mercoledì 10 novembre 2021

“Diffusione illegale” Ma il conto è agli atti e non è più segreto. - Valeria Pacelli

 

“Hanno messo online il mio conto corrente, violando Costituzione e leggi. (…) Hanno captato comunicazioni e intercettazioni con un metodo che è stato contestato persino dalla Cassazione” e ora “mi aspetta una lunga battaglia in sede civile e penale per ottenere il risarcimento che merito. (…) Non ho nulla da temere e anzi la pubblicazione incivile di questi documenti non fa che confermare la mia trasparenza e correttezza”. La “pubblicazione incivile”, a detta di Matteo Renzi, sarebbe quella di ieri del Fatto Quotidiano. In esclusiva abbiamo rivelato i dettagli degli introiti del leader di Italia Viva nel periodo che va dal giugno 2018 al marzo 2020. L’estratto del conto corrente dell’ex premier non è un documento che Il Fatto ha trafugato chissà dove. Bensì è oggetto di un’informativa della Guardia di Finanza depositata dalla Procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Open e che vede Renzi indagato per altri fatti per concorso in finanziamento illecito. Qualche settimana fa, la Procura ha chiuso l’indagine, di conseguenza sono stati depositati tutti gli atti, che a questo punto non sono più riservati e possono essere utilizzati nell’ambito della cronaca giudiziaria. L’informativa della Gdf del 10 giugno 2020 contiene anche l’estratto del conto intestato a Renzi. Gli incassi dell’ex premier non sono oggetto di indagine. Dall’informativa però si scoprono i dettagli (alcuni finora inediti) dell’attività di speaker del senatore, attività che Renzi ha ribadito più volte essere legittima. Scrivono le Fiamme Gialle: “Tra gli allegati alla segnalazione per operazioni sospette, risulta accluso l’estratto, dal 14 giugno 2018 al 13 marzo 2020, del conto corrente (…) Bnl – filiale Senato Roma, intestato a Matteo Renzi”. E aggiungono: “Dalla disamina dell’estratto conto si rilevano: in avere per complessivi 2.644.142,48 euro”. Degli incassi complessivi nel periodo 2018-2020 vengono fuori pagamenti per gli speech come i 43.807 euro versati dal ministero delle Finanze dell’Arabia Saudita o i 19.032 euro pagati dalla 21 Investmenti Sgr “private equity di Alessandro Benetton”.

Ieri l’ufficio stampa di Renzi ha fatto anche sapere che il senatore “ha dato mandato ai propri legali di agire in tutte le sedi istituzionali per verificare la correttezza delle acquisizioni e delle pubblicazioni”. Sulla questione delle comunicazioni di Renzi, la Giunta per le immunità parlamentari è stata già incaricata di esprimere un parere. A investire il Senato sull’utilizzazione da parte dei pm di email e messaggi è stato lo stesso Renzi, il quale ha scritto per due volte alla Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, che il 12 ottobre ha deferito alla Giunta la questione. In sostanza per l’ex premier da parte della Procura di Firenze vi è stata una violazione dell’articolo 68 della Costituzione che prevede che per le captazioni e tutte le altre operazioni di indagine che riguardano i parlamentari sarebbe stato necessario chiedere, in via preventiva, l’autorizzazione alle Camere di appartenenza. In realtà le comunicazioni di Renzi depositate agli atti non sono dirette: si tratta di conversazioni con altri indagati, non soggetti alle guarentigie parlamentari.

Mentre l’ex premier annuncia battaglia, su Twitter Teresa Bellanova addirittura teme per la democrazia: “Pubblicare l’estratto del conto di un senatore e farlo avendo nelle mani intercettazioni non penalmente rilevanti uscite da palazzi della Procura, è un fatto che democraticamente dovrebbe allarmare tutti”. Mentre per Marco Di Maio, vicepresidente del gruppo di Iv alla Camera, “è contro la Costituzione che un quotidiano pubblichi l’estratto conto privato di un cittadino”. Ieri abbiamo sfogliato a lungo la Costituzione e il codice penale: non abbiamo ancora trovato l’articolo che avremmo violato pubblicando atti depositati.


https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/11/07/diffusione-illegale-ma-il-conto-e-agli-atti-e-non-e-piu-segreto/6382882/

Renzi denunciava profili fake e bufale, mentre la sua Bestia creava “account falsi” e pagava 260mila dollari per un software israeliano in grado di influenzare il voto. - Pierluigi G. Cardone e Giuseppe Pipitone

 

L'INCHIESTA - Nelle carte della Procura di Firenze decine di mail, interrogatori e chat delineano la struttura che spingeva l’ex premier sui social, con l’uso degli stessi trucchi che l’ex Rottamatore diceva di combattere.

