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giovedì 5 dicembre 2024

l grande inganno del “nucleare verde” e la premonizione di Robert Jungk. - Daniela Padoan

 

A partire dal libro Lo Stato atomico di Robert Jungk (Castelvecchi editore 2024) l’intervento di Daniela Padoan al convegno Nucleare e genere: attiviste, scienziate vittime organizzate in associazioni, organizzato da Women’s for International League for Peace & Freedom (WILPF) presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, con la partecipazione di Bruna BianchiMary Olson e Angie Zelter.

***

Era il 1977 quando Robert Jungk scriveva nello Stato atomico, il suo straordinario e preveggente libro sulla trasformazione del nucleare bellico in nucleare civile: «Il futuro totalitario dei tecnocrati è già cominciato». Aveva visto spalancarsi l’abisso della Seconda guerra mondale, la Shoah, la mostruosità della distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki; ed è nella ferita, nella nudità di quello sguardo che, subito dopo la fine del conflitto, aveva potuto cogliere i segni della trasformazione dell’enorme potere militare e antidemocratico americano; la riconversione dell’apparato nucleare bellico in civile, nella retorica della ricostruzione e del progresso, per la produzione di elettricità in un mondo sempre più energivoro e industrializzato. Quando, nel 1946, il presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman trasferì il controllo dell’energia atomica dalle mani militari a quelle civili, il Congresso assicurò che l’energia atomica sarebbe stata usata, oltre che per la difesa degli USA, per promuovere la pace nel mondo e per migliorare il welfare pubblico, rafforzando la libera competizione delle aziende private. 

Già nel 1953, alla Casa Bianca prese forma una grandiosa campagna per la produzione di energia elettrica da fissione nucleare, ispirata – scrive Jungk – da una nuova generazione di «giocatori d’azzardo», non più qualificati scientificamente, non più seduti nei quartier generali delle forze armate, ma insinuati negli uffici di pianificazione dello Stato e dell’industria, nelle vesti di consulenti decisionali. 

Quanto il suo sguardo fosse profetico, lo possiamo vedere oggi, davanti al predominio delle lobby economiche sulla politica, con la trasformazione dell’ossimoro del “nucleare per la pace” nell’ossimoro green del “nucleare per il clima”. Un nucleare rimpicciolito, di terza, di quarta generazione, capace di provocare non più una grande apocalisse, ma tante apocalissi miniaturizzate. E lo vediamo nella conversione di “Big Tech” all’atomo, nella fretta dei giganti dell’Intelligenza Artificiale di imporre ai governi scelte politiche a favore del ritorno su vasta scala dell’energia nucleare. 

Diventato attivista per la pace e figura di riferimento del pensiero ecologista e antinuclearista dei primi anni Settanta, Jungk militò nel movimento Pugwash fondato da Albert Einstein e Bertrand Russell, partecipò a marce, sit-in, manifestazioni e azioni non violente davanti a siti nucleari in tutta Europa, prese parte a presidi di protesta contro gli euromissili nucleari Cruise davanti alle basi americane di Mutlangen in Germania, Common in Inghilterra e Comiso, in Sicilia. La sua narrazione, in cui si fondono giornalismo d’inchiesta, passione politica, riflessione filosofica, assunzione di responsabilità verso le future generazioni, è un prisma per comprendere il mondo degli irresponsabili e voraci «apprendisti stregoni» fautori del futuro verso il quale ci siamo addentrati alla cieca, che non può che interrogare ogni politica e ogni morale. 

Jungk fu tra i primi a guardare in faccia il mostro nucleare, prima che ci convincessimo di averlo addomesticato; tra i primi a interrogare la costruzione del deserto linguistico e concettuale che nell’arco di mezzo secolo si sarebbe fatto senso comune; tra i primi a denunciare la nostra prometeica propensione alla distruzione, amplificata dalle crescenti e sovrastanti conoscenze tecnologiche, cogliendo il nesso tra Hiroshima e le «catastrofi industriali» che oggi possono assumere proporzioni non inferiori alle catastrofi che chiamiamo naturali – siccità, inondazioni, epidemie – e che hanno come concausa l’attività umana.

Leggere "Lo stato atomico" è andare all’origine di una patologia, alla descrizione iniziale dei suoi sintomi, prima che il corpo ne sia stato consumato e la malattia stessa si sia fatta abitudine, cronicità apparentemente impossibile ad affrontarsi. È illusorio, sosteneva Jungk, credere in una rigida distinzione tra una tecnica atomica destinata a scopi pacifici e un’altra con obiettivi bellici. Il potere nucleare è, sempre, l’antitesi della democrazia e della pace: è un potere esclusivo, politico e militare, chiuso, segreto, che, senza alcun controllo, esercita un arbitrio di vita o di morte sulle comunità umane e sull’ecosistema che le ospita. 

Non solo l’“atomo per la pace” non si distingue dall’“atomo per la guerra”, ma l’intenzione di servirsene solo a scopi costruttivi non cambia nulla del suo carattere ostile alla vita: non se ne distinguono le scorie, la radioattività resta indelebile nei secoli, il rischio di incidenti causati da difetti tecnici o fallibilità umana è sempre in agguato. 

L’apparato di sorveglianza richiesto a protezione di impianti potenzialmente soggetti a manomissioni, sabotaggi, colpi di stato, attentati terroristici o addirittura trasformazione in obiettivi bellici prefigurato da Jungk è risultato evidente nella crisi della centrale di Zaporizhzhia, tenuta in ostaggio come una bomba innescata nella guerra tra Russia e Ucraina, non diversamente dalla presa in consegna del sarcofago del reattore 4 di Černobyl’ da parte di forze speciali dell’esercito russo, nella cosiddetta area di esclusione di trenta chilometri intorno all’impianto.

