mercoledì 29 dicembre 2010

Il leghista emiliano e i rimborsi fasulli chiesti alla regione.




Il Carroccio rischia di crollare sotto il peso dello scandalo delle irregolarità di una serie di fatture per le trasferte di Maurizio Parma, capogruppo leghista di via Aldo Moro. Si faceva rimborsare impegni personali e di partito come fossero attività istituzionale.

“Meglio non avvisare Roberto Calderoli della faccenda dei fondi regionali del Carroccio perché sennò non ‘salta’ solo Maurizio Parma, ma tutta l’Emilia”. E’ questo uno dei passaggi di una conversazione telefonica del luglio 2009 tra il segretario della Lega nord Emilia RomagnaAngelo Alessandri (e presidente della Commissione Ambiente alla Camera) e l’ex vicesegretario del movimento Marco Lusetti. I due parlano dello scandalo delle note spese fasulle presentate dal capogruppo leghista in regione Maurizio Parma. Una vicenda che adesso rischia di trasformarsi in una valanga di fango per il Carroccio che solo pochi mesi fa, alle ultime regionali, aveva conquistato più del 13% dei consensi. Lusetti, dopo aver tentato per due volte di spingere il partito a fare chiarezza sui presunti rimborsi taroccati, nel luglio 2010 è stato espulso. Ma lunedì scorso si è preso la sua rivincita: ha convocato una conferenza stampa, ha fatto ascoltare la registrazione della telefonata e ha mostrato una serie di documenti che secondo lui dimostrano le irregolarità commesse da Parma, oggi vicepresidente della provincia di Piacenza, nella gestione dei fondi a disposizione del gruppo regionale. Nelle mani dei cronisti finiscono così le ricevute che Parma girava agli uffici della regione per farsi rimborsare le trasferte.

Si inizia con un viaggio del 28 agosto 2008 quando l’esponente leghista sostiene di aver incontrato tra Pordenone, Bergamo e Pontida gli amministratori regionali di Friuli Venezia Giulia e Lombardia, chiedendo ed ottenendo dalla Regione Emilia Romagna un rimborso spese di 463 euro. Lusetti, però, racconta che in quegli stessi giorni, di scena a Pontida, c’era la tradizionale festa dei Popoli padani. “Non vorrei – dice l’ex leghista – che Parma si sia fatto rimborsare il viaggio per andare ad una festa di partito e non all’incontro con alcuni funzionari regionali”.

Un anno prima, il 16 e 17 settembre 2007, Parma si fa rifondere anche una trasferta a Venezia eTreviso per, si legge nel documento su carta intestata del gruppo regionale, una manifestazione sul federalismo fiscale e un incontro con gli amministratori regionali del Veneto. Totale: 201,60 euro. Spicci, ma è ancora Lusetti a mettere in dubbio la versione di Parma: “In quel periodo c’è il raduno dei leghisti a Venezia – rivela – e guarda caso la moglie di Maurizio Parma vive proprio a Treviso”.

Ma Lusetti non si ferma e fa saltare fuori altri due rimborsi spese “che puzzano proprio”: il primo, datato 26 dicembre 2006, riguarda l’affitto di una delle sale di Piacenza Expo per un convegno sugli enti locali, a cui Lusetti allega pure la ricevuta su carta intestata del centro fieristico. Parma, per quell’incontro a ridosso del Natale 2006, avrebbe ottenuto come rimborso 1.800 euro “anche se è strano- rileva Lusetti- che a Santo Stefano si organizzi un convegno sugli enti locali e nessuno se ne sia accorto”. Un incontro talmente segreto che non se ne sono accorti, evidentemente, neanche a Piacenza Expo visto che, interpellati, fanno sapere che nessuna sala per quella data e’ mai stata affittata e per il mese di dicembre del 2006 non furono calendarizzati eventi di natura privata.

