domenica 6 febbraio 2022

Università, radiografia del sistema dei baroni. “Presa Diretta” riparte dai concorsi truccati. Iacona: “La lobby dei prof si oppone a riforme”. - Thomas Mackinson

 

L'INTERVISTA - Da lunedì 7 febbraio su Rai3 riparte il programma d'inchiesta condotto da Riccardo Iacona che dopo 13 anni torna a varcare i portoni delle università e li trova infestati dalla piaga dei concorsi pilotati. "La pandemia per un verso e le sfide del Pnrr per l’altro ci dicono che la partita si gioca sulle competenze date dall’alta formazione. Richiedono ricerca, capacità, etica. Ma la Scienza in Italia sembra contare solo a parole". Poi la Rai, la libertà di informazione nel servizio pubblico. Ecco cosa vedremo nella nuova stagione.

Concorsi truccati, la campanella suona per tutti. Un’ora e mezza in tv, in prima serata. Non era mai successo. Lunedì prossimo parte la13esima edizione di “Presa Diretta” su Rai3 e lo fa aprendo la stagione con una puntata che indaga a fondo il male endemico dell’università italiana: la piaga dei concorsi accademici truccati e delle baronie. Riccardo Iacona ha deciso di trattare in prima persona il nodo del sistema di assegnazione delle cattedre con un reportage ampio, che dalla Sicilia passa per Firenze e arriva a Tor Vergata, sulla scia di tre clamorose inchieste della magistratura. Un viaggio nel “cuore malato” del sistema di selezione dei docenti, con una valigia di documenti d’indagine, testimonianze e intercettazioni e una domanda sul taccuino che interroga tutto il Paese: l’Italia deve rassegnarsi al fatto che i “migliori” siano selezionati così, con sistematica devianza da merito e competenza, e che il sistema universitario smetta di essere la fabbrica della conoscenza e delle competenze? Spoiler: la risposta, come spesso accade, si trova purtroppo, ancora e sempre fuori dall’Italia. Iacona, classe 1956, da 35 in Viale Mazzini (con parentesi da editto bulgaro), ha voluto condurre personalmente l’inchiesta che apre la nuova stagione, tornando sul “luogo del delitto” e mettendo il coltello nella piaga.

Perché hai deciso di ripartire da qui?
Da “ragazzino”, ormai si può dire, avevo fatto “Viva la ricerca”. Fu trasmesso nel 2009 in prima serata e portò alla ribalta nazionale il tema delle scarse risorse che stavano portando all’asfissia un settore così strategico per l’innovazione ed elevazione del Paese nella competizione globale. A distanza di 13 anni ho intrapreso questo nuovo viaggio tra i “concorsi pilotati”, altro grande male dell’alta formazione, certificato negli ultimi cinque-sei anni da una serie impressionante di inchieste della magistratura. L’ambizione è andare oltre la cronaca, per indagare il nocciolo di questo fenomeno.

Che effetto ti han fatto?
Molta impressione, davvero. Non ti aspetteresti mai che la Digos debba entrare in una alta accademia come l’università di Catania e di scoprire le cose che racconteremo in prima serata lunedì sera. Mi ha molto colpito constatare che ogni volta che le Procure mettono l’occhio o le microspie scoprono che le procedure di reclutamento sono illegali, che le persone entrano o vanno avanti non tanto per il merito ma per l’appartenenza. I nostri giovani non possono far altro che subire o replicare a loro volta questi meccanismi, in alternativa lasciare l’Italia. E magari sono proprio i migliori.

Dei baroni però si parla da anni, perché infilare ora il dito nella piaga?
Perché la pandemia per un verso e le sfide del Pnrr per l’altro ci dicono che la partita si gioca sulle competenze date dall’alta formazione che richiedono ricerca, capacità, etica. E’ nelle università che si forma la classe dirigente che può fare scelte di salute pubblica, mettere mano a buoni progetti, spendere bene le risorse. Ma se nei luoghi a questo deputati i docenti sono scelti con meccanismi di mera cooptazione la sfida si perde in partenza. Sentirete un procuratore che definisce quel sistema “mafioso”. Se ti metti contro, se fai ricorso, ti isolano col bollo dell’infamia. Ma parte del problema è che queste cose quasi non fanno più scandalo.

