La nana bianca in questione è ciò che rimane di una stella simile al Sole che, al termine del suo ciclo vitale, si è notevolmente rimpicciolita fino a raggiungere le dimensioni della Terra, conservando però una massa pari alla metà di quella del Sole. L’enorme pianeta – denominato Wd 1856 b – incombe sulla sua minuscola stella, girandole attorno ogni 34 ore lungo un’orbita incredibilmente vicina. Come termine di paragone, considerate che Mercurio impiega 90 giorni per orbitare attorno al Sole.
Sebbene in passato si siano riscontrati indizi di grandi pianeti in orbita vicino a nane bianche, la nuova scoperta è la prova più evidente dell’esistenza di questi bizzarri accoppiamenti. Questa conferma evidenzia il fatto che i sistemi stellari possono evolversi in diversi modi, e permette di intravvedere un possibile destino del Sistema solare. Un tale sistema potrebbe anche rappresentare una rara sistemazione abitabile per un’ipotetica vita sostenuta dalla luce di una stella morente.
«Non avevamo mai visto prove di un pianeta che si avvicina così tanto a una nana bianca, riuscendo a sopravvivere. È stata una piacevole sorpresa», afferma Andrew Vanderburg, del dipartimento di astronomia della Uw-Madison, che ha completato il lavoro mentre era Nasa Sagan Fellow presso l’Università del Texas, ad Austin.
I ricercatori hanno pubblicato oggi i loro risultati su Nature. Vanderburg ha guidato la grande collaborazione internazionale di astronomi che ha analizzato i dati. I telescopi che hanno contribuito allo studio sono stati il telescopio spaziale Tess della Nasa, dedito alla caccia di esopianeti, e due grandi telescopi terrestri nelle Isole Canarie.
In principio, Vanderburg era attratto dallo studio delle nane bianche – resti di stelle delle dimensioni del Sole dopo aver esaurito il loro combustibile nucleare – e, occasionalmente, dei loro pianeti. Mentre frequentava la scuola di specializzazione, stava esaminando i dati del predecessore di Tess, il telescopio spaziale Kepler, quando notò una nana bianca con una nube di detriti intorno. «Si trattava di un pianeta minore, o di un asteroide, che veniva fatto a pezzi proprio mentre lo stavamo guardando. È stato davvero entusiasmante», racconta. Il pianeta era stato distrutto dalla gravità della stella dopo che la sua trasformazione in una nana bianca aveva causato l’avvicinamento dell’orbita del pianeta alla stella. Da allora, Vanderburg non ha mai smesso di chiedersi se i pianeti, specialmente quelli grandi, potessero sopravvivere al viaggio verso una stella morente.
Scansionando i dati di migliaia di sistemi di nane bianche raccolti da Tess, i ricercatori hanno individuato una stella la cui luminosità si attenuava della metà circa ogni giorno e mezzo, segno che qualcosa di grande stava passando velocemente davanti alla stella con un orbita parecchio stretta. Ma era difficile interpretare i dati perché il bagliore di una stella vicina stava interferendo con le misurazioni di Tess. Per superare questo ostacolo, hanno integrato i dati di Tess con quelli di telescopi terrestri ad alta risoluzione, compresi tre telescopi gestiti da astronomi amatoriali.
Impressione artistica della sonda spaziale della Nasa Transiting Exoplanet Survey Satellite (Tess). Crediti: Nasa
«Una volta che il bagliore è stato tenuto sotto controllo, in una notte, hanno ottenuto dati molto più belli e puliti di quelli che abbiamo ottenuto noi con un mese di osservazioni dallo spazio», ammette Vanderburg. Poiché le nane bianche sono molto più piccole delle stelle normali, i grandi pianeti che passano davanti a loro bloccano molta luce della stella, rendendo il rilevamento da parte dei telescopi terrestri molto più semplice.
«Tess trova un pianeta osservando una stella e misurando la sua luminosità ininterrottamente per settimane», spiega Ian Crossfield, co-autore dello studio. «Se un pianeta orbita attorno alla stella, e se il pianeta passa tra l’osservatore e la stella, parte della luce stellare verrà bloccata. Successivamente, la stella diventerà di nuovo più luminosa quando il pianeta ha terminato il passaggio, chiamato transito».
Per aiutare il team internazionale di scienziati a confermare se Wd 1856 b fosse davvero un pianeta in orbita attorno alla nana bianca, Crossfield ha studiato le emissioni infrarosse dell’oggetto con il telescopio spaziale Spitzer della Nasa, oggi in meritata pensione, ottenute nei mesi precedenti la sua disattivazione.
I dati hanno rivelato che un pianeta più o meno delle dimensioni di Giove, forse un pochino più grande, orbitava molto vicino alla sua stella. Il team di Vanderburg ritiene che il gigante gassoso sia partito da un’orbita molto più lontana dalla stella e si sia spostato nella sua orbita attuale dopo che la stella si è evoluta in una nana bianca. Ma come ha fatto questo pianeta a evitare di essere lacerato durante la trasformazione della stella? I precedenti modelli di interazioni nana bianca-pianeta non sembrano giustificare questo particolare sistema stellare.
I ricercatori hanno eseguito nuove simulazioni che hanno fornito una potenziale risposta al mistero. Quando la stella esaurì il suo carburante, si espanse in una gigante rossa, inghiottendo tutti i pianeti vicini e destabilizzando il pianeta delle dimensioni di Giove che orbitava più lontano. Ciò ha fatto sì che il pianeta assumesse un’orbita esageratamente ovale che passava molto vicino alla nana bianca, ma che lo portava anche molto lontano dall’apside dell’orbita.
Nel corso di eoni, l’interazione gravitazionale tra la nana bianca e il suo pianeta ha lentamente disperso l’energia del sistema, guidando infine il pianeta in un’orbita circolare stretta che richiede solo un giorno e mezzo per essere completata. Questo processo richiede molto tempo, miliardi di anni. Questa particolare nana bianca è una delle più antiche osservate dal telescopio Tess: ha quasi 6 miliardi di anni, che è un tempo molto lungo per rallentare il suo enorme compagno planetario.
Per la prima volta è stato scoperto un esopianeta intatto, delle dimensioni di Giove, in orbita vicino a una stella nana bianca (cliccare per ingrandire). Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab / Nsf / Aura / J. Pollard; traduzione a cura di Media Inaf
Sebbene le nane bianche non manifestino più la fusione nucleare al loro interno, mentre si raffreddano rilasciano comunque luce e calore. È possibile che un pianeta abbastanza vicino a una stella morente di questo tipo, si trovi nella sua zona abitabile, la regione in prossimità di una stella nella quale può esistere acqua liquida, presumibilmente necessaria per la vita e la sopravvivenza.
Ora che la ricerca ha confermato che questi sistemi esistono, offrono un’opportunità allettante per la ricerca di altre forme di vita. La struttura unica di questi sistemi offre un’opportunità ideale per studiare le firme chimiche delle atmosfere dei pianeti orbitanti, uno dei modi che gli astronomi usano per cercare segni di vita da lontano. «Penso che la parte più eccitante di questo lavoro sia ciò che significa per l’abitabilità in generale – in questi sistemi stellari “morti” possono esserci regioni ospitali – e per la nostra capacità di trovare prove di tale abitabilità», conclude Vanderburg.
https://www.media.inaf.it/2020/09/16/il-gigante-e-la-nana-bianca/?fbclid=IwAR1RrOiIZgiIFG73CBTB_7sseLV4vKm8hOe1MB2xQIniDY_UtXdmI4mB8M0