Infine, Parma avrebbe anche ottenuto un rimborso spese per più di 5.000 euro (con due fatture, una da 3.600 ed un’altra da 1.640 euro) per una cena avvenuta il 30 marzo 2008 al Park hotel di Piacenza a cui partecipo’ anche Umberto Bossi: niente di irregolare ad una prima occhiata ma è proprio Lusetti ad offrire una chiave di lettura. “Io c’ero a quella cena – dichiara l’ex numero due del movimento – e ricordo benissimo che tutti i militanti hanno pagato di tasca propria la quota parte della cena, quindi e’ evidente che Parma ha chiesto un rimborso spese nonostante non ne avesse la ragione”.

Con il faldone di rimborsi “pieni di criticità”, Lusetti stava quindi cercando di incontrare il ministro Calderoli, visto che in sede di direttivo del partito, la mozione per la discussione di questi documenti poco chiari era stata congelata per ben due volte.

“Ma questa faccenda la chiudiamo noi” minimizza per telefono Alessandri invitando il suo vice a firmare una dichiarazione che farà avere ai piani alti del movimento. Lusetti non sembra convinto ma Alessandri chiede di velocizzare i tempi: “Ma no, ragazzi, non apriamo questi libri qua, ma stiamo scherzando? Non bisogna raccontare in giro questa storia, devi minimizzare – sprona Alessandri – perché questi qua, per quanto gliela spieghi, non la capiranno mai, vedono solo il problema loro” visto che “il problema è dell’Emilia, non solo di Maurizio Parma”.

Alessandri cerca quindi di contenere lo scandalo che potrebbe scoppiare da un momento all’altro e modificare la geografia politica della Provincia di Piacenza, neo eletta giunta Pdl e Lega che vince le elezioni per la prima volta dopo 50 anni di sinistra.

Ma dal 2009 al 2010 gli scandali legati alla Lega in amministrazione provinciale si susseguono uno dopo l’altro: un assessore, Davide Allegri, che affida piani regolatori allo studio di architettura dove lavora e ad un dipartimento universitario in cui insegna; un consigliere provinciale in quota Carroccio, Davide Maloberti, indagato per truffa ai danni dello Stato per la questione delle quote latte e, infine, il vicepresidente Maurizio Parma a cui non tornano i conti di quando era capogruppo in Regione. Ma Rosy Mauro, nuova reggente del partito emiliano, ne è sicura: “Non esiste nessuna questione morale nella Lega”.

di Massimo A. Paradiso


Su Belpietro iniziano a girare strane storie.




Segnatevi questa data: 27 dicembre 2010. E questo scampolo di prosa: “Girano strane storie a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno. Se ho deciso di riferirle è perché alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato… Toccherà quindi ad altri accertare i fatti… Vero? Falso? Non lo so. Chi mi ha spifferato il piano non pareva matto…in cambio dell’informazione non mi ha chiesto nulla… Mitomane? Ricattatrice? Altro? Boh! Perché mi sono deciso a scrivere delle due vicende? Perché se sono vere c’è di che preoccuparsi… Se invece è tutto falso, c’è da domandarsi perché le storie spuntano proprio ora”.

L’autore Maurizio Belpietro, direttore di un giornale (si fa per dire: è Libero), inaugura una nuova frontiera: le notizie separate dai fatti, la cronaca medianica, l’informazione a cazzo, il giornalismo del boh?. Funziona alla grande: tre inchieste in altrettante procure, titoloni su tutti i tg e giornali (addirittura l’apertura su Repubblica: “Finto attentato a Fini, è scontro”), Belpietro tutto giulivo:“Ho fatto uno scoop, non potevo andare dal magistrato sennò mi leggevo la notizia su qualche altro giornale. Ma ho fatto un piacere a Fini, dovrebbe ringraziarmi”. Anche noi, nel nostro piccolo, vogliamo fare uno scoop e un piacere a Belpietro. Pertanto abbiamo deciso di pubblicare lestrane storie che girano sul suo conto.

