sabato 19 settembre 2020

Gigante in orbita attorno a una nana bianca. - Maura Sandri

 

    Impressione artistica del potenziale pianeta delle dimensioni di    Giove Wd 1856 + 534b e     della sua stella ospite molto più piccola, una debole nana bianca. Crediti: Nasa Goddard     SpaceFlight Center.

Grazie a diversi telescopi spaziali e terrestri è stato scoperto un pianeta delle dimensioni di Giove in orbita a una velocità vertiginosa attorno a una nana bianca. Questa conferma evidenzia che tali sistemi stellari piuttosto bizzarri possono esistere, e potrebbero anche rappresentare una rara sistemazione abitabile per un’ipotetica vita sostenuta dalla luce di una stella morente.

Grazie a diversi telescopi spaziali e terrestri – e persino a un paio di astronomi amatoriali in Arizona – un astronomo dell’Università del Wisconsin-Madison, insieme ai suoi colleghi, ha scoperto un pianeta delle dimensioni di Giove in orbita a una velocità vertiginosa attorno a una nana bianca. Il sistema, distante circa 80 anni luce dalla Terra, viola tutte le comuni convenzioni su stelle e pianeti.

La nana bianca in questione è ciò che rimane di una stella simile al Sole che, al termine del suo ciclo vitale, si è notevolmente rimpicciolita fino a raggiungere le dimensioni della Terra, conservando però una massa pari alla metà di quella del Sole. L’enorme pianeta – denominato Wd 1856 b – incombe sulla sua minuscola stella, girandole attorno ogni 34 ore lungo un’orbita incredibilmente vicina. Come termine di paragone, considerate che Mercurio impiega 90 giorni per orbitare attorno al Sole.

Sebbene in passato si siano riscontrati indizi di grandi pianeti in orbita vicino a nane bianche, la nuova scoperta è la prova più evidente dell’esistenza di questi bizzarri accoppiamenti. Questa conferma evidenzia il fatto che i sistemi stellari possono evolversi in diversi modi, e permette di intravvedere un possibile destino del Sistema solare. Un tale sistema potrebbe anche rappresentare una rara sistemazione abitabile per un’ipotetica vita sostenuta dalla luce di una stella morente.

«Non avevamo mai visto prove di un pianeta che si avvicina così tanto a una nana bianca, riuscendo a sopravvivere. È stata una piacevole sorpresa», afferma Andrew Vanderburg, del dipartimento di astronomia della Uw-Madison, che ha completato il lavoro mentre era Nasa Sagan Fellow presso l’Università del Texas, ad Austin.

I ricercatori hanno pubblicato oggi i loro risultati su Nature. Vanderburg ha guidato la grande collaborazione internazionale di astronomi che ha analizzato i dati. I telescopi che hanno contribuito allo studio sono stati il telescopio spaziale Tess della Nasa, dedito alla caccia di esopianeti, e due grandi telescopi terrestri nelle Isole Canarie.

In principio, Vanderburg era attratto dallo studio delle nane bianche – resti di stelle delle dimensioni del Sole dopo aver esaurito il loro combustibile nucleare – e, occasionalmente, dei loro pianeti. Mentre frequentava la scuola di specializzazione, stava esaminando i dati del predecessore di Tess, il telescopio spaziale Kepler, quando notò una nana bianca con una nube di detriti intorno. «Si trattava di un pianeta minore, o di un asteroide, che veniva fatto a pezzi proprio mentre lo stavamo guardando. È stato davvero entusiasmante», racconta. Il pianeta era stato distrutto dalla gravità della stella dopo che la sua trasformazione in una nana bianca aveva causato l’avvicinamento dell’orbita del pianeta alla stella. Da allora, Vanderburg non ha mai smesso di chiedersi se i pianeti, specialmente quelli grandi, potessero sopravvivere al viaggio verso una stella morente.

Scansionando i dati di migliaia di sistemi di nane bianche raccolti da Tess, i ricercatori hanno individuato una stella la cui luminosità si attenuava della metà circa ogni giorno e mezzo, segno che qualcosa di grande stava passando velocemente davanti alla stella con un orbita parecchio stretta. Ma era difficile interpretare i dati perché il bagliore di una stella vicina stava interferendo con le misurazioni di Tess. Per superare questo ostacolo, hanno integrato i dati di Tess con quelli di telescopi terrestri ad alta risoluzione, compresi tre telescopi gestiti da astronomi amatoriali.

Impressione artistica della sonda spaziale della Nasa Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess). Crediti: Nasa

«Una volta che il bagliore è stato tenuto sotto controllo, in una notte, hanno ottenuto dati molto più belli e puliti di quelli che abbiamo ottenuto noi con un mese di osservazioni dallo spazio», ammette Vanderburg. Poiché le nane bianche sono molto più piccole delle stelle normali, i grandi pianeti che passano davanti a loro bloccano molta luce della stella, rendendo il rilevamento da parte dei telescopi terrestri molto più semplice.

«Tess trova un pianeta osservando una stella e misurando la sua luminosità ininterrottamente per settimane», spiega Ian Crossfield, co-autore dello studio. «Se un pianeta orbita attorno alla stella, e se il pianeta passa tra l’osservatore e la stella, parte della luce stellare verrà bloccata. Successivamente, la stella diventerà di nuovo più luminosa quando il pianeta ha terminato il passaggio, chiamato transito».

Per aiutare il team internazionale di scienziati a confermare se Wd 1856 b fosse davvero un pianeta in orbita attorno alla nana bianca, Crossfield ha studiato le emissioni infrarosse dell’oggetto con il telescopio spaziale Spitzer della Nasa, oggi in meritata pensione, ottenute nei mesi precedenti la sua disattivazione.

