giovedì 26 dicembre 2019

Popolare Bari, dalla rimozione dei dirigenti all’acquisto di Tercas: Visco racconta balle sugli errori della Banca d’Italia. - Giorgio Meletti

Popolare Bari, dalla rimozione dei dirigenti all’acquisto di Tercas: Visco racconta balle sugli errori della Banca d’Italia

Autogol - Le bugie del governatore al Corsera: dai poteri di rimuovere i vertici fino alla responsabilità sulla sciagurata fusione con Tercas.
I lettori del Fatto sono stati messi a conoscenza da tempo della curiosa abitudine della Banca d’Italia di reagire ai crac bancari e ai legittimi interrogativi sull’efficacia della vigilanza bancaria con una supercazzola a scelta tra “quei delinquenti ce l’hanno fatta sotto il naso” e “non avevamo poteri sufficienti”. Ma ieri il governatore Ignazio Visco ha battuto ogni record affidando a una solenne intervista al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana una raffica di affermazioni contrarie al vero, quelle che la libera stampa definita “volgare” a Palazzo Koch definisce balle.
La più clamorosa è questa: “La scelta dei componenti degli organi sociali è di esclusiva responsabilità dell’azienda (…) La vigilanza può ricorrere alla moral suasion, e nel caso della Popolare di Bari ha espresso chiaramente al presidente del consiglio di amministrazione le proprie perplessità sull’opportunità del rientro dell’ingegner De Bustis tre anni dopo che aveva lasciato la banca”. Visco omette di ricordare, e l’intervistatore omette di ricordargli, che Bankitalia ha dal 2015 il potere di disporre il removal (volgarmente la cacciata) di amministratori che possono causare pregiudizio alla sana e prudente gestione delle banche (art. 53 Testo Unico Bancario, comma 1, lettera e). Solo che per la Popolare di Bari, come per altre banche, non lo ha usato. Visco vive sempre in attesa di qualcosa: ora delle “norme attuative da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze” che farebbero entrare in vigore la severa direttiva europea sui requisiti di onorabilità e competenza dei banchieri.
La direttiva è stata recepita nel 2015, e da quattro anni e mezzo i vari ministri dell’Economia succedutisi (Pier Carlo Padoan, Giovanni Tria e Roberto Gualtieri) si sono ben guardati dallo scrivere il decreto così scomodo per numerosi potenti banchieri che (essendo sanzionati dalla vigilanza, indagati o addirittura imputati) dovrebbero andare a casa seduta stante. Visco non solo non ha mai protestato pubblicamente contro questo ritardo scandaloso della politica, ma due anni fa fece dire al capo della vigilanza Carmelo Barbagallo, sotto giuramento davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta, che Bankitalia applicava di fatto i nuovi criteri restrittivi e i banchieri esaminati li avevano superati. Colpisce un altro dettaglio. Visco avrebbe detto di non far rientrare De Bustis al presidente della Popolare Marco Jacobini, al quale due anni prima aveva ingiunto di andarsene dopo quasi 40 anni di presidenza. Non ha rimosso Jacobini per le ragioni per le quali gli chiedeva con lettera di dimettersi. E non ha rimosso De Bustis.
Quel che è peggio è che, oggi, cioè a babbo morto, il governatore racconta questa storia: “All’inizio del 2019 emergono forti conflittualità tra presidente dell’organo amministrativo e le componenti a lui riconducibili, da un lato, e l’amministratore delegato, i componenti del Comitato di Controllo Interno e Rischi, il presidente del Collegio sindacale, dall’altro. Si determina un vero e proprio stallo gestionale”. Cioè: appena De Bustis si insedia contro il volere di Visco, inizia a litigare di brutto con Jacobini che per Visco doveva essersene andato da due anni, il governatore sa tutto e che cosa fa? Non li rimuove come sarebbe suo dovere perché, dice, non ne ha il potere.
Che la Popolare di Bari fosse messa male la Banca d’Italia lo sapeva dal 2010, quando l’ispezione si concluse con un giudizio “parzialmente sfavorevole”, espressione che nella filosofia occidentale post-aristotelica ha come unico precedente di assurdità il noto assioma “la ragazza è un po’ incinta”. Anche le ispezioni del 2013 e del 2016 hanno dato esito “parzialmente sfavorevole”, ma sul sito della Banca d’Italia, in una nota beffardamente intitolata “L’intensità dell’azione di vigilanza sulla Banca Popolare di Bari”, sull’esito del 2013 si sorvola. E certo, perché subito dopo quell’ispezione Bankitalia toglie alla Popolare di Bari il divieto di fare acquisizioni per consentirle di acquisire la Tercas.
Non solo tutti i muri della Popolare di Bari, ma anche le colonne di Palazzo Koch sanno che fu la Banca d’Italia a imporre a Jacobini e De Bustis l’acquisizione di Tercas. Oggi Visco riesce a raccontarci che a fine ottobre 2013 “venne considerata la manifestazione di interesse dei vertici della Popolare di Bari, che poi decisero di realizzare l’operazione in base a una autonoma valutazione”.
Visco argomenta che “decisioni come quella di realizzare un’acquisizione sono di esclusiva competenza e responsabilità del vertice delle banche”. Un’affermazione che ieri ha fatto sobbalzare anche numerosi dirigenti della Banca d’Italia, sempre più insofferenti per lo stile suicida della comunicazione del governatore. Qui c’è un punto di fatto e quindi l’ennesima balla di Visco: le acquisizioni sono costantemente vagliate dalla Banca d’Italia che deve poi concedere o negare l’autorizzazione. Specie nel caso Tercas il ruolo della Banca non è stato neutro. Esisteva un divieto di espansione per la Popolare di Bari, che è stato rimosso proprio per consentire l’acquisizione di Tercas.
D’altra parte il governatore argomenta che “la vigilanza non può intervenire nella conduzione della Banca”, dichiarazione falsa in quanto illogica: se la vigilanza non ha poteri d’intervento, che ci sta a fare? Per fare analisi che restano poi lettera morta? Le risposte alla prossima Commissione parlamentare d’inchiesta.