La politica che responsabilità ha avuto?
Molte, ha chiuso gli occhi per anni sulla riduzione dei fondi per la ricerca. Poi ha trattato l’università come marginale, favorendone così l’autoreferenzialità e lasciando che tutto il sistema di reclutamento si adagiasse su una legalità che è solo apparente: ad ogni concorso devi costruire una commissione nazionale, col costo che ha, che lavora per confermare una scelta già fatta a monte, senza una reale comparazione. Del resto, basta parlare coi protagonisti che hanno vissuto soprusi terribili per rendersi conto della violenza di questo sistema di cooptazione tribale vestito da concorso. Ma la politica spesso non ascolta.

E che cosa può fare?
Abbiamo intervistato la ministra, che è ben consapevole che questo meccanismo di selezione fallisce proprio nello scopo per cui è stato costruito, quello di premiare i migliori anziché pupilli e raccomandati. Lei mette in campo alcune soluzioni tecniche che sono anche dure e quasi rivoluzionarie, ad esempio cancellare l’articolo 24 che consente di bandire concorsi solo per candidati interni.

Ma se ne parla poco. Ci sono resistenze?
Nel Milleproroghe diversi parlamentari vogliono perpetuare quel sistema, perché c’è una “lobby dei professori” anche in Parlamento. Il concorso interno si chiama così ma nella pratica conferisce potere di nomina che hai nelle mani: se glielo togli non puoi più accomodare le persone che hai deciso di portare avanti. Altra cosa è l’abolizione del concorso per l’abilitazione nazionale della Gelmini, altra proposta della ministra che toglierebbe agli ordinari nazionali delle singole discipline il potere di decidere chi deve fare carriera e chi no.

E allora chi deve mettere mano al problema dei concorsi?
L’università da sola non lo può risolvere, perché è complice. E’ una partita troppo importante per lasciarla in mano solo a chi ci lavora. Andrebbe messa su un “”tavolo in cui c’è la magistratura, la politica, la società civile per uscire fuori dal ghetto dell’agenda politica dove sta l’università e tirarla su. La nostra ambizione è di dare un contributo di conoscenza che favorisca questa consapevolezza nel Paese, non per nulla lo approfondiamo per 90 minuti in prima serata, senza accontentarci di fare la cronaca giudiziaria ma afferrandone la complessità.

Clima impazzito, la nuova Guerra Fredda tra Usa e Cina, criminalità digitale. Tra le inchieste della nuova stagione c’è anche “Amore bestiale”, tutta sugli animali domestici. E’ una scelta bizzarra per un programma d’inchiesta.
In effetti è un tema che in tv viene trattato come servizio di coda, noi invece faremo una puntata visionaria che mi piace molto. Presa Diretta è l’unico programma della tv italiana privata e pubblica generalista che tutte le settimane propone un monografico che ha l’aspirazione di raccontare per 90 minuti un fenomeno senza fare il “magazine”. Tutte le cose che scegliamo hanno la larghezza narrativa giusta per andare a fondo.

E cosa vedremo?
E’ una puntata che merita 90 minuti. Racconta una trasformazione antropologica di cui ci rendiamo conto quando andiamo in giro per strada: ci sono più cani e gatti che figli. Gente che parla ai cani come agli umani. E poi ci accorgiamo di quanto pesi l’industria che ci gira attorno, comprese le onoranze funebri per cani e gatti, i gelati per loro. C’è un mondo che vive attorno ai nostri amici. E ti domandi cosa è successo. Solo facendo i monografici riesci in qualche modo a mettere l’occhio nel medio futuro, nel mondo che sarà. E sarà un mondo dove animali di ogni genere e grado rispondono a un bisogno di cura che in realtà è nostro. Nasce iscritto nel Dna per i figli, ma si sta spostando sui cani. Sullo sfondo, il declino demografico. Un puntata visionaria, secondo me.