I dati hanno rivelato che un pianeta più o meno delle dimensioni di Giove, forse un pochino più grande, orbitava molto vicino alla sua stella. Il team di Vanderburg ritiene che il gigante gassoso sia partito da un’orbita molto più lontana dalla stella e si sia spostato nella sua orbita attuale dopo che la stella si è evoluta in una nana bianca. Ma come ha fatto questo pianeta a evitare di essere lacerato durante la trasformazione della stella? I precedenti modelli di interazioni nana bianca-pianeta non sembrano giustificare questo particolare sistema stellare.

I ricercatori hanno eseguito nuove simulazioni che hanno fornito una potenziale risposta al mistero. Quando la stella esaurì il suo carburante, si espanse in una gigante rossa, inghiottendo tutti i pianeti vicini e destabilizzando il pianeta delle dimensioni di Giove che orbitava più lontano. Ciò ha fatto sì che il pianeta assumesse un’orbita esageratamente ovale che passava molto vicino alla nana bianca, ma che lo portava anche molto lontano dall’apside dell’orbita.

Nel corso di eoni, l’interazione gravitazionale tra la nana bianca e il suo pianeta ha lentamente disperso l’energia del sistema, guidando infine il pianeta in un’orbita circolare stretta che richiede solo un giorno e mezzo per essere completata. Questo processo richiede molto tempo, miliardi di anni. Questa particolare nana bianca è una delle più antiche osservate dal telescopio Tess: ha quasi 6 miliardi di anni, che è un tempo molto lungo per rallentare il suo enorme compagno planetario.

Per la prima volta è stato scoperto un esopianeta intatto, delle dimensioni di Giove, in orbita vicino a una stella nana bianca (cliccare per ingrandire). Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab / Nsf / Aura / J. Pollard; traduzione a cura di Media Inaf

Sebbene le nane bianche non manifestino più la fusione nucleare al loro interno, mentre si raffreddano rilasciano comunque luce e calore. È possibile che un pianeta abbastanza vicino a una stella morente di questo tipo, si trovi nella sua zona abitabile, la regione in prossimità di una stella nella quale può esistere acqua liquida, presumibilmente necessaria per la vita e la sopravvivenza.

Ora che la ricerca ha confermato che questi sistemi esistono, offrono un’opportunità allettante per la ricerca di altre forme di vita. La struttura unica di questi sistemi offre un’opportunità ideale per studiare le firme chimiche delle atmosfere dei pianeti orbitanti, uno dei modi che gli astronomi usano per cercare segni di vita da lontano. «Penso che la parte più eccitante di questo lavoro sia ciò che significa per l’abitabilità in generale – in questi sistemi stellari “morti” possono esserci regioni ospitali – e per la nostra capacità di trovare prove di tale abitabilità», conclude Vanderburg.

https://www.media.inaf.it/2020/09/16/il-gigante-e-la-nana-bianca/?fbclid=IwAR1RrOiIZgiIFG73CBTB_7sseLV4vKm8hOe1MB2xQIniDY_UtXdmI4mB8M0

Una tempesta più grande della nostra Terra: la foto incredibile pubblicata dalla Nasa. - Nico Riva

 


Una tempesta talmente grande che potrebbe inghiottire la nostra Terra senza problemi. Fortunatamente, è lontana circa 400 milioni di miglia da noi: su Giove. La nuova foto della Nasa e dell'Esa (Agenzia Spaziale Europea) è mozzafiato. 

«Un nuovo ritratto delle tempeste di Giove», scrive la Nasa su Instagram. Il telescopio dell'agenzia spaziale Hubble ha catturato uno scatto incredibile di quanto sta avvenendo sul pianeta distante 406 milioni di miglia da noi. La Grande Macchia Rossa di Giove è visibile al centro dell'immenso pianeta. La Grande Macchia Rossa infatti altro non è che una tempesta di dimensioni per noi impensabili: circa 10mila miglia di diametro. Tradotto: grande abbastanza da inglobare tutto il nostro pianeta. 
 


L'atmosfera su Giove, spiegano gli scienziati, è molto turbolenta. E ciò ha portato alla formazione (in alto a sinistra) di una nuova grande tempesta, bianca e luminosa. Questa, al momento dello scatto dello scorso 25 agosto, viaggiava sul grosso pianeta a 560 chilometri orari. Tuttavia, non si tratta di un fenomeno unico: ogni circa 6 anni, si verificano eventi metereologici di questo tipo. Ciò che ha colpito gli scienziati sono le dimensioni insolita della nuova tempesta. 

Nella foto della Nasa è inoltre possibile vedere, in lontananza sullo sfondo, la Luna di Giove, un satellite completamente ghiacciato chiamato Europa. Questa è leggermente più piccola della nostra Luna e fu scoperta da una delle menti più brillanti della storia: lo scienziato italiano Galileo Galilei. 

https://www.ilmattino.it/tecnologia/aerospazio/tempesta_terra_giove_nasa_esa_spazio_scienza-5470874.html?fbclid=IwAR1pFpxqymel3nQoPC9i5K-6ugRBTWhmlVm0sy4IZxOyJL_ren5jGLzqLM4

Un sacrosanto sì. - Tommaso Merlo

 


