sabato 23 maggio 2020

Coronavirus, diretta: in Svezia mortalità alle stelle, Finlandia verso chiusura delle frontiere. (20.5.2020)

Coronavirus, diretta: in Svezia mortalità alle stelle, Finlandia verso chiusura delle frontiere

Altre quaranta persone sono morte in Svezia a causa del coronavirus portando il numero totale delle vittime nell'unico Paese al mondo che non ha imposto misure di lockdown a 3.871. Il dato di oggi è comunque il più basso da metà aprile. Secondo l'aggiornamento dell'Istituto della Sanità svedese, ci sono inoltre 649 nuovi casi di Covid-19, per un totale di 32.172. Il numero dei contagi in Svezia non è in calo come invece quello delle vittime.
Non è ancora una decisione ufficiale ma il governo della Finlandia potrebbe vietare quest'estate l'ingresso nel Paese ai turisti svedesi nell'ambito delle misure di contenimento del coronavirus. Per il capo dell'Istituto della Sanità finlandese, Mika Salminen, «la differenza» tra i due Paesi «nella diffusione del virus è un fatto». La Svezia, ha sottolineato l'epidemiologo seguendo quanto riportato dal Guardian, ha più casi di tutti i suoi vicini messi insieme e «di questo dovrà tenere conto il governo quando dovrà prendere una decisione».
Centoseimila contagi di coronavirus in un giorno nel mondo. «Nelle ultime 24 ore sono stati riportati all' Oms 106.000 nuovi casi di coronavirus, il numero più alto in un giorno da quando è iniziata la pandemia. Quasi due terzi di questi sono stati registrati in solo quattro Paesi». Lo ha detto il direttore dell' Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus​, nel consueto briefing sul Covid-19 ribadendo che «la strada è ancora lunga».
«Non è stato ancora provato che l'idrossiclorochina sia efficace contro il coronavirus. Ci sono invece diversi studi che mettono in guardia sugli effetti collaterali». Lo ha detto il dottor Mike Ryan dell' Oms nel consueto briefing sul Covid-19. Ryan ha tuttavia sottolineato che le autorità sanitarie di ciascun Paese sono libere di scegliere i farmaci da usare nella terapia contro il virus.
Brasile, boom di morti. Il numero di morti per coronavirus in Brasile è cresciuto del 120% in due settimane, con un forte aumento dei casi soprattutto nello Stato di Rio de Janeiro e nelle province della regione amazzonica. A Rio il numero dei decessi per Covid-19 è passato da 1.205 registrati il 6 maggio a 3.237 di ieri, con un aumento del 270%, secondo un rapporto del portale di notizie Uol. San Paolo e Rio, entrambi nella regione sud-orientale, restano gli Stati più colpiti dalla malattia.
Svezia, tasso mortalità più alto del mondo. La Svezia è il paese con il più alto tasso di mortalità pro capite per coronavirus nel mondo: ha superato la Gran Bretagna, l'Italia e il Belgio. Lo riferisce il Daily Telegraph online citando i dati raccolti dal sito web Our World in Data, secondo cui la Svezia ha avuto 6,08 decessi per milione di abitanti al giorno su una media mobile di sette giorni tra il 13 maggio e il 20 maggio. Questo, secondo la stessa fonte, è il più alto del mondo, al di sopra del Regno Unito, del Belgio e degli Stati Uniti, che hanno rispettivamente 5,57, 4,28 e 4,11. Intanto Standard Ethics boccia l'approccio sanitario della Svezia al coronavirus, declassando il rating a «EEE-» dal precedente «EEE», il voto massimo. Durante la prima fase della pandemia da Covid-19, «la politica sanitaria svedese non è stata conforme a quanto consigliato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità», sottolinea l'agenzia di valutazione etica. È opinione degli analisti di Standard Ethics che ciò abbia prodotto rischi aggiuntivi alla popolazione svedese ed europea. La maggior parte delle aziende, dei ristoranti, dei bar e delle scuole è rimasta aperte, anche se alla fine di marzo sono stati proibiti incontri di oltre 50 persone. L'obiettivo per le autorità svedesi è quello di arrivare all'immunità di gregge.