A proposito di visioni. Sì è visto Berlusconi nei panni del candidato al Colle: come sta oggi il rapporto tra politica, Rai e giornalismo?
Tra politica e giornalismo d’inchiesta c’è un fisiologico corpo-a-corpo ed è anche giusto così. Succede in tutto il mondo. I giornalisti portano avanti il loro racconto, la politica deve tenerne conto, l’opinione pubblica è in mezzo e apprende cose che non sapeva. Direi che ora anche in Italia c’è più di uno spazio all’interno della Rai per raccontare in maniera indipendente la realtà e quello che ci circonda.

Dunque è chiusa la stagione degli editti?
Diciamo che in Italia ci sono precedenti pericolosi di cui tenere conto. Non si era mai visto in Europa un presidente del Consiglio che dalla Bulgaria fa un editto contro i conduttori sgraditi e trovi orecchie pronte nell’azienda pubblica per chiudere programmi di grande successo, come erano quelli di Biagi, Luttazzi e Santoro. Chiaro che quella vicenda ha lasciato un segno, ma non è più il tempo in cui l’occupazione politica della Rai da parte degli uomini di dell’ex premier era persino militare, l’epoca dei palinsesti studiati a tavolino con la concorrenza.

C’è più spazio per l’approfondimento giornalistico?
Il sistema della televisione nel suo complesso resta bloccato: c’è un conflitto di interessi ancora molto potente, un mondo privato consistente in mano sempre all’ex presidente del Consiglio. Ma nel frattempo ci siamo ripresi i nostri spazi di libertà, parliamo direttamente al nostro pubblico. E se facciamo un buon lavoro, ci ascolta anche il cosiddetto “mondo della politica”.

L’antidoto all’interferenza?
Fare un buon lavoro. Ci hanno consegnato una prima serata, possiamo fare 90 minuti di racconto. Li vogliamo fare bene e fare in modo che le persone che li vedono siano più ricche, proprio come succede a noi ogni volta che affrontiamo un argomento. Non raccontiamo le cose che già sappiamo o pensiamo siano così per un pregiudizio ideologico o politico. Noi ci buttiamo nel mare del racconto, anche quando è in tempesta, in maniera libera, dai diversi punti di vista. La fontana della libertà resta aperta se racconti in maniera onesta quel che ci sta accadendo nella sua complessità. Il resto non serve a nulla, sono fumetti, non approfondimento giornalistico.

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La sacrosanta protesta dei giovani. - Antonio Padellaro

 

“È doveroso ascoltare la voce degli studenti che avvertono tutte le difficoltà del loro domani”.

Sergio Mattarella

Meno male che si mobilitano, che scendono in piazza, che protestano vien voglia di dire leggendo le diagnosi sul “malessere dei ragazzi”, sulla loro apatia, rassegnazione. Sul “loro stato di salute psichica causato non direttamente dal virus ma dalla cattiva gestione della pandemia che ha compromesso la credibilità di genitori e istituzioni come modello” (la psicologa Stefania Andreoli). Molto si è scritto sugli scontri tra le bande giovanili che si affrontano con forme di estrema violenza. Non solo nelle periferie degradate, e altri luoghi comuni, ma dappertutto: centri storici, quartieri alto borghesi, borghi sperduti e località alla moda. Del resto, perché sorprendersi se trascorsi due anni di restrizioni, proibizioni, sanzioni abbiamo di fronte un contenitore adolescenziale super-compresso la cui energia vitale andrebbe liberata e non repressa. Come ha fatto la polizia del governo dei Migliori manganellando a più non posso nelle manifestazioni (Torino) contro il progetto scuola-lavoro, dopo la morte in fabbrica dello studente Lorenzo Parelli. Eh sì, “la voce degli studenti” andrebbe ascoltata e non soltanto quando vengono sollevate questioni per così dire “corporative”, come le prove di maturità o i programmi ministeriali. Prestare orecchio, spesso distrattamente, ai rumori che provengono da un mondo sconosciuto per poi lasciare tutto come prima?

