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mercoledì 16 giugno 2021

“Progetto bellezza”, i soldi promessi da Renzi all’Italia minore non sono mai arrivati. La denuncia da Padova: “Piano approvato, poi non si è saputo nulla”. - Giuseppe Pietrobelli

 

La graduatoria finale approvata nel 2018 aveva selezionato 273 progetti, giudicati meritevoli di spartirsi i 150 milioni di euro per il recupero dei "luoghi delle comunità". Ma i fondi sono ancora bloccati. "Abbiamo fatto tutto in regola, rispettando i tempi, ma non riusciamo ad avere risposte", dice la sindaca di Camposampiero, Katia Maccarrone, che ha chiesto 310mila euro per il restauro della Torre dell'orologio.

Recuperare i luoghi delle nostre comunità significa tornare noi stessi. Per questo, accanto ai grandi progetti, abbiamo lanciato un appello a tutti gli italiani. Segnalateci i luoghi dell’identità e della bellezza che hanno bisogno di un aiuto economico e finanziario per ripartire. Su questo tema ci giochiamo il futuro dell’Europa“. Così parlava Matteo Renzi nel 2016, da presidente del Consiglio, promettendo soldi a pioggia all’Italia minore: un’iniziativa battezzata, enfaticamente, “Progetto bellezza”. Cinque anni dopo, enti locali, pro loco e associazioni sono ancora lì che attendono. I soldi non li hanno visti, pur avendo presentato entro i termini i piani di restauro o di ripristino. Anzi, fanno perfino fatica a dialogare con la Presidenza del Consiglio che ha insediato una commissione esaminatrice, visto che i moltissimi progetti presentati superavano la disponibilità finanziaria: la graduatoria finale ne aveva selezionati 273, giudicati meritevoli di spartirsi i 150 milioni di euro stanziati.

Una denuncia in questo senso – ma è solo uno dei tanti esempi – viene dalla provincia di PadovaKatia Maccarrone, insegnante iscritta al Pd, è sindaca di Camposampiero, eletta con una lista civica di centrosinistra. “Noi abbiamo fatto tutto in regola, rispettando i tempi. E abbiamo chiesto 310mila euro per restaurare la torre medievale di Porta Padova, o dell’orologio. Dopo che il progetto è stato approvato non abbiamo saputo più nulla. Ma sappiamo che le lamentele arrivano anche da altre parti d’Italia”, spiega. Una storia di promesse governative non sono mantenute o ampiamente ridimensionate. “La nostra iniziativa è partita dalla Pro Loco, che ha presentato il progetto di ristrutturazione della torre”, prosegue la sindaca. “Attualmente si può accedere solo al piano terra, ma sistemando le scale e i locali nei diversi piani si potrebbero realizzare locali per piccole mostre e arrivare fino alla cima, da dove si può osservare la campagna veneta”.

Questa l’idea, che sembrava aver incontrato i favori romani. La torre di Camposampiero, infatti, è indicata al 130° posto di una graduatoria a importi crescenti: al primo, con soli 2mila euro stanziati, il restauro di un cancelletto ligneo di balaustra policromo nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, a Paternò (Catania). I tre interventi più onerosi, del valore di 2 milioni di euro ciascuno, riguardano invece il Castello di Rosciano (Pescara), l’ex Ammasso del Grano a San Daniele Po (Cremona) e il tempietto dei Segusini con la chiesa di San Pietro a Mel, in provincia di Belluno. In realtà, di quell’elenco sembra essere rimasto ben poco. “Avevamo presentato il progetto nei tempi”, ripercorre la sindaca. “Ci hanno comunicato che era stato accolto il 15 dicembre 2017. Abbiamo fatto le corse per presentare il progetto esecutivo nel 2019. Poi più nulla. Telefoniamo e non riusciamo ad avere risposte. Ci sarebbero problemi, dicono, riguardo al documento che descrive il bene come “monumentale”, risalente al 1923, mentre a Roma lo vorrebbero come previsto oggi dal Codice dei Beni Culturali. Ma quello è il documento che noi abbiamo“. Che si tratti di una torre medievale non c’è dubbio, visto che venne eretta nel 1085 per volere di Tiso e Gerardo da Camposampiero. È alta 24 metri e ha una campana in bronzo che risale al 1450, una delle più antiche d’Italia.

Di recente alcuni deputati bergamaschi hanno presentato un ordine del giorno in cui affermano che una successiva scrematura effettuata dalla Commissione ha portato “a ritenere finanziabili solamente 22” dei 273 interventi precedentemente selezionati. Per questo hanno chiesto di riaprire le verifiche “con la finalità di consentire l’impiego integrale delle risorse stanziate”. Il numero è indicato nel decreto della Presidenza del Consiglio del 3 settembre 2019, firmato dall’allora sottosegretario Giancarlo Giorgetti, che elenca “gli enti attuatori ammessi alla fase successiva della stipula delle convenzioni con il Ministero per i beni e le attività culturali”. Solo, quelli, infatti, avrebbero presentato una “documentazione completa e coerente con il progetto”. Altre interrogazioni parlamentari hanno chiesto di sbloccare i fondi già stanziati per consentire l’esecuzione degli interventi. Evidentemente i sindaci esclusi non sono stati informati che il primo elenco, del 2018, non corrisponde a quello delle opere considerate meritevoli di essere salvate.

IlFQ

martedì 4 maggio 2021

Report indaga su Renzi, Italia Viva tira fuori un falso dossier. Era finito anche nelle mani di Bechis, di Minzolini e del Foglio. - Clemente Pistilli

 

Un tempismo perfetto. Ieri, nello stesso giorno in cui Report ha mandato in onda l’incontro a dicembre in autogrill, nel pieno della crisi di governo, tra Matteo Renzi e lo 007 Marco Mancini, il renziano Luciano Nobili ha presentato un’interrogazione al ministro dell’economia e finanze Daniele Franco su “una presunta fattura da 45mila euro ad una società lussemburghese” che la trasmissione di approfondimento diretta da Sigfrido Ranucci avrebbe pagato “per confezionare servizi contro Renzi”. Un’accusa che lo stesso Ranucci rispedisce subito al mittente.