La sequela di eventi letali che negli anni si è cercato di minimizzare o nascondere mostra come la pretesa di governare l’energia atomica nasconda un superomismo che appare tanto più grottesco perché la sua fallibilità – costitutivamente impossibile da accogliere, sempre negata – chiede continue attestazioni di una presunta età adulta, data dalla competenza tecnica guadagnata in qualche manciata di anni, rispetto a una lontana e imbarazzante preistoria. Ogni generazione di scienziati atomici ha guardato alla precedente da una posizione di superiorità, assicurando, se non l’eliminazione, almeno il contenimento del rischio.  Oggi è lo stesso. 

Un altro inganno linguistico sono i cosiddetti reattori di ultima generazione. Benché gli attuali reattori nucleari in commercio, di terza generazione, si basino sul processo di fissione, e quelli a fusione siano ancora in fase di studio, si parla di nuove generazioni, che in realtà sono state sviluppate tra gli anni Ottanta e i primi anni del Duemila e non sono altro che versioni tecnicamente migliorate dei precedenti, la cui progettazione include la possibilità, in caso di incidenti severi, di evitare contaminazioni esterne e di attivare misure di emergenza indipendenti dall’intervento umano. Quanto ai reattori di quarta generazione, che mirano a produrre energia attraverso processi e materiali meno inquinanti, dovrebbero vedere la luce, se i tempi saranno rispettati, attorno al 2050.  Ma l’insidia maggiore, oggi, si nasconde nella volontà di una ripresa del nucleare tradizionale da fissione (uranio e plutonio) sotto la forma apparentemente inoffensiva di piccoli impianti modulari con potenze contenute, sistemi di sicurezza più avanzati, scorie più facili da confinare, ridotte emissioni di CO₂, sistemi di controllo automatici che escluderebbero la possibilità di disastri nucleari e il cui calore non raggiungerebbe temperature capaci di fondere le barre del combustibile nucleare.  Si tratta degli Small Modular Reactors (SMR) – non una generazione a se stante, ma trasversali alla terza e quarta generazione – della misura di circa sei metri per sei, facili da trasportare nei siti di installazione e da mettere in funzione. Sono queste le promesse di numerose startup che si occupano dello sviluppo di tecnologia nucleare, tra cui l’italiana Newcleo, costituita nel 2021 e convinta che la produzione degli SMR sarà a regime nel 2026. È lo sviluppo dell’IA, in particolare, a richiedere la proliferazione di reattori di piccola taglia che assicurino una fornitura di elettricità ininterrotta agli innumerevoli server allocati in data center su cloud sempre più articolati, complessi e organizzati. L’accelerata digitalizzazione di tutti i settori economici, l’aumento esponenziale dei volumi di dati, il sempre maggior ricorso a carichi di lavoro ad alta intensità come l’Intelligenza Artificiale e l’ascesa di strumenti come ChatGPT inducono a prevedere che i consumi di elettricità cresceranno del 12% entro il 2040.

Anche i mini reattori, però, presentati come la panacea che potrà permetterci di mantenere inalterato e addirittura incrementare un livello di consumi ad oggi insostenibile per il pianeta, sarebbero responsabili di una diffusione pervasiva di scorie nucleari sul territorio. Uno studio della Stanford University mostra infatti che gli SMR aumenterebbero i volumi equivalenti dei rifiuti nucleari che necessitano gestione e smaltimento anche per decine di migliaia di anni e che, poiché le proprietà del flusso di rifiuti sono influenzate dalla fuoriuscita di neutroni dal nocciolo ridotto, aggraverebbero anche le problematiche legate allo smaltimento degli impianti a fine corsa. I sostenitori del nucleare asseriscono di aver trovato una soluzione per lo smaltimento definitivo dei rifiuti di alto livello: i depositi geologici, tunnel sotterranei a una profondità compresa tra i duecentocinquanta e i mille metri, e assicurano che, con i reattori di quarta generazione, sarà possibile riciclare i rifiuti riducendone il tempo di pericolosità da 100.000 a 300 anni, come per i rifiuti a bassa radioattività. Come dire, una miniaturizzazione dell’Apocalisse, qualcosa a cui guardare con occhi di adulti.

«Le catastrofi nucleari distruggono non solo il presente ma anche il futuro», scrive Robert Jungk ne Lo stato atomico. «Questa ipoteca sul futuro, la paura per i danni derivanti da un’energia nucleare non più tenuta sotto controllo, diventano per l’umanità la più grave oppressione pensabile: sia sotto forma di traccia tossica che rimane indelebile, sia come ombra di una preoccupazione che non scomparirà mai del tutto».

Oggi chi è contro il nucleare civile viene tacciato di oscurantismo, irrazionalità, codardia. 

C’è voluto un lungo, paziente e dispendioso lavoro di lobbying, per giungere a un completo rovesciamento della realtà. Nel 2022, ad esempio, alla Biennale del Cinema di Venezia, il regista statunitense Oliver Stone presentò fuori concorso Nuclear, un documentario apologetico sull’energia nucleare mostrata come sola opzione per sostituire i combustibili fossili e combattere il cambiamento climatico. In quell’occasione diede una dimostrazione della nuova – e vecchissima, tanto che Jungk l’aveva già descritta in ogni aspetto – ideologia nuclearista: accusò di tradimento i movimenti contro il nucleare, finanziati dalle compagnie petrolifere; accusò di ignoranza tutti coloro che temono la fissione nucleare; soprattutto, irrise la democrazia, spiegando che «le leadership politiche sono codarde perché seguono il volere dei cittadini, che spesso non sanno molto in materia».