Tutta la stampa al guinzaglio delle lobby è schierata per il “no” al referendum. Davvero impressionante. Invece che avamposto della società, il giornalismo italiano si è ridotto a megafono dei parrucconi. Quelli dei potentati che gli pagano lo stipendio e quelli dei vecchi partiti a cui s’ispirano. Davvero sconcertante. I resti di un regime politico ma anche culturale morente che non si vuole rassegnare alla sua fine. Il quesito referendario non c’entra. La posta in gioco è tutta politica. Parlano di difesa della Costituzione quando han sempre cercato di manometterla maldestramente. Parlano di rappresentanza quando han sempre fatto di tutto per sottrarla ai cittadini con leggi elettorali vergognose e inciuci acrobatici durati anni. Dicono che servirebbe chissà cos’altro quando i loro tentativi di riforma sono sempre sistematicamente falliti. Ancora meno gli importa delle 345 poltrone in meno, di risparmiare soldi pubblici o di adeguarsi alle altre democrazie europee. Hanno sguazzato per decenni negli sprechi più aberranti moltiplicando poltrone a dismisura. La posta in gioco è tutta politica. Il vero e unico motivo per cui sono schierati per il “no” è spegnere una volta per tutte l’onda anomala del 4 marzo e ristabilire un ordine a loro più congeniale e vantaggioso. Un ordine in cui le loro lobby e i loro partiti di riferimento tornino al centro della vita politica, tornino a comandare. Vogliono che si spenga la stagione della lotta alle caste e alle sue abbuffate a sbafo. La stagione della trasparenza e della legalità e della sobrietà. La stagione del cittadino che ritorna protagonista a discapito degli appetiti delle lobby e dei rigurgiti ideologici dei vecchi partiti. La loro è ingordigia ma anche paura. Non vedono l’ora di tuffarsi a bomba nella mangiatoria europea del Recovery, ma temono anche che l’onda anomala del 4 marzo continui arrivando ad intaccare altri nervi nevralgici del vecchio regime come il conflitto d’interessi o una vera libertà di stampa. Il loro è egoismo ma anche orgoglio. Difendono col mignolino alzato il loro confortevole status ma anche la loro immaginaria superiorità culturale e intellettuale con cui riuscivano ad indirizzare le masse prima che scappassero dalle caverne le orde populiste. Non era mai successo che l’Italia cambiasse nonostante loro e perfino contro di loro. Erano ad un bivio. Potevano adeguarsi ai tempi, potevano levare il disturbo ma nella gerontocrazia italiana non se ne parla nemmeno ad un passo dalla fossa. Ed ecco le motivazioni di un regime morente che non si vuole rassegnare alla sua fine. Ed ecco le motivazioni del “no” al taglio. Tutte politiche. Spegnere una volta per tutte l’onda anomala del 4 marzo cercando di abbattere il suo principale artefice e cioè il Movimento. Ma su questo hanno ragione. Se si è arrivati così vicini allo storico taglio dei parlamentari dopo decenni che se ne parla a vanvera, il merito è tutto del Movimento che non ha mollato costringendo prima le Lega poi il Pd a seguirlo e trascinandosi poi dietro controvoglia tutto l’emiciclo. Se con un sacrosanto sì andasse in porto anche questa riforma, i reduci del vecchio regime dovranno ammettere che i cavernicoli a 5 stelle hanno cambiato di più l’Italia in due anni che loro in venti. E non finirebbe qui.

https://repubblicaeuropea.com/2020/09/19/un-sacrosanto-si/

La voce dei padroni. - Marco Travaglio


La voce dei padroni squilla forte e chiara a edicole unificate. “No”, dice il Sole 24 Ore (Confindustria). “No”, tuonano Repubblica, Stampa, Espresso, Secolo XIX, Huffington Post e giornali locali Finegil (Agnelli-Elkann-Fca). “No”, strilla il Giornale di B.. “No”, ripetono Messaggero, Mattino e Gazzettino (Caltagirone). “No”, pigola Domani, giornale senza padroni nel senso che ne ha uno solo (De Benedetti). “No”, spara Libero (Angelucci). “No”, ringhia il Riformista (Romeo). “No”, fa eco Avvenire (vescovi). I problemi nascono quando lorsignori devono spiegare perché mai si oppongano alla riduzione dei parlamentari, promessa e voluta da tutti per 40 anni, in linea col resto d’Europa: si arrampicano sugli specchi, violentano la logica, dicono e contraddicono, sommano le mele con le patate, agitano fantasmi e spaventapasseri, sparano supercazzole che oggi Zagrebelsky smonta a una a una nella magnifica intervista a Silvia Truzzi (pagine 2 e 3). Più parlano e meno convincono. Perché si capisce benissimo che dietro i loro No non c’è né la difesa della Costituzione, della democrazia, del Parlamento, della rappresentanza, dei territori, del popolo, tutti valori che la riforma non sfiora neppure.

C’è dell’altro che nessuno osa mai confessare per non gettare la maschera. Almeno fino alla discesa in campo di Billy Costacurta che, siccome era un ottimo stopper del Milan, Repubblica ha promosso a padre ricostituente. E lì, come il bambino davanti al re nudo, ha detto senza tante ipocrisie ciò che lorsignori nascondono: “Voto No perché non voglio più vedere i 5Stelle”. Evviva la faccia: finalmente, fra tanti Tartuffe, un tipo sincero. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la riforma costituzionale è stata votata da tutti i partiti (13 volte nelle precedenti legislature, quando il M5S non c’era, e quattro in questa) e nessuno l’attribuirebbe ai 5Stelle se tutti i partiti che l’han votata fossero coerenti e la sostenessero. Peraltro il M5S non è la prima forza parlamentare in virtù di un golpe militare o di una marcia su Roma, ma di libere elezioni previste da quella Costituzione che i signori del No dicono di difendere (quando fa comodo a loro). Dunque chi vuole liberarsene può votargli contro alle elezioni regionali, comunali e politiche. Ma chi pensa di sbaragliarlo bocciando una riforma che condivide è come quel coglione che, per far dispetto alla moglie, si tagliò i coglioni. E, se nel novero ci fosse solo Costacurta, poco male. Ma c’è pure tutto il fior fiore del potere, con giornalisti al seguito. Ieri al partito di Costacurta s’è iscritto il riportino più amato dal Sistema: Stefano Folli, il quale su Repubblica ci ammonisce che “Il referendum è un voto sui 5Stelle”. Apperò.