Conte: "La risposta dello Stato sarà forte, il piano delle mafie fallirà".

Strage Capaci, Mattarella: «La mafia ignorò la forza dell'esempio di Falcone e Borsellino»

Maria Falcone: sostenere le giovani menti. 

"Adesso più che mai dobbiamo vigilare. Le mafie si nutrono delle difficoltà dei cittadini. Di fronte alla pandemia che sta danneggiando il tessuto occupazionale, il sistema produttivo, la risposta dello Stato deve essere forte, rapida e incisiva". Lo scrive su Fb il premier Giuseppe Conte nell'anniversario della strage di Capaci. "Gli uomini e alle donne facendo il loro dovere, con amore e dedizione, ogni giorno ci dimostrano che l'Italia è un grande Paese e ci rafforzano nella convinzione che il "piano" delle mafie è destinato a fallire", aggiunge.
Lo Voi: Falcone e Borsellino unici poi solo imitatori - Giovanni Falcone e Paolo Borsellino "sono stati unici" e "magistrati come loro purtroppo non ce ne sono stati più e non ce ne sono adesso. C'è stato forse qualche imitatore, sicuramente in buona fede ma non sono gli originali. Gli imitatori fanno ridere, a volte". Così il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, intervenendo alla Conferenza dei rettori siciliani che ha organizzato l'evento in streaming, per ricordare la strage di Capaci e le vittime di mafia.
Il messaggio di Mattarella - "La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell'ombra. Le figure di Falcone e Borsellino, come di tanti altri servitori dello Stato caduti nella lotta al crimine organizzato, hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell'impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre". L'ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel 28/o anniversario della strage di Capaci.
 "I mafiosi non avevano previsto - aggiunge Mattarella - che l'insegnamento di Falcone e di Borsellino, il loro esempio, i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi". 
 Nel videomessaggio ai giovani delle scuole del progetto 'La nave della legalità', Mattarella ha detto che devono essere "fieri" dell'esempio di Falcone e Borsellino e di ricordarlo sempre.
Deposta una corona di alloro sul luogo dell'eccidio  - Il prefetto di Palermo Giuseppe Forlani, il questore di Palermo Renato Cortese, Maria Falcone, sorella del giudice e Tina Montinari, la vedova del caposcorta del giudice, il comandante provinciale dei carabinieri Arturo Guarino e il comandante provinciale della Guardia di finanza Antonio Quintavalle hanno deposto una corona sul luogo della strage di Capaci.

A causa dell'emergenza coronavirus, quest'anno non ci saranno manifestazioni e la fondazione intitolata al magistrato ha proposto di esporre un lenzuolo bianco ai balconi.
Sarà celebrata una messa nella chiesa di San Domenico, dove è sepolto Falcone, e alle 17.58 - ora della strage - un minuto di silenzio davanti all'albero Falcone, in via Notarbartolo.
Maria Falcone: sostenere le giovani menti - "La cosa più bella è il movimento che parte dalla base giovanile dell'Università, la loro voglia di portare avanti i valori di Giovanni, Paolo e Francesca dobbiamo agevolarla. Noi tutti adulti dobbiamo continuare ad aiutare i giovani, da anni come Fondazione incoraggiamo i ragazzi. Dobbiamo approfittare delle potenzialità delle giovani mente, Giovanni diceva per vincere la mafia non basta la repressione". Così Maria Falcone intervenendo alla Conferenza dei rettori in streaming, organizzata per ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, gli agenti della scorta e tutte le vittime della mafia.
La polizia: il coraggio della scorta sia guida per giovani - "La polizia sulle note del Silenzio, nel sacrario dei caduti ricorda con commozione e orgoglio gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina che, insieme ai giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino, 28 anni fa sono stati trucidati dalla barbarie mafiosa. Tanto è stato fatto ma ancora molto resta da fare. È un dovere far vivere ogni giorno quel patrimonio di valori di legalità e giustizia che quei servitori della Stato, pagandolo con il sangue, ci hanno lasciato in eredità. Il loro coraggio e la loro forza d'animo possano fungere da guida per le giovani generazioni". E' quanto si legge in una nota della polizia. 
Azzolina, la scuola è baluardo di legalità - "Lo Stato c'è, la scuola c'è. La scuola è stata offesa recentemente da due episodi a Napoli e Palermo, nei quartiere difficili dove sono stati rubati anche tablet e pc degli studenti disabili. Voglio dire a tutti che chi offende la scuola, offende lo Stato e lo Stato c'è per combattere la mafia, per dare delle risposte perché la scuola è baluardo della legalità e lo sarà sempre". L'ha detto la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina durante #PalermoChiamaItalia, l'iniziativa in ricordo delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio.