Il ritorno dell’ideologia nuclearista ha trovato espressione anche nella decisione della Commissione europea del gennaio 2022, che includeva l’energia nucleare (insieme al sequestro del gas fossile) nel regolamento sulla Tassonomia verde (una classificazione delle fonti energetiche che l’Ue considera sostenibili per l’ambiente e dunque da incentivare all’interno del Green Deal europeo), rimuovendo l’evidenza che l’energia nucleare, sebbene rilasci una quantità di gas climalteranti inferiori a carbone e petrolio e pari al gas (se si considera l’intero ciclo di produzione),  genera scorie radioattive ad alta attività che alterano il Dna degli esseri viventi e che dunque sono deleterie per la salute e per l’ambiente, e che, ancora oggi, non è stata trovata nessuna soluzione per il loro smaltimento a lungo termine.

L’Italia ha bocciato per ben due volte il ricorso al nucleare con i referendum del 1987 e del 2011, ma il Governo è al lavoro, dopo aver inserito il nucleare nel Piano Integrato Energia e Clima (Pniec) 2023, per creare un’azienda nazionale del nucleare, sfidando così la volontà dei cittadini. La battaglia contro il nucleare si profila come un altro fronte nella difesa del diritto, dell’integrità dei territori, della salute, di una cultura di rispetto dell’ambiente e, non ultimo, della pace.


https://www.libertaegiustizia.it/2024/11/30/il-grande-inganno-del-nucleare-verde-e-la-premonizione-di-robert-jungk/

lunedì 13 giugno 2022

I 5 trascinatori di folle. - Marco Travaglio

 

La ridicola disfatta dei cinque referendum contro la Giustizia merita un De Profundis degno della sua catastrofica spettacolarità. Ancora una volta il popolo italiano s’è rivelato molto più maturo della classe politica e intellettuale, seppellendo sotto una coltre di sprezzante indifferenza l’ennesimo tentativo di lorsignori di regalarsi l’impunità col plauso dei cittadini. Si temeva che la gran quantità di criminali d’alto e basso bordo operanti in Italia alzasse l’affluenza, rispondendo alla chiamata alle armi dei poteri marci travestiti da “garantisti” contro i magistrati cattivi: invece nemmeno la maggioranza di chi vive di illegalità s’è scomodata. E i votanti sono stati così pochi che non si sarebbe raggiunto il quorum neppure se si fosse votato per un mese e le tv ne avessero parlato “h24” per un anno. Il merito della strepitosa débâcle si deve anzitutto ai presunti leader del Sì: i soliti radicali (Bonino in testa), ormai caricature di ciò che furono; i noti trascinatori di folle Salvini, B., Renzi, Calenda; alcuni noti frequentatori di se stessi del Pd (i sindaci Ricci e Gori); le trombette della stampa di destra e dei signorini grandi firme di Rep (Merlo), del Corriere (Panebianco), del Messaggero (Nordio); e la lobby degli avvocati (da non confondere con l’intera categoria). La Meloni s’era tenuta a debita distanza, pur predicando tre sì e due no. Solo Conte, Letta e Leu avevano osteggiato la follia di chiamare i cittadini a pronunciarsi su temi tecnici che spettano al Parlamento.

Ma la presenza nel fronte del Sì di quei Re Mida all’incontrario che trasformano in cacca tutto ciò che toccano non basta a spiegare questo disastro di proporzioni bibliche, destinato a screditare vieppiù l’unico strumento di democrazia diretta di cui disponiamo. C’è di più: i finti garantisti che pretendevano di scandalizzare la cittadinanza per le manette facili (in realtà difficilissime), l’esclusione dei condannati da Parlamento, governo, enti locali e regionali, la carriera unica di giudici e pm (consigliata dall’Ue e difesa dai veri garantisti), l’assenza di avvocati nei consigli giudiziari che valutano i magistrati e financo le 25 firme richieste ai togati per candidarsi al Csm, sono gli stessi che da trent’anni lavorano per convincere gli italiani che le indagini sui reati dei politici sono una “guerra fra giustizia e politica”: un derby fra guardie e ladri che non riguarda i cittadini, i quali se ne devono bellamente infischiare. Guai a ricadere nell’errore “giustizialista” di Tangentopoli e Mafiopoli, quando gli italiani tifavano per le guardie perchè sapevano di essere le vittime dei ladri e dei collusi. Hanno ridotto milioni di persone da protagonisti a spettatori, da cittadini a sudditi: ora non si meraviglino se gli elettori stanno a guardare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/13/i-5-trascinatori-di-folle/6624617/

domenica 12 giugno 2022

MARCO TRAVAGLIO: PAROLA D'ORDINE: ASTENERSI!

Sono convinto che votare sia un dovere civico, come sancisce l'art 48 della costituzione italiana, ma trovo che l'espletamento di questo dovere debba riguardare la scelta di un partito, di un programma, di un candidato piuttosto che un altro o, soprattutto, la revisione della suddetta Costituzione.

