martedì 22 settembre 2015

STIGLITZ: LA FED DEVE PREOCCUPARSI DELLA DISUGUAGLIANZA, NON DELL’INFLAZIONE.


La politica di austerità che la Germania promuove è una politica pericolosa. Joseph Stiglitz


Il Guardian riporta l’ultimo articolo di Joe Stiglitz, in cui l’economista Nobel torna a criticare l’asimmetria con cui la Fed persegue i suoi due obiettivi: a fronte dell’eccessiva attenzione riservata alla lotta all’inflazione, mostra minore sensibilità per la disoccupazione reale e la correlata, crescente diseguaglianza negli Stati Uniti. Se la Fed alza i tassi di interesse ogni volta che c’è un segno di crescita dei salari per evitare che salga l’inflazione, la quota salari non recupererà mai quanto è andato perso nella crisi, la ripresa continuerà ad esserci solo per Wall Street e per l’1%, le disuguaglianze cresceranno assieme alla distorsione del sistema finanziario.
di Joseph Stiglitz, lunedì 7 settembre 2015
Alla fine di ogni agosto, i banchieri centrali e i finanzieri di tutto il mondo si incontrano a Jackson Hole, nel Wyoming, per il simposio economico della Federal Reserve degli Stati Uniti. Quest’anno, i partecipanti sono stati accolti da un ampio gruppo di persone per lo più giovani, tra cui molti afro-americani e ispanici.
Il gruppo non era lì tanto per protestare quanto per informare. Volevano far sapere ai decisori politici lì riuniti che le loro decisioni influenzano la gente comune, non solo i finanzieri preoccupati per quello che fa l’inflazione al valore dei loro titoli o per quello che il rialzo dei tassi d’interesse potrebbe fare ai loro portafogli azionari. E le loro magliette verdi erano decorate con il messaggio che per questi americani non c’è stata alcuna ripresa.
Anche ora, sette anni dopo che la crisi finanziaria globale ha innescato la Grande Recessione, la disoccupazione “ufficiale” tra gli Afro-Americani è oltre il 9%. Secondo una più ampia (e più appropriata) definizione, che comprende i dipendenti part-time in cerca di posti di lavoro a tempo pieno e i lavoratori impiegati marginalmente,il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti complessivamente è del 10,3%.
Ma, per gli afro-americani – soprattutto i giovani – il tasso è molto più elevato. Ad esempio, per gli afro-americani di età compresa tra 17 e 20 anni che hanno un diploma di scuola superiore, ma non sono iscritti al college, il tasso di disoccupazione è superiore al 50%. Il “divario occupazionale” – la differenza tra l’occupazione attuale e quella che ci dovrebbe essere – è di tre milioni.
Con così tante persone senza lavoro, la pressione al ribasso sui salari si sta rivelando anche nelle statistiche ufficiali. Finora quest’anno, i salari reali dei lavoratori che non hanno mansioni di controllo sono scesi di quasi lo 0,5%. Questo fa parte di una tendenza a lungo termine che spiega perché i redditi delle famiglie nel mezzo della distribuzione dei salari sono più bassi rispetto a un quarto di secolo fa.
La stagnazione dei salari aiuta anche a spiegare perché le dichiarazioni dei funzionari della Fed secondo le quali l’economia è praticamente tornata alla normalità sono accolte dal dileggio. Forse è vero nei quartieri dove vivono i funzionari. Ma, con il grosso della crescita dei redditi che da quando è iniziata la “ripresa” negli Stati Uniti sta andando all’1% in cima alla piramide dei redditi, non è vero per la maggior parte delle comunità. I giovani a Jackson Hole, che rappresentano un movimento nazionale chiamato, naturalmente, “Fed Up” [stufi, in italiano, NdT], potrebbero confermarlo.