Autostrade e la beffa agli italiani. - Gaetano Pedullà

Genova Morandi

Il Gruppo che ha incassato miliardi grazie a una concessione pubblica delle autostrade ancora oggi inspiegabilmente vantaggiosa fa causa allo Stato perché la pacchia è finita. Un epilogo inevitabile, perché la vecchia politica non gli ha consegnato soltanto le chiavi di un patrimonio che appartiene a noi tutti, ma ha permesso di blindare legalmente il contratto. Così l’esito dello scontro finale tra Atlantia, la holding controllata dai Benetton, e il Governo è del tutto imprevedibile, e per i cittadini c’è il rischio di trovarsi dopo il danno pure la beffa.
La storia di partenza è nota. Dopo il crollo del ponte Morandi di Genova l’Esecutivo e in particolar modo i 5 Stelle dissero basta alla svendita della nostra rete viaria, sulla quale Autostrade per l’Italia porta a casa enormi utili mentre all’Erario restano briciole. Nel mirino c’era quella che appare una palese violazione contrattuale, e cioè la carenza delle manutenzioni. La risposta fu prima prepotente, minacciando cause e preventivando un risarcimento di oltre 20 miliardi, poi diventò mercantile, come si usava nella Prima Repubblica, quando in qualche modo ci si metteva tutti d’accordo e a pagare il conto restava lo Stato. Perciò si è preso per il naso l’intero Paese facendo finta di voler partecipare al salvataggio dell’Alitalia.
Uno scambio che i 5S nei ministeri competenti non hanno preso in considerazione, costringendo il concessionario a cambiare nuovamente strategia, creando l’incidente con cui tornare alle vie legali. Un’occasione arrivata con il Covid. Esattamente come la Fiat e decine di altri colossi industriali, anche rifugiati all’estero, Autostrade ha chiesto allo Stato di garantirle enormi prestiti bancari. Un’assurdità visto che questi soldi servono a migliaia di piccole imprese, al turismo, alla rete dei commercianti che non ha mai drenato miliardi pubblici e ora rischia di non risollevarsi dopo la pandemia.
Il logico rifiuto del Governo era però il pretesto che mancava, e adesso Atlantia minaccia di annullare gli investimenti previsti e di far causa per essere stata discriminata. Una mossa che spiega perché i 5S ci hanno dovuto mettere tanto per revocare la concessione e perché quest’ultimo epilogo resta tutt’altro che scontato.

Autostrade, Atlantia ricatta il governo per avere garanzie statali: “Senza prestito stop a 14,5 miliardi di investimenti. Pronti alle vie legali”. - Andrea Tundo

Autostrade, Atlantia ricatta il governo per avere garanzie statali: “Senza prestito stop a 14,5 miliardi di investimenti. Pronti alle vie legali”