Report indaga su Renzi, Italia Viva tira fuori un falso dossier.

“Si tratta di un falso dossier che gira da due mesi”, assicura il conduttore. L’esponente di Italia Viva, in una nota con cui ha annunciato l’interrogazione, ha sostenuto che vuole “vederci chiaro e capire se soldi pubblici sono stati utilizzati per pagare informatori allo scopo di costruire servizi confezionati per danneggiare l’immagine di Renzi”. “Ci chiediamo con preoccupazione – ha specificato – se la Rai compri informazioni con i soldi degli italiani per le sue trasmissioni di inchiesta”.

Nell’interrogazione chiesto dunque se siano intercorsi rapporti economici nel mese di novembre 2020 fra la società Tarantula Luxembourg Sarl e la Rai TV. Se la redazione di Report abbia mai avuto rapporti con il dottor Francesco Maria Tuccillo, ex collaboratore della Piaggio Aerospace. E se vi siano stati rapporti economici fra la società lussemburghese e Tuccillo. Un’interrogazione relativa a servizi sulle vicende societarie di Alitalia e Piaggio Aerospace, in cui vengono citati i rapporti di Renzi con gli Emirati Arabi. Viene inoltre adombrato lo scambio di mail tra l’ex portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, e la Rai, aventi ad oggetto servizi che sarebbero stati confezionati con l’obiettivo di danneggiare l’immagine di Renzi, circostanza quest’ultima smentita dallo stesso Casalino.

La riposta di Ranucci.

Ranucci però non ci sta e assicura che quel carteggio relativo ai rapporti sulla società lussemburghese è un falso. “Si tratta di un dossier falso – afferma Ranucci – e falsa è anche l’informazione sulle mail tra me e Casalino. Si sostiene tra l’altro che quello scambio sia stato su carta intestata, che io non uso mai. Ci troviamo di fronte – prosegue – a un dossier avvelenato, confezionato da una manina proprio mentre stiamo realizzando un servizio che andrà in onda questa sera (ieri per chi legge ndr) sull’incontro tra Renzi e Mancini, l’agente che era stato coinvolto in un’attività di dossieraggio illecito nel caso Telecom nel 2006 e nel rapimento di Abu Omar. Quel dossier era finito anche nelle mani di Bechis, di Minzolini e del Foglio. Nessuno ha pubblicato il mio nome, essendosi resi conto del tipo di materiale. In 25 anni – conclude – Report non ha mai pagato una fonte e soprattutto non ha mai realizzato servizi contro”.

Su Italia Viva il conduttore è ancor più diretto: “L’amarezza più grande è prendere atto che queste note vengono proprio dalle stesse persone che in queste ore hanno evocato la libertà
di espressione nel caso Fedez. La libertà di espressione non si può evocare come fosse una maglietta, che te la sfili la sera e la rimetti in un cassetto e la rindossi quando ti fa comodo”. E Renzi? Prova a difendersi. “Messaggio agli inconsolabili – scrive – il Governo Conte non è caduto per intrighi, complotti o incontri segreti (all’autogrill…).

LaNotizia

sabato 30 gennaio 2021

Qui c’è poco da esplorare. - Gaetano Pedullà

 

Dopo aver buttato via una settimana con tutte le cose preziosissime che c’erano da fare – dall’accelerazione sui ristori alle imprese al piano vaccinale, fino alla relazione sulla Giustizia – continuiamo a perdere tempo col gioco dell’esploratore alla ricerca del senno di Renzi, o in subordine di una resa disonorevole dei Cinque Stelle, Zingaretti e Leu.

Di questo non ha colpa il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, al quale il leader di Italia Viva non ha lasciato altre possibilità, ma è chiaro che l’incarico al presidente della Camera Roberto Fico non fa un favore al Movimento Cinque Stelle, dove alla sola idea di tornare con Renzi si è già sollevata metà della base riuscita a sopravvivere a due anni di compromessi su tutto, dal salvataggio di Salvini al processo Diciotti all’andare al Governo col Pd, ai taciti patti di desistenza con i dem in alcune elezioni regionali, e ci fermiamo qui perché l’elenco è lungo.

Purtroppo i numeri al Senato sono quelli che sono e Renzi sa benissimo che l’unica maggioranza che oggi ha senz’altro i numeri è quella del non ritorno al voto. Quindi alla fine un accordo arriverà a scapito di Giuseppe Conte, che tornerà a insegnare all’università a meno di non accettare condizioni umilianti per restare a Palazzo Chigi.

Toccherà quindi a lui per primo decidere che strada prendere: compiere un gesto di responsabilità estremo per non abbandonare al loro destino tutti i dossier sui quali sta lavorando, dalla gestione della pandemia all’interlocuzione in Europa sul Recovery Fund, coinvolgendo in questa capitolazione di fronte a Renzi il resto delle forze politiche che l’hanno finora sostenuto, oppure prendere atto della situazione e uscire a testa alta, preparandosi a tornare presto – se vorrà – perché qualunque cosa nascerà domani sulle macerie lasciate da questo indefinibile soggetto politico che si chiama Italia Viva non avrà vita semplice.

Negli ambienti parlamentari ovviamente si spera ancora nel miracolo, cioè in una soluzione che salvi capra e cavoli grazie a un programma di compromesso, dove IV rinunci al Mes (che comunque non ha i numeri per l’approvazione in Parlamento) e i 5S a Bonafede alla Giustizia, Zingaretti indichi come ministri le quinte colonne renziane rimaste in sonno nel suo partito e così via con questo teatrino della politica.