Nel caso di specie la situazione è diversa.
I referendum abrogativi hanno un quorum del 50% + 1; questo significa che se la maggioranza degli aventi diritto al voto non va a votare non sono validi.
Mi spiego meglio: Io sono per il NO a tutti e cinque i quesiti perché sono assurdità giuridiche studiate per favorire la mafia, i corruttori e, in genere, i delinquenti alla Berlusconi.
Non per niente sono le leggi che il tutore della nipote di Mubarak tentò di fare, fortunatamente senza riuscirci, durante tutti gli anni dei suoi nefasti governi.
Il ragionamento da fare è semplice: se vado e voto NO rischio di contribuire a raggiungere il quorum e rendere valido il referendum.
Sono purtroppo abbastanza certo che i criminali che hanno posto i quesiti si danneranno per portare i loro sostenitori a votare Sì, perciò è ragionevole pensare che i Sì potrebbero raggiungere il 30% circa.
Per rendere valido il referendum, a questo punto mancherebbe un 20% + 1.
Se andassero a votare tutti quelli del No non ci sarebbero problemi. Sappiamo però che l'affluenza ai referendum è sempre molto bassa e, generalmente, non si raggiunge il quorum.
Ora, se io, mosso da sacro furore, decido di andare a votare il mio bel NO per dare un segnale cosa rischio?
Semplice, che a votare ci vada un 20% circa, anch'esso spinto dal mio stesso sacro furore e si raggiunga così il quorum!
La sera poi sarà inutile recriminare se sentiremo i risultati:
Sì 30%
No 21%
Votanti 50%+1
Referendum valido.
Leggi abrogate.
Scarcerazione immediata di boss mafiosi, assassini e criminali assortiti in attesa di giudizio, candidabilità in tutte le elezioni di condannati per truffa, evasione fiscale e altri gravi reati, pubblico ministero separato dalla magistratura ordinaria come al tempo del fascismo e pronto per essere sottoposto al ministro di giustizia che gli dirà se, chi e cosa potrà indagare, giudici la cui valutazione ai fini della carriera sarà sottoposta al voto degli avvocati ai quali magari hanno dato torto etc.
Riepilogando, abbiamo il massimo interesse a NON fare raggiungere il quorum per dare a questi disgraziati un segnale fortissimo: gli italiani NON vogliono che tocchiate la giustizia e i giudici.
È un segnale molto più forte del semplice NO.
La migliore condanna per chi ha concepito quel cumulo di vergognosi quesiti è l'indifferenza.

Da fb.

giovedì 17 febbraio 2022

Referendum, responsabilità diretta dei giudici e cannabis: affondati altri 2 quesiti. - Antonella Mascali

 

VIA AL VOTO - La Corte costituzionale ha finito l’esame: in tutto ha detto sì a cinque richieste sulla Giustizia. Tre i bocciati. Il presidente Amato ha spiegato la formulazione errata su eutanasia e droghe: sono stati scritti male.

Quando si dice è una beffa del destino. A trent’anni esatti da Mani Pulite, a presiedere la Corte costituzionale che ha dato il via libera ai referendum sulla Giustizia, a eccezione di quello sulla responsabilità civile diretta del magistrato, è Giuliano Amato, tra i protagonisti politici della Prima Repubblica al fianco di Bettino Craxi.

Aspirante senatore a vita, Amato forse ancora pensa di essere presidente del Consiglio, dato che ieri ha indetto una conferenza stampa in cui non si tiene neppure alcune critiche ricevute dalla Corte per l’inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente (decisa martedì). “Sentire che non sappiamo cosa significhi soffrire mi ha ferito, ha ferito tutti noi. L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia”. Quanto all’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati che, ci risulta, lui, invece, avrebbe voluto, spiega: “Essendo sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, diversamente da altri funzionari pubblici, l’introduzione della responsabilità diretta rende il referendum più che abrogativo”.

È lo Stato, aggiungiamo noi, che risarcisce il cittadino che abbia subito un ingiusto danno, per poi rivalersi sul magistrato. Ovvio la ratio della legge: se ci fosse la responsabilità diretta, ogni indagato-imputato, potente, potrebbe intimidire così il magistrato.

Dunque, ieri, la Corte ha dato il via libera ai referendum che chiedono la separazione delle carriere dei magistrati; l’abolizione della legge Severino; lo svuotamento della carcerazione preventiva; la valutazione professionale dei magistrati da parte degli avvocati presenti nei consigli giudiziari; la possibilità per i magistrati di candidarsi al Csm anche senza una raccolta di firme. La Corte con un comunicato spiega il via libera: “Le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario”. Sarà, ma se si va a leggere il quesito che chiede la separazione delle carriere, viene il mal di testa, tante sono le leggi cui fanno riferimento i promotori, altro che quesito chiaro, lineare per gli elettori. Inoltre, come la Corte sa, c’è già la riforma Bonafede, sul punto non modificata dalla ministra Marta Cartabia, che propone di diminuire i possibili passaggi da pm a giudice e viceversa, da 4 a 2, ma non di separare le carriere, di fatto, come vorrebbe, invece, Forza Italia. Se vince il sì non sarà permesso alcun cambio di funzione con buona pace del principio costituzionale dell’unicità dell’ordinamento giudiziario e con un possibile destino per il pm di essere dipendente dal governo.

Via libera anche al referendum che chiede l’abolizione della legge Severino, che vieta l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna definitiva per reati gravi come mafia, terrorismo e corruzione. Se vince il sì, viene abolito anche l’articolo 11 della stessa legge sulla sospensione per 18 mesi degli amministratori e rappresentanti locali condannati in primo grado per determinati reati. E pensare che la Severino ha retto a tutti i vagli della Consulta.