La società dei Benetton ha convocato un consiglio di amministrazione straordinario per analizzare la situazione di Autostrade e la presa di posizione al termine della riunione è netta: "Incertezza sulla revoca e decreto Milleproproghe hanno provocato gravi danni al gruppo". Quindi l'avviso al governo, dopo il "no grazie" di Stefano Buffagni alle indiscrezioni sulla garanzia da 1,2 miliardi: "Mandato ai legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società".
Congelamento dei 14,5 miliardi di investimenti, a parte 900 milioni per la sicurezza, e l’avviso di essere pronta a fare causa allo Stato. E ancora: un duro attacco alla norma del decreto Milleproroghe che ‘cancella’ le penali da versare ai concessionari in caso di revoca per inadempimento e al viceministro Stefano Buffagni che ha anticipato un “no grazie” alla richiesta della garanzia statale su un prestito da 1,2 miliardi di euro per sostenere i conti nel pieno dell’emergenza coronavirus. La holding Atlantia, controllata dai Benetton e ‘padrona’ di Autostrade, prepara il terreno per un nuovo scontro frontale con il governo nella battaglia aperta dal crollo del ponte Morandi il 14 agosto 2018. A leggere tra le righe del comunicato, nel quale si parla di “gravi danni” e si lascia intravedere la crisi di liquidità, l’ultimo ricatto è proprio sulla garanzia statale miliardaria visto il crollo del traffico a causa del Covid-19: in caso di no, verranno cancellati gli investimenti. Non solo: la società annuncia anche un’imminente azione legale per tutelarsi.
La netta presa di posizione è maturata nel corso di un consiglio di amministrazione straordinario convocata per analizzare la situazione di Autostrade. Si parte criticando la mancanza di risposte “alla proposta formale inviata” da Autostrade al ministero delle Infrastrutture e Trasporti lo scorso 5 marzo, “al fine di trovare una soluzione condivisa relativamente al procedimento di contestazione in corso ormai da quasi due anni”. Insomma la holding dice di aver teso la mano all’alba dell’emergenza Covid-19 e di restare in una “situazione di incertezza” pur “avendo autorevoli esponenti dell’esecutivo manifestato pubblicamente, fin dallo scorso febbraio, la propria disponibilità a valutare le proposte” che ammontano appunto a 14,5 miliardi di investimenti, compresi 2,9 come compensazione per il Morandi, una riduzione delle tariffe per i pendolari e la ricostruzione del ponte. Nel frattempo, attacca ancora Atlantia, la ministra Paola De Micheli ha “dichiarato l’avvenuta conclusione dell’analisi del dossier” che potrebbe portare alla revoca della concessione.
I due anni di battaglia, l’incertezza sulla revoca e le mosse propedeutiche del governo, è la lettura di Autostrade, hanno “determinato gravi danni all’intero gruppo” e generato “preoccupazione sul mercato e a tutti gli stakeholder”. Ad infastidire Atlantia, che vorrebbe la seconda più alta maxi-garanzia dopo i 6,3 miliardi chiesti da Fca, è in particolare l’articolo 35 del decreto Milleproroghe che ha eliminato le penali da versare ai concessionari in caso di revoca per inadempimento, caso in cui potrebbe rientrare il crollo del ponte Morandi e quanto sta emergendo dalle inchieste della procura di Genova: quelle modifiche, secondo la holding dei Benetton, hanno finito per stravolgere “il quadro di riferimento” per gli investitori e le banche e “hanno determinato il downgrade del rating” da parte di Moody’s lo scorso 3 gennaio.
E quindi è diventato, scrive Atlantia, “particolarmente difficile l’accesso ai mercati finanziari” e si è generata una “grave tensione finanziaria” che è stata “aggravata anche dai pesanti effetti della pandemia”. Di fronte ai quali, sostiene ancora la holding che controlla Autostrade, Cassa Depositi e Prestiti ha rifiutato anche a “inizio aprile” una linea di finanziamento da 200 milioni “anche in ragione” del Milleproroghe nonostante fosse stata “definita” già nel 2017 e restino “ad oggi inutilizzati 1,3 miliardi di euro”.
Il traffico sulla rete gestito da Autostrade, nel periodo di lockdown, continua Atlantia, “ha subìto un tracollo con punte massime dell’80%, generando una perdita di ricavi stimata in oltre 1 miliardo di euro per il solo 2020″. E, insomma, è il ragionamento in questo scenario il prestito garantito è essenziale per non dover tagliare posti di lavoro. Di fronte alle indiscrezioni, il viceministro allo Sviluppo Economico, Stefano Buffagni, aveva già detto “no grazie”. E la holding lo attacca bollando la sua risposta come “contrastante” con lo spirito del decreto Rilancio e “basate piuttosto su valutazioni e criteri di natura ampiamente discrezionale e soggettiva”.
“Tutto ciò causa danni per Atlantia e le sue controllate. Per cui diventa impossibile per la società – che deve tutelare 31.000 dipendenti di cui 13.500 in Italia oltre all’indotto, rispondere ai propri creditori, bondholders e alle proprie controparti commerciali, oltre che a più di 40.000 azionisti nazionali e internazionali – non valutare di intraprendere azioni a tutela dei propri interessi”, è l’avviso del consiglio di amministrazione di Atlantia che ha quindi deciso lo stop agli investimenti, salvo 900 milioni per “garantire manutenzioni e investimenti per la sicurezza” della rete e ha dato mandato “ai propri legali di valutare tutte le iniziative necessarie per la tutela della società e del gruppo, visti i gravi danni”.
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Tre milioni della Lega usati per saziare la Bestia. L’Espresso annuncia un’inchiesta in cui ricostruisce la rete di bonifici e versamenti alle campagne social. - Ginevra Landi