In tale modo il Movimento salverebbe almeno una parte delle riforme che ha fatto finora e sorveglierebbe dall’interno la destinazione dei soldi europei, ma tra sei mesi o due anni, quando si tornerà comunque a votare, avrà donato tanto di quel sangue da non potersi aspettare l’entusiasmo nemmeno dei suoi più fedeli elettori.

Quindi adesso sarebbe meglio consegnare a Fico il programma che lui stesso conosce bene perché era la carta con gli impegni alle elezioni del 2018 e dire a Renzi se ci sta o no, certificando così – se servisse ancora – che è lui ad abbandonare la coalizione, e poi andare all’opposizione di qualunque schifezza istituzionale si verrà a formare, aspettando le elezioni e nel frattempo facendosi quattro risate su come renziani, forza italioti, leghisti, Pd, eventuali scissionisti 5S e l’armata Brancaleone che segue saprà gestire tutto quello che c’è da fare in questi tempi difficili. Un disastro annunciato, ma perlomeno al momento opportuno gli italiani sapranno chiaramente di chi è stata la responsabilità.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/qui-ce-poco-da-esplorare/

mercoledì 13 gennaio 2021

Una mossa che fa ridere il mondo. - Gaetano Pedullà

 

Al punto in cui siamo arrivati, meglio un governo pure con la madre di tutti gli Scillipoti, o anche le elezioni, piuttosto che andare avanti con Renzi, Boschi e Bellanova. Troppo ampio il solco con Conte e il resto della maggioranza, e troppo differente il senso dello Stato dimostrato da Italia Viva rispetto agli alleati, con poche eccezioni rimaste ben nascoste nel Pd. Se oggi faranno fuori l’Esecutivo nel punto più acuto di una pandemia, mentre c’è da sostenere un’imponente e complicata campagna vaccinale, non perdere i soldi stanziati in Europa, approvare uno scostamento di bilancio e il nuovo decreto ristori da 25 miliardi per le imprese messe in ginocchio dalle chiusure, non meravigliamoci quando nel mondo rideranno di un Paese tanto ridicolo.

Nella stessa situazione una comunità nazionale si stringe attorno all’interesse dei suoi cittadini, e se ne fotte dei vantaggi politici e personali di chicchessia. Ma qui abbiamo “statisti” che preferiscono regolare conti personali, peraltro senza mai dirci che caspita avrebbe fatto un Presidente del Consiglio misurato e apprezzato in Italia e fuori come Conte per meritare di essere decapitato dal partitello di un leader riuscito nella non facile impresa di precipitare in pochi anni dal quaranta al due per cento dei consensi. Un leader in confusione, ha detto l’ex compagno dem Goffredo Bettini, che nel suo cupio dissolvi non ha remore nel trascinare una nazione prostata nello stesso baratro del proprio inglorioso epilogo politico. La facciano finita allora le signore Bonetti e Bellanova, e lascino sul serio un Governo in cui hanno dedicato più tempo a criticare che a lavorare.

E vediamo se in Parlamento c’è ancora gente che vuole più bene al Paese che ai giochetti di Palazzo, comprese le avventure di maggioranze tecniche in cui i poteri forti non hanno mai smesso di sperare per spartirsi il bottino del Recovery Fund. Il Centrodestra e ancor di più il sistema ne diranno peste e corna, e il percorso parlamentare sarà un Vietnam quotidiano, con nuovi prezzi elettorali da pagare, ma è in queste circostanze che si misura chi pensa a se stesso e chi serve il Paese.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/una-mossa-che-fa-ridere-il-mondo/

sabato 9 gennaio 2021

Il Governo appeso agli appetiti di Renzi. Le condizioni per evitare una crisi in piena pandemia. Italia Viva non punta alle elezioni ma vuole saziarsi col Recovery fund. - Clemente Pistilli

 

Vertice tesissimo ieri sera a Palazzo Chigi, con Italia Viva a un passo dall’uscita dall’Esecutivo. Come al solito però, anche oggi i renziani rompono domani. E in attesa di un nuovo testo sui fondi europei vengono fuori le pretese su come spendere i soldi del Recovery Fund.

Non è vero che Conte mi ha offerto il Ministero degli esteri o dell’economia. Non è una questione di posti, noi le poltrone le lasciamo. Lo ha dichiarato ieri sera Matteo Renzi a Stasera Italia, mentre il vertice a Palazzo Chigi tra il premier e le forze di maggioranza era ancora in corso, e questa volta viene voglia di credergli. La vera partita, quella che da tre settimane sta facendo traballare pericolosamente il Governo, non sembra infatti una battaglia per qualche posto al sole in più. O almeno non principalmente per questo. Il braccio di ferro sembra tutto interno al Recovery fund: sull’Italia dovrebbero piovere addirittura 222 miliardi di fondi europei, una maxi finanziaria, e un partito come Italia Viva, che in base agli ultimi sondaggi non arriverebbe al 3%, sembra deciso a giocarsi il tutto per tutto per cercare di ottenere la gestione della più ampia fetta possibile di quelle risorse.

IL CONFRONTO. I renziani, già prima dell’inizio dell’incontro a Palazzo Chigi, hanno sostenuto che il Conte 2 può considerarsi giunto al capolinea. Non sono soddisfatti nonostante la revizione del Next Generation Eu compiuta dal ministro Roberto Gualtieri, da loro richiesta, e c’è da capirli. Le risorse da destinare alla sanità sono state aumentate da 9 a 19,7 miliardi, alla coesione e lavoro da 17,1 a 27,6, all’istruzione da 19,2 a 27,9, alle infrastrutture da 27,7 a 31,9, al turismo da 3,5 a 8, con il paradosso che quelli che dovevano essere i due pilastri su cui costruire un piano per risollevare il Paese devastato dalla pandemia, digitalizzazione e green economy, si sono visti ridurre gli stanziamenti. Il maggior denaro da distribuire è tutto però destinato a settori in cui nell’attuale esecutivo Iv non tocca palla.