Ci sono forti prove che le economie hanno prestazioni migliori con un mercato del lavoro a piena occupazione e, come ha dimostrato il Fondo Monetario Internazionale (FMI), minore disuguaglianza (e la prima conduce normalmente alla seconda). Naturalmente, i finanzieri e dirigenti aziendali che pagano 1.000 dollari per partecipare alla riunione di Jackson Hole vedono le cose in modo diverso: salari bassi significano alti profitti, e bassi tassi di interesse significano alti prezzi delle azioni.
La Fed ha un duplice mandato – promuovere la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Ha avuto più che successo con il secondo, in parte perché non ha avuto molto successo col primo. Allora, perché i decisori politici prenderanno in considerazione un rialzo dei tassi di interesse nel corso della riunione della Fed a settembre?
L’argomento usuale per l’aumento dei tassi di interesse è quello di raffreddare un’economia in surriscaldamento, in cui le pressioni inflazionistiche sono diventate troppo alte. Ovviamente non è questo il caso oggi. Infatti, data la stagnazione dei salari e il dollaro forte, l’inflazione è ben al di sotto al target della Fed del 2%, per non parlare del tasso del 4% sostenuto da molti economisti (tra cui l’ex capo economista del FMI).
I falchi dell’inflazione sostengono che il drago dell’inflazione deve essere ucciso prima che si veda il bianco dei suoi occhi:  se non agite subito vi brucerà in un anno o due. Ma, nelle attuali circostanze, un’inflazione più alta sarebbe un bene per l’economia. Essenzialmente non c’è alcun rischio che l’economia si surriscaldi così rapidamente che la Fed non possa intervenire in tempo per prevenire eccessiva inflazione. Qualunque sia il tasso di disoccupazione a cui le pressioni inflazionistiche diventano significative – una questione chiave per i decisori politici – sappiamo che è di gran lunga inferiore al tasso di oggi.
Se la Fed si concentra eccessivamente sull’inflazione, peggiora la disuguaglianza, che a sua volta peggiora le prestazioni economiche complessive. I salari vacillano durante le recessioni; se la Fed alza i tassi di interesse ogni volta che c’è un segno di crescita dei salari, la quota salari diminuirà – non recupererà mai quanto è andato perso nella crisi.
L’argomento per aumentare i tassi di interesse non si concentra sul benessere dei lavoratori, ma su quello dei finanzieri. La preoccupazione è che in un ambiente a basso tasso di interesse, l’irrazionale “ricerca di rendimento” degli investitori alimenta le distorsioni del settore finanziario. In un’economia ben funzionante, ci si sarebbe aspettato che il basso costo del capitale fosse la base di una crescita sana. Negli Stati Uniti, i lavoratori sono invitati a sacrificare i propri mezzi di sussistenza e il proprio benessere per proteggere i finanzieri benestanti dalle conseguenze della propria imprudenza.
La Fed dovrebbe contemporaneamente stimolare l’economia e domare i mercati finanziari. Una buona regolamentazione non significa solo evitare che il settore bancario danneggi il resto di noi (anche se la Fed non ha fatto un ottimo lavoro in questo senso prima della crisi). Significa anche l’adozione e l’applicazione di regole che limitino il flusso di fondi verso la speculazione e incoraggino il settore finanziario a svolgere il ruolo costruttivo che dovrebbe avere nella nostra economia, fornendo capitali per fondare nuove imprese e consentire alle aziende di successo di espandersi.
Spesso sento una grande simpatia per i funzionari della Fed, perché devono effettuare manovre molto pericolose in un contesto di notevole incertezza. 
Ma la manovra in questo caso non è affatto pericolosa. Al contrario, è talmente vicina ad una stupidaggine per quanto può esserla una decisione del genere: adesso non è il momento di dare una stretta al credito e rallentare l’economia.
http://vocidallestero.it/2015/09/19/stiglitz-la-fed-deve-preoccuparsi-della-disuguaglianza-non-dellinflazione/