C’è poi il referendum che si potrebbe ribattezzare “liberi tutti”: si chiede la cancellazione della possibilità di arresto per un reato a “caso”, il finanziamento illecito ai partiti, ma anche per altri reati che prevedono la reclusione “non inferiore nel massimo a cinque anni”, a meno che non ricorra il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Sparisce quindi il pericolo di reiterazione del reato. “C’è da rimettersi solo alla saggezza dei cittadini”, osserva Nello Rossi, ex avvocato generale della Cassazione, “sperando che, se voteranno sì all’abrogazione, non imprechino poi contro giudici e pm se i truffatori seriali, gli hacker e i bancarottieri resteranno liberi e in azione sino alle condanne definitive”. Infine, dichiarato inammissibile il referendum sulle droghe perché, ha spiegato Amato “non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze con papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/17/referendum-responsabilita-diretta-dei-giudici-e-cannabis-affondati-altri-2-quesiti/6496818/

mercoledì 16 febbraio 2022

Eutanasia, referendum inammissibile per la Consulta: “Non preserva la tutela della vita umana”. Cappato: “Brutta notizia per la democrazia”. - Antonella Mascali e Giacomo Salvini

 

LA SENTENZA - La decisione della corte: il quesito referendario che proponeva di depenalizzare il reato di omicidio del consenziente è inammissibile. L'Associazione Coscioni: "Non lasceremo nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari. Ci rivolgeremo anche alle forze politiche e parlamentari, in questi anni particolarmente assenti o impotenti".

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale. La Consulta ha fatto sapere che il quesito, che proponeva la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, è stato bocciato perché, “a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”. Ora si dovranno aspettare le motivazioni della sentenza.

Il primo commento è stato di Marco Cappato che, per l’Associazione Coscioni, da mesi si batte per la raccolta delle firme e la sensibilizzazione sul tema: “Questa per noi è una brutta notizia”, ha dichiarato praticamente in lacrime, “credo che sia una brutta notizia per coloro che subiscono e dovranno subire ancora più a lungo sofferenze insopportabili contro la loro volontà. Credo sia ancora di più una brutta notizia per la democrazia del nostro Paese perché sarebbe stata una grande occasione per collegare la realtà sociale con le istituzioni su questo molto disattente”. La presidente del comitato promotore Filomena Gallo, su Twitter, ha aggiunto: “Abbiamo comunque gettato il seme per una nuova stagione laica e di democrazia nel nostro Paese. Grazie a tutti coloro che hanno dato forza alla nostra battaglia”. Mentre l’Associazione Luca Coscioni ha annunciato che “il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. Certamente, la cancellazione dello strumento referendario da parte della Corte costituzionale renderà il cammino più lungo e tortuoso, e per molte persone ciò significherà un carico aggiuntivo di sofferenza e violenza. Ma la strada è segnata”. E ha annunciato: “Non lasceremo nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari. Ci rivolgeremo anche alle forze politiche e parlamentari, in questi anni particolarmente assenti o impotenti, e prenderemo in considerazione la possibilità di candidarci direttamente a governare per realizzare le soluzioni che si affermano ormai in gran parte del mondo democratico”.

Il comitato per il referendum Eutanasia Legale, promosso dall’Associazione Luca Coscioni, è nato ad aprile 2021 e nel periodo giugno-settembre ha raccolto oltre 1,2 milioni di firmeUna mobilitazione senza precedenti che ha permesso, senza alcun sostegno mediatico, di superare la quota minima di 500mila firme. Ilfattoquotidiano.it ha seguito passo dopo passo la campagna con la sezione speciale: “Referendum eutanasia legale. Un risultato che è stato raggiunto anche grazie all’impegno di 13mila volontari. Una spinta dal basso che ha dimostrato la grande consapevolezza dell’opinione pubblica sull’argomento. Tra i primi leader politici a parlare oggi c’è stato Enrico Letta: “La bocciatura da parte della Corte Costituzionale del referendum sull’ eutanasia legale deve ora spingere il Parlamento ad approvare la legge sul suicidio assistito, secondo le indicazioni della Corte stessa”, ha scritto su Twitter.

LA LEGGE ANNACQUATA – Il problema rimane l’assenza di una legge. Il Parlamento per 40 anni non è stato in grado di trovare un accordo, nonostante le decine di proposte e le continue discussioni: ecco perché il referendum è sempre stata considerata l’ultima chance. Una legge sul suicidio assistito è attualmente in discussione a Montecitorio, ma è stata fortemente annacquata e rischia di essere ancora più restrittiva rispetto a quanto già previsto dalla sentenza della Consulta (sul caso di Dj Fabo) che ha già valore di legge. Al momento infatti è stata introdotto un “meccanismo rigido di obiezione di coscienza che rischia di portare a una paralisi della struttura sanitaria, che invece deve essere obbligata a rispettare le volontà del malato”, aveva messo in guardia Cappato.

IL REFERENDUM E LE RAGIONI DEI PROMOTORI – L’obiettivo del referendum per l’eutanasia legale era depenalizzare l’omicidio del consenziente, punito dall’articolo 579 del codice penale con la reclusione da 6 a 15 anni. Con alcune eccezioni: resta un reato se si tratta di un minore e in questo caso si applicano le pene previste per l’omicidio.

In questi mesi non sono mancate le critiche alla proposta di referendum e il comitato, presieduto da Filomena Gallo, ha replicato punto per punto. La contestazione più frequente che è stata fatta, dice che “l’abrogazione dell’omicidio del consenziente” comporterebbe “una totale liberalizzazione di questa fattispecie” e non solo “la legalizzazione dell’eutanasia”. “Tale scenario”, replicano i promotori, “si fonda su basi giuridiche e sociali errate: infatti gli effetti giuridici di un’abrogazione devono essere valutati alla luce della realtà sociale e della prassi giuridica relativa all’art. 579 c.p. Il nuovo contesto costituzionale nel quale si inserirà la normativa di risulta a seguito del referendum è oggi caratterizzato sia dalla vigenza della legge 219/2017 che definisce le caratteristiche che il consenso del richiedente deve avere nell’ambito di un percorso di fine vita, sia dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 che individua le circostanze per le quali si possa legittimamente chiedere la morte volontaria”. Inoltre, scrivono ancora i promotori, “l’art. 579 c.p. non verrebbe totalmente depenalizzato“: “Il quesito referendario fa salve le tutele poste per le persone più vulnerabili ovvero i minori, gli incapaci anche parzialmente o con una deficienza psichica momentanea e le persone il cui consenso non è libero, ovvero estorto o carpito con l’inganno. In tutte queste circostanze verrà applicata la norma che punisce l’omicidio doloso”.