"I berluscorenziani e la barzelletta del finto garantismo." - Andrea Scanzi

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Come molti sanno, l’unica funzione nell’ecosistema del partito ossimoro Italia Viva è quella di mettere i bastoni tra le ruote al governo Mazinga, “voluto” peraltro proprio da Renzi (e Grillo), aprendo così le porte al peggiore destra-destra-centro d’Europa. Le fibrillazioni in seno al governo sono quasi tutte firmate Renzi. Le ultime riguardano la revoca delle concessioni autostradali, in nome di quella cosa serissima (il garantismo) trasformata dai berluscorenziani in barzelletta. Non male anche Lucianone Nobili, che quando c’è da urlare a caso è sempre in prima fila. Ascoltiamolo: “Un’azienda dà 60 mila euro a Open: perquisizioni, accuse, aperture dei Tg. La stessa azienda ne dà poi 600 mila a Casaleggio e 240 mila al blog di Grillo. Tutti zitti: media proni, giudici silenti”. Allude alle notizie (Corriere della Sera) sui finanziamenti della società Moby a Casaleggio e al blog di Beppe Grillo. La società Moby di Onorato avrebbe cercato sponde non solo appoggiando Renzi e finanziando la fondazione Open, ma versando pure denaro per sostenere il blog dell’ex comico e la Casaleggio Associati.

È ovvio che questa strategia è stata finemente pensata dalla Diversamente Lince di Rignano. Cosa ha fatto, dalla nascita del Conte II a oggi, Matteo Renzi? E cosa ha ottenuto? Breve riassunto.

