Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 24 febbraio 2010
Una firma è per sempre - Movimento a 5 stelle
L'Artefatto - Roberto Corradi
Pere Borrel del Caso (non è un nome d’arte): Massima Fuga, olio su tela per rendere la fuga scivolosa (a Massimo vogliono bene dal ‘600). Opera irraggiungibile dell’artista dal nome più ridicolo di sempre (secondo solo, forse, a Bonarroto Bonarroti) che analizza e raffigura quello che ancora non c’è ma ci sarà. Anche se per molti già c’è. La fuga dalemiana: la Puglia ha rappresentato una sconfitta di dimensioni ciclopiche, un viatico alla derisione senza precedenti, e D’Alema evade. Curioso, seriamente, che l’opera originale si chiami “Fuga dalla critica”.
Il Misfatto, l'inserto satirico de Il Fatto Quotidiano, tutte le domeniche in edicola
Il senatore e le ‘ndrine: "Nicò, sei schiavo mio"
Il suo "elettore" Mokbel: "Conti come un portiere, capito?". E quei voti della cosca Arena
di S.A. e M.L.
Secondo la Procura di Roma il senatore del Pdl Nicola Paolo Di Girolamo uomo alle dirette dipendenze di Gennaro Mokbel, sarebbe stato eletto nella circoscrizione Estero del Senato, con i voti garantiti dalla ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto. A fare impressione sono le telefonate intercettate tra il senatore e Gennaro Mokbel, un uomo legato ad Antonio D’Inzillo, considerato l’omicida del boss della Magliana Enrico De Pedis. Il senatore si fa trattare come uno sguattero dal suo cliente che lo ha aiutato ad essere eletto: "M’hai scassato il cazzo, te lo dico papale papale a Nicò", lo apostrofava il primo aprile 2008, quando era ancora candidato, diceva: "Se t’è venuta la candidite Nicò e se t’è venuta già a’ senatorite è un problema tuo, però sta’ attento che ultimamente te ne sei uscito tre volte che io sono stato zitto ma oggi mo’ m’hai riempito proprio le palle Nicò. Capito? A ’n’ altro je davo ‘na capocciata ma a te siccome te voglio bene, Nicò, abbozzo ‘na volta, due, tre volte. Mo basta".
E il futuro senatore, dopo essersi scusato, corre da lui. Dopo le elezioni Mokbel è ancora più duro con il suo servo, che si scusa dicendo: "Io ho sbagliato" ma a Mokbel non basta: "Non me ne frega un cazzo. A me di quello che dici tu...per me Nicò puoi pure diventà presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio, per me tu sei sempre il portiere no, nel senso che tu sei uno schiavo mio, tu conti sempre come il portiere, capito Nicò. Però ricordate, io per i soldi nun me ne frega un cazzo del potere, però ricordate Nicola che per le sfumature me faccio ammazzà e faccio del male".
Il faccendiere rinfacciava al senatore i suoi debiti: "Ti è piaciuto sentirti qualche cosa e mo ricordate che devi pagà tutte le cambiali che so state aperte e in più devi pagà lo scotto sulla tua vita Nicò perché tu una vita nun ce l’avrai più". Mokbel rivendica il ruolo di motore e di cassa del movimento politico del quale Di Girolamo è soltanto la faccia: "Io sono sette mesi che sono murato qua dentro e calcola che il 70% dei soldi tirati fuori qua li ho tirati fuori io, io sto zitto e muto e tiro fuori. Ma che me voi dì...Io c’ho cinquant’anni Nicò". Il senatore prova a ribattere “e pure io Gennaro” e Mokbel: "Eh, ma i cinquant’anni mia nun so’ i tua". E il senatore che si ricorda con chi ha a che fare: "Quello sicuramente".
Dalle intercettazioni emerge anche che Di Girolamo si è recato in Germania assieme agli esponenti della cosca Arena della famiglia di Isola Capo Rizzuto per procurare voti come scrive il gip "avvalendosi della capacità di intimidazione e dell’operatività della cosca mafiosa reperivano voti presso gli immigrati calabresi in particolare nel distretto di Stoccarda e Francoforte. Dove grazie al supporto del mafioso Franco Pugliese, riciclatore dei beni della famiglia Arena difesa dall’avvocato Colosimo ora latitante, reperivano le schede elettorali in bianco inviate agli elettori residenti all’estero provvedendo al riempimento inserendovi abusivamente il nominativo Di Girolamo Nicola Paolo". Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, sulla base di indagini ancora segrete aveva inviato parte degli atti alla Giunta per le elezioni che si era convinta della irregolarità proponendo all’Aula di dichiararlo decaduto dal suo seggio senatoriale.