I promotori hanno anche respinto qualsiasi tesi secondo cui, se passasse il referendum, “qualsiasi persona depressa potrebbe richiedere di essere uccisa”. Questo perché, dicono, la modifica “non esplicherà effetti di depenalizzazione per fatti commessi contro persone che non abbiano piena coscienza della propria richiesta. La giurisprudenza sull’art. 579 codice penale è sempre stata univoca su questo punto, che dunque non può e non deve essere strumentalizzato dai detrattori del referendum. Infatti viene sempre applicato il reato di omicidio doloso nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso nei confronti di una persona inferma di mente o in condizioni di deficienza psichica per altra infermità. A viziare il consenso è sufficiente anche una momentanea diminuzione della capacità psichica che renda il soggetto non pienamente consapevole delle conseguenze del suo atto, come appunto uno stato depressivo o una nevrosi momentanea”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/15/eutanasia-referendum-inammissibile-per-la-consulta-non-preserva-la-tutela-della-vita-umana-cappato-brutta-notizia-per-la-democrazia/6495184/

sabato 12 febbraio 2022

Più pelo per tutti. - Marco Travaglio

 

Il garrulo Giuliano Amato, nella sua ultima reincarnazione di presidente della Consulta, anziché tacere in attesa di pronunciarsi il 15 febbraio con i 14 colleghi sull’ammissibilità degli 8 referendum (sulla cannabis, l’eutanasia e la giustizia), twitta: “I referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare ad ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino”. In realtà, proprio perché i referendum sono una cosa molto seria, la Corte deve valutare se le norme prodotte da un successo dei Sì sarebbero compatibili con la Costituzione. Anche cercando il pelo nell’uovo, che è inversamente proporzionale al pelo sullo stomaco (di cui Amato, nelle sue numerose vite, ha dato prove preclare). Quello sulla cannabis è compatibile con la Carta. Quello sull’eutanasia tocca una materia così delicata che merita una legge ben ponderata, non la scure del Sì/No. E quelli sulla giustizia sono quasi tutti incostituzionali.

1. Responsabilità civile. Oggi chi ritiene di aver subìto un torto dalla giustizia può chiedere i danni allo Stato. Se passa il referendum, potrà fare causa direttamente al magistrato. Così chiunque sarà condannato nel penale o si vedrà dar torto nel civile denuncerà i suoi giudici. Che, per evitarle, non condanneranno più nessuno o daranno sempre ragione ai potenti e mai ai deboli. Ma “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 117). 2. Manette vietate. Niente più custodia cautelare in carcere per finanziamento illecito ai partiti e per tutti “i delitti puniti con pene sopra i 5 anni” (per gli altri già non è prevista), salvo nei casi di “concreto e attuale pericolo” che uno reiteri “gravi delitti con armi o di altri mezzi di violenza” o di mafia e terrorismo. Così ladri, scippatori, bancarottieri, evasori, frodatori, corrotti, corruttori, concussori, truffatori, stalker verrebbero fermati e subito scarcerati dopo 48 ore. Una follia contraria ai principi di eguaglianza, di ragionevolezza e con le esigenze di ordine pubblico. 3. Carriere separate. A parte l’assurdità del merito, l’“ordine giudiziario” unico fra pm e giudici è sancito dalla Costituzione, che non si cambia coi referendum abrogativi. 4. Legge Severino. Si vuole abolire l’incandidabilità dei condannati definitivi per gravi o gravissimi reati. Ma o si abroga l’articolo 54 della Costituzione, che impone “disciplina e onore” a chi ricopre cariche pubbliche, o si cancella il referendum. 5. Consigli giudiziari. Nelle filiali locali del Csm che giudicano i magistrati, voterebbero pure gli avvocati. Così quello di Messina Denaro potrebbe dare la pagella a chi lo sta cercando. 6. Elezioni del Csm. Chi si candida non dovrà più raccogliere firme. Almeno questo quesito è compatibile con la Costituzione: infatti non frega niente a nessuno.

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mercoledì 10 novembre 2021

Renzi denunciava profili fake e bufale, mentre la sua Bestia creava “account falsi” e pagava 260mila dollari per un software israeliano in grado di influenzare il voto. - Pierluigi G. Cardone e Giuseppe Pipitone

 

L'INCHIESTA - Nelle carte della Procura di Firenze decine di mail, interrogatori e chat delineano la struttura che spingeva l’ex premier sui social, con l’uso degli stessi trucchi che l’ex Rottamatore diceva di combattere.