Grecia, Varoufakis risponde a Renzi: “Puoi gioire quanto ti pare ma non ti sei sbarazzato di me”. - Francesco De Palo

Yanis Varoufakis contro Renzi: « Ti sei sbarazzato della democrazia ricattando Alexis Tsipras»

"Al contrario, partecipando a quel colpo vile contro Alexis Tsipras, vi siete liberati della democrazia greca", è la replica dell'ex ministro delle finanze ellenico al premier italiano che ieri alla direzione del Pd aveva detto: "Anche sto Varoufakis se lo semo tolti. Chi di scissioni ferisce, di elezioni perisce”.

“Signor Renzi, ho un messaggio per te: puoi gioire quanto ti pare per il fatto che io non sia più ministro delle finanze. Ma non ti sei sbarazzato di me. Ciò di cui vi siete sbarazzati, partecipando a quel colpo vile contro Alexis Tsipras, è la democrazia greca”, firmato Yanis Varoufakis. L’ex ministro delle finanze di Atene risponde, dal suo blog, alle parole del premier italiano, che in occasione della direzione Pd di ieri aveva detto testualmente: “Le scissioni funzionano come minaccia non al momento elettorale. Per usare un tecnicismo, anche sto Varoufakis se lo semo tolti. Chi di scissioni ferisce, di elezioni perisce”.
L’economista ellinoaustraliano sceglie il fioretto e, definendo quella di Renzi un’illusione, sottolinea che lo scorso luglio non si sono sbarazzati dell’uomo Varoufakis ma di una “cosa molto più importante di me”. Ricostruendo i primi sette mesi del 2015,assolutamente peculiari tanto per la storia greca quanto soprattutto per quella dell’Ue, Varoufakis scrive che molti dei suoi compagni sono rimasti fedeli alla piattaforma Syriza che li ha eletti a gennaio come un partito unito che ha portato speranza ai greci e ai popoli europei. Ma speranza per che cosa, si chiede? Speranza per mettere fine “definitivamente ai prestiti di quel salvataggio finto, che è costato caro all’Europa, e che ha condannato la Grecia ad una depressione permanente“.
E attacca: “Sotto un’estrema costrizione da parte dei leader europei, tra cui anche il signor Renzi che ha rifiutato di discutere ragionevolmente le stesse proposte della Grecia, il mio primo ministro, Alexis Tsipras, è stato sottoposto il 12 e 13 luglio a un bullismo insopportabile, a un ricatto nudo, a pressioni disumane”. E aggiunge che il premier italiano ha svolto un ruolo centrale nell’aiutare la rottura di Alexis, “con la sua tattica del poliziotto buono, sulla base dell’assunto se non cedi, essi ti distruggeranno”.
Motiva la separazione con Tsipras per via del disaccordo sul fatto che stessero bluffando e soprattutto sul fatto che non si poteva consegnare le chiavi di ciò che resta del Stato greco alla spietata troika. Questo è stato, e rimane, un disaccordo “tra me e Alexis”, aggiunge. Per cui a seguito di tale disaccordo, Tsipras avrebbe fatto una inversione a U (e forzata) nella politica di Syriza e, di conseguenza, una gran parte dei membri del partito ha deciso di non seguirlo. Erano i giorni in cui non solo i 25 scissionisti di Unità Popolare si erano allontanati dalla “Pangea Alexis” ma finanche Tasos Koronakis, il segretario del partito, lo stesso Varoufakis e molti altri dirigenti che si sono sentiti traditi. Secondo l’ex ministro non condividevano la scelta di Syriza di trasformarsi tout court in un nuovo Pasok.
E poi la stoccata finale al nostro premier: “Signor Renzi, ho un messaggio per te: puoi gioire tanto quanto ti pare per il fatto che io non sia più ministro delle finanze o deputato. Ma non ti sei sbarazzato di me, io sono vivo e vegeto politicamente, e come persona in Italia mi riconoscono quando cammino per le strade del vostro bel Paese. Ciò di cui vi siete sbarazzati partecipando a quel colpo vile contro Alexis Tsipras è la democrazia greca“.
Δεν ξεφορτωθήκατε εμένα κ. Ρέντζι. Την ευρωπαϊκή δημοκρατία ξεφορτωθήκατε όταν εκβιάσατε τον Αλέξη εκείνο το βράδυ http://www.fortunegreece.com/article/apistefti-dilosi-rentsi-aiton-ton-varoufaki-ton-xefortothikame/ 