“Non perdete tempo e partite. Altro che privacy. I nomi li sappiamo. Dai!”. È il 20 settembre del 2016 e al referendum costituzionale mancano ormai poco più di due mesi. Matteo Renzi impugna il suo telefono e risponde a una mail ricevuta da Fabio Pammolli, docente universitario e consulente del suo governo. Il messaggio di posta fa il punto sulle attività in corso sui social network. Tra le altre cose Pammolli spiega che in quel momento avevano la possibilità di interagire con un’ottantina di pagine facebook per un totale di 20 milioni di contatti, che avevano delineato una strategia basata su messaggi veicolati da persone non associabili alla campagna per il Sì (cita pure gestori di pagine come “calciatori brutti” e “mamme stressate”) e che avevano ottimizzato una lista di attivisti, stabilendo chi doveva essere amico di chi altro. Qui però il renziano chiede al capo un via libera preliminare: il timore, spiega, è che vedendosi inoltrare continui suggerimenti di amicizia qualcuno prima o poi avrebbe potuto lamentare una violazione della propria privacy. È a quel punto che Renzi risponde secco: “Altro che privacy”. C’è anche questo agli atti dell’inchiesta della procura di Firenze sulla fondazione Open. Decine di informative lunghe migliaia di pagine, elaborate sulla base delle mail e delle chat sequestrate agli indagati, che documentano come sia esistita una struttura organizzata e coordinata per il sostegno e la propaganda di Renzi sul web.

La Bestia del Giglio magico – Il team somiglia molto alla nota Bestia leghista creata da Luca Morisi. Alla versione renziana lavorano quasi sempre gli stessi personaggi, molto vicini all’ex segretario del Pd sin dai tempi di Palazzo Chigi: oltre a Pammolli, Marco Carrai e il suo socio Giampaolo Moscati, poi ci saranno anche la giornalista Simona Ercolani, il marito Fabrizio Rondolino, il responsabile della sicurezza informatica Andrea Stroppa. Questo gruppo userà anche complessi – e costosi – software, come Tracx e Voyager analitics della società di diritto israeliano Bionic Ltd. A procurarli è Carrai, l’imprenditore da sempre molto vicino a Renzi. A cosa servono? Permettono di misurare il sentiment sui social, determinare chi sono gli utenti più seguiti su certi argomenti e individuare gli account fake. Secondo Carrai serviranno per “monitorare e influenzare la campagna”, visto che riescono a trovare per ogni singola persona il gruppo di riferimento, cosa pensa, chi la influenza e come. Il costo? Molto alto: Voyager è stato pagato 260mila dollariTracx invece 60mila euro. Cifre che provocano la reazione anche di Alberto Bianchi, presidente di Open, preoccupato per l’eccessivo esborso. Quei soldi, infatti, arrivano quasi tutti dalla fondazione, così come da Open arrivavano i fondi per stipendiare il gruppo che spingeva la figura di Renzi sui social. Ecco perché per gli inquirenti questa storia è molto interessante: secondo l’accusa dimostra che Open si comportava come una vera articolazione del partito. Val la pena sottolineare che quanto tratteggiato in questi atti non è penalmente rilevante e che nessuna delle persone citate è indagata, fatta eccezione per Matteo Renzi e Marco Carrai, ma per altri fatti. Andiamo con ordine.

