblico in rapporto al Pil è più contenuto rispetto all’Italia ma se si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) vien fuori che il sistemaFrancia viaggia con una leva enorme, che supera il 400% del Pil, pari a 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia, sommando tutti gli attori economici, supera di poco il 350% a fronte del 270% della Germania."

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