Quella giovanile dovrebbe essere da anni la “questione nazionale”, e su di essa avrebbero dovuto dirci qualcosa di serio, di fattuale i ministri che lavorano sui temi sensibili della Next Generation Eu: dalla Pubblica istruzione, alla Innovazione, alla Transizione ecologica, alle Politiche giovanili. Per caso, qualcuno li ha sentiti? In quell’Araba Fenice chiamato Pnrr (che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa) c’è scritto che le misure rivolte ai giovani ammontano a 15,55 miliardi di euro, pari all’8,1% sul totale. Un fiume di denaro dagli sbocchi al momento sconosciuti. Nessuno ne sa nulla, a cominciare dai destinatari. Che però se parlano si beccano una manganellata. Mentre chi parla di loro si merita l’applauso.

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Rayan non ce l'ha fatta, morto il bimbo caduto nel pozzo. - Olga Piscitelli

 

Dopo 100 ore di soccorsi disperati è stato estratto senza vita.


Oltre cento ore a 32 metri sotto terra, inghiottito da un pozzo strettissimo, in alcuni punti di soli 20 centimetri di diametro.

Ha lottato per rimanere vivo, ma non ce l'ha fatta.

Il piccolo Rayan, 5 anni, che per quattro giorni ha tenuto con il fiato sospeso il Marocco ed il mondo intero, mentre una mega operazione di soccorso cercava di salvarlo, è morto.

La notizia è rimbalzata, come una doccia fredda, dopo una decina di minuti da quelle immagini, convulse, rilanciate dalle  dirette delle tv che per giorni hanno seguito i soccorsi. Quelle immagini che raccontavano che il bambino era stato recuperato, estratto da quel maledetto pozzo, che avevano fatto tirare un sospiro di sollievo. Lasciando intendere che potesse essere in salvo. Ma la nota della stessa casa Reale del Marocco ha gettato nello sconforto: 'E' deceduto per le ferite riportate nella caduta'.

Poche parole che riportano alla mente le drammatiche ore di giugno 1981 e la tragedia di Alfredino Rampi a Vermicino. E che hanno gettato nello sconforto tutti coloro che per ore, giorni e notti, hanno seguito i lavori dei soccorritori, impegnati in un'operazione di salvataggio titanica, scattata già martedì scorso quando il bambino, che stava giocando in un campo, è precipitato in quel buco nero, in quel pozzo di proprietà della famiglia.

Un'immensa operazione di salvataggio, tra le mille difficoltà, gli intoppi, i rischi di smottamento, le speranze ma anche le delusioni. Lunghissime giornate in cui i soccorritori non si sono mai dati per persi. A cominciare da Ali El Jajaoui, arrivato da Erfoud, ormai divenuto l'eroe del deserto: quell'uomo, di professione specialista di pozzi, che appena appresa la notizia del bimbo è subito partito dal sud del Paese per raggiungere il villaggio di Rayan. E ha scavato per ore e ore senza fermarsi, a mani nude dopo che un imponente lavoro di 5 escavatori aveva aperto una voragine che ha permesso si arrivare alla profondità in cui si trovava il bambino. E permesso di realizzare una via di fuga attraverso la posa di tubi che, posizionati orizzontalmente, hanno creato quel passaggio che doveva rappresentare la salvezza. E che invece si è trasformato in un mesto ultimo percorso di Rayan dalla sua trappola.

Il bambino aveva provato a resistere in tutti questi giorni: per lui era stato calato nel pozzo un tubo per fornirgli l'ossigeno, l'acqua e un po' di cibo. Le telecamere che lo avevano raggiunto, rinviavano immagini di lui ferito alla testa  he si muoveva e chiamava 'mamma'. Fotogrammi che avevano commosso il mondo e che lasciavano sperare. Come quell'ultimo contatto, solo sabato mattina, con il papà. "Gli ho parlato, sentivo che respirava a fatica", aveva raccontato l'uomo che insieme alla moglie, ha aspettato per ore, per giorni, quel finale che nessuno voleva fosse una tragedia.