Senato, la riforma regala ai sindaci l’impunità. Il Parlamento laverà i reati. - Thomas Mackinson

Senato, la riforma regala ai sindaci l’impunità. Il Parlamento laverà i reati


A differenza dei 74 consiglieri regionali "designati" dagli elettori, 21 sindaci saranno catapultati direttamente in Parlamento. I prescelti godranno così delle guarentigie degli onorevoli: non potranno essere perquisiti, intercettati e arrestati senza autorizzazione di Palazzo Madama. E per concedere questo privilegio i partiti faranno a gara.

Col Senato 2.0 di Renzi il primo cittadino di Venezia sarebbe ancora Giorgio Orsoni, oggi ai domiciliari per l’inchiesta sul Mose con richiesta di patteggiamento. Il Comune di Trani avrebbe ancora a che fare con il “comitato politico-affaristico” che pilotava gli appalti. Il suo sindaco, Luigi Riserbato, non sarebbe stato interdetto dai pubblici uffici e non si sarebbe mai dimesso. Nulla si sarebbe poi saputo di Calatafimi, comune del Trapanese dove Nicolò Ferrara deliberava le gare di giorno e prendeva la stecca di sera: perché tanto onesto e puro era da presiedere il “Consorzio per la legalità” e tenere seminari sulla corruzione in Prefettura. A inchiodarlo, ancora una volta, le intercettazioni.
E’ lungo, lunghissimo, l’elenco dei sindaci disarcionati in questi anni dalle inchieste giudiziarie. Presto però quell’elenco potrebbe accorciarsi di quel po’. Perché tra gli effetti collaterali della riforma del Senato che tiene banco da mesi c’è anche quello di concedere il privilegio dell’impunità ai primi cittadini d’Italia: niente più arresti, niente intercettazioni o perquisizioni per loro senza autorizzazione del Parlamento. Per cinque anni, a tutto beneficio della prescrizione. E’ l’effetto imprevisto di una piccola ma ingombrante “svista” del governo e delle competenti commissioni parlamentari: mentre sui 74 consiglieri regionali si cercano accordi per dar loro una parvenza di elettività col cosiddetto “listino”, nulla si dice a proposito di quei 21 sindaci, uno per regione più uno ciascuno per le Province autonome di Trento e Bolzano. Loro saliranno tutti sul Freccia Rossa diretto a Palazzo Madama, e non sarà il cittadino-elettore a rifornirli di biglietto né tantomeno a fermarli con le preferenze.
Poco importa ora se in questo  modo viene aggirata del tutto la disposizione con cui nel 1957 il legislatore aveva disposto l’incompatibilità tra le cariche di sindaco (sopra i 20mila abitanti) e di parlamentare. Perché nei successivi 58 anni i partiti hanno fatto spallucce catapultandone a dozzine (oggi, tra le grandi città: Biffoni a Prato, Decaro a Bari e Bitonci a Padova…). Il punto vero è che adesso una legge dello Stato – costituzionale per di più! – li spinge a forza in Senato e li mette tutti sotto l’ombrello delle guarentigie: significa, in soldoni, che un minuto dopo il giuramento sulle loro spalle calerà la coperta dell’immunità parlamentare, pur continuando a deliberare atti e concessioni in veste di sindaci. Fine degli arresti, zero intercettazioni, giammai perquisizioni senza il via libera del Senato.
In altre parole: i sindaci non saranno più sottoposti al controllo di legalità della magistratura, come gli altri cittadini. Che rubino o ricettino materiale pedopornografico (è successo a febbraio, a un sindaco del Salernitano) il destino delle loro vite sarà sottratto ai giudici ordinari e appeso al chiodo della Giunta per le autorizzazioni e dell’Aula, dove la ragion politica è riuscita a salvare Azzollini dall’arresto e Calderoli da un processo. Il primo, in fondo, doveva rispondere solo di associazione a delinquere. Il secondo d’aver paragonato un ministro a un gorilla. Non è questione di lana caprina: in ballo ci sono l’architettura istituzionale dello Stato e la classe di amministratori e politici locali più mediocre e corrotta di sempre.