Un’anziana reduce da una seduta spiritica ci ha raccontato che, consultando l’anima di un defunto di cui non ha ben capito il nome, ha appreso che Belpietro avrebbe da anni una relazione con un opossum, non si sa se maschio o femmina, ma più carino di lui. Vero? Falso? Boh. Riportiamo la notizia perché l’anonimo poltergeist non ha chiesto soldi in cambio delle sue rivelazioni e perché vogliamo fare un piacere a Belpietro.

Un uomo incappucciato con un tanga, ma con impercettibile inflessione norvegese, ci ha consegnato un dossier fotografico che ritrae Belpietro travestito da talebano e intento a ricevere alcuni bazooka da Osama Bin Laden in una grotta del Pakistan. Mitomane? Ricattatore? Altro? Mah! Avremmo potuto verificare la notizia, ma non volevamo leggerla su qualche altro giornale. Meglio darla subito, poi Belpietro ci ringrazierà con comodo.

Una signora di mezza età che indossava una pelle di giraffa e portava in testa un cotechino con lenticchie, ma non pareva affatto matta, ci ha riferito di avere le prove che i delitti di Cogne, Erba, Garlasco, Perugia, Avetrana e via Gradoli sarebbero opera del noto serial killer Belpietro, socio occulto di Bruno Vespa che poi fanno a mezzo con i fornitori di plastici. Se lo scriviamo è perché, se è vero, c’è di che preoccuparsi; se invece è falso, c’è da domandarsi perché questa storia spunta proprio ora.

Un licantropo travestito da Ciccio di Nonna Papera che parla soltanto il babilonese antico ci ha svelato, se abbiamo capito bene, che Belpietro sarebbe solito spalancare l’impermeabile nei giardinetti degli asili nido e sgranocchiare alcuni bambini con tanto di grembiulino per vincere i morsi della fame. Lo scriviamo per il bene di Belpietro, nella speranza che ci ringrazi.

Un sedicente caposcorta ci ha confidato che qualche mese fa si inventò di avere sventato un attentato a un giornalista e poi, per renderlo più credibile, esplose alcuni colpi di pistola riuscendo a centrare, in mancanza dell’attentatore, il soffitto, il mancorrente della scala e un battiscopa; dopodiché il giornalista andò in tournée in tutte le tv ad accusare la sinistra “partito dell’odio”; poi, quando la patacca stava per essere smascherata, accusò Fini di essersi organizzato un falso attentato per dare la colpa a Berlusconi. La notizia, diversamente dalle altre, ci pare talmente incredibile che abbiamo esitato fino all’ultimo a pubblicarla. Se ne diamo conto, è solo perché pare che sia vera.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/29/segnatevi-questa-data-27-dicembre-2010-e/84004/



A sostegno della Fiom


  • Fausto Bertinotti, Sergio Cofferati, Gianni Ferrara, Luciano Gallino, Francesco Garibaldo, Paolo Nerozzi, Stefano Rodotà, Rossana Rossanda, Aldo Tortorella, Mario Tronti


    Abbiamo deciso di costituire un'associazione, «Lavoro e libertà», perché accomunati da una comune civile indignazione.


    La prima ragione della nostra indignazione nasce dall'assenza, nella lotta politica italiana, di un interesse sui diritti democratici dei lavoratori e delle lavoratrici. Così come nei meccanismi elettorali i cittadini sono stati privati del diritto di scegliere chi eleggere, allo stesso modo ma assai più gravemente ancora un lavoratore e una lavoratrice non hanno il diritto di decidere, con il proprio voto su opzioni diverse, di accordi sindacali che decidono del loro reddito, delle loro condizioni di lavoro e dei loro diritti nel luogo di lavoro. Pensiamo ad accordi che non mettano in discussione diritti indisponibili. Parliamo, nel caso degli accordi sindacali, di un diritto individuale esercitato in forme collettive. Un diritto della persona che lavora che non può essere sostituito dalle dinamiche dentro e tra le organizzazioni sindacali e datoriali, pur necessarie e indispensabili. Di tutto ciò c'è una flebile traccia nella discussione politica; noi riteniamo che questa debba essere una delle discriminanti che strutturano le scelte di campo nell'impegno politico e civile. La crescente importanza nella vita di ogni cittadino delle scelte operate nel campo economico dovrebbe portare a un rafforzamento dei meccanismi di controllo pubblico e di bilanciamento del potere economico; senza tali meccanismi, infatti, è più elevata la probabilità, come stiamo sperimentando, di patire pesanti conseguenze individuali e collettive.