La prosa, al solito alquanto sepolcrale, è la consueta accozzaglia di nonsense: il M5S è “lacerato”, “schiacciato”, fallito, praticamente morto (infatti governa da due anni e mezzo col suo premier); e ha pure “rinnegato buona parte dei suoi principi” (infatti sta portando a casa anche il taglio dei parlamentari: e poi non è Folli a ripetere ogni giorno che al governo i 5Stelle fanno quel che vogliono e il Pd subisce?). Ma il meglio deve ancora venire: il referendum è “una zattera di salvataggio da afferrare come ultima salvezza prima che sia troppo tardi”, anzi “un plebiscito sul ‘grillismo’”. Questo notista politico che bivacca nei palazzi da 40 anni non s’è neppure accorto che i 5Stelle del referendum avrebbero fatto volentieri a meno: l’hanno voluto contro di loro 71 senatori, quasi tutti di FI e Lega che, subito dopo aver votato il taglio in Parlamento (l’ultima volta col 98%), hanno raccolto le firme per indire il referendum e rinviare l’entrata in vigore della riforma: speravano che intanto accadesse qualcosa, tipo una crisi di governo che ci mandasse al voto prima del referendum con 945 posti in palio anziché 600. Tutto volevano fuorché regalare la “zattera di salvataggio” e il “plebiscito” ai 5Stelle.
Ma ormai i fatti sono un optional e la logica un fastidioso impaccio sulla strada della Grande Restaurazione sognata da tutti i poteri, palesi e occulti. Che infatti sperano in una disfatta del centrosinistra alle Regionali e del Sì al referendum per abbattere l’ultimo diaframma che separa le loro zanne dal bottino del Recovery Fund (e magari del Mes): il governo Conte a trazione 5Stelle in alleanza col Pd tornato a sinistra dopo le sbornie napolitan-renziane. Si spera che gli elettori “grillini” l’abbiano capito e in Liguria, Puglia, Marche e Toscana votino di conseguenza. Del resto come spiegare l’incredibile campagna contro il Reddito di cittadinanza fondata sulla fake news che ne beneficiassero i presunti assassini di Willy? La verità è che lo ricevevano tre genitori; sono stati scoperti perché i controlli funzionano; e ora chi non ne aveva diritto restituirà fino all’ultimo cent. Ma questo vale per tutte le misure di welfare, in un paese ad altissimo tasso di criminalità, evasione e lavoro nero. Che si fa: si aboliscono le pensioni, la cassa integrazione, il sussidio di disoccupazione, gli sconti e i bonus ai poveri perché qualcuno potrebbe truffare o ammazzare? Anche qui, come sul No al referendum, ci si arrampica sugli specchi pur di non dire la verità: il Reddito di cittadinanza non piace perché funziona e l’han voluto i 5Stelle. Che restano l’unico ostacolo da rimuovere dalla scena politica, malgrado gli scandali che stanno emergendo sulla Lega e sono già emersi su FI. Anzi, proprio per quelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/19/la-voce-dei-padroni/5936649/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-19

#salvinibocciato dai suoi stessi banchi. In Puglia voto disgiunto (senza offesa per Laricchia). - Andrea Scanzi

 


I banchi “datati” di Salvini

Matteo Salvini è proprio un asino. Politicamente asino. Ieri pubblica su Twitter e su Facebook un video in cui si vedono alcuni studenti che giocano all’autoscontro con i banchi a rotelle. Lo accompagna con il testo: “No comment- #Azzolinabocciata“.

Ovviamente parte la gara all’insulto dei baccelli lessi che pendono adoranti dalle sue labbra. Piccolo particolare: il video risale al 21 settembre 2017. La Azzolina non c’entra nulla, i banchi a rotelle venivano già usati nelle scuole e il ministro era (la disastrosa) Valeria Fedeli. Già questo basterebbe, ma Salvini bissa. E Toti gli va subito dietro.

Sempre ieri condivide su Twitter e su Facebook una foto, definita “emblematica”, di alunni che fanno lezione seduti in ginocchio usando le sedie come banchi, accompagnata dalla scritta “Roba da matti – #Azzolinabocciata“. La foto in questo caso è reale. È scattata il 14 settembre 2020 all’interno della Scuola primaria “Maria Mazzini”, a Genova. È però falsa l’interpretazione data da Salvini e Toti. Così ha spiegato il dirigente scolastico della scuola Renzo Ronconi: “I banchi, ordinati con largo anticipo, arriveranno domani pomeriggio (il 15 settembre, ndr) e nel primo giorno di scuola, che è stato un giorno di festa, abbiamo solo evitato di rimettere quelli vecchi. La foto ritrae bambini che, durante un’attività didattica, stanno disegnando sereni in libertà”. Non solo: sono stati i genitori dei bambini a chiedere al preside di cominciare la scuola il 14 e non il 15 settembre, senza cioè aspettare per forza che arrivassero tutti i banchi.

Che dire? Quello che potremmo dire quasi sempre: #salvinibocciato. Lui e quei giuggioloni che credono a ogni suo avvincente peto mentale.

Mister “Taiquipirinha” e la polmonite

“Tutto questo allarmismo sul Covid_19 è ridicolo, sono stato peggio quando ho avuto la polmonite”.

Lo ha detto il re delle babbucce affrante e delle prostatiti polmonari, Mister “Taiquipirinha” Flavio Briatore.

Vallo a raccontare ai tanti che in questi mesi hanno perso e pianto i loro cari.

Fenomeno.

Oppure vallo a dire al barman del tuo Billionaire, quello che per la stessa malattia – e per la decisione insensata e folle di aprire le discoteche – è stato intubato.

Fenomeno.

Con don Roberto stiamo morendo tutti. Di ignoranza

Ormai la nostra è una contemporaneità scandita dalla tragedia. Ogni giorno è come se morisse un pezzetto di speranza. Un altro, e poi un altro ancora.

Don Roberto Malgesini era “il prete degli ultimi”. A Como lo conoscevano tutti. È stato ucciso stamani a coltellate proprio da un “ultimo”, quasi a voler aggiungere tragedia alla tragedia.

L’assassino è un 53enne tunisino. Attorno alle 8 si è presentato in caserma dai carabinieri e si è costituito. È un senzatetto. Don Roberto lo conosceva, gli forniva assistenza, sembravano in buoni rapporti.

