lunedì 13 giugno 2022

I 5 trascinatori di folle. - Marco Travaglio

 

La ridicola disfatta dei cinque referendum contro la Giustizia merita un De Profundis degno della sua catastrofica spettacolarità. Ancora una volta il popolo italiano s’è rivelato molto più maturo della classe politica e intellettuale, seppellendo sotto una coltre di sprezzante indifferenza l’ennesimo tentativo di lorsignori di regalarsi l’impunità col plauso dei cittadini. Si temeva che la gran quantità di criminali d’alto e basso bordo operanti in Italia alzasse l’affluenza, rispondendo alla chiamata alle armi dei poteri marci travestiti da “garantisti” contro i magistrati cattivi: invece nemmeno la maggioranza di chi vive di illegalità s’è scomodata. E i votanti sono stati così pochi che non si sarebbe raggiunto il quorum neppure se si fosse votato per un mese e le tv ne avessero parlato “h24” per un anno. Il merito della strepitosa débâcle si deve anzitutto ai presunti leader del Sì: i soliti radicali (Bonino in testa), ormai caricature di ciò che furono; i noti trascinatori di folle Salvini, B., Renzi, Calenda; alcuni noti frequentatori di se stessi del Pd (i sindaci Ricci e Gori); le trombette della stampa di destra e dei signorini grandi firme di Rep (Merlo), del Corriere (Panebianco), del Messaggero (Nordio); e la lobby degli avvocati (da non confondere con l’intera categoria). La Meloni s’era tenuta a debita distanza, pur predicando tre sì e due no. Solo Conte, Letta e Leu avevano osteggiato la follia di chiamare i cittadini a pronunciarsi su temi tecnici che spettano al Parlamento.

Ma la presenza nel fronte del Sì di quei Re Mida all’incontrario che trasformano in cacca tutto ciò che toccano non basta a spiegare questo disastro di proporzioni bibliche, destinato a screditare vieppiù l’unico strumento di democrazia diretta di cui disponiamo. C’è di più: i finti garantisti che pretendevano di scandalizzare la cittadinanza per le manette facili (in realtà difficilissime), l’esclusione dei condannati da Parlamento, governo, enti locali e regionali, la carriera unica di giudici e pm (consigliata dall’Ue e difesa dai veri garantisti), l’assenza di avvocati nei consigli giudiziari che valutano i magistrati e financo le 25 firme richieste ai togati per candidarsi al Csm, sono gli stessi che da trent’anni lavorano per convincere gli italiani che le indagini sui reati dei politici sono una “guerra fra giustizia e politica”: un derby fra guardie e ladri che non riguarda i cittadini, i quali se ne devono bellamente infischiare. Guai a ricadere nell’errore “giustizialista” di Tangentopoli e Mafiopoli, quando gli italiani tifavano per le guardie perchè sapevano di essere le vittime dei ladri e dei collusi. Hanno ridotto milioni di persone da protagonisti a spettatori, da cittadini a sudditi: ora non si meraviglino se gli elettori stanno a guardare.

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