Poco prima che Rayan fosse estratto dal pozzo, lui e la moglie erano stati fatti salire sull'ambulanza - dove c'era anche una psicologa - che, all'ingresso del tunnel, attendeva che il bimbo fosse recuperato. E stasera è toccato al Re il triste compito di inviare loro le condoglianze.

Nel primo pomeriggio di sabato tutto era pronto, o così almeno sembrava, quando i soccorritori entravano nel tunnel. Uno alla volta, sistemando corde e giubbotti di protezione e persino una piccola barella. La folla di spettatori pregava. Al grido di Allah Akbar i fedeli si sono raccolti attorno al pozzo dove si era posizionata anche l'equipe medica di pronto intervento, l'ambulanza e un anestetista. Poi però i tempi si sono dilatati, i soccorsi si sono trovati di fronte ad un'altra, l'ennesima, roccia. Poi le distanze si sono accorciate, ma alle 17.30 c'erano ancora 80 centimetri di masso da sgretolare. Un lavoro di cesello quasi, al ritmo di 20 centimetri l'ora. Un'operazione difficilissima che ha mobilitato le forze marocchine, gli speleologi, i volontari sostenuti dalla comunità locale che per giorni ha preparato il cibo e offerto riparo.

"Rayan è vivo, lo tireremo fuori oggi", aveva annunciato nel tardo pomeriggio il direttore delle operazioni di soccorso, l'ingegnere Mourad Al Jazouli. Ma non è andata così, i soccorritori sono riusciti a tirare Rayan fuori dal pozzo, ma per lui ormai non c'era più nulla da fare. (ANSA).


https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/02/05/marocco-una-roccia-blocca-i-soccorritori-a-2-metri-da-ryan_b125e291-b7c5-489a-bbdb-c7385cbc02d1.html

M5S, Di Maio lascia il Comitato di garanzia: “Voglio poter dire cosa non va bene”. La replica: “Passo indietro dovuto, ci ha messi in difficoltà”.

 

"Tutte le anime, anche chi la pensa in maniera diversa, devono avere spazio e la possibilità di esprimere le proprie idee", scrive il ministro degli Esteri annunciando le dimissioni dall'organo. E accusa: "Si è provato a colpire e screditare la mia persona". La risposta del Movimento in una note: "Non permetteremo che i nostri impegni siano compromessi da percorsi divisivi e personali" e "tattiche di logoramento che minano l’unità. Adesso è il momento di concentrarsi su progetti e programmi, come ci viene suggerito da Beppe Grillo" in un post in cui ribadisce il sostegno al limite dei due mandati.

“In questi giorni il dibattito interno è degenerato, si è iniziato a parlare di scissioniprocessigogne. Si è provato a colpire e screditare la persona. Mi ha sorpreso, anche perché è proprio il nuovo statuto del Movimento che mette l’accento sul rispetto della persona“. Il ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, ha annunciato le proprie dimissioni dal Comitato di garanzia nel partito, organo in cui era stato eletto lo scorso settembre insieme a Virginia Raggi e Roberto Fico e di cui era presidente. Lo ha fatto con una lettera inviata al presidente del M5S Giuseppe Conte – che ha accusato di aver “fallito” nella fase dell’elezione del presidente della Repubblica, dando il via a uno scontro interno che si trascina da giorni – e al Garante Beppe Grillo. In cui annuncia di essere pronto a sostenere il nuovo corso, ma soltanto a patto di mantenere “la libertà di alzare la mano e dire cosa non va bene e cosa andrebbe migliorato”. Una presa di posizione a cui una nota del Movimento replica con freddezza: “Il giusto e dovuto passo indietro di Luigi Di Maio rispetto al suo ruolo nel Comitato di garanzia costituisce un elemento di chiarimento necessario nella vita del Movimento rispetto alle gravi difficoltà a cui ha esposto la nostra comunità, che merita un momento di spiegazione in totale trasparenza”.