Mentre il Pd e il Movimento 5 Stelle, trovando favorevole anche Leu, battono su un patto di fine legislatura, un programma ben definito che Conte ha assicurato di essere ben disposto ad approntare, Italia Viva ha così alla fine solo preso tempo, alzando la tensione con la solita richiesta di attivare il Mes e rispolverando addirittura il ponte sullo stretto, ma fondamentalmente chiedendo qualcosa di più di una sintesi sul nuovo piano per il Recovery Fund. “Noi vogliamo un testo e non la sintesi”, ha affermato Renzi. Vogliono il dettaglio su quei miliardi con cui si può ottenere molto di più di quello che si può ottenere con un incarico ministeriale o di sottogoverno. E lo vogliono subito. Non a caso, nel corso del vertice Maria Elena Boschi ha detto: “Pochi soldi all’agricoltura e niente al Family act. Se togliete soldi alle nostre ministre, non volete dialogare. Provocate”. Il punto è quello: sono i soldi.

LO SCENARIO. Renzi e i suoi fedelissimi anche ieri hanno continuato a ripetere che l’esito della crisi non saranno nuove elezioni. Difficile però pensare che Italia Viva voglia fare un patto con le destre per andare a raccogliere le briciole di quel Recovery che ha portato il partito a salire sulle barricate. Un problema che Iv avrebbe anche con un eventuale governo tecnico. E poi tanto per i dem quanto per i pentastellati non vi sarebbe alternativa a Conte. I renziani starebbero così alimentando tensioni solo per ottenere altre concessioni, ma la tensione è ormai a un livello tale che la situazione potrebbe diventare incontrollabile pure per loro.

https://www.lanotiziagiornale.it/il-governo-appeso-agli-appetiti-di-renzi-le-condizioni-per-evitare-una-crisi-in-piena-pandemia/

mercoledì 27 maggio 2020

Italia Viva e Paese moribondo. - Gaetano Pedullà.

MATTEO RENZI


Nulla di nuovo dalla Destra abituata a difendersi dai processi e non nei processi. A meno di una improbabile giravolta dell’Aula del Senato, Matteo Salvini non andrà a processo per la vicenda Open Arms, come chiesto dai pm siciliani. Le novità arrivate dal voto della Giunta per le autorizzazioni sono invece significative per Cinque Stelle e Matteo Renzi. Per quanto riguarda il Movimento, la decisione della senatrice Riccardi in dissenso con il gruppo non è un banale incidente di percorso, ma l’ennesima prova che senza un capo politico o una decisa regolata il Movimento butta via a secchi la sua credibilità.
È chiaro che fare gli Stati generale può spaccare il fronte degli eletti e indebolire il premier Giuseppe Conte, ma continuare a far finta di niente equivale a un lento suicidio. Vale perciò la pena di riflettere se sia meglio rischiare una fine spaventosa o uno spavento senza fine. Più sorprendente la mossa di Italia Viva, ormai sempre più vicina al Centrodestra che agli alleati della maggioranza giallorossa. Proprio nel giorno in cui la Lega elegge in Lombardia una consigliera regionale renziana alla guida della Commissione d’inchiesta su Fontana e Gallera e la loro discussa gestione dell’emergenza pandemia, i Mattei rivelano ormai apertamente i loro amorosi sensi, rafforzando il convincimento che prima o poi i due convoleranno a nozze.
Un matrimonio senza amore e di effimero interesse, ma che s’ha da fare pur di liberarsi degli odiati (da entrambi) Cinque Stelle. Dove può portare tutto questo per adesso è ignoto. Ai poteri finanziari ed europei oggi più che mai fa comodo un Governo tecnico, che con la scusa del Mes o di qualche altro aiuto economico ci imponga una patrimoniale e altri salassi. Per questo si sta saldando un fronte largo e preoccupante, che va dai vecchi volponi della politica di destra e sinistra al capitalismo nazionale, con i giornali e le televisioni di complemento che stanno bombardando Conte e chi lo sostiene più lealmente come se non ci fosse un domani. Nella speranza di dar vita a un nuovo governo, fosse anche sulle macerie e liquidando quel che resta della ricchezza del Paese.

mercoledì 19 febbraio 2020

Renzi annuncia rinforzi ma il Governo ormai può andare avanti anche senza di lui. Contro Conte l’ex rottamatore può finire davvero rottamato. - Gaetano Pedullà