Morisi Salvini

Il punto di partenza della nuova inchiesta de L’Espresso è sempre il solito: i 49 milioni di euro di finanziamenti pubblici non dovuti che la Lega sta restituendo allo Stato italiano. Ma emergono nuovi particolari: a finire nel mirino stavolta è la famigerata (e in questo periodo sofferente) “Bestia”, la macchina della propaganda social salviniana creata dal fedelissimo Luca Morisi (al centro nella foto) e nel cui staff figura anche Leonardo Foa, il figlio del presidente Rai indicato dalla Lega di Matteo Salvini. Il settimanale ha infatti scoperto che il Carroccio ha girato oltre tre milioni di euro in tre anni alla società SistemaIntranet di Morisi, ad alcune srl legate allo stesso Carroccio e alla cooperativa proprietaria della radio del partito, Radio Padania.
I denari provengono dai sostenitori privati, dal 2 per mille delle dichiarazioni dei redditi dei simpatizzanti, e dai soldi pubblici destinati ai gruppi parlamentari della Camera e del Senato. Un flusso di denaro che ha destato più di qualche sospetto, tanto da finire nel radar dell’Unità informazione finanziaria di Bankitalia, un’Autorità nazionale indipendente con funzioni di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, istituita nel 2007. A partire dai documenti in possesso di quest’ultima, L’Espresso ha ricostruito una rete legata a bonifici e a versamenti che porterebbero tutti nella direzione della propaganda social del Capitano. Che non sembra più essere così efficace (perdita costante di follower e interazioni) ma che ha evidentemente ancora costi altissimi.

Di tutta l'erba un fascio. - Massimo Erbetti

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In questi giorni sono trapelate dalla stampa, delle conversazioni whatsapp, tra magistrati in merito al caso Palamara.
Alcune conversazioni riguardano giudizi sul caso "Diciotti":
”Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga. E non capisco cosa c’entri la Procura di Agrigento”.

”Hai ragione. Ma adesso bisogna attaccarlo”.
“Tutti la pensano come lui”, ”tutti pensano” che abbia ”fatto benissimo a bloccare i migranti”. ”Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili”. Cosa si evince da queste conversazioni? A cosa fanno pensare? Beh a parte il fatto che nessuno dei magistrati coinvolti nelle intercettazioni entra nel merito dei fatti e tutti danno giudizi personali, la cosa strana è che in quelle intercettazioni non c'è un solo giudizio tecnico della questione, ma parlano come se a preoccuparli fosse l'opinione pubblica..."Tutti la pensano come lui..." e allora? Se "tutti" pensano che una cosa sia giusta, è lecito farla? E poi sarebbe interessante capire chi sono quei "tutti"...la legge ha delle regole e non dovrebbe farsi influenzare dall'opinione pubblica, altrimenti si aprirebbe la strada a processi sommari, un po alla Ponzio Pilato..."volete che liberi Barabba o Gesù?"
Le intercettazioni poi proseguono con altri temi e non riguardano affatto il Ministro dell'interno di allora:
“Ha uno specifico interesse per presidente sezione Viterbo”.