“Il confronto delle idee e la pluralità delle opinioni – prosegue il comunicato – non è mai stata in discussione. Questo però non significherà mai permettere che i nostri impegni con gli iscritti e con i cittadini siano compromessi da percorsi divisivi e personali, da tattiche di logoramento che minano l’unità e la medesima forza politica del Movimento. Adesso è il momento di concentrarsi su progetti e programmi, come ci viene suggerito proprio oggi da Beppe Grillo con una riflessione ispirata alle Lezioni americane di Italo Calvino”. Pochi minuti dopo la diffusione della lettera di Di Maio, infatti, il fondatore ha pubblicato un lungo post sul proprio blog: un intervento in apparenza slegato, dal titolo “5 stelle polari, in cui il Garante fa un bilancio dei risultati raggiunti dal Movimento a partire dalla sua fondazione, tracciando allo stesso tempo un manifesto per il futuro ricco di proposte politiche. Tra cui è un punto, soprattutto, a risaltare: “Rotazione o limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione“. Un principio fondante del M5S (esplicitato nella regola dei due mandati) che però è ormai messo in seria discussione e il cui eventuale superamento è uno dei nodi dello scontro tra Di Maio e Conte.

“Dopo la rielezione del presidente Sergio Mattarella ho proposto di avviare una riflessione interna al Movimento”, ha ripercorso il titolare della Farnesina nella propria lettera. “Penso che all’interno di una forza politica sia fondamentale dialogare, confrontarsi e ascoltare tutte le voci. Tutte le anime, anche chi la pensa in maniera diversa, devono avere spazio e la possibilità di esprimere le proprie idee. E lo dico perché anche io in passato ho commesso degli errori su questo aspetto, errori che devono farci crescere e maturare. Ho apprezzato molto”, prosegue, “il tentativo di chi in questi giorni, a partire dai capigruppo e da Beppe Grillo, ha provato a favorire un dialogo sereno e super partes, tra diverse linee di pensiero. Continuo a pensare che sia fondamentale confrontarsi dentro il Movimento, perché il Movimento è casa nostra, ed è fondamentale ascoltare le tante voci esistenti, e mai reprimerle. Qui si vince o si perde tutti insieme – scrive – perché siamo una comunità che si basa sulla pluralità di idee, soprattutto in questo momento difficile per il Movimento 5 Stelle, che deve però riuscire a trovare le soluzioni per difendere la dignità dei cittadini e sostenere il mondo produttivo ancora alle prese con la pandemia. Spetta poi al presidente fare la sintesi e tracciare la strada da seguire. Ma l’ascolto è importantissimo”.

“Mi rendo conto – conclude – che per esprimere queste idee, seppur in maniera propositiva e costruttiva, non posso ricoprire ruoli di garanzia all’interno del Movimento. Non lo ritengo corretto. Per questo motivo, ho deciso di dimettermi da presidente e membro del Comitato di Garanzia del MoVimento 5 Stelle. Ringrazio gli iscritti che mi avevano votato ed eletto, ringrazio Virginia e Roberto che mi avevano votato presidente, ringrazio Beppe per la fiducia nell’avermi indicato nella rosa dei potenziali membri del Comitato. Ho preso questa decisione perché voglio continuare a dare il mio contributo, portando avanti idee e proposte. Voglio dare il mio contributo sui contenuti, voglio continuare a fare in modo che si generi un dibattito positivo e franco all’interno della nostra comunità. Un confronto che ci permetta davvero di rilanciare il nuovo corso del Movimento 5 Stelle. Se rimaniamo uniti, con le idee di tutti, torneremo a essere determinanti. Grazie a tutti per l’affetto e viva il Movimento”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/05/m5s-di-maio-lascia-il-comitato-di-garanzia-voglio-poter-dire-cosa-non-va-bene-la-replica-passo-indietro-dovuto-ci-ha-messo-in-difficolta/6482717/

Matteo Renzi, l’antiriciclaggio segnala alla procura di Firenze oltre un milione e 100 mila euro incassati da società dell’Arabia Saudita.