“Aveva problemi psichici e dei provvedimenti di espulsione non eseguiti fin dal 2015”, dice ora il direttore della Caritas di Como. La Questura non ha confermato i problemi psichici, ma il provvedimento di espulsione sì.

L’ultimo, datato 8 aprile, è stato sospeso per l’emergenza Covid. Un fatto semplicemente inaccettabile, non tanto e non solo per l’ultima sospensione, ma perché il primo provvedimento è ormai vecchio 5 anni.

Com’è stato possibile? Ci rendiamo conto che la gestione dell’immigrazione deve trovare per forza un punto di ricaduta tra il razzismo di certa destra e l’iper-tolleranza di certa sinistra? Sarebbe bastato applicare la legge, e oggi don Roberto sarebbe ancora vivo.

Stiamo morendo tutti. Di ignoranza, ignavia, arroganza, cinismo e follia.

Che brutti tempi.

Thiem, US Open, Roma e altro

Thiem. Sono felice che abbia vinto Thiem: era l’ora e lo meritava. La mia previsione era una finale Djokovic-Medvedev. Il primo si è comicamente suicidato e il secondo ha vissuto la mitraglia in semi con Thiem (vittoria enorme, per certi versi più della finale, perché un 3-0 a Medvedev agli Us Open è proprio roba da campioni). Dominic è gran giocatore e bella persona. La sua è una vittoria che deve rendere felici tutti.

Antitennis. Thiem ha anche salvato il mondo, perché un trionfo Slam dell’irricevibile Mangullone Zverev sarebbe stato indecente, empio e aberrante (esagero, lo so: ma neanche tanto). La semi tra lui e Carreno Busta è stato il punto più basso dell’estetica umana dai tempi di La Russa in mutande nere nel tramonto di Ciggiano (qui invece non esagero per niente). Una semifinale così andava vietata, o quantomeno vietata ai minori. Vergogna. Lo spagnolo è certo lodevole sul piano dell’abnegazione, ma è anche esteticamente impresentabile a livello proprio ontologico. E “Sasha” Zverev è il Renzi del tennis. Finto nuovo, finto simpatico, vero gattopardo. Chiunque lo sconfigge salva il mondo.

I colpevoli. Adoro Kyrgios, Tsitsipas e Shapovalov. Ma hanno colpe bibliche. Il primo è troppo intento a farsi le pippe su Instagram, il secondo si è decapitato – nell’ignominia generale – con Coric e il terzo ha perso l’ennesimo treno della vita nei quarti con l’orrido Carreno Busta. Le colpe di questi esteti stanno davvero divenendo non emendabili e gridano vendetta dinnanzi alla Storia.

Berrettini. Agli Us Open ha fatto tutto quello che poteva e non ha rimpianti. Prima settimana in scioltezza, poi la prevedibilissima sconfitta con Rublev (oggi più forte di lui). E nei quarti avrebbe comunque trovato Medvedev: quindi no way. L’Atp, con il Covid di mezzo, ha di fatto “congelato” la classifica fino a dicembre e dunque il mio Pupillo non scenderà in classifica. Non più di tanto, almeno. Occorre però restare nei 10/15 anche coi fatti e non solo coi punti (che per legge può conservare) del 2019. A Roma ha subito Struff (che lui soffre parecchio) o Coria (pericoloso su terra). Il suo tabellone è difficile, ma non impossibile. Può uscire subito come arrivare in semi, e lì vivere la gogna martirizzante con un Djoko a cui gireranno ancora parecchio gli zebedei dopo l’harakiri di New York. Io dico che Matthew (lo chiamo così perché “Matteo” di questi tempi anche no) deve continuare a lavorare sodo e non avere patemi. Daje, sì, ma con calma.

Peccatore. Il ragazzo altoatesino non è forte: è fortissimo. Può fare sfracelli autentici. Però sin qui Peccatore (means “Sinner”) non si è capito quanto – e se – sia in forma. Inspiegabile la stesa con Djere a Kitzbuhel, a due facce la sconfitta con Khachanov: per due set ha ballato nel sangue del rivale, con una ferocia belluina francamente quasi eccessiva. Sangue ovunque, schizzi in ogni dove. Macello. Poi però si è fatto male come un bimbo e (pur nell’eroismo del quinto set) ha perduto un’occasione enorme. Avesse vinto col russo, avrebbe addirittura potuto issarsi nei quarti come ha poi fatto De Minaur (da lui vilipeso un anno fa nelle Next Gen Finals). C’è comunque tempo: stiamo calmi. La vittoria di ieri con Paire non dice assolutamente nulla: il francese è uno dei tennisti più insopportabili e respingenti dell’ecosistema, ha un dritto che fa schifo all’intestino crasso e i suoi comportamenti malamente scellerati sono da Kyrgios che non ce l’ha fatta. Può serenamente andare a zappare. Molto più divertente, e ancor più provante, sarà il prossimo match con Tsitsipas.

Musetti. Classico tennista italico tutto talento e poco agonismo. A Roma ha superato le quali: bravo. Troppo bello e piacione (sin qui almeno) per poter essere un campionissimo, di sicuro è splendido da vedere. Stasera può far bella figura con Wawrinka, anche se ovviamente come pronostico parte chiusissimo (salvo suicidi elvetici, e chi lo sa!).

EDIT. È suicidio c’è stato (nel primo set), con un Musetti straripante nel secondo. Dajeeee!

Nadal. Non lo si vede dal pre-Covid e c’è curiosità. Se sta bene, sulla terra rossa è di un altro pianeta. E può avere il tempo di raggiungere il massimo della forma per questa strana edizione del Roland Garros, che si giocherà a ottobre. Forse a Roma può concedere qualcosa. Forse.

Fognini. Reduce da una brutta operazione, al rientro una settimana fa è stato demolito da un carneade. Anche a Roma, se non sta bene, può perdere subito con Humbert. Spero di sbagliarmi.

