venerdì 23 agosto 2019

Mutande di ghisa. - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 23 Agosto

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono

Che il Pd non fosse un partito, ma un manicomio, era noto, anche se dopo un anno passato a parlare di Salvini molti l’avevano dimenticato. Ora però è bastato che i riflettori tornassero a illuminarlo per rammentarlo anche ai più distratti. Basti pensare che per due anni nessuno in quel partito osava aprire il benché minimo spiraglio ai 5Stelle, per paura di essere fucilato sui social da Renzi&renzini: gli stessi che adesso fulminano chiunque rifiuti di spalancare le porte ai 5Stelle. Perciò non vorremmo essere nei panni di Di Maio che, dopo mesi di sevizie salviniane, ora rischia la labirintite all’inseguimento delle varie correnti pidine. Né in quelli di Mattarella, al cui cospetto ieri Zingaretti e Delrio sono riusciti a dire l’uno il contrario dell’altro. Trattare col Pd è come trattare con la Libia: fai l’accordo con Al Sarraj, poi scopri che non controlla neppure la scala del palazzo presidenziale perché quella è presidiata da Haftar, però il tetto è occupato dalla milizia di Misurata, peraltro assediata dal capotribù dei Warfalla, diversamente dalle cantine contese dai clan Gadadfa e Magharba. Così uno o se li compra tutti, o si spara.

Ieri Di Maio ha illustrato i suoi 10 punti, un po’ più precisi dei 5 di Zingaretti. Belli o brutti, sono molto più di sinistra del Pd e non nascondono veti. Invece il buon Zinga, dopo aver sciorinato il programma esistenziale di Miss Italia (manca solo la pace nel mondo), ha fatto trapelare il veto su Conte premier e attaccato il taglio dei parlamentari: due dita negli occhi del promesso sposo, che notoriamente vuole anzitutto Conte premier e meno casta. E infatti Renzi, che ha costretto il Pd alla giravolta, accetta sia Conte sia il taglio. Ora, delle due l’una: o Zinga vuol far saltare la trattativa per andare alle elezioni e garantirsi un bel quinquennio di opposizione parolaia a Salvini con gruppi parlamentari di fiducia, e allora la scelta di stracciare le due bandiere M5S ha un senso; oppure pensa che in un governo che nasce nello spirito del proporzionale debba comandare chi ha 163 parlamentari su chi ne ha 339, e allora ha sbagliato i suoi calcoli. Se mai Di Maio e “i Pd” si incontreranno, si capirà se i veti sono roba seria o le solite fumisterie politichesi. Ma al posto di Di Maio ci muniremmo di mutande di ghisa e cammineremmo rasente ai muri. Se il M5S non vuol proprio suicidarsi, fra un governo modello Libia e il voto subito, ha molto meno da perdere dalla seconda opzione. L’occasione d’oro di sfidare un Salvini in stato così comatoso e confusionale (ora vuole un governo uguale a quello che ha appena affossato), magari con Conte candidato premier, non durerà in eterno.