 

A fare i conti, come accade sempre in questi casi, è l'Unità antiriciclaggio di Bankitalia che ha fatto partire una segnalazione di operazione sospetta. Fino a questo momento la cifra che si riteneva fosse stata incassata era di circa 80mila euro. Il leader di Italia Viva: "Consulenze per sostenere la nascita di una città Green".

Dell’attività di conferenziere dell’ex premier Matteo Renzi e dei relativi e legittimi guadagni, tutti fatturati, se ne discute da mesi. Il leader di Italia Viva è stato retribuito per i suoi speech e interventi con poco meno di 2,6 milioni di euro come ampiamente documentato dal FattoQuotidiano. I soldi incassati per i discorsi tenuti per l’amico Mohammad bin Salman e per le consulenze svolte in Arabia Saudita l’ex segretario del Pd ammonterebbero a un milione e 100 mila euro. Denaro – come riportano il Corriere della Sera e La Stampa – versato da alcune società arabe attraverso diversi accrediti. A fare i conti, come accade sempre in questi casi, è l’Unità antiriciclaggio di Bankitalia che ha fatto partire una segnalazione di operazione sospetta. Fino a questo momento la cifra che si riteneva fosse stata incassata era di circa 80mila euro.

I detective dell’antiriciclaggio hanno accertato che oltre mezzo milione di euro è stato pagato infatti per il suo lavoro per la creazione di una città green in Arabia. Il principe – considerato dalla Cia il mandante dell’omicidio Khassoggi – tra i vari progetti rinascimentali ha anche quelli che riguardano futuristiche città senza macchine, auto ed emissioni. La segnalazione è stata inviata agli inquirenti di Firenze che già indagava sul ruolo del senatore riguardo a soldi percepiti per conferenze tenute ad Abu Dhabi. Per questo capitolo di indagine è stata chiesta una archiviazione lo scorso dicembrePer la procura è infondata l’ipotesi di false fatturazioni in ragione del fatto che è stata svolta un’attività vera e propria. Ora c’è un nuovo filone da esplorare: “Sul rapporto di conto corrente intestato a Matteo Renzi, aperto in data 5 novembre 2021, si rileva la seguente operatività: in data 13 dicembre 2021, un bonifico in accredito di un milione e 100 mila euro dal cliente stesso con causale “girofondi”. Il signor Matteo Renzi, censito in anagrafe come politico con un reddito annuo netto superiore a 75mila euro, ricopre la carica di senatore. Relativamente a quanto rilevato, il cliente – scrive nella segnalazione il personale dell’Uif – ha dichiarato al nostro consulente finanziario di riferimento che l’origine dei fondi sarebbe riferibile a delle prestazioni fornite, in qualità di consulente, all’Arabia Saudita, finalizzate a sostenere la nascita di una città Green, a scopo turistico, negli Emirati Arabi”. Le società che hanno eseguito i bonifici, come riporta ancora il Corriere, sono tre. “Dal documento si evincono bonifici ripetitivi in accredito di 8.333 dalla Mataio International Public, un bonifico di 570 mila euro dalla Royal Commission For Alula e un bonifico di 66.090 da Founder Future Inv Initiative Est. Si allegano le tre fatture emesse dal cliente a favore degli ordinanti dei bonifici”.

Quando era esplosa la polemica sui viaggi e sulle conferenza Renzi aveva parlato di “rapporti regolari“, di pagamenti a fronte di attività regolarmente fatturata (come del resto accertato già a Firenze), respingendo al mittente le critiche di chi vedesse in questa sua attività un conflitto rispetto alla carica di parlamentare. “Non c’è alcun conflitto d’interesse. L’unico interesse in conflitto è di qualcuno che vorrebbe io smettessi di parlare dell’Italia. L’attività parlamentare è compatibile con quella di uno che va a fare iniziative all’estero, su questi temi è tutto perfettamente in regola e legittimo. Nell’aprile dello scorso anno Renzi aveva confermato di aver firmato un intervento “per promuovere gli interventi di rilancio dell’antica città araba di Alula, patrimonio Unesco” e di essere entrato “nel board della Commissione reale per Alula, presieduta direttamente dal principe Bin Salman”.