Ma l’aula lo ha salvato. Toccanti le parole del senatore Cuffaro condannato in Appello a 7 anni per aver favorito Cosa Nostra durante la discussione: "Onorevoli colleghi, mettetevi una mano sulla coscienza! Se votate per la decadenza quest’uomo sarà arrestato!". Di Girolamo continua così a svolgere la sua attività parlamentare anche come membro della III Commissione Affari esteri nonostante già nel 2008 sia stato raggiunto da una richiesta di arresto per aver falsificato la sua residenza. "Stanno cercando di mettermi sulla croce. È roba da fantascienza. Sono stato in Calabria durante la campagna elettorale una sola volta invitato dall’avvocato Colosimo per un incontro elettorale". Colosimo è il difensore della cosca Arena, oggi latitante.
Da il Fatto Quotidiano del 24 febbraio
Senatore Di Girolamo, le bugie hanno le gambe corte.
Riciclaggio, le frodi Carosello ecco come funzionavano
1) In primo luogo venivano realizzate o individuate, scrive il gip, una serie di società 'A', tutte con sede all'estero nell'ambito dell'Ue e di fatto create ad hoc per le operazioni delittuose, nonchè una serie di società 'B', con sede in Italia e anch'esse di fatto create ad hoc".
2) 'A' cedeva fittiziamente a 'B' un valore pari a '100' di servizi, di solito traffico telefonico ma non solo, senza pagare l'Iva poiché si trattava di cessione all'interno di Stati appartenenti all'Ue (la cosiddetta cessione 'intra')
3) 'B' cedeva fittiziamente alle società 'C' - vale a dire Fastweb e Telecom Italia Sparkle - i medesimi servizi per un valore di '100' sul quale veniva pagata da 'C' l'Iva per il 20%, poiché si trattava di una compravendita di servizi in Italia, con un esborso finale apparente per 'C' di '120'.
4) 'C', infine, rivendeva ad 'A' i medesimi servizi con il sistema 'intra' (come detto applicabile negli acquisti tra Stati Ue) al prezzo di '100' senza il pagamento dell'Iva.
In questo modo, afferma il gip, "alla fine di un'operazione sostanzialmente neutra a fini economici perché ogni soggetto paga ed incassa '100', 'C' (vale a dire Fastweb e Telecom Italia Sparkle) ha apparentemente pagato '20' di Iva a 'B', che quest'ultima in ogni caso non versa all'erario, non avendo mai incassato la relativa somma".
Perciò, se ad esempio Fastweb o Telecom Italia Sparkle avevano incassi per un milione e 200mila euro, avrebbero dovuto versare 200mila euro all'erario alla scadenza prevista dalla legge. Poichè però esponevano un (inesistente) credito Iva pari o superiore a 200mila euro, lo detraevano da quanto dovevano versare e ottenevano profitti superiori del 20% a quelli che avrebbero realizzato solo con l'operazione commerciale (ad esempio 1 milione 200mila anzichè 1 milione)".
A questo punto, scrive il giudice, "le ingenti somme di denaro apparentemente spese per pagare l'Iva in favore delle società 'B' (le cosiddette 'cartiere') consentivano a Fastweb e Telecom Italia Sparkle di realizzare 'fondi neri' per enormi valori che costituivano l'oggetto primario delle attività di riciclaggio e di investimento fittizio realizzato da altri membri dell'associazione per delinquere".
Attraverso questo "schema delittuoso" è stato arrecato un danno all'erario complessivo di 370 milioni di euro in poco più di tre anni, in particolare mediante "due distinte operazioni truffaldine": una denominata 'Phuncard', l'altra 'Traffico telefonico'. La prima ha riguardato la commercializzazione di schede prepagate, denominate appunto 'Phuncards', recanti un codice che avrebbe dovuto consentire l'accesso tramite un sito internet a contenuti tutelati da diritto d'autore, in realtà inesistenti. La seconda fittizia operazione ha avuto per oggetto la commercializzazione di "servizi a valore aggiunto" (del tipo 'contenuti per adulti') da realizzare mediante l'acquisto e la veicolazione dei contenuti attraverso servizi di interconnessione internazionale per il trasporto di traffico telematico. Anche in questo caso l'oggetto stesso della prestazione (il traffico telematico) si è rilevato inesistente ed ha consentito alle società debitrici dell'Iva nei confronti dello Stato di non versare il tributo, trasferendo ingenti somme all'estero e facendo girare in circolo i flussi finanziari.