“Non perdete tempo e partite. Altro che privacy. I nomi li sappiamo. Dai!”. È il 20 settembre del 2016 e al referendum costituzionale mancano ormai poco più di due mesi. Matteo Renzi impugna il suo telefono e risponde a una mail ricevuta da Fabio Pammolli, docente universitario e consulente del suo governo. Il messaggio di posta fa il punto sulle attività in corso sui social network. Tra le altre cose Pammolli spiega che in quel momento avevano la possibilità di interagire con un’ottantina di pagine facebook per un totale di 20 milioni di contatti, che avevano delineato una strategia basata su messaggi veicolati da persone non associabili alla campagna per il Sì (cita pure gestori di pagine come “calciatori brutti” e “mamme stressate”) e che avevano ottimizzato una lista di attivisti, stabilendo chi doveva essere amico di chi altro. Qui però il renziano chiede al capo un via libera preliminare: il timore, spiega, è che vedendosi inoltrare continui suggerimenti di amicizia qualcuno prima o poi avrebbe potuto lamentare una violazione della propria privacy. È a quel punto che Renzi risponde secco: “Altro che privacy”. C’è anche questo agli atti dell’inchiesta della procura di Firenze sulla fondazione Open. Decine di informative lunghe migliaia di pagine, elaborate sulla base delle mail e delle chat sequestrate agli indagati, che documentano come sia esistita una struttura organizzata e coordinata per il sostegno e la propaganda di Renzi sul web.

La Bestia del Giglio magico – Il team somiglia molto alla nota Bestia leghista creata da Luca Morisi. Alla versione renziana lavorano quasi sempre gli stessi personaggi, molto vicini all’ex segretario del Pd sin dai tempi di Palazzo Chigi: oltre a Pammolli, Marco Carrai e il suo socio Giampaolo Moscati, poi ci saranno anche la giornalista Simona Ercolani, il marito Fabrizio Rondolino, il responsabile della sicurezza informatica Andrea Stroppa. Questo gruppo userà anche complessi – e costosi – software, come Tracx e Voyager analitics della società di diritto israeliano Bionic Ltd. A procurarli è Carrai, l’imprenditore da sempre molto vicino a Renzi. A cosa servono? Permettono di misurare il sentiment sui social, determinare chi sono gli utenti più seguiti su certi argomenti e individuare gli account fake. Secondo Carrai serviranno per “monitorare e influenzare la campagna”, visto che riescono a trovare per ogni singola persona il gruppo di riferimento, cosa pensa, chi la influenza e come. Il costo? Molto alto: Voyager è stato pagato 260mila dollariTracx invece 60mila euro. Cifre che provocano la reazione anche di Alberto Bianchi, presidente di Open, preoccupato per l’eccessivo esborso. Quei soldi, infatti, arrivano quasi tutti dalla fondazione, così come da Open arrivavano i fondi per stipendiare il gruppo che spingeva la figura di Renzi sui social. Ecco perché per gli inquirenti questa storia è molto interessante: secondo l’accusa dimostra che Open si comportava come una vera articolazione del partito. Val la pena sottolineare che quanto tratteggiato in questi atti non è penalmente rilevante e che nessuna delle persone citate è indagata, fatta eccezione per Matteo Renzi e Marco Carrai, ma per altri fatti. Andiamo con ordine.

Da via Giambologna a via Giusti: le due vite della Bestia – Il gruppo social del Giglio magico è un team che ha due vite: nasce per volere di Renzi con l’obiettivo di sostenere il “sì” al referendum, inizia a lavorare nella sede di via Giambologna a Firenze, ma in seguito si sposterà in via Giusti. Per questo motivo sarà chiamato anche “gruppo di via Giusti” per distinguerlo dal “gruppo posta”, che era composto da cinque persone e gestiva la casella di posta elettronica di Renzi. Al gruppo social, invece, lavorano una ventina di ragazzi: l’obiettivo è contenere i commenti negativi che comparivano sui profili di Renzi, sulla pagina del Pd e degli altri big dem. “Ci avevano chiesto di creare anche almeno 10 profili social non veri sempre per contenere i commenti negativi al referendum”, ha raccontato agli investigatori uno dei componenti del gruppo. Sono dunque account fake quelli che vengono creati dalla Bestia del Giglio magico? Di sicuro c’è solo che più volte in passato Renzi si è scagliato contro imprecisati profili farlocchi, creati a suo dire solo con l’obiettivo di attaccarlo. Il 24 novembre del 2017, per esempio, l’ex premier si scaglia contro “una vera industria del falso, con profili social altamente specializzati in diffusione di bufale, fake news, propaganda”. Renzi spiegava che in quel “c’è chi inquina in modo scientifico il dibattito politico sul web diffondendo notizie false solo per screditare gli avversari. Noi lo sappiamo bene, perché ne siamo vittima ogni giorno. E ogni giorno che passa si scoprono notizie più inquietanti sulle modalità di diffusione di queste bufale”. Nel suo post Renzi spiega che di questo parlerà alla Leopolda e avverte: “Astenersi troll e profili falsi, grazie. Tanto ormai vi sgamiamo subito”. Sette mesi prima, nel marzo del 2017, Alexander Marchi, coordinatore del team comunicazione, aveva inviato a Ercolani e Carrai un email con allegato l’elenco “dei nostri alternativi”. Dentro c’è uno schema: 16 persone gestiscono in totale 128 account tra facebook e twitter. Oggi sono quasi tutti disattivati: quelli rimasti online sono inattivi dal 2017 e fino ad allora postavano contenuti contro i 5 stelle e pro Renzi.