    La seconda ragione della nostra indignazione, quindi, è lo sforzo continuo di larga parte della politica italiana di ridimensionare la piena libertà di esercizio del conflitto sociale. Le società democratiche considerano il conflitto sociale, sia quello tra capitale e lavoro sia i movimenti della società civile su questioni riguardanti i beni comuni e il pubblico interesse, come l'essenza stessa del loro carattere democratico. Solo attraverso un pieno dispiegarsi, nell'ambito dei diritti costituzionali, di tali conflitti si controbilanciano i potentati economici, si alimenta la discussione pubblica, si controlla l'esercizio del potere politico. Non vi può essere, in una società democratica, un interesse di parte, quello delle imprese, superiore a ogni altro interesse e a ogni altra ragione: i diritti, quindi, sia quelli individuali sia quelli collettivi, non possono essere subordinati all'interesse della singola impresa o del sistema delle imprese o ai superiori interessi dello Stato. La presunta superiore razionalità delle scelte puramente economiche e delle tecniche manageriali è evaporata nella grande crisi.
    L'idea, cara al governo, assieme a Confindustria e Fiat, di una società basata sulla sostituzione del conflitto sociale con l'attribuzione a un sistema corporativo di bilanciamenti tra le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sotto l'egida governativa, del potere di prendere, solo in forme consensuali, ogni decisione rilevante sui temi del lavoro, comprese le attuali prestazioni dello stato sociale, è di per sé un incubo autoritario.
    Siamo stupefatti, ancor prima che indignati, dal fatto che su tali scenari, concretizzatisi in decisioni concrete già prese o in corso di realizzazione attraverso leggi e accordi sindacali, non si eserciti, con rilevanti eccezioni quali la manifestazione del 16 ottobre, una assunzione di responsabilità che coinvolga il numero più alto possibile di forze sociali, politiche e culturali per combattere, fermare e rovesciare questa deriva autoritaria.


    Ci indigna infine la continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di espressione e di realizzazione di sé.
    La precarizzazione, l'individualizzazione del rapporto di lavoro, l'aziendalizzazione della regolazione sociale del lavoro in una nazione in cui la stragrande maggioranza lavora in imprese con meno di dieci dipendenti, lo smantellamento della legislazione di tutela dell'ambiente di lavoro, la crescente difficoltà, a seguito del cosiddetto "collegato lavoro" approvato dalle camere, a potere adire la giustizia ordinaria da parte del lavoratore sono i tasselli materiali di questo processo di spoliazione della dignità di chi lavora. Da ultimo si vuole sostituire allo Statuto dei diritti dei lavoratori uno statuto dei lavori; la trasformazione linguistica è di per sé auto esplicativa e a essa corrisponde il contenuto. Il passaggio dai portatori di diritti, i lavoratori che possono esigerli, ai luoghi, i lavori, delinea un processo di astrazione/alienazione dove viene meno l'affettività dei diritti stessi.