Renzi si è sempre messo di traverso quando il governo poteva fare qualcosa di buono (revoca concessioni, lotta all’evasione, no al bavaglio, sì al processo a Salvini sulla Gregoretti, stop alla prescrizione); è stato travolto dal caso Fondazione Open; secondo l’ultimo numero dell’Espresso, Renzi ha potuto restituire il prestito di 700 mila euro (per la nuova casa) grazie al manager Lucio Presta, che gli avrebbe dato 500 mila euro come compenso per il documentario su Firenze andato in onda su Discovery nel 2018. Solo che Discovery, a Presta, per quel programma avrebbe dato 20 mila euro. Perché allora quei 480 mila euro di disavanzo? Renzi ha poi ritardato la Sugar Tax, tassa sacrosanta e giustissima, spacciando peraltro una lieve dilazione nel tempo per vittoria politica campale; in questi mesi è diventato definitivamente il clone di Johnny Pappagorgia; ha deciso di emulare Salvini nella comunicazione “guastatrice” sui social, creandosi pure lui una Bestia; si è ridotto, pur di inseguire il Cazzaro Verde, a fare gli stessi post sulla Nutella; ha detto a Conte che deve trasformarsi in Super Pippo (sic); ha vomitato un discorso al Senato in cui è riuscito a ricordare il peggior Craxi, infarcendo il delirante monologo di errori storici marchiani (per esempio su Moro e Leone); secondo Minzolini e non solo lui, sta pensando a un governo Salvirenzi che costituirebbe per distacco l’Armageddon della politica mondiale; ha usato il caso Banca Popolare di Bari per prendersi rivincite puerili e patetiche, dimostrando con ciò di essere ancora fermo a quel giorno meraviglioso che fu il 4 dicembre 2016, quando l’Italia si salvò e lui perse il treno della vita; ha usato ricorrenze importanti, tipo i 70 anni di Springsteen, per parlare di se stesso (mitologico il tweet in cui ha sostenuto che il Boss, quando venne a Firenze, salutò lui e non viceversa. Come se il famoso tra i due fosse Renzi); ha deciso di querelare tutti e bastonare mediaticamente tutta quella parte di magistratura e giornalismo che non gli va a genio, ribadendo la sua natura politica di figlio ripetente di Berlusconi.

Grazie a tutto questo, Renzi è diventato il politico più detestato dagli italiani. E nei sondaggi fatica a stare sopra il 4 per cento. Insomma, il solito trionfo. Daje Matte’.

The Slurpman - Marco Travaglio

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Siccome a Natale siamo tutti più buoni, vorremmo spezzare una lancia per Matteo Renzi. È vero, ogni giorno ci arriva una sua causa civile per danni (l’ultima, la settima in un mese, riguarda un articolo del Fatto del 1° luglio 2018, da cui solo ora si è sentito offeso, a scoppio ritardato). Ma, attratti come siamo dai perdenti, non riusciamo a liberarci di un’istintiva tenerezza per lui, almeno in questa fase terminale della sua parabola politica, mentre rilascia interviste su tutto a tutti dappertutto, pure ai videocitofoni, nel tentativo disperato di dimostrare che ancora respira, e mentre gli italovivi morenti bussano al Pd tentando la fuga dal suo partitucolo già fallito. Presto quelli che per cinque anni abbiamo conosciuto come renziani di chiara fama (e fame) fingeranno di non conoscerlo, anzi di non averlo mai conosciuto, cancellando post dai social, sbianchettando parole, opere e genuflessioni e confidando nella smemoratezza generale. Il più lesto, al solito, è Gianni Riotta detto Johnny perché, essendo nato a Palermo, si crede americano. L’altro giorno abbiamo citato alcune sue leccate d’antan a Renzi&Boschi, tratte da una sua memorabile lezione in inglese del 9 settembre 2014, in piena Era Matteiana, all’Institute of International and European Affairs di Dublino, dal titolo From Berlusconi to Renzi: Old Troubles, New Challenges.