Cos’altro dire? Ah sì. Sempre più bravo Caruso, che ha annullato un match point oggi a Sandgren e si è qualificato al secondo turno, dove verrà scorticato da Djoko. Ma a fine match sarà comunque felice, perché Salvatore sta traendo il massimo da se stesso. E non è cosa da tutti. Lo stesso vale per Travaglia, ieri eversore di Fritz. Bravi!

Alla prossima.

Le frasi di Osho? No, le frasi del fasho!

Conoscerete in molti “Le più belle frasi di Osho”.
Tanti tra voi però non sanno chi si celi dietro quelle frasi e quella satira. Ve lo dico io.
Federico Palmaroli. 47 anni, impiegato. Nato a Roma. Cresciuto a Monteverde. Tifoso della Lazio. Padre dirigente d’azienda, madre casalinga. Da giovane (lo ha raccontato lui stesso a Repubblica) vota prima per il Movimento Sociale e poi per la destra sociale.
Intervistato un anno e mezzo fa dal Corriere della Sera, il Palmaroli frignò così: “Io, autore delle frasi di Osho, di giorno faccio l’impiegato. Dicono sia di destra e mi emarginano”.
Attenzione: “dicono sia di destra”. Ma lo dicono gli altri, eh, perché mica è vero. Palmaroli – ce lo garantisce lui – è uomo libero e super partes.
Ora, per carità: è giusto che chiunque abbia le sue simpatie. Ma se c’è un ambito che deve essere libero, quello è la satira. Puoi essere di sinistra o di destra, ma NON PUOI partecipare a eventi elettorali. Non se fai satira. È secondo me neanche se sei giornalista (in questi giorni ho detto “no” a tutti gli inviti ricevuti per moderare eventi elettorali di sinistra e M5S). Altrimenti presti la satira al potere, qualsiasi potere, e questo fa di te un cortigiano.
Puoi fare tutto, ma gli eventi elettorali a favore di una lista (qualsiasi lista) NO. Puoi schierarti per un quesito referendario, ma per una lista (qualsiasi lista) NO. È qualcosa di grave e imperdonabile.
E invece il Palmaroli, l’uomo libero Palmaroli, il satirico integerrimo Palmaroli, quello che al Corriere della Sera frignava perché “dicono sia di destra” ma non è vero mica, che fa?
1. Lavora e scrive per Il Tempo, ovvero il giornale più marginale e caricaturale nella galassia del sovranismo de noantri, e sui social difende a spada tratta il suo Dux Bechis. Il che, di per sé, mette malinconia, perché se diventi una sorta di “Bondi di Bechis” fai tenerezza.
2. Soprattutto: il Palmaroli, cioè “Le più belle frasi di Osho” (come fa scrivere sui manifesti), sta facendo campagna elettorale per Fratelli d’Italia in Toscana (e magari non solo in Toscana). Partecipa proprio a eventi e cene elettorali (vedi foto 2 e 3) per i post-fascisti.
Palmaroli finge di fare satira, ma non è che un fiancheggiatore della destra.
Se siete iscritti alla sua pagina e vi va bene così, ottimo. Vi accontentate di poco. Se non lo sapevate e lo credevate libero, qualche domanda ponetevela. Questa non è satira: è propaganda para-fascista. Null’altro che Istituto Luce 2.0.

Omaggi a Laricchia, ma fate il voto disgiunto

Per avere osato consigliare in Puglia il voto disgiunto agli elettori 5 Stelle, sto ricevendo vagonate di insulti. E menomale che sarei “grillino”.
Poveri casi umani.
Questo è uno dei commenti più “garbati”. Lo pubblico perché contiene i 3 cavalli di battaglia dei duri&puri.
1) “Fitto ed Emiliano sono la stessa cosa”. Una frase politicamente criminale, schifosamente qualunquista e moralmente empia.
2) “Non parlare della Puglia”. Grande forma di democrazia: può parlare solo chi vota tal Laricchia, perché la Verità la conoscono solo loro. Daje!
3) (la mia preferita). “Laricchia vincerà le elezioni”. Meraviglioso. E il bello è che lo pensano davvero Citano pure fantomatici sondaggi segretissimi che vedrebbero i tre candidati a pari merito. Come no. Ovviamente è la stessa gente che nel 2014 scriveva #vinciamonoi (furono umiliati da Renzi) e nel 2019 diceva “non è vero che stiamo calando nei sondaggi” (infatti crollarono).
Ora: pensare VERAMENTE che tal Laricchia possa vincere significa vivere in un mondo parallelo. Però facciamo così.
1) Se tal Laricchia vince in Puglia, mi candido con la Lega.
2) Se tal Laricchia arriva seconda, mi iscrivo a Fratelli dei Fasci Palmaroli.
3) Se tal Laricchia prende più del 15%, invito a cena la Boschi.
Se invece tal Laricchia prende (molto?) meno del 15% e regala la Puglia alla destra, mando a quel paese tutti i talebani di questo mondo e – soprattutto – faccio un post al giorno per una settimana con la foto di tal Laricchia e il seguente testo: “Questa è quella che, insieme a Scalfarotto, ha regalato la Puglia a Fitto. Fatele i complimenti”. Ogni giorno per sette giorni.
E non scherzo.
Votare tal Laricchia come governatrice è l’unica cosa in natura più inutile di Sgarbi. Se siete elettori 5 Stelle, in Puglia fate il voto disgiunto: X su Emiliano e X sulla lista M5S. Tutto il resto è Fitto, Salvini e Meloni. Ovvero la morte politica di una splendida regione (e di un meraviglioso paese).