“Ti manderà sms direttamente perché ha sciolto le sue perplessità… preferiva Roma, ma se a Roma non c’è possibilità meglio puntare su Viterbo”.
"Ho visto Eugenio (Turco n.d.r.) l’altro giorno e considerami al suo fianco”.
“Luca cerca di chiudere tu le cose prima di andartene”.
“Mi raccomando per tutto, anche Viterbo”.
“Non fare scherzi […] Mi sto battendo per nostro amico con molta esposizione… manteniamo le parole per favore ingiustizie non tollerabili… porta a casa anche Eugenio”. “Eugenio già fatto: 5 a 1”.
È lecito "sponsorizzare" così qualcuno? Beh non so se lo sia in termini di legge, ma sicuramente a livello morale, non credo lo sia molto.
Le domande che però dovremmo porci, rispetto a queste intercettazioni, secondo me sono altre: sono coinvolti i magistrati che hanno indagato il ministro dell'interno? No. E allora perché l'ex ministro ha paura, o vuol far credere di aver paura che non sia sottoposto ad un equo processo? Non è che per caso queste intercettazioni servono a screditare l'intera magistratura, proprio in vista di quel processo? Se un carabiniere, un poliziotto o qualunque altro membro delle forze dell'ordine è un delinquente, significa che tutta l'arma lo sia? Se così fosse, potremmo allora dire che tutti gli italiani sono corrotti, mafiosi e delinquenti, no?
La pubblicazione di queste chat, secondo me ha il preciso scopo di fare di tutta l'erba un fascio...tutti i magistrati sono dei "poco di buono" e il processo che si terrà, sarà solo un processo politico e non un equo processo... ricordate che in politica, mai nulla avviene per caso e screditare l'avversario è il metodo più usato dalla notte dei tempi...