Le avevamo già riportate in altre occasioni, anche nel libro Slurp, ma sempre sotto il governo Renzi. Dunque Johnny si era sempre guardato dallo smentirle: anzi, ne andava fiero e teneva a farle conoscere a chi di dovere. Ora invece che il renzismo è in disgrazia elettorale e giudiziaria, nega pietosamente di aver detto ciò che ha detto. E cinguetta su Twitter: “Marco Travaglio deve inventarsi sul suo giornale false citazioni di miei articoli pur di provare a far ridere qualcuno dei suoi, stremati, lettori. Purtroppo, negli articoli di Travaglio sono invece le vere citazioni a farci ridere”. Tweet subito seguito da una profluvie di lodi dei suoi fan, intervallati da alcuni dissenzienti che lui zittisce stizzito. Tipo quelli che chiedono quali sarebbero precisamente le “false citazioni” che gli avrei attribuito per far ridere i miei “stremati lettori”, come se non bastassero quelle vere. Purtroppo, nella fretta, il Cortigiano Johnny si è scordato di far rimuovere da Youtube il video integrale della sua lezione all’IIEA: il link è www.youtube.com/watch?v=WsG–yHJgCk, utilissimo sia per combattere la stitichezza sia per verificare se sono io che invento false citazioni di Riotta o è lui che slurpava Renzi&Boschi e ora comprensibilmente se ne vergogna.

Da Dante a Matteo, il cow boy scout. Minuto 7 e 35 secondi: “Come sapete, Matteo Renzi era il sindaco di Firenze. È facilissimo governare Firenze. Dopo l’esilio di Dante e dopo il Rinascimento, a Firenze, non è più successo niente (Firenze divenne fra l’altro la capitale del Regno d’Italia, ma sono cazzate, ndr). Governare Firenze è facilissimo perché è una città ricca, solida, che si governa da sola. Fare il sindaco di Firenze è un po’ come fare il direttore del Louvre a Parigi: è un lavoro comodo e redditizio. Poi Renzi ha deciso di partecipare alle primarie: dal museo al Far West”.


La congiura de’ Renzi. 9’ 15’’: “Con un colpo da maestro fiorentino (a very florentinian coup), è riuscito a conquistare il posto di primo ministro dal suo predecessore, Enrico Letta e, per questo motivo, nel suo partito molti l’hanno criticato. Io penso che sia stata una mossa del tutto naturale: c’è un giovane politico ambizioso che vince le primarie e vuole il posto, non vuole restare in panchina a cuocere a fuoco lento: prende il posto e affronta la sfida”.


La Star Molto Bionda. 9’52’’: “Il suo governo è un governo molto fotogenico ma, allo stesso tempo, è pieno di star”. 10’ 25’’: “Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi subisce molte, molte malignità da parte della stampa italiana perché è bella e bionda, molto bella e molto bionda, ed è, allo stesso tempo, una giovane avvocato capace di mettere in soggezione e che sa molto bene il fatto suo e io non vorrei mai essere dalla parte opposta alla sua a un tavolo di confronto”.

Un po’ Prometeo, un po’ Alessandro Magno. 12’06’’: “Non voglio dire che Renzi quest’energia l’abbia creata. L’energia era già lì, ma Renzi è riuscito a inserire la spina per sprigionarla. Renzi è riuscito a dire a una generazione che voleva cambiare il Paese: ‘Seguitemi e andremo!’”.

Johnny is happy. 13’ 47’’: “Gli italiani avranno tutti i peggiori difetti di questo mondo, ma sono persone di buon senso. L’Italia reale, non quella che vedete alla televisione, ma quella delle persone riunite a tavola il giorno di Natale, ha votato per Grillo per dare un segnale di cambiamento, ma quando ha visto che con Renzi poteva incanalare la sua protesta in un modo razionale e non irrazionale, alle elezioni europee ha dato il 40% dei voti a Renzi e il 20% a Grillo… E io sono contento (happy) che Renzi sia riuscito a ottenere questo”.

Meravigliosa creatura (e pure sexy). 15’ 03’’: “Abbiamo un giovane primo ministro fotogenico, forte, intelligente, sexy, digitalmente esperto, con il suo meraviglioso governo”. In lingua originale, suona ancora meglio: “We have a photogenic, strong, smart, sexy, digitally oriented, young prime minister with his great cabinet”.

Cari, stremati lettori, vi ho inflitto questa raccapricciante cascata di bava proprio a Natale non per cattiveria, ma per spirito di servizio. Se è vero, come diceva Indro Montanelli, che “in Italia non è il padrone che fa i servi: sono i servi che fanno il padrone”, Riotta è più utile dell’oroscopo di Branko: per sapere chi sarà il prossimo padrone, seguite la lingua di Johnny Lecchino. Non sbaglia mai.


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