E’ poi vero che il loro mandato terminerà con quello delle amministrazioni locali cui appartengono. E che quindi si dà per acquisita l’elettività indiretta per una sorta di “proprietà transitiva”: i cittadini eleggono i consiglieri regionali, questi a loro volta eleggono i sindaci-senatori. Ma la selezione fatta dai partiti e nelle urne non si è dimostrata un sostituto adeguato ai magistrati, né un antidoto alla corruzione della classe politica. Al punto che per arginare gli “impresentabili” messi in lista si è dovuto ricorrere a una “legge speciale”, la Severino, che ponesse limiti alla candidabilità dei condannati. E gli indagati? Fieramente resistono e in attesa di giudizio… si candidano.
Come il sindaco di Bolzano, per dire. Gigi Spagnolli (Pd) si è candidato per la terza volta rischiando il rinvio a giudizio ad urne aperte. Un domani potrebbe tranquillamente vestire i panni di senatore della Repubblica. Proprio in questi giorni la Procura sta chiudendo l’indagine a suo carico (abuso d’ufficio) in una vicenda di concessioni edilizie sospette, a favor di centro commerciale. Ecco, se passasse la riforma del Senato e fosse scelto in “quota Bolzano”, Spagnolli potrebbe riporre la pratica nel cassetto, congedare i suoi legali e fare “ciao ciao” con la manina ai pm mentre sale sul treno per Roma. Così, grazie alla riforma, per gli amministratori locali inguaiati si accenderà una lucina in fondo al tunnel: quelli che avessero un problema con la giustizia per quel che fanno da sindaci lo risolverà all’istante con le prerogative che hanno come senatori. Un incentivo a delinquere.
La Riforma della Costituzione disegnata dal Governo rischia così di consegnare alla storia il peggior Senato della Repubblica, zeppo di casi umani e giudiziari. Le ragioni affondano nella debolezza dell’impianto della legge che non abolendo il Senato ne tiene in vita un fantoccio sgonfio. Nel passaggio alla Camera sono evaporate in ordine: le “funzioni in via esclusiva” di intrattenere rapporti con la Ue, quella di controllo sui curricula delle authority, le competenze sui temi di bioetica, famiglia, diritti eccetera. Cosa resta? Quasi nulla.
E se il nuovo Senato nulla conta, questo il punto, anche chi lo compone conterà come il due di picche a briscola. Non solo. Essendo la carica sprovvista di obolo – perché la riforma occasione di risparmio vuol sembrare – non c’è neppure l’appeal del guadagno. Per tutte queste ragioni insieme l’investitura sarà percepita da chi la riceve come una vera iattura. E l’unica ragione per dedicarsi al pendolarismo romano, tolte di mezzo le altre, sarà il beneficio dell’immunità. Così, una volta capita l’antifona, sul treno per Roma si farà fatica a trovare posto.

Minacce, ricatti, compravendite. - Andrea Scanzi




Minacce, ricatti, compravendite. 
Grasso trattato come un pezzente, battute da bullo sfigato ("Sì alla riforma o riduco il Senato a museo"), editti bulgari - anzi fiorentini - a chi nei talk osa invitare troppi ospiti (dove?) non renziani. 
Si dirà: questo qua è come Berlusconi. 
No: Renzi è peggio di Berlusconi. 
Molto peggio. 
E lo è non perché ha una storia più losca (difficile) o perché ha più pendenze giuridiche (impossibile) del suo maestro Silvio: lo è perché è più impreparato, più arrogante, più megalomane, più debole, più ridicolo. 
E - quel che è peggio - più protetto e anzi addirittura osannato da un'informazione (e da una intellighenzia) che, se la metà delle cose di adesso le avesse fatte Berlusconi, avrebbe come minimo invaso la Polonia gridando al golpe. 
La vergogna senza pari continua.
( Andrea Scanzi )


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