MATTEO RENZI

Matteo Renzi sembra comportarsi proprio come quei bambini che quando fanno un capriccio prima di ritornare sui loro passi, per non perdere la faccia, devono dimostrare di aver ottenuto qualcosa. Non importa quanto grande. è quanto ha fatto al Senato con quella che è parsa un’impuntatura su un passaggio relativo all’uso delle intercettazioni (leggi l’articolo) per poi convergere su un testo rimaneggiato due volte con un’aggiuntina finale da parte dei renziani. E l’impressione è che questa tattica la riproponga sui vari dossier in campo: fisco, scuola, salute, sicurezza, riforme, giustizia, autonomia, a cui sono dedicati i vari tavoli tematici del governo con Iv sempre presente.
Ma il duello a distanza tra il premier Giuseppe Conte e il senatore di Rignano continua ed è di quelli che logorano. Un drappello composto da ex M5S, transfughi di FI (e forse Iv) sarebbe pronto ad andare in soccorso del Governo. E benché tutti gli interessati smentiscano, sarebbero pronti a uscire allo scoperto al momento opportuno. I senatori pronti a proteggere la maggioranza andrebbero dai dieci ai quindici. In barba alla campagna acquisti di Renzi che conquista la deputata di Leu Michela Rostan e Tommaso Cerno, senatore Pd. Nuovi ingressi che galvanizzano l’ex premier che annuncia per oggi dal salotto di Bruno Vespa l’annuncio di qualcosa “che può avere un senso per il prosieguo della legislatura”.
Appoggio esterno al governo? Forse sì, forse no. Probabilmente si tratterà dell’ennesimo ultimatum a Conte accusato di non far ripartire il Paese e di averlo fatto piombare in un immobilismo improduttivo. “Se c’è un governo senza di noi, noi rispettiamo il Parlamento. Però se non hanno i numeri e se siamo decisivi per la maggioranza, allora dico: ‘Ascoltate anche noi’…”, sentenzia Renzi. Il premier continua a lavorare a testa bassa: “Personalmente ho sempre preferito impiegare tempo e risorse per lavorare e non per alimentare polemiche”, dichiara. Ma non ha nessuna intenzione di farsi logorare dal senatore fiorentino. E non esclude di poter andare alle Camere a chiedere un voto sull’Agenda 2023. “Tutte le forze hanno condiviso l’obiettivo di imprimere la massima accelerazione all’agenda di governo”, dice aprendo il tavolo sulla giustizia cui partecipano Maria Elena Boschi e Lucia Annibali per Iv.
E sulla giustizia, ovvero sulla prescrizione, Renzi non intende mollare. Oggi si vota la fiducia sul Milleproroghe e il cosiddetto Lodo Annibali, cioè la sospensione per un anno dell’efficacia della legge Bonafede, torna in aula come ordine del giorno al decreto e sarà posto ai voti. Assieme a un altro, sulla stessa scia, di Forza Italia. A fine mese poi a Montecitorio in aula si voterà il ddl Costa (FI) che cancella la riforma pentastellata. Iv ha fatto sapere che voterà a favore. Nessuna speranza che passi, ma il voto dei renziani potrebbe in quel caso rendere evidente una rottura a livello politico. Di cui verrà chiesto conto a Renzi. Sempre che questi non formalizzi già stasera da Vespa l’addio.
Slitta al 27 la votazione per il rinnovo dell’Agcom e del Garante della privacy. In maggioranza, causa soprattutto Iv, l’accordo sembra lontano. Sul presidente di Agcom, tra le altre cose, serve il sì dei due terzi delle commissioni parlamentari Lavori pubblici. C’è chi accusa l’ex premier di forzare per strappare più nomine. A fine marzo si rinnoveranno i ponti di comando delle grandi partecipate pubbliche: Enel, Eni, Poste, Mps, Terna, Enav.

lunedì 10 febbraio 2020

Prestito per villa di Renzi, sotto la lente anche un bonifico di Serra. - Ivan Cimmarusti e Sara Monaci

Risultato immagini per renzi

Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro tramite bonifico per comprare la sua villa a Firenze. In particolare, le verifiche si concentrano su una dazione giunta dal finanziere Davide Serra e utilizzata da Renzi, assieme ad altre somme, per saldare quel debito.

Il prestito è stato in effetti restituito dopo quattro mesi. La storia però sembrerebbe più complicata. O meglio, potrebbe avere qualche aspetto ulteriore da approfondire.
Sulla base di una segnalazione di operazione sospetta (Sos) arrivata al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Firenze, al comando del colonnello Luca Levanti, nel 2018 dal nucleo Valutario della Gdf si chiede un approfondimento ulteriore rispetto a una precedente Sos che riguardava proprio la signora Picchioni, nell’ambito di un fascicolo di un caso di bancarotta di un piccolo imprenditore fiorentino.
Si spiega dunque che Picchioni aveva ricevuto un finanziamento da parte di suoi familiari (i figli) per 700mila euro, finalizzato a effettuare un prestito ai coniugi Matteo Renzi e Agnese Landini per l’acquisto di un immobile valutato complessivamente 1,4 milioni di euro. Successivamente, nel giugno 2018, la cifra è stata restituita con un versamento dal conto corrente dei coniugi a favore di Anna Picchioni a titolo di «restituzione prestito».
La provvista per la restituzione del denaro che parte dal conto personale di Renzi, ora sotto la lente degli inquirenti, era di 500mila euro, presso la Bnl (filiale di Roma). Dall’analisi dell’estratto conto emerge che il senatore ha ricevuto 119mila euro da Celebrity speakers e Mind Agency per attività di conferenziere e 454mila euro dalla Arcobaleno 3 srl per la sua attività di personaggio televisivo; il resto dal fondo Algebris Uk, riconducibili a Davide Serra.
L’inchiesta è in una fase preliminare, dunque ancora tutta da verificare. Ruota attorno alla Fondazione Open, l’ente creato nel 2012 e chiuso nel 2018 per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi. Una «articolazione di un partito», secondo l’accusa, che raccoglieva «finanziamenti illeciti alla politica». Ipotesi d’accusa smentita dal leader di Italia Viva, che contro la magistratura fiorentina non nasconde una certa nota polemica. Risultano indagati l’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione, e il presidente di Toscana Aeroporti spa Marco Carrai, ex consigliere di Open assieme al resto del “Giglio magico”, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. L’accusa preliminare è di finanziamento illecito e traffico di influenze.
Stando agli atti investigativi un ruolo decisivo sarebbe stato svolto da Carrai, tanto che nei documenti si legge che «l’indagato ha svolto un ruolo decisivo nel reperimento dei finanziatori e nel raccordo tra gli stessi e gli esponenti politici rappresentati dalla Fondazione». Un sostanziale incarico di “cerniera”, dunque, tra 25 imprenditori e lo stesso Renzi, almeno stando alle ricostruzioni preliminari della magistratura fiorentina. Di fatto, però, si è scoperto che somme di denaro sarebbero finite anche in altre “casseforti”. Negli atti, infatti, si fa riferimento a movimentazioni finanziarie verso Lussemburgo. In particolare «risulta che l’indagato (Carrai, ndr) è tra i soci della società Wadi Ventures Management Company sarl con sede a Lussemburgo il cui unico asset è la società Wadi Ventures sca, anch’essa con sede in Lussemburgo e con oggetto sociale le partecipazioni societarie». Secondo gli investigatori quest’ultima società sarebbe destinataria di «somme provenienti, fra gli altri, da investitori italiani già finanziatori della Fondazione Open».