    Come è possibile che di fronte alla distruzione sistematica di un secolo di conquiste di civiltà sui temi del lavoro non vi sia una risposta all'altezza della sfida?
    Bisogna ridare centralità politica al lavoro. Riportare il lavoro, il mondo del lavoro, al centro dell'agenda politica: nell'azione di governo, nei programmi dei partiti, nella battaglia delle idee. Questa è oggi la via maestra per la rigenerazione della politica stessa e per un progetto di liberazione della vita pubblica dalle derive, dalla decadenza, dalla volgarizzazione e dall'autoreferenzialità che attualmente gravemente la segnano. La dignità della persona che lavora diventi la stella polare di orientamento per ogni decisione individuale e collettiva.
    Per queste ragioni abbiamo deciso di costituire un'associazione che si propone di suscitare nella società, nella politica, nella cultura, una riflessione e un'azione adeguata con l'intento di sostenere tutte le forze che sappiano muoversi con coerenza su questo terreno.


    http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/12/articolo/3920/


Ganzer e narcotraffico. Quelle dimissioni necessarie.


Sul generale condannato per aver favorito i criminali il silenzio imbarazzante di Pd e Pdl.


Il generale Giampaolo Ganzer non può restare al suo posto. Le dimissioni sarebbero una conseguenza naturale dopo le motivazioni della sentenza di condanna contro il comandante del Ros, il Reparto operativo speciale dei carabinieri. E invece da due giorni, con l’eccezione dell’Italia dei valori, zero richieste di dimissioni dal centrodestra e – fatto ancora più sorprendente – dal resto del centrosinistra.

Eppure Ganzer, secondo i giudici di Milano che lo hanno condannato a 14 anni, era “in scandaloso accordo con i trafficanti ai quali è stato consentito vendere la loro droga in Italia e arricchirsi con i proventi delle vendite con la protezione dei carabinieri del Ros”. La condanna è del luglio scorso ma le motivazioni sono state rese note solo lunedì. Per i giudici, da Ganzer “il traffico di droga non solo non è stato combattuto, ma addirittura incoraggiato e favorito”. La sentenza potrebbe essere ribaltata in appello e la presunzione di innocenza deve essere riconosciuta, ma si è creata una gigantesca anomalia con il comandante del Ros condannato per narcotraffico.

Dopo la condanna di luglio il coordinatore del Pdl Sandro Bondi trattò i magistrati come se fossero le Brigate rosse: “Non possiamo accettare senza reagire il rischio di una vera e propria disarticolazione dello Stato”. Ma in fondo è il solito Bondi. Dopo la pubblicazione delle motivazioniIole Santelli, vice-capogruppo del Pdl alla Camera, ha detto: “È incredibile la motivazione con cui hanno condannato Ganzer”. Per una volta compatto, il Pd ha ignorato i giudizi terribili del Tribunale sul comandante Ganzer, nominato nel 2002 durante il governo Berlusconi ma lasciato al suo posto dal governo Prodi dopo l’avvio del processo nel 2005. Anche la stampa, con la lodevole eccezione del Corriere della Sera, ha evitato di mettere il dito nella piaga del Ros. Solo Antonio Macaluso sul quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli ha posto con garbo “il terribile dubbio sull’opportunità che il generale resti al suo posto”.

Il comandante del Ros ha evitato commenti dimostrando di volersi difendere solo nel processo di appello. Decisione opportuna che però dovrebbe essere seguita da dimissioni che non rappresentano un’ammissione di colpevolezza, ma una scelta obbligata. I casi che hanno coinvolto Ganzer e il precedente comandante Mario Mori, sotto processo con accuse gravissime a Palermo per il mancato arresto di Provenzano, sono un fardello troppo pesante anche per il Ros.