Carrai e il programma israeliani per influenzare la campagna referendaria – È in piena campagna per il referendum che invece scende in campo Carrai con i programmi israeliani: il 20 maggio del 2016 l’imprenditore informa Renzi di aver dato via libera a prendere due “software fenomenali” che tra le altre cose riescono a mappare le persone sul web, a capire cosa pensano e da cosa vengono influenzate. Secondo Carrai serviranno per “monitorare e influenzare la campagna”, visto che riescono a trovare per ogni singola persona il gruppo di riferimento, cosa pensa, chi la influenza e come. “Sarà una cosa mai vista”, scrive. Dieci giorni dopo sempre Carrai informa di avere una riunione con “gli israeliani” di Voyager. L’incontro si tiene il 6 giugno e secondo gli investigatori è verosimile che nella prima parte avesse partecipato lo stesso Renzi. Infatti Carrai scrive: “Dopo che siete usciti siamo entrati nell’operativo”. Cos’è l’operativo? Una serie di passaggi tecnici: dall’analisi dei macro temi che possono influenzare le opinioni fino all’analisi di “possibili Benigni“. Pochi giorni prima, infatti, Roberto Benigni si era esposto pubblicamente per il Sì al referendum. Carrai spinge: spiega che bisogna mettere su una task force di almeno cinque persone con uno psicologo cognitivo, un esperto di media e un referente politico che fornisca i messaggi da diffondere. La task force è necessaria perché i software da soli non bastano: “Si rischia di avere una Ferrari e utilizzarla per andare in giro in città”.

La fase 2 e la “propaganda antigrillina” – Dalle carte in mano agli investigatori si evince che Renzi non osserva soltanto il lavoro di Carrai e degli altri. Più volte chiede d’intervenire, per verificare per esempio il consenso delle varie categorie professionali sul suo lavoro. Per tutta l’estate e durante l’autunno l’allora premier è costantemente informato dell’operato del gruppo social, considerato molto utile proprio perché in grado di capire in tempo reale l’opinione dell’elettorato sul web. Il 29 novembre è Stroppa che scrive all’allora premier per spiegare come gli indecisi decideranno negli ultimi giorni, citando anche la strategia di Donald Trump, che poche settimane prima era stato eletto alla Casa Bianca. Il lavoro è enorme se i renziani arrivano a menzionare l’odiato presidente americano, ma non porta al risultato sperato. Dopo la sconfitta al referendum comincia quella che sembra essere una fase 2: “Affiora la volontà di attuare una ‘strategia social a sostegno di Renzi e, nei primi mesi del 2017, di realizzare una struttura ‘di propaganda antigrillina”, è come la descrivono gli inquirenti. È il 7 gennaio quando Renzi inoltra a Carrai una mail ricevuta da Rondolino. L’oggetto è “Antigrillo” e in allegato c’è un documento che si chiama “Tu scendi dalle Stelle”. “Caro Matteo – scrive l’ex Lothar di Massimo D’Alema – eccoti un primo appunto sulla struttura di propaganda antigrillina che ho preparato con Simona in questi giorni”. In fondo c’è un post scriptum con un consiglio: “Se già non lo usi, ti consiglio questo sistema di posta criptata”. Il cuore del documento allegato invece è rappresentato da una riflessione: dopo il Movimento per gli elettori dei 5 stelle c’è soltanto l’astensione e non invece il ritorno all’ovile del Pd. Per questo Rondolino scrive: “Non dobbiamo perdere tempo a riconquistare l’elettorato: dobbiamo spingerlo a non votare più”.

Quanto costa la Bestia fiorentina – Ecco perché gli investigatori spiegano che l’attività di propaganda sul web relativa al refererendum “è parte di un progetto più ampio voluto da Renzi per contrastare la presenza sul web del Movimento 5 Stelle”. Analizzando le email sequestrate a Carrai la Guardia di Finanza ha documento che l’attività social della Bestia renziana è proseguita con gli “stessi attori” e uno schema organizzativo ben definito, sia durante la campagna per le Primarie del Pd del 2017 e fino alle elezioni Politiche 2018, seppur con un impiego economico nettamente minore. Di soldi, in effetti, la struttura social del Giglio deve costarne parecchi. In una mail del 17 marzo del 2017 che Carrai invia a Renzi si prevede un totale dei costi da 931mila euro, più almeno 57mila euro al mese per il gruppo di via Giusti.

Una Bestia di nome Bob – Denaro che serve, tra le altre cose, per lo sviluppo di una piattaforma social media, per l’analisi dei contenuti social, per il sito internet In cammino. Ci sono poi 25mila euro, arrivati sempre da Open, usati per Bob, una piattaforma che avrebbe dovuto fare da contraltare a Rousseau. Per lavorarci viene creata una chat in cui ci sono tutti: Carrai, Ercolani, Rondolino ma pure esperti di marketing come Cristiano Magi e Paolo Dello Vicario, statistici come Valentina Tortolini. Il gruppo si anima quando c’è da trovare un nome alla nuova piattaforma: “Noi stiamo pensando a un nome tipo Holden o acronimo”, scrive Ercolani. Tortolini chiede: “In inglese no?”. Pammolli scherza e propone: “Cav“. Acronimo di cavaliere? No: “Collettivo autonomo viola“. Tortolini propone: “Go on“. Pammolli replica: “Tutto perché non volete Avanti …. banda di post democomunisti“. In effetti il professore sembra uno di quelli più ironici. Infatti poco dopo propone di chiamare “Bettino” la piattaforma social di Renzi. Ercolani invece vorrebbe solo “On”, che a un certo punto sembra il nome prescelto. Ma interviene Carrai per portare un po’ di serietà: “Prendete tutti quelli che hanno fatto mi piace sul post di Matteo. E fateci un database e datemelo, chi lo fa?”. Alla fine arriva Pammolli con la decisione definitiva: “Sembra Bobby, riferito a Bob Kennedy“. Carrai non è soddisfatto: “Alla fine del parto che sembrava la scelta del nome di un figlio avete partorito il nome di un cane”. Rondolino allarga le braccia: “Non noi, il principe“.

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