(6.2.2022)

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/02/06/matteo-renzi-lantiriciclaggio-segnala-alla-procura-di-firenze-oltre-un-milione-e-100-mila-euro-incassati-da-tre-societa-dellarabia-saudita/6483625/?utm_content=fattoquotidiano&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR183U1HwebJKFjo6VRrkXvcrFamMvt6XM-Ga3s8aTOVnOVW6Q6GTcUZYlo#Echobox=1644139089

Luigi Di Mario. - Marco Travaglio


I partiti della maggioranza-ammucchiata escono, chi più chi meno, con le ossa rotte dalla corsa al Quirinale, ultima tappa del loro lento assassinio pianificato un anno fa con l’Operazione Dragopardo. Ciascuno è stato infiltrato dal Partito Trasversale Draghiano per scardinarne la leadership e ribaltarne la linea dopo tre anni di governi sgraditi all’establishment. Missione compiuta nel Pd, con l’avvento di Letta jr., che tra il fronte giallorosa e i draghetti renziani sceglie sempre i secondi. Lavori in corso nella Lega, con Giorgetti&Fedriga contro Salvini; in FI, con i poltronisti Brunetta&Gelmini contro il cerchio nanico di Arcore; e nel M5S, col draghetto Grisù-Di Maio contro Conte. La differenza fra i partiti infiltrati è che nel Pd il voltafaccia di Letta sulla Belloni per compiacere Guerini&C. non produce alcun dibattito: si fingono morti per vivacchiare. Nella Lega qualche espulsione e tutti zitti. In FI ci pensa Mediaset con l’editto anti-Meloni. Invece nei 5Stelle come sempre si discute, forse troppo e scompostamente, ma si discute. E con le uscite allo scoperto di Conte, Di Maio e Grillo si parla della vera posta in gioco: non una lite di comari o di galli nel pollaio, né una guerra per la leadership; ma un dissidio politico sul draghismo.

Di Maio non vuole cacciare Conte otto mesi dopo aver contribuito a incoronarlo, né prendere il suo posto (fuggì dopo tre anni, spossato dagli impegni ministeriali e dalle liti interne): da quel che si intuisce, vuole dirottare la nave verso la stella polare Draghi perché la ritiene irrinunciabile per i prossimi anni e, se non ci riesce, farsi una corrente nel M5S o traslocare altrove, ma sempre all’ombra del premier (infatti ha fatto di tutto per portarlo al Quirinale). Conte non vuole (purtroppo) uscire dal governo, ma lo considera una parentesi emergenziale da sopportare per limitarne i danni dall’interno e chiudere a fine legislatura per tornare alla politica (infatti ha sbarrato a Draghi la via del Colle). Perciò Conte piace alla base: perché appare molto più “grillino” di Di Maio. Basta leggere l’ultimo post di Grillo, che ritrova lucidità e indica obiettivi incompatibili col draghismo. Così discute un movimento che vuol “passare dagli ardori giovanili alla maturità”: non dei battibecchi e dei tradimenti personali, ma dell’enorme questione politica che li ha originati. Siccome il governo Draghi è nato anzitutto per spazzare via i 5Stelle, questi non possono sostenerlo per altri 12 mesi solo per difendere le cose fatte, ma a patto di ottenerne di nuove: salario minimo, nuovi ristori, aiuti contro il caro bollette, no al nucleare, nessuna scappatoia per i boss al 41-bis. Qui si parrà la nobilitate dei 5Stelle, di Conte e di Di Maio. Sempreché non sia già diventato Di Mario.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/06/luigi-di-mario/6483459/