Primo! (Per il quinto mese consecutivo)

“Per il quinto mese consecutivo Andrea Scanzi è primo nella classifica dei giornalisti più popolari sui social stilata da Sensemakers per Primaonline sulla base dei dati di Shareablee. In agosto ha totalizzato 7,8 milioni di interazioni (like, commenti, condivisioni su Facebook, Instagram, Twitter e YouTube), più del doppio del secondo classificato. E ha sbaragliato tutti anche nelle video view, il numero di volte cioè che i suoi video sono stati visti su YouTube e Facebook: 17 milioni. Da diverse settimane la firma del Fatto Quotidiano sta primeggiando anche nelle classifiche dei libri più venduti con la sua ultima opera ‘I cazzari del virus’ (ovvero Renzi e Salvini), che ha bissato il successo del libro precedente ‘Il cazzaro Verde’, un ‘ritratto scorretto’ del leader della Lega (..) Scanzi stravince anche nella classifica dei best performing post (terza foto): sette su dieci dei post più popolari sono suoi”. (Articolo di PrimaOnline)

Viva!

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/18/salvinibocciato-dai-suoi-stessi-banchi-in-puglia-voto-disgiunto-senza-offesa-per-laricchia/5934844/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=scanziquotidiani&utm_term=2020-09-18

“Ecco perché molte ragioni del No non stanno in piedi”. - Silvia Truzzi

 


L’Intervista a Gustavo Zagrebelsky. Il professore “Dopo la riduzione dei seggi cosa vieta di mettere mano al bicameralismo paritario differenziandone le funzioni?”

Il 23 agosto su Repubblica, Gustavo Zagrebelsky ha concluso così un suo articolo sul referendum: “Alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle propriamente costituzionali: fare un favore a questo o un dispetto a quello; rafforzare un partito rispetto ad altri; consolidare la maggioranza o indebolirla; mettere in difficoltà una dirigenza di partito per indurla a cambiare rotta e, magari, a cambiare governo o formula di governo”.

Ma sono motivi sensati per votare Sì o No a una riforma, per quanto piccola e puntuale, della Costituzione?

“Ha ragione nel dire che siamo chiamati a votare su una questione specifica, non su altre. I cittadini devono sentirsi liberi di votare indipendentemente dalle indicazioni e dalle prospettive politiche dei partiti. I referendum, abrogativi o costituzionali che siano, sono fatti per questo. Non sono elezioni. Per come si sono messe le cose in questa occasione, ma anche nelle due precedenti, sembra invece che si sia chiamati a votare la fiducia ai promotori o agli oppositori. Il voto sembra interessare non la modifica costituzionale, ma le prospettive politiche, che oltretutto sono nelle mani di un futuro d’incertezze. Per sgonfiare le speculazioni politiche sul voto referendario e restituirgli il suo significato di atto di libertà non pregiudicato dai giochi di partito, ci sarebbe stato un modo semplicissimo: dire fin dall’inizio che l’esito del referendum non avrebbe avuto alcuna conseguenza sulla vita del governo”.

Professore, come spiega il cambio di rotta di molti parlamentari? La riforma è stata votata, in ultima lettura, con una maggioranza bulgara. I cittadini possono avere fiducia in persone che cambiano opinione tanto facilmente?

La coerenza e la connessa fiducia non albergano nelle stanze della politica. Valgono le convenienze e le tattiche, cioè i calcoli secondo le mutevoli circostanze. In politica, fidarsi è forse bene, ma non fidarsi è certamente meglio. Per questo, è bene non farsi mettere nel sacco.

Ad esempio?

Il “taglio” dei parlamentari sarebbe malfatto perché “lineare”. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Premesso che non mi piace sentire il linguaggio triviale di chi parla di tagli di poltrone, mi vien da dire: meglio forse un taglio cubico o sferico?

Parliamo di cose serie. È vero che con meno deputati e senatori ci sarà un vulnus di rappresentanza?

Riducendo i numeri, si alza implicitamente la soglia per accedere al seggio parlamentare. Ciò crea difficoltà per i piccoli partiti e porta con sé un effetto maggioritario. Questo è un argomento serio, ma non necessariamente a favore del No. Dipende da quel che si pensa in tema di rappresentanza politica. I piccoli e piccolissimi partiti sono un bene o un male per la democrazia? Non abbiamo detto negli ultimi lustri che sono una complicazione e che meglio sarebbe la semplificazione? Semplificare non vuol dire annullare, ma promuovere confluenze e concentrazioni in gruppi più vasti con i quali esistano affinità.

C’è poi un argomento, sostenuto dal fronte del No, che bisogna chiarire: la rappresentanza dei territori.

I deputati e i senatori non sono i rappresentanti dei territori. Questa idea è una reminiscenza d’un tempo antico, l’Antico Regime. Lei ricorda certamente che cosa era la rappresentanza agli Stati generali riuniti a Versailles nel 1789. Se insistiamo sulla rappresentanza dei “territori” (qualunque cosa questa parola suggestiva voglia dire), ritorniamo a una concezione pre-democratica e corporativa, ai cahiers de doléance e ai baillages, le circoscrizioni feudali amministrative e giudiziarie nelle mani dei “balivi” o – come disse un tempo Massimo D’Alema – dei “cacicchi” locali. La rappresentanza territoriale significa oggi soprattutto favorire i faccendieri locali che dispongono di pacchetti di voti clientelari, i lobbisti che intrallazzano a Roma.

I territori e le loro esigenze non hanno da avere rappresentanza?

Al contrario. Ma devono esprimersi politicamente. Sottolineo: politicamente. I deputati e i senatori “rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato”. Non lo dice solo la Costituzione, ma lo dice la concezione moderna della politica come cura di interessi generali. Per esempio, lei sa che se si ha “sul territorio” il proprio rappresentante nella politica centrale (parlamentare, ministro, sotto-ministro, ecc.) è facile farsi costruire la strada o l’autostrada che interessa in loco (pensi all’autostrada Voltri-Gattico-Sempione), oppure promuovere l’assunzione di schiere di dipendenti nelle amministrazioni locali (pensi ai postini in Abruzzo, regno d’un famoso ministro delle Poste). Questo è caciccato. Diversa è la gestione dei trasporti o dell’impiego pubblico all’interno di una visione generale nella quale anche le esigenze locali possono trovare il loro giusto spazio. Questa è la rappresentanza politica.