Da via Giambologna a via Giusti: le due vite della Bestia – Il gruppo social del Giglio magico è un team che ha due vite: nasce per volere di Renzi con l’obiettivo di sostenere il “sì” al referendum, inizia a lavorare nella sede di via Giambologna a Firenze, ma in seguito si sposterà in via Giusti. Per questo motivo sarà chiamato anche “gruppo di via Giusti” per distinguerlo dal “gruppo posta”, che era composto da cinque persone e gestiva la casella di posta elettronica di Renzi. Al gruppo social, invece, lavorano una ventina di ragazzi: l’obiettivo è contenere i commenti negativi che comparivano sui profili di Renzi, sulla pagina del Pd e degli altri big dem. “Ci avevano chiesto di creare anche almeno 10 profili social non veri sempre per contenere i commenti negativi al referendum”, ha raccontato agli investigatori uno dei componenti del gruppo. Sono dunque account fake quelli che vengono creati dalla Bestia del Giglio magico? Di sicuro c’è solo che più volte in passato Renzi si è scagliato contro imprecisati profili farlocchi, creati a suo dire solo con l’obiettivo di attaccarlo. Il 24 novembre del 2017, per esempio, l’ex premier si scaglia contro “una vera industria del falso, con profili social altamente specializzati in diffusione di bufale, fake news, propaganda”. Renzi spiegava che in quel “c’è chi inquina in modo scientifico il dibattito politico sul web diffondendo notizie false solo per screditare gli avversari. Noi lo sappiamo bene, perché ne siamo vittima ogni giorno. E ogni giorno che passa si scoprono notizie più inquietanti sulle modalità di diffusione di queste bufale”. Nel suo post Renzi spiega che di questo parlerà alla Leopolda e avverte: “Astenersi troll e profili falsi, grazie. Tanto ormai vi sgamiamo subito”. Sette mesi prima, nel marzo del 2017, Alexander Marchi, coordinatore del team comunicazione, aveva inviato a Ercolani e Carrai un email con allegato l’elenco “dei nostri alternativi”. Dentro c’è uno schema: 16 persone gestiscono in totale 128 account tra facebook e twitter. Oggi sono quasi tutti disattivati: quelli rimasti online sono inattivi dal 2017 e fino ad allora postavano contenuti contro i 5 stelle e pro Renzi.

Carrai e il programma israeliani per influenzare la campagna referendaria – È in piena campagna per il referendum che invece scende in campo Carrai con i programmi israeliani: il 20 maggio del 2016 l’imprenditore informa Renzi di aver dato via libera a prendere due “software fenomenali” che tra le altre cose riescono a mappare le persone sul web, a capire cosa pensano e da cosa vengono influenzate. Secondo Carrai serviranno per “monitorare e influenzare la campagna”, visto che riescono a trovare per ogni singola persona il gruppo di riferimento, cosa pensa, chi la influenza e come. “Sarà una cosa mai vista”, scrive. Dieci giorni dopo sempre Carrai informa di avere una riunione con “gli israeliani” di Voyager. L’incontro si tiene il 6 giugno e secondo gli investigatori è verosimile che nella prima parte avesse partecipato lo stesso Renzi. Infatti Carrai scrive: “Dopo che siete usciti siamo entrati nell’operativo”. Cos’è l’operativo? Una serie di passaggi tecnici: dall’analisi dei macro temi che possono influenzare le opinioni fino all’analisi di “possibili Benigni“. Pochi giorni prima, infatti, Roberto Benigni si era esposto pubblicamente per il Sì al referendum. Carrai spinge: spiega che bisogna mettere su una task force di almeno cinque persone con uno psicologo cognitivo, un esperto di media e un referente politico che fornisca i messaggi da diffondere. La task force è necessaria perché i software da soli non bastano: “Si rischia di avere una Ferrari e utilizzarla per andare in giro in città”.