La Palamarata. - Marco Travaglio


Palamara: «Mai presi 40.000 euro, non sono un corrotto ...
Palamara, Ferri, Lotti
Quello che pensiamo dell’inchiesta sul pm romano Luca Palamara, ex capocorrente di Unicost, che ha scoperchiato il vaso di Pandora del mega-scandalo del Csm e del Risiko delle Procure, l’abbiamo scritto un anno fa quando vennero fuori le prime conversazioni intercettate (anche col trojan horse) dalla Procura di Perugia: più che a un’indagine sulle presunte corruzioni del potentissimo magistrato romano, nel frattempo ridimensionate dagli stessi pm umbri, l’operazione faceva pensare a una gigantesca pesca a strascico per sventare la nomina a capo della Procura di Roma del Pg di Firenze Marcello Viola, sgradito al procuratore uscente Giuseppe Pignatone, che invece preferiva l’amico Francesco Lo Voi, attuale procuratore di Palermo. Le intercettazioni scoperchiarono un verminaio di spartizioni, maldicenze, dossieraggi, delazioni, imboscate, traffici di favori e influenze, simonie, complotti politici e correntizi per mandare (ma soprattutto per non mandare) tizio o caio nei posti chiave. Anche la Procura della Capitale, che vale molto più di un ministero, era oggetto di una guerra per bande: da un lato gli amici di Pignatone che spingevano per il suo fedelissimo Lo Voi, dall’altro gli amici di Palamara e dei parlamentari renziani Lotti e Ferri (quest’ultimo ex capo di MI) che spingevano per il “discontinuo” Viola. Il quale fu il più votato dalla commissione Incarichi direttivi del Csm e avrebbe prevalso nel voto finale al Plenum.
Ma a quel voto non si giunse mai perché, previo intervento del Quirinale, senza che su Viola emergesse nulla di men che corretto, si decise di azzerare tutto e di rivotare da capo. Così prevalse Michele Prestipino, braccio destro di Pignatone a Palermo, a Reggio Calabria e a Roma. E l’indagine, che sulle presunte corruzioni di Palamara non è ancora approdata neppure al processo, ha già sortito l’effetto che qualcuno sperava: garantire a Pignatone una morbida successione in totale “continuità” con la sua, premiando e coprendo errori, omissioni e fiaschi. Anche perché un anno fa, dal maremagno delle conversazioni intercettate, ne furono selezionate e trasmesse al Csm soltanto alcune: quelle funzionali al giro vincente. Solo ora, dopo il deposito integrale degli atti, saltano fuori anche quelle sfavorevoli. Ma i giornaloni – incassato il procuratore di Roma che sognavano con i loro editori – si guardano bene dal pubblicarle. Lo fanno il Fatto e la Verità, in beata solitudine. Ne vien fuori una magistratura associata che, salvo rare eccezioni, si comporta come le peggiori lobby (per non dire cosche).
E naturalmente prende di mira i pochi cani sciolti che si ostinano a non guardare in faccia nessuno: Woodcock, Di Matteo, Scarpinato e pochi altri. L’unica corrente che (almeno finora) ne esce benino è Autonomia e Indipendenza, fondata da Davigo e rappresentata al Csm anche da Ardita e Di Matteo. Per il resto, da quelle di destra a quelle di sinistra, è un museo degli orrori generale che completa il quadro parziale emerso un anno fa. Con una differenza: nel 2019 si dimisero il Pg della Cassazione e altri cinque membri del Csm; ora non si dimette nessuno, a parte il capo di gabinetto di Bonafede. E forse è inevitabile che sia così: se dovessero finire sotto procedimento disciplinare e/o lasciare i propri incarichi tutte le toghe “apicali” intercettate a dire o a fare qualcosa di men che commendevole, si creerebbe il deserto negli uffici giudiziari di mezza Italia. Le metastasi correntizie e carrieristiche sono ormai così ramificate che nemmeno il bisturi può stroncare il cancro. Fermo restando che chi ha commesso illeciti deontologici o penali deve finire dinanzi al Csm o in tribunale, urgono almeno sei riforme draconiane che chiudano al più presto la piaga purulenta e facciano sì che non si riapra mai più.
1) Smantellare la controriforma Castelli-Mastella del 2007 che accentrava (“verticalizzava”) tutti i poteri nelle mani dei procuratori capi e restituisca ai singoli pm quel potere “diffuso” che è garanzia di pluralismo e rende molto più difficile insabbiare indagini scomode. 
2) Frenare gli appetiti carrieristici delle toghe abolendo la rotazione dei capi degli uffici dopo tot anni (chi fa bene resti anche a vita, chi fa male sia cacciato dal Csm perché è incapace, non perché è “scaduto”). 
3) Sistema misto fra sorteggio ed elezione per la scelta dei membri togati del Csm (proposto da Bonafede, ma poi archiviato su richiesta di Pd e Anm), per lasciare al caso almeno la selezione dei candidati, fra i quali poi i magistrati eleggeranno i propri rappresentanti. 
4) Divieto d’accesso alla quota “laica” del Csm per chi ha avuto ruoli politici (tipo Casellati ed Ermini). 
5) Divieto per le toghe che hanno svolto incarichi extra di nomina politica di dirigere uffici giudiziari per almeno 5 anni (Raffaele Cantone, ottima persona, fu scelto da Renzi all’Anac: ora è meglio che non diventi procuratore di Perugia, competente sui reati dei colleghi romani). 
6) Abolire il divieto di pubblicazione testuale degli atti d’indagine anche coperti da segreto, almeno su personaggi pubblici. Così la libera stampa potrà raccontare tutto senza censure. Ove mai esistesse.