Lorenza Carlassare ha scritto che la legge elettorale ideale è fatta così: proporzionale con soglia di sbarramento non superiore al 3% senza liste bloccate e pluri-candidature. Ma poi che fine fa la governabilità?

La governabilità – parola truffaldina: ne abbiamo parlato più volte – dipende dalla struttura del sistema politico, molto meno dal sistema elettorale. Ne abbiamo avuto la riprova pratica con le riforme degli anni 90 che miravano, per l’appunto, a costruire solide maggioranze di governo come effetto di leggi elettorali. È andata così?

Quindi la legge elettorale ha poca importanza?

Nient’affatto. Ne ha poca per la governabilità, ma ne ha molta per altri importanti aspetti. Come tutte le leggi, anche questa deve ispirarsi a un qualche concetto di giustizia, di giustizia elettorale. Mescolare elementi contraddittori, un po’ di proporzionale e un po’ di maggioritario, liste e candidature singole, liste bloccate e preferenze, voto congiunto e disgiunto, eccetera, può incontrare l’interesse di questo o quel partito, ma non degli elettori che alla fine non ne capiscono più nulla. Lo stesso Parlamento risulta un guazzabuglio di legittimazioni diverse. Insomma: il primo requisito d’una buona legge elettorale è la chiarezza nella quale l’elettore possa ritrovarsi facilmente.

E dell’idea della professoressa Carlassare?

Francamente, tra proporzionale e uninominale a doppio turno, sono incerto. Di primo acchito, sarei per la proporzionale con qualche ragionevole sbarramento. Di secondo acchito, mi rendo conto dei pregi, ma anche dei difetti delle liste con preferenze. Insomma, sospendo il giudizio. L’unica cosa è che, una volta scelta la legge elettorale, non la si modifichi tutti i momenti, secondo le occorrenze e le convenienze.

Si discute molto sul modo di migliorare la qualità della rappresentanza.

È il grande tema che dovrebbe occupare il dibattito pubblico, infinitamente più importante della quantità della rappresentanza. Bisognerebbe incominciare con l’abbandono della falsa visione della democrazia di coloro che dicono: siccome siamo un Paese intaccato dalla corruzione, non possiamo stupirci che anche la corruzione venga rappresentata in Parlamento, sulla base dell’assunto che le Camere sono lo specchio del Paese. Una posizione smaccatamente giustificazionista del peggio. Nella vecchia tradizione costituzionale, si diceva che il Parlamento dovrebbe rappresentare il meglio del Paese. Se è il contrario, possiamo stupirci del discredito dell’istituzione parlamentare, discredito diffuso non solo tra gli antiparlamentaristi per principio, ma anche tra tante persone, diciamo così, “perbene” democraticamente parlando.

Secondo alcuni è grave che non siano state contestualmente corrette le maggioranze per l’elezione del presidente della Repubblica: così, dicono, i delegati delle Regioni peseranno troppo (passano dal 6 al 10 per cento circa).

L’aumento del peso dei delegati delle Regioni è semplicemente un effetto indotto della riforma. Non mi pare un aspetto di chissà quale importanza. Nell’elezione del presidente della Repubblica i delegati regionali hanno sempre svolto un ruolo trascurabile. Ciò che conta è l’appartenenza partitica, che non fa differenza, che si sia parlamentari o delegati dei consigli regionali. Piuttosto, c’è un aspetto politico, in presenza di un’avanzata della destra nelle regioni. Questa avanzata può attribuire un peso maggiore a quei partiti nell’elezione presidenziale. Ma è questione tutta politica, non costituzionale.

Un altro grande argomento a sostegno del No è che ad accompagnare questa piccola modifica non ci sia una grande riforma, a iniziare dal bicameralismo paritario. Che ne pensa?

Non si era detto, dopo la débâcle delle due gradi riforme del 2006 e del 2016, “d’ora in poi solo modifiche puntuali della Costituzione”? E comunque: siamo di fronte all’ennesimo argomento specioso. Mi spiego: tutti i precedenti progetti di revisione della forma di governo prevedevano una riduzione del numero dei parlamentari. Ma se si procede per ora su questo punto, che cosa vieta che, dopo, si metta mano al bicameralismo paritario? Il meno, che è già qualcosa, impedisce un più. Dove sta la logica?

Lei è favorevole a ritoccare il bicameralismo, vero?

Sono favorevole al mantenimento di due Camere, differenziate per composizione, procedure e funzioni. Naturalmente non a quel pasticcio, che è stato sventato con il referendum di quattro anni fa. L’ho anche scritto, con proposte che si sono perdute in un bailamme.

Con il Sì verrà rafforzato l’esecutivo a discapito del Parlamento?

E perché mai?

Alcuni sostengono che la scelta del Sì rafforza i sentimenti, perniciosi, dell’antipolitica.

Anche questa obiezione mi pare una sciocchezza. Se i sentimenti antipolitici e antiparlamentari ci sono – e ci sono – non è che la prevalenza del Sì li rafforzerebbe. Semplicemente a loro darebbe espressione e costringerebbe i partiti a prenderne atto e ad agire di conseguenza per neutralizzare i fattori che l’antipolitica alimenta e che, assai spesso, dipendono da loro. Il referendum è semplicemente una conta numerica che serve a dare l’immagine di ciò che c’è nella nostra società. Far finta di niente, come per anni s’è fatto, è solo politica dello struzzo. Non è che con il No quei sentimenti si indebolirebbero. Semmai, il contrario. Poi, è chiaro che una netta vittoria del Sì con il Movimento 5 stelle che da solo si è mobilitato per quel risultato giustificherebbe che se la intestasse come un proprio successo politico. Insomma, paradossalmente il No di chi vuol dare una lezione al Movimento 5 Stelle rischia di provocare un effetto boomerang: noi soli contro tanti, direbbero, l’abbiamo voluta e abbiamo vinto.

Ma quindi lei alla fine come voterà?

Secondo lei?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/19/ecco-perche-molte-ragioni-del-no-non-stanno-in-piedi/5936652/