La fase 2 e la “propaganda antigrillina” – Dalle carte in mano agli investigatori si evince che Renzi non osserva soltanto il lavoro di Carrai e degli altri. Più volte chiede d’intervenire, per verificare per esempio il consenso delle varie categorie professionali sul suo lavoro. Per tutta l’estate e durante l’autunno l’allora premier è costantemente informato dell’operato del gruppo social, considerato molto utile proprio perché in grado di capire in tempo reale l’opinione dell’elettorato sul web. Il 29 novembre è Stroppa che scrive all’allora premier per spiegare come gli indecisi decideranno negli ultimi giorni, citando anche la strategia di Donald Trump, che poche settimane prima era stato eletto alla Casa Bianca. Il lavoro è enorme se i renziani arrivano a menzionare l’odiato presidente americano, ma non porta al risultato sperato. Dopo la sconfitta al referendum comincia quella che sembra essere una fase 2: “Affiora la volontà di attuare una ‘strategia social a sostegno di Renzi e, nei primi mesi del 2017, di realizzare una struttura ‘di propaganda antigrillina”, è come la descrivono gli inquirenti. È il 7 gennaio quando Renzi inoltra a Carrai una mail ricevuta da Rondolino. L’oggetto è “Antigrillo” e in allegato c’è un documento che si chiama “Tu scendi dalle Stelle”. “Caro Matteo – scrive l’ex Lothar di Massimo D’Alema – eccoti un primo appunto sulla struttura di propaganda antigrillina che ho preparato con Simona in questi giorni”. In fondo c’è un post scriptum con un consiglio: “Se già non lo usi, ti consiglio questo sistema di posta criptata”. Il cuore del documento allegato invece è rappresentato da una riflessione: dopo il Movimento per gli elettori dei 5 stelle c’è soltanto l’astensione e non invece il ritorno all’ovile del Pd. Per questo Rondolino scrive: “Non dobbiamo perdere tempo a riconquistare l’elettorato: dobbiamo spingerlo a non votare più”.

Quanto costa la Bestia fiorentina – Ecco perché gli investigatori spiegano che l’attività di propaganda sul web relativa al refererendum “è parte di un progetto più ampio voluto da Renzi per contrastare la presenza sul web del Movimento 5 Stelle”. Analizzando le email sequestrate a Carrai la Guardia di Finanza ha documento che l’attività social della Bestia renziana è proseguita con gli “stessi attori” e uno schema organizzativo ben definito, sia durante la campagna per le Primarie del Pd del 2017 e fino alle elezioni Politiche 2018, seppur con un impiego economico nettamente minore. Di soldi, in effetti, la struttura social del Giglio deve costarne parecchi. In una mail del 17 marzo del 2017 che Carrai invia a Renzi si prevede un totale dei costi da 931mila euro, più almeno 57mila euro al mese per il gruppo di via Giusti.

Una Bestia di nome Bob – Denaro che serve, tra le altre cose, per lo sviluppo di una piattaforma social media, per l’analisi dei contenuti social, per il sito internet In cammino. Ci sono poi 25mila euro, arrivati sempre da Open, usati per Bob, una piattaforma che avrebbe dovuto fare da contraltare a Rousseau. Per lavorarci viene creata una chat in cui ci sono tutti: Carrai, Ercolani, Rondolino ma pure esperti di marketing come Cristiano Magi e Paolo Dello Vicario, statistici come Valentina Tortolini. Il gruppo si anima quando c’è da trovare un nome alla nuova piattaforma: “Noi stiamo pensando a un nome tipo Holden o acronimo”, scrive Ercolani. Tortolini chiede: “In inglese no?”. Pammolli scherza e propone: “Cav“. Acronimo di cavaliere? No: “Collettivo autonomo viola“. Tortolini propone: “Go on“. Pammolli replica: “Tutto perché non volete Avanti …. banda di post democomunisti“. In effetti il professore sembra uno di quelli più ironici. Infatti poco dopo propone di chiamare “Bettino” la piattaforma social di Renzi. Ercolani invece vorrebbe solo “On”, che a un certo punto sembra il nome prescelto. Ma interviene Carrai per portare un po’ di serietà: “Prendete tutti quelli che hanno fatto mi piace sul post di Matteo. E fateci un database e datemelo, chi lo fa?”. Alla fine arriva Pammolli con la decisione definitiva: “Sembra Bobby, riferito a Bob Kennedy“. Carrai non è soddisfatto: “Alla fine del parto che sembrava la scelta del nome di un figlio avete partorito il nome di un cane”. Rondolino allarga le braccia: “Non noi, il principe“.

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