https://www.ilsole24ore.com/art/prestito-villa-renzi-sotto-lente-anche-bonifico-serra-ACuffX2

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venerdì 13 dicembre 2019

Open, le carte: “Nelle mail di Bianchi al governo Renzi le richieste di emendamenti graditi ai finanziatori della Fondazione”.

Open, le carte: “Nelle mail di Bianchi al governo Renzi le richieste di emendamenti graditi ai finanziatori della Fondazione”

I messaggi sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta su Open, la fondazione cassaforte dell'ex premier. Contenevano indicazioni e richieste che venivano recapitate ai vertici di governo quando l'ex segretario Pd era a Palazzo Chigi. Trovati anche una busta con una carta ricaricabile con scritto: "Bancomat Luca Lotti reso il 23 febbraio 2017 - Vecchia".

Una mail del 25 settembre 2014 con proposte di emendamenti allo “Sblocca Italia” inviate dalla segreteria dello studio di Alberto Bianchi alla posta elettronica di Antonella Manzione, ex capo dei vigili di Firenze nominata responsabile dell’ufficio Affari legislativi di Palazzo Chigi, quando il presidente del consiglio era Matteo Renzi. E poi un altro messaggio di posta elettronica che il 14 aprile 2014 l’avvocato Bianchi gira a Luca Lotti: è la mail di Luigi Scordamaglia, imprenditore diventato finanziatore della fondazione Open, la cassaforte che ha accompagnato l’ascesa politica dell’ex sindaco di Firenze. E un altro scambio tra Bianchi e Lotti in cui l’avvocato spiega di aver versato a Open e al comitato per il Sì al referendum costituzionale parte dei soldi ricevuti dall’avvocato dal gruppo Toto e dalla British American Tobacco.

L’inchiesta – Sono le comunicazioni che secondo Repubblica e Corriere della Sera la Guardia di Finanza ha sequestrato nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione renziana, che era presieduta dallo stesso Bianchi, indagato per traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti. Secondo i magistrati il legale avrebbe favorito gli interessi dei finanziatori di Open, intercedendo con i vertici del governo. Nel registro degli indagati è finito per finanziamento illecito anche Marco Carrai, storico componente del Giglio magico e consigliere di amministrazione di Open. Anche Luca Lotti e Maria Elena Boschi sedevano nel cda dell’ente privato chiuso dopo che l’ex premier ha perso la leadership del partito. Nelle comunicazioni sequestrate, in pratica, quelli che erano i finanziatori della fondazione inviavano mail con richieste di emendamenti e modifiche a leggi in quel momento in discussione. Bianchi si incaricava di farle pervenire ai vertici di governo.

Le accuse – È proprio per fare chiarezza su quei finanzimenti che la procura di Firenze ha aperto un’indagine. In pratica secondo gli inquirenti alcuni finanziatori agiravano le regole pagando parcelle allo stesso avvocato Bianchi, che poi trasferiva i soldi a Open e interveniva con Palazzo Chigi per perorare gli interessi dei clienti- donatori. Parallelamente, altri donatori della fondazione renziana avrebbero finanziato le società di Carrai in Italia e all’estero: il sospetto degli investigatori è che anche quel modo fosse un escamotage per veicolare altri soldi.

La mail – Sospetti legati alle migliaia di atti acquisiti dagli investigatori durante le perquisizioni, il cui contenuto è riassunto negli atti depositati in vista dell’udienza davanti al tribunale di Riesame. In un “fascicolo rosso” trovato nello studio di Bianchi gli investivatori scrivono di aver trovato una “cartellina bianca intestata Sblocca Italia emendam contenente una mail del 25 settembre 2014 inviata dalla segreteria studio Alberto Bianchi e diretta a a.manzione@governo.it avente ad oggetto ‘emendamento’ e come allegato ‘proposta di emendamento dl sblocca Italia‘ e lo schema decreto legge misure urgenti per l’ apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’ emergenza del dissesto idrogeologico per la ripresa delle attività produttive”.

I soldi di Toto e delle sigarette – Un capitolo a parte hanno le comunicazioni tra Bianchi e Lotti. “Particolarmente significativo – scrivono i finanzieri – è l’appunto indirizzato da Bianchi a Lotti, datato 12 settembre 2016; in tale appunto Bianchi riferisce di aver avuto 750K “sulla base dell’ accordo con Toto” e che riceverà 80K “sulla base dell’ accordo con British American Tobacco“; quindi, informa di aver determinato, con l’ aiuto del commercialista il netto di 830K (750 + 80) in euro 400.838, somma che dichiara di aver versato per intero alla Fondazione Open ed al Comitato nazionale per il sì”. Nelle informative della finanza emerge “l’interessamento dell’ onorevole Luca Lotti all’epoca sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri” nella vicenda del contenzioso tra Autostrade e il gruppo Toto. Bianchi assisteva il gruppo Toto e secondo gli investigatori si sarebbe confrontato con Lotti “i primi del mese di gennaio 2016… Avrebbe avuto una riunione e consegnato l’ appunto Toto, riferendogli l’esito di un incontro tenutosi il 5 aprile 2016 in merito alle trattative in corso“. Cioè il contenzioso in quel momento aperto tra il raggruppamento di imprese di cui faceva parte Toto e Autostrade per l’Italia. Secondo gli appunti sequestrati nello studio di Bianchi, l’avvocato voleva anche parlare con l’allora ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio, ma l’incontro non ci fu mai.