Ganzer facendosi da parte tutelerebbe gli uomini che sotto la sua guida hanno collezionato decine di successi nella lotta alla criminalità. Certo anche il Ros non è immune da errori. E non sono mancati scivoloni come l’inchiesta fuori misura del 2007 contro una presunta cellula di anarchici a Perugia o quella che ha cercato di fare le pulci, con un eccesso di foga, alle indagini calabresi diGioacchino Genchi e Luigi De Magistris. Eppure la serietà del Ros, nonostante i guai dei suoi vertici, non è in discussione ed è testimoniata dall’elenco delle inchieste nell’ultimo anno. Sono del Ros le intercettazioni che hanno messo nei guai Guido Bertolaso, il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, Fastweb e Finmeccanica, il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo e il faccendiere fascista Gennaro Mockbel. Sono del Ros le indagini che hanno portato al sequestro dei beni del segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, del tesoriere della Fondazione del ministro, ex An, Altero Matteoli e dell’ex segretario del ministro Franco Frattini. Sono del Ros le informative contro l’assessore alla sanità della giunta Vendola in Puglia: il senatore Alberto Tedesco del Pd. Sono del Ros anche le indagini sui carabinieri ricattatori nella vicenda costata la presidenza del Lazio a Piero Marrazzo. E sono del Ros le inchieste sui legami tra ‘ndrangheta e economia del Nord raccontate da Roberto Saviano in tv, come anche le informative recenti che hanno portato all’arresto di un assessore della Giunta regionale di centrodestra in Calabria.

Eppure questo elenco di politici indagati, arrestati, intercettati e condannati che in altri tempi avrebbe potuto rappresentare una medaglia al petto del comandante, oggi rappresenta la principale ragione che dovrebbe consigliare le dimissioni. Al di là della volontà di Ganzer, le inchieste aperte e quelle ancora segrete, come le portentose banche dati del reparto e la capacità dei suoi uomini, somigliano a tante pistole puntate sul malandato corpo politico di questo Paese. Il silenzio unanime del Pd e del Pdl su Ganzer è la migliore prova della necessità di un cambio. Anche perché quel silenzio potrebbe essere dettato dalla fiducia nell’operato passato del Ros, ma anche dalla paura per le sue indagini future.


Dal Fatto Quotidiano del 29 12 2010



Rai, la Ferrario reintegrata alla conduzione del Tg1: "Fu discriminazione politica"




Roma - (Adnkronos) - Secondo quanto stabilito dal giudice del lavoro, la giornalista tornerà nell'edizione delle 20. Nella motivazione si parla di "una grave lesione della sua professionalita' per motivi di discriminazione politica a seguito dell'opposizione alla linea editoriale del direttore Augusto Minzolini".

Roma, 29 dic. - (Adnkronos) - La giornalista Tiziana Ferrario tornera' a condurre il Tg1 delle ore 20. Lo ha deciso il giudice Maria Gabriella Marrocco accogliendo il ricorso in via di urgenza che la giornalista, assistita dagli avvocati Domenico e Giovanni Nicola D'Amati, aveva presentato in seguito alla decisione presa dal direttore del Tg1 di toglierla dalla conduzione.

Motivando la decisione con la quale Tiziana Ferrario era stata sospesa dalla conduzione il giudice sottolinea che nei confronti della giornalista e' stata adottata "una grave lesione della sua professionalita' per motivi di discriminazione politica a seguito dell'opposizione della stessa giornalista alla linea editoriale del direttore Augusto Minzolini".

"Da parte mia c'e' grande soddisfazione perche' e' stata riconosciuta un'ingiustizia professionale'' ha detto la giornalista all'ADNKRONOS. "Voglio condividere questa soddisfazione -continua la giornalista- con gli altri colleghi che si trovano nella stessa situazione, i primi che ho chiamato appena ho avuto questa notizia''.

"Mi fa piacere -conclude- che sia stato affermato un principio fondamentale: la legge non da' il diritto a nessun direttore di emarginare i colleghi che non sono d'accordo con lui e che tutti devono concorre alla buona riuscita di un telegiornale, soprattutto se si tratta del servizio pubblico''.


Minzolini, asservito a, e spalleggiato da chi detiene il potere mediatico, ha commesso un'ingiustizia: ha proditoriamente messo il bavaglio alla pluralità d'informazione. La magistratura, garante della legalità e della giustizia, ha corretto la stortura.
Abbiamo bisogno di tanti interventi della magistratura in tal senso se non vogliamo perdere definitivamente di vista la libertà di espressione, principio fondamentale della democrazia.