La parcella girata alla fondazione – Un interesse sarebbe stato dimostrato anche da Carrai. “Dall’esame della corrispondenza email e degli appunti manoscritti emerge che, ai fini delle trattative con Aspi, I’avvocato Alberto Bianchi si è avvalso di Carrai il quale avrebbe avuto contatti diretti e/o incontri con l’ amministratore delegato di Aspi, Castellucci“. È in questo quadro che Bianchi incassa 750mila euro dal gruppo Toto e ne versa 400mila euro a Open. “Le operazioni di trasferimento di denaro dal gruppo Toto a Bianchi e da Bianchi alla fondazione Open risultano in effetti dissimulare un trasferimento diretto di denaro dal gruppo a Open“, scrivono gli investigatori, specificando che Bianchi “si è interessato a modifiche inerenti il settore delle infrastrutture autostradali“. I pm Luca Turco e Antonino Anastasi spiegano che durante le perquisizioni “è stata rinvenuta documentazione afferente l’intromissione di Bianchi con riguardo a proposte di modifiche normative concernenti il differimento del pagamento dei canoni di concessione autostradale“.

I soldi alle società di Carrai – Sia Bianchi che Lotti erano nel cda di Open, ragione che per gli avvocati giustifica anche queste comunicazioni. Ma i pm vogliono capire se i finanziatori della fondazione che sosteneva Renzi abbiano goduto di eventuali vantaggi legislativi in loro favore dai governi guidati dal segretario del Pd. Già a fine novembre gli investigatori delle Fiamme gialle sono andati a perquisire le società che hanno finanziato la fondazione vicina all’ex premier: dal gruppo titolare di concessioni autostradali all’armatore Onorato fino, appunto, alla British american tobacco. Non sono indagati ma gli inquirenti vogliono “accertare quali siano i rapporti instauratisi tra la fondazione e i soggetti finanziatori”. La Finanza indaga anche sulle società di Carrai in Lussemburgola Wadi Ventures Management e Wadi Ventures Sea . Scrivono gli investigatori: “Va evidenziato come tali iniziative imprenditoriali (sia quelle lussemburghesi che quelle italiane) sono state avviate e portate avanti in concomitanza temporale con le attività della fondazione. Le acquisizioni investigative evidenziano l’ intreccio tra iniziative imprenditoriali e finanziamenti alla Open”. Nel dettaglio: “Wadi Ventures risulta destinataria di somme di denaro provenienti, fra gli altri, da investitori italiani gia finanziatori della Fondazione Open. Le risorse finanziarie appaiono essere state utilizzate per acquisire partecipazioni in società ancora non individuate“.

Il bancomat di Lotti – Poi c’è tutta la questione delle carte bancomat. Nella prima perquisizione del 18 settembre nello studio di Bianchi vengono trovate due buste: sulla prima c’è scritto il nome di Eleonora Chirichetti, che era la segretaria di Lotti e dentro c’è una carta ricaricabile della Banca di Cambiano. Sulla seconda busta è scritto: “Bancomat Luca Lotti reso il 23 febbraio 2017 – Vecchia”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/13/open-le-carte-nelle-mail-di-bianchi-al-governo-renzi-le-richieste-di-emendamenti-graditi-ai-finanziatori-della-fondazione/5613406/

lunedì 2 dicembre 2019

Prestito per villa di Renzi, sotto la lente anche un bonifico di Serra. - Ivan Cimmarusti e Sara Monaci




Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro.

Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro tramite bonifico per comprare la sua villa a Firenze. In particolare, le verifiche si concentrano su una dazione giunta dal finanziere Davide Serra e utilizzata da Renzi, assieme ad altre somme, per saldare quel debito.

Il prestito è stato in effetti restituito dopo quattro mesi. La storia però sembrerebbe più complicata. O meglio, potrebbe avere qualche aspetto ulteriore da approfondire.

Sulla base di una segnalazione di operazione sospetta (Sos) arrivata al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Firenze, al comando del colonnello Luca Levanti, nel 2018 dal nucleo Valutario della Gdf si chiede un approfondimento ulteriore rispetto a una precedente Sos che riguardava proprio la signora Picchioni, nell’ambito di un fascicolo di un caso di bancarotta di un piccolo imprenditore fiorentino.

Si spiega dunque che Picchioni aveva ricevuto un finanziamento da parte di suoi familiari (i figli) per 700mila euro, finalizzato a effettuare un prestito ai coniugi Matteo Renzi e Agnese Landini per l’acquisto di un immobile valutato complessivamente 1,4 milioni di euro. Successivamente, nel giugno 2018, la cifra è stata restituita con un versamento dal conto corrente dei coniugi a favore di Anna Picchioni a titolo di «restituzione prestito».

La provvista per la restituzione del denaro che parte dal conto personale di Renzi, ora sotto la lente degli inquirenti, era di 500mila euro, presso la Bnl (filiale di Roma). Dall’analisi dell’estratto conto emerge che il senatore ha ricevuto 119mila euro da Celebrity speakers e Mind Agency per attività di conferenziere e 454mila euro dalla Arcobaleno 3 srl per la sua attività di personaggio televisivo; il resto dal fondo Algebris Uk, riconducibili a Davide Serra.
L’inchiesta è in una fase preliminare, dunque ancora tutta da verificare. Ruota attorno alla Fondazione Open, l’ente creato nel 2012 e chiuso nel 2018 per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi. Una «articolazione di un partito», secondo l’accusa, che raccoglieva «finanziamenti illeciti alla politica». Ipotesi d’accusa smentita dal leader di Italia Viva, che contro la magistratura fiorentina non nasconde una certa nota polemica. Risultano indagati l’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione, e il presidente di Toscana Aeroporti spa Marco Carrai, ex consigliere di Open assieme al resto del “Giglio magico”, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. L’accusa preliminare è di finanziamento illecito e traffico di influenze.

Stando agli atti investigativi un ruolo decisivo sarebbe stato svolto da Carrai, tanto che nei documenti si legge che «l’indagato ha svolto un ruolo decisivo nel reperimento dei finanziatori e nel raccordo tra gli stessi e gli esponenti politici rappresentati dalla Fondazione». Un sostanziale incarico di “cerniera”, dunque, tra 25 imprenditori e lo stesso Renzi, almeno stando alle ricostruzioni preliminari della magistratura fiorentina. Di fatto, però, si è scoperto che somme di denaro sarebbero finite anche in altre “casseforti”. Negli atti, infatti, si fa riferimento a movimentazioni finanziarie verso Lussemburgo. In particolare «risulta che l’indagato (Carrai, ndr) è tra i soci della società Wadi Ventures Management Company sarl con sede a Lussemburgo il cui unico asset è la società Wadi Ventures sca, anch’essa con sede in Lussemburgo e con oggetto sociale le partecipazioni societarie». Secondo gli investigatori quest’ultima società sarebbe destinataria di «somme provenienti, fra gli altri, da investitori italiani già finanziatori della Fondazione Open».


PER APPROFONDIRE:

giovedì 28 novembre 2019

“Governo Renzi lo nomina in Cassa depositi e prestiti, lui presta a Matteo Renzi 700mila euro usati per comprare la villa a Firenze”.

“Governo Renzi lo nomina in Cassa depositi e prestiti, lui presta a Matteo Renzi 700mila euro usati per comprare la villa a Firenze”

A rivelarlo è l'Espresso che mette in luce alcune anomalie emerse nell'indagine della procura di Firenze sui finanziamenti alla fondazione. Il "prestito", così era la causale del bonifico, è stato fatto a giugno 2018 tramite la madre anziana dell'imprenditore Riccardo Maestrelli.
Un imprenditore nominato dal governo Renzi in Cassa depositi e prestiti Immobiliare Spa e tra i finanziatori della fondazione Open, secondo quanto rivelato da l’Espresso, ha prestato 700mila euro al senatore Matteo Renzi tramite la madre per comprare la villa sulle colline toscane. L’acquisto per un totale di 1,3 milioni di euro risale a giugno 2018, la nomina nella società pubblica di Riccardo Maestrelli al 2015. Poco dopo la pubblicazione dell’articolo, l’ex premier ha fatto una conferenza stampa da Parma durante la quale ha attaccato i pm dicendo che i loro atti sono “un vulnus per la democrazia”. Poi ha annunciato che denuncerà l’Espresso per “rivelazione di segreto bancario” e ha garantito di aver restituito il prestito nel giro di pochi mesi: “Nel 2018 ho ricevuto un importante ritorno economico dalle mie attività: 830mila euro. Nel 2019 saranno più di un milione, sono i miei proventi. Dovendo effettuare un anticipo bancario ho fatto una scrittura privata con un prestito concesso e restituito nel giro di qualche mese, quattro mesi circa”. Interpellato da l’Espresso prima della pubblicazione del pezzo aveva detto “non commento e non smentisco la notizia”.
Della villa in questione si era già parlato al momento dell’acquisto nell’estate 2018: Renzi venne criticato perché poco prima aveva detto di avere solo 15mila euro sul conto. E in quel caso l’ex premier si difese dicendo che aveva semplicemente iniziato un mutuo. E che, concluso l’acquisto, avrebbe rivelato tutte le informazioni. Di quel passaggio però non si era saputo più niente. Oggi l’Espresso scrive che i coniugi Matteo e Agnese, la casa è intestata a entrambi, hanno acquistato la villa con i soldi arrivati dalla famiglia Maestrelli. Come emerge dalle indagini della procura di Firenze sulla fondazione Open, i due coniugi il 12 giugno 2018 hanno fatto un bonifico con la causale “prestito” dal conto corrente di Anna Piccioni, anziana madre dei fratelli Maestrelli per un totale di 700mila euro. I soldi sul conto corrente dell’anziana in Cassa di Risparmio di Firenze arrivano dalla Pida spa, holding fiorentina fondata dal marito e ora gestita dai tre figli e dalla stessa Anna Picchioni. La causa del bonifico è: “Pagamento in conto acquisto 25 partecipazione Mega srl”. Il giorno dopo viene fatto un bonifico di pari importo da quello stesso conto a un altro aperto dal leader di Italia viva presso il Banco di Napoli. Il 13 giugno i coniugi ritirano i fondi chiedendo 4 assegni per 100mila euro ciascuno che sarebbero serviti per pagare la caparra.
Proprio Riccardo Maestrelli era stato nominato dal governo Renzi il 5 maggio 2015 nel cda di Cassa depositi e prestiti Immobiliare Spa. L’imprenditore, come raccontato dal Fatto Quotidiano nel 2016, è proprietario dell’hotel di Forte dei marmi dove l’ex premier fa le vacanze (e ci ha tenuto più volte a specificarlo, sostiene di pagare nonostante l’amicizia). Maestrelli è noto che abbia finanziato la campagna elettorale per le amministrative a Firenze di Matteo Renzi nel 2013. Scrive sempre il settimanale che il marito della Picchioni e padre dell’imprenditore, Egiziano Maestrelli, stando a quanto ricostruito nell’inchiesta su Open, era tra i principali finanziatori della fondazione. Nel marzo 2017 ha donato 150mila euro. A febbraio 2018, dopo la sua morte, dalle srl controllate dai figli partono tre bonifici per un totale di 150mila euro.